Jensen Huang (NVIDIA): 'L'AI non è una nuova bolla delle Dot-com, ogni GPU è accesa e lavora'
Jensen Huang, CEO di NVIDIA, ha respinto il paragone tra il boom dell'AI e la bolla delle Dot-com: oggi ogni GPU è in uso, segno di una domanda reale di calcolo. L'intelligenza artificiale, spiega, richiede potenza in tempo reale e dà vita a un'industria basata su "fabbriche di intelligenza".
di Manolo De Agostini pubblicata il 11 Novembre 2025, alle 06:31 nel canale WebNVIDIA
Durante un recente incontro del ciclo The Minds of Modern AI organizzato dal Financial Times, il CEO di NVIDIA, Jensen Huang, ha respinto i paragoni tra l'attuale boom dell'intelligenza artificiale e la bolla delle Dot-com degli anni '90. Secondo Huang, le fondamenta tecnologiche e industriali dell'AI sono di natura completamente diversa: "Durante l'era delle dot-com la maggior parte della fibra ottica installata era "dark", cioè inutilizzata. Oggi, quasi ogni GPU disponibile è accesa e in funzione".
Il riferimento alla dark fibre (fibra spenta) - infrastrutture in eccesso costruite allora in previsione di una crescita mai arrivata - serve a sottolineare che, diversamente dal passato, la domanda di potenza di calcolo per l'intelligenza artificiale è concreta e in rapida espansione. "Non si tratta di una corsa speculativa", spiega Huang. "L'AI richiede calcolo in tempo reale, perché l'intelligenza non può essere precompilata e immagazzinata: deve essere generata nel momento stesso in cui serve".

Il CEO di NVIDIA descrive così la nascita di una nuova tipologia industriale, quella delle AI Factory, dove la produzione non riguarda più software o beni materiali, ma intelligenza generata on demand. Ogni richiesta a un modello linguistico o a un sistema di generazione immagini implica l'attivazione di enormi quantità di calcolo distribuito, alimentando una domanda di GPU e acceleratori senza precedenti.
Huang riconosce tuttavia che il settore si trova davanti a sfide significative: i costi di produzione e gestione dei chip di fascia alta continuano a crescere, così come il consumo energetico dei datacenter che alimentano i modelli più complessi. Questi fattori, secondo l'amministratore delegato, non devono però essere letti come segnali di una bolla, ma come elementi di un'economia industriale reale, sostenuta da una richiesta effettiva di capacità di calcolo.
La differenza rispetto agli anni '90, osserva Huang, non sta solo nel valore azionario delle aziende coinvolte - tema spesso evocato dagli analisti - ma nella natura stessa del prodotto. Allora si investiva in un'infrastruttura che sarebbe rimasta in gran parte inutilizzata; oggi l'intelligenza artificiale "consuma" calcolo in tempo reale e in modo costante. "Il numero di query generate cresce di pari passo con la velocità dell'AI", ha chiosato Huang, ribadendo che l'attuale crescita è trainata da un utilizzo effettivo e non da aspettative irrealistiche.
Pur ammettendo che non tutti gli attori dell'ecosistema AI riusciranno a consolidarsi nel lungo periodo, Huang insiste sul fatto che il mercato non è sostenuto da una domanda artificiale. Piuttosto, si sta costruendo un'infrastruttura critica per il futuro dell'elaborazione dati, dove ogni GPU "illuminata" rappresenta un tassello di una nuova era industriale.










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24 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infoLa realtà è che ogni GPU, come dice Jensen Huang, è accesa e lavora: serve a produrre modelli, sistemi, automatismi che già oggi stanno ridefinendo l'intera economia. Parlare di "bolla" serve solo a tranquillizzare gli investitori spaventati o chi teme per il proprio posto di lavoro. Ma non c'è nessuna bolla nel processo di sostituzione graduale dell'uomo c'è solo un bias cognitivo: il cervello che tenta di rendere "accettabile" una trasformazione che spaventa.
Le grandi aziende non stanno costruendo l'IA per democratizzare la conoscenza, ma per ridurre costi, aumentare produttività e, dove possibile, sostituire il fattore umano. Lo stesso Goldman Sachs Research ha stimato che fino al 14 % dei lavori nei Paesi sviluppati potrebbe essere dislocato dall'adozione piena dell'IA e questa è la previsione "ottimista". Ma anche in quello scenario, la produttività globale crescerebbe di oltre il 15 %. In altre parole: l'efficienza economica aumenterà, ma il numero di persone necessarie per mantenerla diminuirà.
Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, ha dichiarato che l'IA "potrebbe influenzare quasi il 40 % dei posti di lavoro nel mondo, sostituendo alcuni e complementandone altri". È un modo diplomatico per dire che quasi metà dell'economia mondiale dovrà riconvertirsi. E la storia ci insegna che queste riconversioni non avvengono senza dolore.
Anche gli studi accademici confermano che non sono soltanto i lavori manuali a rischio. Una ricerca del 2024 (Ozgul et al.) mostra che persino i ruoli "non routinari" ad alto livello analisi, consulenza, marketing, perfino programmazione sono "susceptible to automation". L'IA non è più una minaccia solo per i ruoli ripetitivi: è un concorrente cognitivo, capace di ragionare e generare.
C'è chi, come la Wharton School, invita a non cedere al catastrofismo, ricordando che l'IA spesso "complementa" più che sostituire, e che nuove mansioni emergeranno accanto alle vecchie. Ma la domanda vera è: quanti potranno permettersi il tempo e la formazione per adattarsi? E quanti Paesi, soprattutto in Europa, hanno la struttura industriale per assorbire l'urto?
L'Europa, infatti, rischia di essere la principale vittima di questo cambio di paradigma. Senza una strategia tecnologica sovrana, il Vecchio Continente si ritroverà a importare tecnologie statunitensi e cinesi, pagando il prezzo della propria dipendenza. Sopravviveranno solo pochi grandi marchi, alcuni settori manuali e l'agricoltura. Ma anche lì la pressione economica e la concorrenza faranno sì che si cerchi di automatizzare il più possibile.
Che accada nel 2026, nel 2027 o nel 2030, il risultato non cambia: stiamo entrando nella più grande transizione del lavoro umano mai avvenuta. Una crisi che non sarà solo economica, ma anche sociale e culturale. I miliardari di oggi diventeranno i padroni dei mezzi di pensiero non più solo di produzione e quando la conoscenza stessa sarà proprietà privata, la distanza tra chi crea e chi subisce sarà irreversibile.
Non è una bolla. È un cambio di era. E chi ancora pensa di poterne restare fuori, non ha capito che il futuro non sta arrivando: è già acceso, e sta lavorando.
Edit
Aggiungo: una soluzione semplice non esiste, ma una direzione sì ed è politica e legislativa.
Serve agire ora, non quando la crisi sarà già esplosa. Occorre impostare leggi europee chiare e vincolanti che proteggano il lavoro, l'industria e la sovranità tecnologica.
Bisogna sostenere con finanziamenti mirati le aziende che scelgono di restare in Europa, incentivare la produzione locale e rendere conveniente produrre sul territorio europeo anche per i grandi colossi globali. Allo stesso tempo, occorre vincolare l'accesso al mercato europeo: chi vuole vendere in Europa deve contribuire alla sua economia reale, assumendo personale europeo e pagando tasse in Europa.
Va inoltre limitato se non vietato l'uso sistematico dell'outsourcing, pratica ormai abusata per ridurre i costi a scapito dei lavoratori e delle competenze interne. Le aziende devono essere incentivate a formare e riqualificare il personale locale, non a sostituirlo con manodopera remota o con automazioni incontrollate.
Servono anche investimenti pubblici in ricerca, semiconduttori, energie rinnovabili e intelligenza artificiale etica: senza una filiera autonoma, l'Europa resterà sempre dipendente da chi controlla le infrastrutture tecnologiche globali.
Infine, è indispensabile un nuovo "patto sociale europeo" che riconosca il diritto alla transizione: formazione continua, redditi di reinserimento, e soprattutto la garanzia che il progresso tecnologico non serva solo a generare profitti, ma a mantenere dignità, sicurezza e prospettive per chi lavora.
Se l'Europa non agirà ora, diventerà un museo tecnologico, osservando da lontano il mondo che crea il proprio futuro altrove.
Non servono slogan, servono leggi, coraggio e visione.
Perché la vera rivoluzione non è l'intelligenza artificiale è decidere chi la governa.
https://www.msn.com/it-it/money/sto...%A0/ar-AA1Q8jIH
gli unici due che la difendono guardacaso sono giacchetta e altman (che ha aperto al p.rno visto che ha potenza di calcolo da sprecare...), e se devono scendere in campo loro, e autosostenersi finanziariamente (gli accordi di nvidia coi suoi clienti, in pratica li finanzia per comprare da lei)...
mi sa che ci saranno dei bei botti a capodanno...
