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C'è tanta sostanza nel nuovo smartphone della Mela dedicato ai creator digitali. Nuovo telaio in alluminio, sistema di raffreddamento vapor chamber e tre fotocamere da 48 megapixel: non è un semplice smartphone, ma uno studio di produzione digitale on-the-go
Intel Panther Lake: i processori per i notebook del 2026
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Intel Xeon 6+: è tempo di Clearwater Forest
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Old 01-05-2006, 09:45   #121
Ewigen
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Prove di genocidio tra Ciad e Sudan

In Africa c’è un conflitto tra dittature che può sfociare in una crisi enorme...

Nei giorni scorsi formazioni di ribelli provenienti e appoggiati dal Sudan hanno cercato di impadronirsi della capitale del Ciad, Ndjamena, ma sono stati respinti grazie all’aiuto determinante dei militari francesi. L’obiettivo dei miliziani era quello di impedire la celebrazione, il 3 maggio prossimo, delle elezioni del Ciad, boicottate dalle opposizioni, che sanciranno l’ennesima conferma del presidente Idriss Derby. Quest’ultimo ha deciso di riarmare le sue milizie, denunciando un piano sudanese per destituirlo. Mentre il Sudan sostiene che il vicino Ciad appoggi le popolazioni del Darfur sudanese, aggredite da tre anni dalla guerriglia islamica di Khartoum.
Né la mediazione libica né l’intervento francese e men che meno le truppe di interposizione inviate sul confine dall’Unione africana sembrano in grado di fermare l’escalation, che potrebbe dar luogo a un conflitto incontrollabile. L’affermazione del presidente, secondo il quale “il Ciad è un ponte, se il ponte cede, si può dire addio a tutta la regione. Potrebbe essere una situazione ancora più grave del conflitto dei Grandi laghi”, purtroppo è realistica. In queste zone, dove è endemico il conflitto etnico e religioso, due regimi deboli e autoritari puntano a salvarsi combattendo un “nemico” esterno.La scintilla di uno scontro militare può accendere il falò delle tensioni etniche, col rischio concreto di genocidi come quelli che hanno insanguinato il Ruanda.Non è un caso che nella benedizione pasquale Benedetto XVI abbia citato, tra le aree che destano preoccupazione, per prima quella africana. La comunità internazionale ha già mostrato tutta la sua impotenza durante i conflitti dei Grandi laghi e ora sembra avviata sulla stessa strada per quel che riguarda il Darfur sudanese e il Ciad. L’estensione di questi conflitti, considerati minori perché non intaccano aree strategiche, rappresenta invece un pericolo gravissimo e non soltanto sul piano umanitario.[Il Foglio]
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Old 02-05-2006, 11:40   #122
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CIAD 2/5/2006 11.40
VIOLENZE NELL’EST MENTRE N’DJAMENA CHIUDE CAMPAGNA ELETTORALE

Almeno 4 persone sono morte e altre 6 sono rimaste ferite nell’ultimo attacco lanciato contro un villaggio nella zona orientale del Ciad, a ridosso della frontiera col Darfur, la regione occidentale del confinante Sudan. Lo riferiscono fonti delle Nazioni Unite, precisando che l’attacco, ai danni di tre piccoli villaggi, è avvenuto ieri mattina non lontano dal campo profughi di Goz Amer teatro nelle scorse settimane di una sanguinoso assalto. Secondo un funzionario dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur/Unhcr), Matthew Conway, l’attacco è stato condotto da uomini in uniforme e “Janjaweed”, le milizie di predoni armati sudanesi attive oltre frontiera in Sudan occidentale a fianco del governo centrale contro i ribelli del Darfur. E mentre dall’est del Ciad continuano a giungere notizie di insicurezza - oltre agli sconfinamenti delle forze attive in Darfur, nelle ultime 48 ore sono tornate a circolare voci (difficilmente verificabili) su nuovi attacchi della ribellione interna ciadiana - a N’djamena si è chiusa ieri la campagna elettorale in vista delle elezioni presidenziali di domani. Sia la stampa locale che quella internazionale ormai sottolineano apertamente come, nel voto di domani, il presidente Idriss Deby “correrà da solo”, nonostante l’opposizione politica (che ha scelto di boicottare le elezioni), la società civile, le comunità religiose e la comunità internazionale lo avessero invitato a rinviare l’appuntamento con le urne. Di fronte a migliaia di persone raccolte ieri allo stadio centrale di N’djamena, tra ingenti misure di sicurezza, Deby ha agitato lo spettro dell’insicurezza e dell’attacco dall’esterno (Sudan) per giustificare la necessità di andare alle urne.

