Abbiamo insegnato alla natura a mangiare i nostri rifiuti, ecco come

Un team di accademici della Caltech University ha progettato un enzima in grado di rompere i legami artificiali tra silicio e carbonio, presenti in sostanze chimiche ampiamente utilizzate note come silossani o siliconi e che ora potrebbero diventare 'biodegradabili'
di Giulia Favetti pubblicata il 02 Febbraio 2024, alle 18:21 nel canale Scienza e tecnologia"La natura è un chimico straordinario e il suo repertorio ora include la rottura dei legami nei silossani precedentemente ritenuti in grado di sfuggire all'attacco degli organismi viventi", con questa dichiarazione Frances Arnold, Linus Pauling Professor di ingegneria chimica, bioingegneria e biochimica al Caltech e vincitrice del premio Nobel 2018, ha aperto la strada alla possibilità di liberare il Pianeta dalla plastica.
Arnold e i suoi colleghi, tra cui Dimitris (Dimi) Katsoulis della Dow Inc. con sede nel Michigan, hanno utilizzato l'evoluzione diretta (ricerca e scoperta per cui Arnold vinse il Nobel) per creare un nuovo enzima per la scissione dei legami silicio-carbonio. Lo studio "Directed evolution of enzymatic silicon-carbon bond cleavage in siloxanes" è stato pubblicato nel numero di Gennaio sulla rivista Science.
Sebbene la possibilità di affidare a questo enzima il compito di ripulire i nostri oceani dalla plastica sia ancora "a un decennio di distanza" da noi, il suo sviluppo rende questa prospettiva possibile.
"Gli organismi, ad esempio, potrebbero evolversi in ambienti ricchi di silossano per catalizzare una reazione simile, oppure versioni ulteriormente migliorate di enzimi evoluti in laboratorio come questa potrebbero essere utilizzate per trattare i contaminanti silossani nelle acque reflue", ha affermato Arnold, illustrando i risvolti pratici di questa scoperta.
Katsoulis ha aggiunto che mentre la natura non utilizza legami silicio-carbonio "noi lo facciamo e abbiamo iniziato a farlo circa 80 anni. La natura volatile di alcuni di questi composti comporta pertanto che la ricerca sanitaria e ambientale debba comprendere adeguatamente i meccanismi di degradazione di questi materiali nell'ambiente".
Le sostanze chimiche silossane possono essere trovate in innumerevoli prodotti, compresi quelli utilizzati nella pulizia della casa, nella cura personale e nell'industria automobilistica, edile, elettronica e aerospaziale. La struttura chimica dei composti è costituita da legami silicio-ossigeno, mentre gruppi contenenti carbonio, spesso metile, sono attaccati agli atomi di silicio.
"La struttura portante silicio-ossigeno conferisce al polimero un carattere simile a quello inorganico, mentre i gruppi silicio-metilico conferiscono al polimero caratteristiche simili a quelle organiche. Pertanto, questi polimeri hanno proprietà materiali uniche, come elevata stabilità termica e ossidativa, bassa tensione superficiale e tra gli altri, l'elevata flessibilità della dorsale", ha spiegato Katsoulis.
I silossani persistono nell'ambiente per giorni o mesi, rendendo assolutamente necessario comprendere gli eventuali rischi per la salute e la sicurezza ambientale. Le sostanze chimiche che li compongono iniziano naturalmente a frammentarsi in pezzi più piccoli, soprattutto nel suolo o negli ambienti acquatici, e tali frammenti diventano volatili o fuggono nell'aria, dove subiscono la degradazione reagendo con i radicali liberi dell'atmosfera. Di tutti i legami dei silossani, quelli di silicio-carbonio sono i più lenti a rompersi, hanno spiegato gli accademici.
Katsoulis ha contattato Arnold per collaborare agli sforzi per accelerare la degradazione del silossano dopo aver letto del lavoro del suo laboratorio nel "convincere" la natura a produrre legami silicio-carbonio. Nel 2016, infatti, Arnold e i suoi colleghi hanno utilizzato l'evoluzione diretta per progettare una proteina batterica chiamata citocromo C per formare legami silicio-carbonio, un processo che non avviene naturalmente.
"Abbiamo deciso di "chiedere" alla natura di fare quello che solo i chimici potevano fare, ma molto meglio", ha detto Arnold in un comunicato stampa della Caltech. La ricerca ha inoltre dimostrato che la biologia potrebbe creare questi legami tramite processi maggiormente eco-sostenibili rispetto a quelli tradizionalmente utilizzati dai chimici.
Nel nuovo studio, i ricercatori volevano trovare modi per rompere i legami anziché crearli. Gli scienziati hanno utilizzato l'evoluzione diretta per evolvere un enzima batterico chiamato citocromo P450.
When we published the first #enzyme to MAKE carbon-silicon bonds back in 2016, some people asked us to BREAK them, so these man-made compounds would not persist in the environment. We finally made the first steps toward that: https://t.co/9Mg6mWxtc4
— Frances Arnold (@francesarnold) January 25, 2024
Analogamente a un allevatore che individui i tratti più desiderabili nelle linee genetiche dei suoi animali, incrociandoli in modo da farli prevalere sugli altri, così gli accademici hanno identificato una variante del citocromo P450 nella loro raccolta di enzimi, che aveva la capacità di rompere i legami silicio-carbonio nei cosiddetti metilsilossani volatili lineari e ciclici, ma molto debole.