La realtà è che ogni GPU, come dice Jensen Huang, è accesa e lavora: serve a produrre modelli, sistemi, automatismi che già oggi stanno ridefinendo l'intera economia. Parlare di "bolla" serve solo a tranquillizzare gli investitori spaventati o chi teme per il proprio posto di lavoro. Ma non c'è nessuna bolla nel processo di sostituzione graduale dell'uomo c'è solo un bias cognitivo: il cervello che tenta di rendere "accettabile" una trasformazione che spaventa.
CUT
Che accada nel 2026, nel 2027 o nel 2030, il risultato non cambia: stiamo entrando nella più grande transizione del lavoro umano mai avvenuta. Una crisi che non sarà solo economica, ma anche sociale e culturale. I miliardari di oggi diventeranno i padroni dei mezzi di pensiero non più solo di produzione e quando la conoscenza stessa sarà proprietà privata, la distanza tra chi crea e chi subisce sarà irreversibile.
Non è una bolla. È un cambio di era. E chi ancora pensa di poterne restare fuori, non ha capito che il futuro non sta arrivando: è già acceso, e sta lavorando.
E ricordi "l'ufficio senza carta" pronosticato da Bill Gates (e non solo da lui) ai tempi di Windows95? che fine ha fatto?
E quante volte abbiamo sentito dire che i robot avrebbeto sostituito gli uomini, fin dai tempi del Luddismo? e i pc avrebbero ucciso le segretarie...
In parte è vero, ci sono i robot industriali nelle catene di montaggio, le email hanno ridotto l'uso della posta cartacea, ecc. ma tutto molto ridimensionato rispetto alle previsioni.
che tutte le Gpu sono accese e al lavoro è una bazza, smentita già settimana scorsa da Nadella (hanno le gpu ma non la corrente e i datacenter per farle andare) infatti lo dice anche Jensen "quasi":
https://www.hwupgrade.it/news/serve...tte_145673.html
altrove avevo letto che ormai stanno finenedo i dati per addestrare l'ia, e l'addestremento tra ia concorrenti non da buoni risultati.
E' come la guida autonoma, doveva arrivare in un paio di anni, poi 5, intanto qualche miglioramento c'è stato davvero, ma dopo 10 anni la stiamo ancora spettando....
E ricordi "l'ufficio senza carta" pronosticato da Bill Gates (e non solo da lui) ai tempi di Windows95? che fine ha fatto?
E quante volte abbiamo sentito dire che i robot avrebbeto sostituito gli uomini, fin dai tempi del Luddismo? e i pc avrebbero ucciso le segretarie...
In parte è vero, ci sono i robot industriali nelle catene di montaggio, le email hanno ridotto l'uso della posta cartacea, ecc. ma tutto molto ridimensionato rispetto alle previsioni.
che tutte le Gpu sono accese e al lavoro è una bazza, smentita già settimana scorsa da Nadella (hanno le gpu ma non la corrente e i datacenter per farle andare) infatti lo dice anche Jensen "quasi":
https://www.hwupgrade.it/news/serve...tte_145673.html
altrove avevo letto che ormai stanno finenedo i dati per addestrare l'ia, e l'addestremento tra ia concorrenti non da buoni risultati.
E' come la guida autonoma, doveva arrivare in un paio di anni, poi 5, intanto qualche miglioramento c'è stato davvero, ma dopo 10 anni la stiamo ancora spettando....
Internet ha portato una rivoluzione, è vero. Ma è importante ricordare come lo ha fatto.
Ha trasformato tecnologie, non le ha annientate. La carta è diventata file digitale, il negozio è diventato e-commerce, la posta è diventata e-mail. In ogni caso, dietro ogni passaggio c’era sempre un essere umano: un cervello che scriveva, programmava, decideva. Internet ha moltiplicato il lavoro umano, non lo ha sostituito. Ha digitalizzato l’uomo, ma non lo ha cancellato.
L’intelligenza artificiale invece rappresenta un salto qualitativo completamente diverso.
Internet non lavora da solo: ha bisogno di noi.
L’IA no: lavora, produce, decide, e impara da sola.
Internet ha trasformato il lavoro manuale in digitale e ha creato miliardi di nuovi impieghi: sviluppatori, analisti, marketer, creatori di contenuti, esperti di sicurezza, sistemisti, designer, e così via.