SUDAN 2/5/2006 9.28
PRESSIONI INTERNAZIONALI SUI RIBELLI PER CONCLUSIONE NEGOZIATO DI PACE

Dovrebbe scadere alla fine della giornata la proroga di 48 ore concessa tra domenica e lunedì dal capo dei mediatori dell'Unione Africana, Salim Ahmed Salim, per il negoziato con i ribelli del Movimento/esercito di liberazione del Sudan (Slm/a) e il Movimento per la giustizia e l'uguaglianza (Jem) che il 23 aprile scorso non hanno ratificato l'accordo proposto dai mediatori dell'Unione Africana (Ua). Accettare "senza dilazioni" un accordo di pace con Khartoum è l’appello lanciato ieri dal segretario generale dell'Onu Kofi Annan alle due fazioni. Annan ha anche raccomandato di "raddoppiare gli sforzi per raggiungere un accordo che metta fine alle sofferenze e alle distruzioni in Darfur". Secondo il portavoce dell’Onu Stephane Dujarric i ribelli “devono cogliere quest'occasione storica di giungere alla pace e avviare la ricostruzione; le Nazioni Unite sono pronte a offrire il loro aiuto su questa strada". Dal 2003, il conflitto in Darfur avrebbe causato la morte di decine di migliaia di persone (180.000 secondo alcune fonti, anche 300.000 secondo altre, tutte stime contestate da Khartoum) e più di due milioni di sfollati. Ieri, in diverse città statunitensi si sono svolte manifestazioni per il Darfur; Washington, che sembra nutrire particolare interesse per la questione – forse anche per le risorse petrolifere dell’area – ha annunciato che il sottosegretario del Dipartimento di stato Robert Zoellick tenterà di aiutare a “chiudere il gap” del negoziato in corso ad Abuja, in Nigeria.
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Old 03-05-2006, 22:44   #123
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SUDAN 3/5/2006 9.11
DARFUR, UNIONE AFRICANA ESTENDE COLLOQUI PACE DI 48 ORE

L’Unione Africana (Ua) ha annunciato nella notte di aver esteso di altre 48 ore i negoziati di pace in corso ad Abuja con i ribelli del Movimento/esercito di liberazione del Sudan (Slm/a) e il Movimento per la giustizia e l’uguaglianza (Jem), le due formazioni armate che il 23 aprile scorso non hanno ratificato l’accordo proposto dai mediatori della Ua per mettere fine a tre anni di devastante guerra civile nella regione sudanese del Darfur. Si tratta della seconda proroga di 48 ore concessa dalla Ua ai ribelli; ieri fonti diplomatiche avevano ipotizzato un’estensione dei negoziati di sole 24 ore. La richiesta di proroga, secondo quanto riferito dal capo mediatore della Ua Salim Ahmed Salim, sarebbe stata avanzata intorno alla mezzanotte di ieri dal presidente nigeriano Olusegun Obasanjo “per esplorare che cosa sia ancora possibile fare” al fine di convincere i ribelli a firmare l’accordo di pace e mettere fine alle ostilità. Già oggi dovrebbero esserci nuovi incontri tra Obasanjo, il presidente della Repubblica del Congo (e della Ua) Denis Sassou-Nguessou, il presidente della Commissione della Ua Alpha Oumar Konare, altri rappresentanti di governi africani e i delegati delle due formazioni ribelli. “Se non ci sarà un accordo allo scadere delle 48 ore, allora dovremo rivedere la situazione” ha commentato Salim, aggiungendo nel ricordare l’ultimo tentativo fatto ieri sera in extremis dagli inviati di Stati Uniti e Regno Unito che fin qui “ogni passo è stato fatto in tandem con i partner internazionali”. Dal 2003, il conflitto in Darfur avrebbe causato la morte di decine di migliaia di persone (180.000 secondo alcune fonti, anche 300.000 secondo altre, tutte stime contestate da Khartoum) e più di due milioni di sfollati.

