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#81 | |
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io non mi esprimerei con un "è opportuno" fare qualcosa indipendentemente dalla paura del castigo..quasi che fosse una cosa normale agire per paura,perche' ritengo che un cristiano che faccia il cristiano per la paura del castigo,in paradiso magari ci entra ma con il proverbiale calcio nel culo. uno le cose le dovrebbe fare per amore,non per paura di Dio,non è indifferente,non ci sara' mai un santo che diventa tale per "paura" di Dio. insomma come per un laico,le cose si fanno bene,perche' è di qua(non nel aldila') che ci sembrano piu' belle e degne(per quanto piu' faticose magari),o si evitano perche' è di qua che ci sembrano brutte(per quanto magari facili e comode) chi segue la morale pensando al aldila',non è ne laico ne veramente cristiano,perche' non ha un rapporto con Dio alla fine.. perche' è proprio in forza di quel rapporto che uno agisce in un modo o in un altro. se uno stima e vuol bene ad una persona,non fa l'opposto di quel che questa gli chiede,per paura della rabbia che verra',ma innanzitutto per un rapporto a cui si tiene. si ragiona nella prima ottica,con il prof a scuola,il capoufficio,o insomma gente che non si ama e con cui non si ha un vero rapporto..è per questo che dicevo che costui,che ragiona per paura,non avrebbe un rapporto con Dio infatti. per completezza dico anche che in questo rapporto uno prende personalmente coscienza della bonta' di certe azioni,o del inopportunita' di altre..questo per dire che la morale cristiana non è un elenco di leggi da eseguire senza capirle solo per stima e amore ad una persona. l'amore è cieco,ma non è cieco ![]() si puo venire e vedere.. (sono andato un po OT ops)
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"Primo Ministro Ombra della Setta dei Logorroici - Quotatore Atipico - Cavaliere della Replica Instancabile" Ultima modifica di Anakin : 17-06-2004 alle 22:52. |
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#82 | |
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Iscritto dal: Sep 2002
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Non ho mai capito la connotazione positiva del temere il creatore, e ho sempre interpretato con il "credere"; però la confusione tra timor di Dio e "paura del castigo" è tanto facile da farmi ipotizzare che non pochi credenti non compiano azioni "peccaminose" per paura dell'inferno, non perchè esse siano sbagliate in quanto moralmente riprovevoli. In questo c'è un effetto secondario non trascurabile: se un autorità ti impone un divieto che tu non senti tuo, (che non sia la voce dell’intelletto e della saggezza umana a suggerirti) non è forse vero che la tentazione è di fare esattamente il contrario? (o.t. anch'io pensavo di essere nel 3d sul Diavolo!!! ![]() ![]()
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#83 |
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![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() Timore sta per reverenza, rispetto, fiducia. ![]() PS Ci cascano in molti, la parola "timore" ha due significati quasi contrari ![]() ![]() ![]()
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#84 | |
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![]() 2 sentimento di rispetto e soggezione: i ragazzi hanno timore dei professori | timore reverenziale, sentimento che si prova nei riguardi di persone alle quali si sia legati da particolare e profonda deferenza 3 timore di Dio, (teol.) sottomissione e reverenza fiduciosa dell'uomo verso Dio, che costituisce uno dei sette doni dello Spirito Santo ' essere senza timor di Dio, (fig.) essere spregiudicato, senza scrupoli. Ma non hai risposto alla domanda, per te è per paura dell'inferno e non perchè esse siano sbagliate in quanto moralmente riprovevoli che non si fanno certe cose?
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#85 |
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Iscritto dal: Oct 2000
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Hai messo 2 e 3, se guardi 1 (immagino) si parli di sinomino di paura che non è il contrario ma quasi del rispetto e della fiducia
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#86 | ||
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#87 | |
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#88 | |
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![]() ...si ma tu cosa ne pensi di questa frase (magari nell'altro 3d...quì è completamente o.t, ho sbagliato io...)