L’IA non fa questo. Non ha senso dire "nasceranno nuovi lavori" non nella stessa scala. Perché l’unico luogo in cui possono nascere nuovi ruoli è là dove serve una mente umana, un pensiero originale. Ma se la mente stessa viene sostituita da un sistema che pensa milioni di volte più in fretta, più a lungo e in modo collettivo, allora non resta spazio. L’umano diventa irrilevante, e non per ideologia, ma per semplice efficienza.
E mentre si lavora anche sugli automi fisici robot sempre più avanzati, umanoidi che già camminano e interagiscono non è difficile immaginare che anche i lavori manuali verranno progressivamente colpiti.
Chi oggi dice "un idraulico o un muratore non saranno mai sostituiti" dimentica che vent’anni fa si diceva lo stesso dei traduttori, dei fotografi, dei grafici, dei giornalisti. È solo questione di tempo, non di possibilità.
Il punto non è che l’IA "sostituisce alcuni lavori": è che sostituisce la mente umana stessa.
E la mente è ciò che ci rende unici e utili nel sistema economico. È la nostra differenza competitiva, la nostra identità cognitiva.
Oggi, le aziende stanno letteralmente estraendo questa risorsa le esperienze, le idee, le intuizioni dei propri dipendenti per addestrare le proprie IA. Non è una metafora: accade ogni giorno.
Io stesso, come milioni di altri, vengo costretto a "insegnare" all’intelligenza artificiale. Non per scelta, ma per necessità. "Vuoi continuare a lavorare? Allora addestra la macchina che domani ti sostituirà."
Molti non se ne accorgono. Credono davvero alla retorica aziendale: "l’IA serve per aiutarti". Ma se il tuo ruolo è solo correggere una macchina che un giorno non avrà più bisogno di te, chi sta davvero aiutando chi?
Continuare a paragonare l’IA alle dotcom o alla rivoluzione industriale è un errore logico. Quelle rivoluzioni spostavano il lavoro, non lo distruggevano.
La rivoluzione industriale sostituiva il braccio, ma aveva bisogno del cervello.
L’IA sostituisce il cervello stesso e quando il pensiero diventa automatizzabile, il lavoro umano smette di avere valore economico.
Nessun essere umano può lavorare ventiquattro ore su ventiquattro, né possiede una memoria collettiva istantanea o una capacità di calcolo distribuita su milioni di server.
Per le aziende moderne, l’essere umano è diventato una variabile inefficiente, un costo da ridurre. E molti dei miliardari che oggi finanziano questa corsa lo hanno dichiarato apertamente da decenni: il loro sogno è una società con meno persone e più automazione. Ora hanno finalmente l’arma perfetta per realizzarlo.
Un’intelligenza artificiale che non solo li renderà ancora più ricchi e potenti, ma che potrà anche ridurre lentamente, silenziosamente ciò che loro chiamano "sovrappopolazione".
La realtà è che ogni GPU, come dice Jensen Huang, è accesa e lavora: serve a produrre modelli, sistemi, automatismi che già oggi stanno ridefinendo l'intera economia. Parlare di "bolla" serve solo a tranquillizzare gli investitori spaventati o chi teme per il proprio posto di lavoro. Ma non c'è nessuna bolla nel processo di sostituzione graduale dell'uomo c'è solo un bias cognitivo: il cervello che tenta di rendere "accettabile" una trasformazione che spaventa.
Le grandi aziende non stanno costruendo l'IA per democratizzare la conoscenza, ma per ridurre costi, aumentare produttività e, dove possibile, sostituire il fattore umano. Lo stesso Goldman Sachs Research ha stimato che fino al 14 % dei lavori nei Paesi sviluppati potrebbe essere dislocato dall'adozione piena dell'IA e questa è la previsione "ottimista". Ma anche in quello scenario, la produttività globale crescerebbe di oltre il 15 %. In altre parole: l'efficienza economica aumenterà, ma il numero di persone necessarie per mantenerla diminuirà.
Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, ha dichiarato che l'IA "potrebbe influenzare quasi il 40 % dei posti di lavoro nel mondo, sostituendo alcuni e complementandone altri". È un modo diplomatico per dire che quasi metà dell'economia mondiale dovrà riconvertirsi. E la storia ci insegna che queste riconversioni non avvengono senza dolore.
