Google non deve vendere Chrome, il web libero è in pericolo: il parere del papà di Ruby on Rails

Lo sviluppo di Chrome ha contribuito allo sviluppo del web: secondo David Heinemeier Hansson la sua vendita potrebbe ostacolare la libertà del web e agevolare l'ascesa delle piattaforme chiuse
di Andrea Bai pubblicata il 30 Aprile 2025, alle 09:11 nel canale WebGoogleChrome
La battaglia legale tra Google e il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti rappresenta uno dei momenti più delicati nella storia recente del settore tecnologico. Al centro dello scontro c’è la richiesta, avanzata dalle autorità antitrust americane, di costringere Google a vendere il browser Chrome, oggi utilizzato da circa il 67% degli utenti mondiali e considerato la principale porta d’accesso a Internet per miliardi di persone. La proposta, che potrebbe essere estesa anche al sistema operativo Android, nasce dalla volontà di ristabilire la concorrenza nel mercato delle ricerche online, dopo che una sentenza ha riconosciuto a Google una posizione dominante e pratiche anticoncorrenziali, soprattutto grazie agli accordi miliardari che garantiscono al motore di ricerca di Mountain View la posizione di default su browser e dispositivi mobili.

Secondo il Dipartimento di Giustizia, la vendita di Chrome a un soggetto terzo dovrebbe interrompere il controllo di Google su un punto fondamentale di accesso alla ricerca, permettendo così ai motori di ricerca rivali di competere ad armi pari. La proposta prevede anche che Google non possa rientrare nel mercato dei browser per almeno cinque anni e che, in caso di inefficacia delle misure, possa essere costretta a cedere anche Android o a rivedere radicalmente i contratti che impongono le proprie applicazioni nei dispositivi mobili.
Tuttavia, la possibilità di una vendita forzata di Chrome solleva interrogativi profondi sulle conseguenze per l’intero ecosistema digitale. Chrome, infatti, non è solo un browser, ma un elemento chiave dell’ecosistema Google, integrato con servizi come ChromeOS, l’assistente Gemini e le piattaforme pubblicitarie che rappresentano il “motore economico” della rete. Kent Walker, presidente degli Affari globali di Google, ha sottolineato come una simile decisione rischierebbe di danneggiare i consumatori, mettendo a rischio la qualità, la sicurezza e la privacy dei prodotti e dei servizi associati a Chrome, oltre a costringere Google a condividere innovazioni e dati sensibili con aziende esterne.
La prospettiva di una vendita forzata di Chrome ha già avuto l'effetto di far manifestare l'interesse di alcune realtà di rilievo dell'attuale panorama tecnologico, come OpenAI e Perplexity, ma non mancano le perplessità: quale sarebbe il senso di un semplice passaggio di mano tra due colossi della tecnologia?
Sulla questione si è espresso anche David Heinemeier Hansson, il creatore del framework Ruby on Rails. Secondo Hansson, Chrome ha conquistato la sua posizione grazie a enormi investimenti in innovazione, performance e sicurezza, diventando il punto di riferimento per la navigazione web. Le alternative esistenti, anche quelle basate su Chromium (il motore di rendering di Chrome), non sono riuscite ad insidiare le quote di mercato del browser di Google.
"Google's incredible work to further the web isn't an act of charity, it's of economic self-interest, and that's why it works. Capitalism doesn't run on benevolence but on incentives." https://t.co/2nLWRqjK3h
— DHH (@dhh) April 28, 2025
Il rischio, secondo Hansson, è che un indebolimento di Chrome possa tradursi in un vantaggio per le piattaforme chiuse, riducendo la capacità del Web di evolversi come piattaforma libera e aperta per applicazioni e servizi. Il creatore di Ruby on Rails osserva che la vitalità del Web dipende da investimenti costanti nello sviluppo di nuove tecnologie e standard – come dimostrano le innovazioni introdotte negli ultimi anni da Chrome, tra cui import maps, CSS avanzati e notifiche push. Se Chrome dovesse perdere il supporto finanziario e tecnologico di Google, potrebbe rapidamente perdere terreno rispetto ai concorrenti, con effetti negativi per utenti, sviluppatori e aziende che dipendono da un Web aperto.
Hansson afferma: "Il business da mille miliardi di dollari di Google dipende da un web fiorente che può essere consultato da Google.com, che può essere riempito di AdSense e che ora può alimentare l'intelligenza artificiale. Pertanto, l'incredibile lavoro di Google per promuovere il web non è un atto di beneficenza, ma di interesse economico personale, ed è per questo che funziona. Il capitalismo non si basa sulla benevolenza, ma sugli incentivi". La conclusione di Hansson è che il web starebbe "molto peggio" se Google fosse costretta a vendere Chrome, anche se fosse per "espiare i legittimi abusi del monopolio del mercato pubblicitario".
Il valore di Chrome, stimato intorno ai 20 miliardi di dollari, restringe ulteriormente la platea dei possibili acquirenti, lasciando aperta la questione su chi sarebbe in grado di gestire un browser di questa scala senza le risorse e le infrastrutture di Google.
La necessità di trovare un equilibrio tra la limitazione degli abusi di posizione dominante e la preservazione di un web aperto, libero e in continua evoluzione sarà il punto focale della decisione che il giudice Mehta dovrà prendere nelle prossime settimane e che potrebbe rappresentare un punto di svolta non solo per Google, ma anche per l'intero Web.
4 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infoChiunque lo compra, dovrebbe farne a meno o comunque esserne fortemente limitato, quindi perderebbe immediatamente valore. Che senso ha?
così come fece all'epoca cercando di far installare Chrome ogni volta che si faceva una ricerca su Google.
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