AD ABUJA SI NEGOZIA, MA SUL TERRENO SI CONTINUA A COMBATTERE

La città di Gereida, che offre rifugio a circa 90.000 sfollati dello stato del Darfur meridionale (uno dei 3 che compone l’omonima regione sudanese al confine col Ciad), rischia di diventare il prossimo obiettivo della vasta offensiva che le forze governative sudanesi hanno lanciato nelle ultime settimane nel sud del Darfur. L’allarme è stato lanciato nelle ultime ore da fonti locali delle Nazioni Unite e fatto successivamente circolare dal centro informazioni del Palazzo di Vetro a New York. Teatro di combattimenti tra governo e ribelli già dal novembre 2005, l’area di Gereida ha fatto registrare nelle ultime settimane un’escalation di combattimenti che ha causato lo spopolamento di almeno 300 piccoli e medi villaggi circostanti. Dalla metà di aprile alla fine dello stesso mese, le forze governative sudanesi, l’aviazione nazionale e le milizie arabe (note col nome di janjaweed), che si ritiene operino in connessione con l’esercito di Khartoum, hanno lanciato una serie di attacchi contro alcuni villaggi fino a quel momento controllati dai ribelli. In seguito alla recente offensiva (iniziata il 16 aprile scorso) almeno 3 importanti località sono tornate nelle mani del governo (Jirghana, Donkey Dreisa e Dito Town) causando non meno di 30.000 nuovi sfollati. “Abbiamo ricevuto rapporti non confermati di un attacco contro la città di Gereida”, ha detto il vice-coordinatore degli affari umanitari in Sudan, Gemmo Lodesani, in una conferenza stampa. “Gereida è stata sotto assedio per mesi e lo è ancora di più adesso. Se dovesse essere lanciato un attacco, il prezzo, che dovranno pagare i civili che hanno trovato protezione in città, sarà molto alto” ha aggiunto. E se nel Darfur meridionale le preoccupazioni maggiori provengono dalle forze governative e dai loro piani militari, nel Darfur settentrionale sono i ribelli dell’Esercito di liberazione del Sudan (Sla-m) a rappresentare la principale minaccia alla sicurezza delle popolazioni locali, ma anche degli operatori umanitari. Sempre secondo i dati raccolti dalle Nazioni Unite, nella zona di Shangil Tobayi e di Tawilla nelle ultime tre settimane si sono susseguiti combattimenti tra due fazioni opposte del Sla-m, causando anche qui lo sfollamento di migliaia di civili. Ma il principale gruppo ribelle è anche il principale imputato dei numerosi attacchi (quasi sempre a scopo di rapina o di estorsione) registrati ai danni degli operatori umanitari internazionali che operano nel nord Darfur.
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Old 03-05-2006, 22:45   #124
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CIAD 3/5/2006 15.13
ELEZIONI: CALMA E BASSA AFFLUENZA ALLE URNE