Anche gli studi accademici confermano che non sono soltanto i lavori manuali a rischio. Una ricerca del 2024 (Ozgul et al.) mostra che persino i ruoli "non routinari" ad alto livello analisi, consulenza, marketing, perfino programmazione sono "susceptible to automation". L'IA non è più una minaccia solo per i ruoli ripetitivi: è un concorrente cognitivo, capace di ragionare e generare.
C'è chi, come la Wharton School, invita a non cedere al catastrofismo, ricordando che l'IA spesso "complementa" più che sostituire, e che nuove mansioni emergeranno accanto alle vecchie. Ma la domanda vera è: quanti potranno permettersi il tempo e la formazione per adattarsi? E quanti Paesi, soprattutto in Europa, hanno la struttura industriale per assorbire l'urto?
L'Europa, infatti, rischia di essere la principale vittima di questo cambio di paradigma. Senza una strategia tecnologica sovrana, il Vecchio Continente si ritroverà a importare tecnologie statunitensi e cinesi, pagando il prezzo della propria dipendenza. Sopravviveranno solo pochi grandi marchi, alcuni settori manuali e l'agricoltura. Ma anche lì la pressione economica e la concorrenza faranno sì che si cerchi di automatizzare il più possibile.
Che accada nel 2026, nel 2027 o nel 2030, il risultato non cambia: stiamo entrando nella più grande transizione del lavoro umano mai avvenuta. Una crisi che non sarà solo economica, ma anche sociale e culturale. I miliardari di oggi diventeranno i padroni dei mezzi di pensiero non più solo di produzione e quando la conoscenza stessa sarà proprietà privata, la distanza tra chi crea e chi subisce sarà irreversibile.
Non è una bolla. È un cambio di era. E chi ancora pensa di poterne restare fuori, non ha capito che il futuro non sta arrivando: è già acceso, e sta lavorando.
Edit
Aggiungo: una soluzione semplice non esiste, ma una direzione sì ed è politica e legislativa.
Serve agire ora, non quando la crisi sarà già esplosa. Occorre impostare leggi europee chiare e vincolanti che proteggano il lavoro, l'industria e la sovranità tecnologica.
Bisogna sostenere con finanziamenti mirati le aziende che scelgono di restare in Europa, incentivare la produzione locale e rendere conveniente produrre sul territorio europeo anche per i grandi colossi globali. Allo stesso tempo, occorre vincolare l'accesso al mercato europeo: chi vuole vendere in Europa deve contribuire alla sua economia reale, assumendo personale europeo e pagando tasse in Europa.
Va inoltre limitato se non vietato l'uso sistematico dell'outsourcing, pratica ormai abusata per ridurre i costi a scapito dei lavoratori e delle competenze interne. Le aziende devono essere incentivate a formare e riqualificare il personale locale, non a sostituirlo con manodopera remota o con automazioni incontrollate.
Servono anche investimenti pubblici in ricerca, semiconduttori, energie rinnovabili e intelligenza artificiale etica: senza una filiera autonoma, l'Europa resterà sempre dipendente da chi controlla le infrastrutture tecnologiche globali.
Infine, è indispensabile un nuovo "patto sociale europeo" che riconosca il diritto alla transizione: formazione continua, redditi di reinserimento, e soprattutto la garanzia che il progresso tecnologico non serva solo a generare profitti, ma a mantenere dignità, sicurezza e prospettive per chi lavora.
Se l'Europa non agirà ora, diventerà un museo tecnologico, osservando da lontano il mondo che crea il proprio futuro altrove.
Non servono slogan, servono leggi, coraggio e visione.
Perché la vera rivoluzione non è l'intelligenza artificiale è decidere chi la governa.
Tutto molto interessante, soprattutto le tue riflessioni sulla necessità di un controllo legislativo sull'adozione dell'IA in ambito lavoro, ma, il rischio di scoppio della bolla c'è ed è concreto.
Questo perchè gli immensi capitali già investiti e che ne dovranno essere in futuro, provengono tutti dal mercato finanziario. In altre parole 80% del capitale d'investimento globale nell'IA è a prestito e quindi è un rischio che le banche, fondi e finanziarie hanno già " assicurato " con prodotti derivati collegati.
OpenAI, per esempio, come già evidenziato in un altro thread, dovrebbe vantare da subito degli utili quasi fantascientifici per onorare il rimborso del suo debito e sostenerlo.
Comunque tutti i maggiori attori nell'ambito IA, sia attivi che passivi, ancora non hanno saputo rispondere al problema di come reinserire i lavoratori sostituti ( non affiancati ) dall'IA e di conseguenza come garantire la redditività da lavoro.