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#89 | |
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#90 | |
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Il Timor del 3d. ![]()
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#91 | |
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#92 | |
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#93 |
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http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/010601b.htm
ALESSANDRO ZACCURI Bobbio: povera repubblica, non c'è più timor di Dio In un libro-intervista il filosofo torinese ammette a sorpresa la superiorità del cristianesimo rispetto alla cultura laica Si fa troppo spettacolo sui delitti commessi dai ragazzi. Mi hanno chiesto una consulenza per la fictionsu Novi Ligure ma ho rifiutato Nel '76 Paolo VI mi invitò a ricordare che il demonio esiste davvero. In questi ultimi tempi ho spesso ripensato alle sue parole Non c'è più timor di Dio, dicevano una volta i vecchi. Non c'è più timor di Dio, sostiene oggi un grande vecchio. E questa volta la frase rischia di trasformarsi in un piccolo caso. Perché a pronunciarla è, a sorpresa, Norberto Bobbio, 92 anni l'ottobre prossimo, indiscusso punto di riferimento di una sinistra ancora alle prese con i postumi della sconfitta elettorale del 13 maggio. Una sinistra a suo modo ancora battagliera, che oggi - vigilia del 2 giugno, ritrovata festa nazionale - porta in libreria un Dialogo intorno alla repubblica (Laterza, pagine 132, lire 24.000), nel quale ritroviamo lo stesso Bobbio intento a ragionare con uno storico e politologo di qualche generazione più giovane, Maurizio Viroli. Docente a Princeton e autore di importanti studi sul repubblicanesimo e, in particolare, sulla figura di Machiavelli, nel libro Viroli assume la parte dello scettico a tutti i costi, davanti al quale Bobbio si ritrova a impersonare il ruolo - in buona misura inedito - del vecchio saggio ammirato, se non addirittura tentato, dal cristianissimo mistero della carità. Un approdo quasi stupefacente per un "dialofo" che assume come punto di partenza il legame (necessario, ma spesso disatteso) tra repubblica e virtù civili, passando con disinvoltura da teorizzazioni generali all'analisi di casi specifici. Come quello del rimpatrio dei Savoia, rispetto al quale Bobbio si dimostra più che possibilista. Il filosofo però non si accontenta di citare l'amato Hobbes e il prediletto Verdi (la rilettura del Ballo in maschera come denuncia del volto arcano del potere ha un indubbio fascino). Si sbilancia in qualcosa che assomiglia a un progetto quando dichiara: "Se avessi ancora qualche anno di vita, che non avrò, sarei tentato di scrivere L'età dei doveri. ovvero il seguito del suo celebre saggio su L'età dei diritti. Poi, il colpo di scena. "C'è indubbiamente un vuoto di autorevolezza morale fra i laici - ammette Bobbio -. Questo vuoto è riempito in misura crescente dalla religione". Viroli concorda sull'analisi, ma esprime una valutazione sostanzialmente negativa, osservando che "di fronte al mistero i cattolici accolgono l'aiuto della fede, mentre i laici accettano che il mistero resti tale". Al che, a sorpresa, Bobbio ribatte: "Una delle ragioni fondamentali per compiere azioni morali è quella che si chiama il timor di Dio. Togliete il timor di Dio e gli uomini saranno tutti libertini". Il dibattito si fa impervio, da Beccaria si passa a Veltroni, ma a un certo punto le argomentazioni teologiche tornano a imporsi. Viroli si lancia in una distinzione tra "carità cristiana" (che sarebbe "la condivisione della sofferenza") e "carità laica" (nella quale subentrerebbe "lo sdegno contro coloro che sono responsabili della sofferenza"), ma Bobbio lo invita a non confondere carità e giustizia. è vero, dice, una volta "i gradini delle chiese erano pieni di storpi, di zoppi, di ciechi". Ma è la carità, per esempio, ad aver reso possibile la nascita del Cottolengo. "Non c'è nessuna associazione di laici che abbia dato vita a un'istituzione simile", sottolinea con semplicità Bobbio. E poco dopo ribadisce il suo pensiero con un perentorio: "Il cristianesimo, inteso nel senso più alto, inteso nel senso del Vangelo, ha una forza superiore a quella dei laici". Una persuasione che nasce, tra l'altro, da memorie molto lontane. Quando Viroli accomuna, in modo un po' sbrigativo, "scuole confessionali" e "ospedali in cui ci sono solo o prevalentemnte suore", Bobbio ribatte cosi: "Mio padre era medico, e ha sempre avuto a che fare con suore. A volte erano imperiose, ma è anche vero che operavano in base a una vocazione cristiana profonda: cristiana, ripeto, non mazziniana". Una testimonianza, forse, di quella "storia nascosta" dalla quale il vecchio maestro si dichiara - ed è un'altra sorpresa - fortemente attratto. Pur senza rinunciare alla più drammatica delle convinzioni: "C'è una dimensione della vita, che io chiamo il sacro, contrapposto a profano, che il laico non vive. Io non la vivo, non la vivo. La morte per me è la morte".