Si sono aperte alle 07,00 ora locale (06,00 Gmt) e chiuderanno alle 18,00 (17,00 Gmt) le urne in Ciad, dove 5,8 milioni di aventi diritto sono chiamati oggi a eleggere il nuovo presidente della Repubblica. Il capo di Stato in carica, Idriss Deby, la cui riconferma per un terzo mandato consecutivo è data per scontata, ha votato nella capitale N’Djamena circondato da un cordone delle forze dell’ordine. Per il governo uscente, l’essere riuscito a mantenere la data dello scrutinio, nonostante la ribellione armata che minaccia di rovesciarlo e il boicottaggio dell’opposizione, è già in qualche misura una vittoria: secondo fonti locali contattate dalla MISNA, l’atmosfera è calma, ma è bassa l’affluenza agli 11.800 seggi allestiti in tutto il paese. Le stesse fonti riferiscono che le minacce di nuove incursioni dei ribelli, dopo l’attacco sferrato il 13 aprile scorso dal ‘Fronte unito per il cambiamento’ (Fuc), hanno spinto molti residenti di N’Djamena ad attraversare il fiume Chari per trovare riparo nel confinante Camerun. Per il momento, gli schieramenti anti-governativi – oltre al Fuc anche lo Scud, composto da ex-militari un tempo vicini allo stesso Deby – non sembrano aver turbato le operazioni di voto; il Fuc, tuttavia, ha minacciato di lanciare a breve una nuova offensiva “su più fronti”, inclusa nuovamente la capitale. I risultati provvisori delle elezioni sono attesi a partire dal 14 maggio; un eventuale secondo turno, piuttosto improbabile visto lo scarso ‘peso politico’ degli avversari di Deby, è previsto per l’8 giugno. Il presidente uscente sfida un ex-primo ministro, due ministri in carica e un esponente di un piccolo partito, tutti giudicati candidati ‘di facciata’.


REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 3/5/2006 18.06
KATANGA: VIOLAZIONI DEI DIRITTI UMANI PER MANO DI ESERCITO E MAYI-MAYI

“Violazioni sistematiche” dei diritti umani continuano ad essere commesse nella regione sudorientale del Katanga per mano dei militari della 63° brigata delle forze armate congolesi (Fardc) e dei gruppi Mayi-Mayi, i partigiani nazionalisti già schierati al fianco delle truppe regolari durante la guerra (1998-2003), oggi dediti al banditismo: lo afferma un’inchiesta condotta dalla sezione diritti umani della missione Onu in ex-Zaire (Monuc) nella zona di Mitwaba, nel nord Katanga, che sulla base di testimoni locali ha stabilità l’identità di 97 civili uccisi, feriti o vittime di trattamenti crudeli e disumani tra l’inizio del 2005 e il marzo 2006. Già dallo scorso autunno la MISNA aveva riportato l’attenzione sulla situazione dei diritti umani in Katanga raccogliendo denunce e segnalazioni della società civile e della chiesa locale; il rapporto Onu di fatto per la prima volta attesta la persistenza di violenze contro la popolazione civile, precisando che i soldati regolari sarebbero responsabili di 47 casi, tra cui 33 esecuzioni sommarie. Ai Mayi-Mayi di Gedeon e i loro alleati sono stati attribuiti altrettanti episodi. La Monuc ha anche constatato la “sparizione forzata” di almeno 15 persone accusate di appartenere ai Mayi-Mayi, uccise dalle Fardc dopo essere state arrestate e trasferite nella prigione di Mitwaba. Il numero delle vittime limitato a quelle a cui è stato possibile dare un nome nei cinque giorni della missione d’inchiesta effettuata da una delegazione dell’Onu in loco a metà febbraio; fonti concordanti hanno anche riferito che la 63° brigata delle Fardc sarebbe coinvolta nello sfruttamento illegale delle miniere di cassiterite vicino a Mitwaba.
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Old 04-05-2006, 23:20   #125
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UGANDA 4/5/2006 13.37
NUOVE CONSULTAZIONI CON KHARTOUM CONTRO RIBELLI LRA