Mutandone il DNA hanno creato e testato nuove varianti di enzimi, individuando quelle più promettenti e mutandole nuovamente, fino a raggiungere il risultato che si erano prefissati, ovvero un enzima sufficientemente attivo da rompere i legami artificiali tra silicio e carbonio.
"L'evoluzione degli enzimi per rompere questi legami nei silossani ha presentato ostacoli unici. Con l'evoluzione diretta, abbiamo valutato centinaia di nuovi enzimi in parallelo per identificare alcune varianti enzimatiche con attività migliorata", ha affermato Tyler Fulton (PhD '22), co-autore principale dello studio e studioso post-dottorato al Caltech nel laboratorio di Arnold. Una sfida riguardava la lisciviazione delle molecole di silossano dalla plastica componenti IC delle piastre da 96 pozzetti utilizzati per selezionare le varianti. Per risolvere il problema, il team ha creato nuove piastre realizzate con comuni forniture di laboratorio.
"Un'altra sfida è stata trovare l'enzima iniziale per il processo di evoluzione diretta, che avesse anche solo una piccola quantità dell'attività desiderata", afferma Arnold. "Lo abbiamo trovato nella nostra collezione unica di citocromo P450 evoluti in laboratorio per altri tipi di chimica del silicio nuovi in natura".
L'enzima finale migliorato non scinde direttamente il legame silicio-carbonio ma piuttosto ossida un gruppo metilico nei silossani in due passaggi sequenziali. Fondamentalmente, ciò significa che due legami carbonio-idrogeno vengono sostituiti con legami carbonio-ossigeno, e questo cambiamento consente al legame silicio-carbonio di rompersi più facilmente.
La ricerca traccia parallelismi con studi che coinvolgono un enzima mangiatore di plastica, ha spiegato Fulton, riferendosi a un enzima di degradazione del polietilene tereftalato (PET) scoperto nel batterio Ideonella sakaiensis nel 2016 da un diverso gruppo di ricercatori (qui lo studio)
"Anche se l'enzima di degradazione del PET è stato scoperto dalla natura piuttosto che dagli ingegneri, quell'enzima ha ispirato altre innovazioni che stanno finalmente arrivando a buon fine per la degradazione della plastica. Ci auguriamo che questa dimostrazione possa ispirare allo stesso modo ulteriore lavoro per aiutare a scomporre i composti silossanici".
11 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infonon adesso, magari tra 50 anni..
Sarebbe un guaio...
Perché vorrebbe dire che anche le cose che hai in casa, dopo qualche anno, inizierebbero a decomporsi...
Perché vorrebbe dire che anche le cose che hai in casa, dopo qualche anno, inizierebbero a decomporsi...
Be', dipende, carta e legno sono biodegradabili, però non si ricompra l'arredamento ogni 5 anni perchè si è decomposto no?
Se questi batteri lavorano in condizioni di elevata umidità (o proprio in acqua) ad esempio, non avresti particolari problemi.
Se questi batteri lavorano in condizioni di elevata umidità (o proprio in acqua) ad esempio, non avresti particolari problemi.
Vero. Però legno e carta devono, per l'appunto, essere tenuti in determinate condizioni.
Se hai un batterio che si mangia, ad esempio, la plastica in condizioni di elevata umidità, allora dovresti tenere la plastica lontana dall'acqua, come la carta e il legno...
Non usi ciotole in legno (non trattato) o carta, e non potresti più usarle nemmeno in plastica...
https://www.lanazione.it/empoli/cro...da-429-3ded89c0
Se hai un batterio che si mangia, ad esempio, la plastica in condizioni di elevata umidità, allora dovresti tenere la plastica lontana dall'acqua, come la carta e il legno...
Non usi ciotole in legno (non trattato) o carta, e non potresti più usarle nemmeno in plastica...
beh, dovresti metterci anche il batterio, nella ciotola, affinchè si degradi...
A meno che non prendi qualche precauzione specifica, i batteri girano da soli...
Riprendendo l'esempio della carta e del legno, non è che prendi i batteri decompositori e ce li metti sopra tu... Legno e carta marciscono da soli in ambiente umido, ovunque si trovino.
Riprendendo l'esempio della carta e del legno, non è che prendi i batteri decompositori e ce li metti sopra tu... Legno e carta marciscono da soli in ambiente umido, ovunque si trovino.
ma mi pare di capire che questi batteri mangiaplastica dovresti introdurli appositamente, non essendo "naturali"
Sì, creati e inseriti in natura.
Ma dopo? Si moltiplicano e diffondono autonomamente?
Bisognerebbe contenerli, ed evitare assolutamente qualsiasi fuga...
Qualche anno fa, non mi ricordo dove, avevo letto di un'eventuale possibilità che tali batteri mangia-plastica potessero spuntare in natura da soli, per evoluzione...
Sì, magari è una teoria un po' catastrofista, ma fa pensare che la "durevolezza" della plastica, tirata in ballo come problema ambientale, è in realtà un pregio per gli oggetti che usiamo e che durano anni...
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