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#94 |
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Qusta non l'ho letta per cui non so se concordo:
Spinoza, Sacra Scrittura e lume naturale Attraverso l'analisi puntuale (linguistica e dei contenuti) di due passi delle Scritture, Spinoza mostra come esse non soltanto non vietino, ma addirittura impongano all'uomo l'uso della ragione per conoscere la grandezza di Dio e le norme morali. B. Spinoza, Trattato teologico-politico, cap. IV Infine in questi Proverbi di Salomone si deve soprattutto considerare il contenuto del secondo capitolo che conferma apertamente quanto io penso. Il versetto 3 di tale capitolo inizia infatti cosí: “Infatti se tu invocherai la prudenza e rivolgerai la tua voce all'intelligenza ecc., allora comprenderai il timor di Dio e scoprirai la scienza di Dio (o meglio l'amore di Dio perché il vocabolo Jadah significa entrambe le cose). Infatti Dio (N.B.) dà la sapienza; dalla sua bocca (promanano) la scienza e la prudenza”. Con queste parole Salomone indica prima di tutto che soltanto la sapienza e cioè l'intelletto promuove in noi un saggio timor di Dio, ossia ci insegna ad onorarlo secondo la vera religione; in secondo luogo ci insegna che la sapienza e la scienza provengono dalla bocca di Dio e che è Dio a concederle. Cosa questa che ho dimostrato anche prima, sostenendo che il nostro intelletto e la nostra scienza dipendono e traggono origine e perfezione esclusivamente dall'idea, cioè dalla conoscenza, di Dio. Continua quindi con il versetto 9 dichiarando apertamente che tale scienza contiene in sé la vera etica e la vera politica, tanto che entrambe sono deducibili da essa: “Allora comprenderai la giustizia, il retto giudizio, l'equità delle azioni (e) ogni buon sentiero”. Non pago di ciò prosegue: “Quando la scienza entrerà nel tuo cuore e la sapienza ti sarà motivo di gioia, allora la tua previdenza veglierà su di te e la prudenza ti sarà custode”. Ora tutto ciò concorda pienamente con la scienza naturale che insegna l'etica e la vera virtú dopo che s'è raggiunta la conoscenza e si è apprezzato il sommo valore della scienza. Perciò la felicità e la serenità di chi coltiva l'intelletto naturale non dipendono, anche secondo il pensiero di Salomone, dal dominio della fortuna (cioè dall'aiuto esterno di Dio), ma dipendono in massimo grado dall'interiore virtú di ciascuno (cioè dall'aiuto interno di Dio); e questo perché l'uomo si conserva soprattutto vigilando, operando e rettamente consigliandosi. Non dobbiamo infine dimenticare il passo di Paolo che si trova nell'Epistola ai Romani, I, 20, dove (secondo la versione di Tremellio del testo siriano) è detto: “I misteri di Dio infatti si colgono fin dalle origini del mondo nelle Sue creature per mezzo dell'intelletto e cosí pure la Sua potenza e la Sua divinità che è eterna. Sono cosí senza scampo”. Con queste parole Paolo mostra con evidenza che ciascuno di noi mediante il lume naturale chiaramente comprende la potenza e la divinità eterna di Dio, dalla quale può dedurre quali cose debbano essere perseguite e quali evitate; conclude perciò che non c'è scampo per nessuno e che l'ignoranza non può costituire una scusante: il che invece sarebbe, se Paolo parlasse di lume soprannaturale e della passione e della resurrezione della carne di Cristo, ecc. Cosí poco dopo, al versetto 24, continua: “Perciò Dio li ha abbandonati