“Nuove modalità di cooperazione” tra il Sudan e l’Uganda per combattere i ribelli ugandesi dell’Esercito di resistenza del signore (Lord’s resistance army, Lra): questo lo scopo della visita compiuta ieri in Sudan dal ministro della Difesa ugandese, Amama Mbabazi, che ha incontrato il suo omologo Abd Al-Raheim Mohammed Hussein. Nel riportare la notizia dell’incontro, l’agenzia di stampa sudanese Suna ha precisato che il ministro Hussein ha evidenziato “l’interesse di Khartoum a cooperare con il vicino ugandese” per garantire la pace e la stabilità nella regione. Secondo fonti giornalistiche sudanesi, il ministro della Difesa ugandese si sarebbe intrattenuto anche col personale della missione delle Nazioni Unite in Sudan, sempre per discutere una strategia comune contro i ribelli del Lra. Nelle ultime settimane il governo di Kampala ha moltiplicato le attività diplomatiche con Sudan (sia le autorità di Khartoum che quelle amministrative del Sud), Repubblica Democratica del Congo e con la Comunità internazionale per trovare una linea comune che porti all’eliminazione del problema Lra. Secondo le autorità ugandesi un nucleo importante della ribellione - circa 150 uomini guidati dal fondatore del movimento armato Joseph Kony e dal suoi braccio destro Vincent Otti – si trova da mesi nel nord est del Congo, all’interno del Parco della Garamba. Fonti della MISNA hanno fatto sapere che il gruppo (le informazioni raccolte confermano solo la presenza di Otti e non quella di Kony) è stato prelevato alla fine di aprile e trasportato in Sud Sudan nell’ambito di quella che è stata definita “un’operazione congiunta compiuta da forze ugandesi e sudanesi”. Nei giorni successivi si sono poi susseguite voci sulla presenza di truppe ugandesi a caccia di ribelli del Lra in territorio congolese, confermate in settimana dalla Missione Onu in Congo.
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Old 05-05-2006, 19:10   #126
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UGANDA 5/5/2006 16.21
DOPO VENT’ANNI, A MIGLIAIA LASCIANO I CAMPI PROTETTI…FORSE

“Gli sfollati interni (Internally displaced persons, IDPs) stanno ritornando volontariamente alle loro case e stiamo parlando di 200.000 persone di etnia Teso e di 200.000 Lango”, ha detto Amongin Aporu, ministro per la Prevenzione dei disastri e per i Rifugiati, citato oggi dal ‘The Daily Monitor’, riferendosi allo sgombero di circa 400.000 sfollati dai campi profughi nei distretti del nord Uganda dove, per diciotto anni, milioni di civili hanno trovato riparo dalle violenze del sedicente Esercito di liberazione del signore (Lord’s resistance army, Lra). Le cifre fornite dal governo sarebbero però esagerate secondo fonti dello stesso quotidiano ugandese e della MISNA. “Molte persone vanno semplicemente a coltivare i loro orti di giorno e ritornano nei campi profughi la sera. Sono davvero molto poche le persone che stanno effettivamente ritornando”, dice Charles Angiro, parlamentare del distretto settentrionale di Erute contattato telefonicamente dal ‘Monitor’. “Le cifre riportate dai giornali risalgono a più di un anno e mezzo fa”, riferisce alla MISNA padre Carlos Rodriguez Soto, missionario comboniano e responsabile della Commissione ‘Giustizia e pace’ dell’arcidiocesi di Gulu, epicentro della guerriglia dell’Lra. L’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (Ocha), precisa padre Soto, “un anno e mezzo fa riportava che erano oltre 1,8 milioni i civili ospitati negli accampamenti. Oggi parla di 1,6 milioni sfollati interni. Si tratta quindi di 200 milioni di sfollati rientrati nell’arco degli ultimi 18 mesi”. Tra l’altro, aggiunge padre Rodriguez, “è impensabile che lo sgombero cominci proprio in questo periodo dell’anno, perché il tetto delle capanne è fatto di foglie d’erba intrecciate e, poiché in questo periodo dell’anno l’erba è molto bassa, gli acholi non potrebbero costruirle”. Scetticismo suscita anche il Piano per l’intervento umanitario nel nord Uganda presentato in questi giorni dal presidente, Yoweri Museveni, che dovrebbe facilitare il ritorno a casa e l’integrazione nella società degli sfollati interni. Secondo Betty Amongin, parlamentare del distretto di Apac, i fondi stanziati dal governo sarebbero insufficienti a garantire la sicurezza dei milioni di sfollati che volessero fare ritorno nelle loro case. Perplessità condivisa anche da Angiro e da padre Rodriguez che aggiunge: “Il piano prevede che il rientro si concluda entro il luglio del prossimo anno, ma ci verrà molto più tempo”.