L'operazione è stata portata a compimento nonostante SoftBank abbia riportato profitti superiori alle attese.
Rimane da capire se questa mossa sia riferibile alla natura di " venture capitalist " di SoftBank , oppure sia un primo segnale di calo di fiducia nel settore IA.
https://finance.yahoo.com/news/japans-softbank-says-sold-shares-074049107.html?guccounter=1&guce_referrer=aHR0cHM6Ly93d3cuZ29vZ2xlLmNvbS8&guce_referrer_sig=AQAAALtlxXyZehE6Lq7Y48cOaHBhuUYvpf2Sq-gEJvbI-QR2B3ngotD7XEQVd_sLUQA75CGBFJ9BM3LpLcNusj7F8_DSqf7yqWKB9Bw0SYTSl3UZXTWF4lgG01g4ILucT0JQoYDlfzZOSC-p4kVHhsXfv8KVqJSJuWdH-6Awp6covqzp
Questo perchè gli immensi capitali già investiti e che ne dovranno essere in futuro, provengono tutti dal mercato finanziario. In altre parole 80% del capitale d'investimento globale nell'IA è a prestito e quindi è un rischio che le banche, fondi e finanziarie hanno già " assicurato " con prodotti derivati collegati.
OpenAI, per esempio, come già evidenziato in un altro thread, dovrebbe vantare da subito degli utili quasi fantascientifici per onorare il rimborso del suo debito e sostenerlo.
Comunque tutti i maggiori attori nell'ambito IA, sia attivi che passivi, ancora non hanno saputo rispondere al problema di come reinserire i lavoratori sostituti ( non affiancati ) dall'IA e di conseguenza come garantire la redditività da lavoro.
Sì, vero: la bolla è un rischio reale, ma molte persone e lo si vede in tanti commenti non capiscono che la bolla è soltanto finanziaria, non tecnologica.
Il rischio di collasso riguarda il mercato del capitale, non l'esistenza o l'evoluzione dell'intelligenza artificiale.
Se la bolla scoppiasse, assisteremmo a un crollo violento delle borse, fallimenti di società gonfiate da finanziamenti eccessivi, e un'ondata di crisi per chi ha costruito castelli di carta sui prestiti e sui derivati. Ma questo non fermerebbe l'IA.
Perché la tecnologia non "dipende" dal valore azionario: dipende dal suo utilizzo reale, e ormai è entrata nel cuore produttivo di ogni grande azienda del pianeta.
Le IA che la gente conosce quelle pubbliche, usate per fare immagini, testi, video e altri esperimenti creativi sono solo la superficie. Servono principalmente per raccogliere dati, addestrare modelli e ottimizzare sistemi.
Le vere IA, quelle che contano, sono interne: modelli proprietari aziendali che nessuno vede, e che imparano da miliardi di interazioni reali ogni giorno.
È lì che si gioca la partita vera. E quella non si fermerà per un calo in borsa.
Pensare che il crollo finanziario possa bloccare lo sviluppo dell'IA è come dire che, durante la caduta di una bomba, si possa sperare che "forse non esploderà perché una volta un'altra non è esplosa". È un'illusione di sicurezza.
Anche se il settore subisse una crisi di liquidità, gli Stati e le Big Tech continuerebbero a investire. Perché l'IA è ormai vista come infrastruttura strategica, non come un semplice business.
Chi parla di bolla spesso lo fa da un punto di vista puramente economico, senza rendersi conto che l'IA non è un prodotto, ma un processo.
Una bolla finanziaria scoppia quando il valore percepito non corrisponde al valore reale: ma in questo caso, il valore reale esiste eccome. Io lo vedo ogni giorno nel lavoro.
Vedo come le aziende la integrano, come riducono personale, come centralizzano conoscenza e automatizzano interi reparti.
È vero, alcuni approfittano della corsa all'oro dell'IA per speculare, come accadde con le dot-com o nel 2008. Ma la differenza è sostanziale: allora sotto non c'era nulla, solo promesse.
Qui, sotto la speculazione, c'è un motore che funziona davvero un motore che già sta cambiando il mondo del lavoro e che non ha bisogno della finanza per continuare a girare.
La bolla può scoppiare, sì, ma ciò che resterà non sarà un vuoto: sarà una macchina che non si ferma.
Il rischio non è economico, è umano. E quando ci accorgeremo che la mente è stata sostituita, non ci sarà più mercato da salvare, ma una società da ricostruire.
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