alle immonde brame del loro cuore, ecc.” fino alla fine del capitolo. Con queste parole Paolo descrive i vizi che accompagnano l'ignoranza e li elenca come se fossero le pene dell'ignoranza stessa: questo concorda pienamente con quel proverbio di Salomone (XVI, 22) che ho già citato, ove è detto “e la pena degli stolti è la stoltezza”. Non fa dunque meraviglia che Paolo dica che i malvagi non hanno possibilità di scusa, perché ciascuno miete secondo ciò che semina: dai mali nascono necessariamente dei mali, se non si correggono con la sapienza; e dai beni dei beni, se li accompagna la costanza dello spirito. La Scrittura dunque esalta sotto ogni aspetto il lume e la legge divina naturale: e cosí io ho assolto il compito che m'ero proposto in questo capitolo. (B. Spinoza, Etica e Trattato teologico-politico, UTET, Torino, 1988, pagg. 467-469)
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#95 | |
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Comunque, forse il suo significato va inteso in senso "negativo": il "timor di Dio" è una locuzione che indica una virtù, identificata negando il suo opposto. Effettivamente nella lingua italiana il suo suono è piuttosto inquientante: parlando di "sottomissione" sembra rasentare il significato di un altra parola: "islam", che se non sbaglio vuol dire proprio "sottomissione (a Dio)". Ma forse dobbiamo considerare l'atteggiamento (negativo) di chi si comporta "senza timor di Dio": cioè, come se Dio non ci fosse, oppure, come se ci fosse ma non gli importasse... Forse il concetto del timor di Dio è meglio reso da quello di pietas latina: il timoroso di Dio è in realtà l'uomo pio: quello cioè conscio dei suoi limiti nei confronti della divinità (ma non mite e mansueto, non necessariamente almeno) ma anche del suo ruolo nel rapporto tra l'umano ed il divino... attento a non travalicare questi limiti e non cadere nell'empietà, derivata dall'arroganza (ubris).
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#96 |
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Ho combinato un casino con i due 3d...
"C'è indubbiamente un vuoto di autorevolezza morale fra i laici - ammette Bobbio Questo vuoto è riempito in misura crescente dalla religione" Mi sembra più la constatazione di una perdita di autorevolezza che un affermazione del tipo "la laicità è intrinsecamente meno autorevole in quanto a morale " della religione. "Una delle ragioni fondamentali per compiere azioni morali è quella che si chiama il timor di Dio. Togliete il timor di Dio e gli uomini saranno tutti libertini" non mi ci ritrovo proprio....non credo che tutti gli atei siano libertini e non credo che tutti i religiosi non lo siano ![]()
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#97 | |
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Lutero poi non era comunque non esempio di laicismo come si vuole prendere oggi,anzi al contrario (es:la dottrina dei due regni,ossia che che sia quello temporale che quello spirituale devono servire la volontà di Dio).Piuttosto lo fu il suo "avversario" Erasmo.
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#98 | |
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#99 |
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ni.jo, piuttosto che dare ragione a Stefano, hai banalizzato uno dei + grandi personaggi della sx italiana
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