AFRICA 5/5/2006 8.29
DARFUR: JEM ALZA IL PREZZO. NEGOZIATO FALLITO O ULTERIORE STALLO?

“Abbiamo deciso di non firmare se non vengono fatti alcuni cambiamenti”, ha detto all’agenzia di stampa americana Associated Press (Ap), Ahmed Tugod, capo negoziatore del Jem (Justice and Equality Movement), il gruppo di ribelli minore che partecipa al negoziato di pace in corso ad Abuja in Nigeria. Le trattative nell’ultima settimana sono state prorogate due volte di 48 ore e la notte scorsa sono continuate per almeno quattro ore oltre la seconda scadenza. Mentre il governo sudanese ha dimostrato, secondo l’Ap, crescente flessibilità, il Jem starebbe chiedendo a tutti i costi una vice-presidenza nazionale , il governo regionale del Darfur, più grande rappresentatività nelle istituzioni nazionali, un risarcimento per le vittime della regione e la destinazione del 6,5% del reddito nazionale sudanese a un fondo di sviluppo regionale per il Darfur. Notizie confuse e incerte, ma tendenzialmente negative, sono circolate anche a proposito della posizione assunta da uno degli altri due gruppi in cui si è diviso lo Sla (Sudan Liberation Army), l'altro movimento ribelle. Anche se il portavoce dell’Unione Africana all’alba di oggi ha detto che era “tempo di decidere e il negoziato non poteva essere riaperto”, non è finora chiaro se la trattativa deve considerarsi fallita o solo in un ulteriore fase di stallo; secondo alcune fonti potrebbe riprendere stamani, forse da un momento all'altro. Oltre ai ribelli e al governo di Khartoum, partecipano al negoziato – in corso in una villa presidenziale – il capo negoziatore dell’Unione Africana Salim Ahmed Salim, un rappresentante di Washington, uno di Londra, altri diplomatici e rappresentanti. Dal principio del 2003 in Darfur si è sviluppato un conflitto che, secondo stime internazionali, avrebbe fatto almeno 180.000 vittime (smentite da Khartoum, ma da altre fonti aumentate fino a 300.000) e due milioni tra fuggiaschi interni e profughi in Ciad; schermaglie di confine hanno coinvolto col tempo anche il Ciad e la Repubblica Centrafricana. La conseguente crisi umanitaria è stata definita tra le più gravi del mondo. Una positiva conclusione del negoziato di Abuja appare ora più che mai decisiva per poter completare la semina di piante alimentari prima di giugno e della stagione delle piogge. Sullo sfondo delle difficoltà incontrate dall'interminabile negoziato, condotto sulla base di un documento dell'Unione Africana, resterebbe comunque, pur se mai ufficialmente citato, il controllo locale e internazionale di risorse petrolifere.
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Old 07-05-2006, 11:18   #127
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SUDAN 6/5/2006
DARFUR: NUOVI PARTICOLARI SUI CONTENUTI DELL’ACCORDO

Un calendario abbastanza preciso dei tempi di attuazione del disarmo delle forze combattenti attive sul terreno e la creazione di zone cuscinetto intorno ai campi per sfollati in cui vivono quasi 2 milioni di persone: sono queste le principali precisazioni contenute nell’accordo di pace, firmato ieri dal governo centrale sudanese e dall'Esercito per la liberazione del Sudan (Sla, il principale dei gruppi ribelli attivi in Darfur) e di cui non erano ancora stati resi noti i particolari. Secondo una sintesi del documento finale, firmato ieri dalle parti (la MISNA nella serata di ieri aveva pubblicato ampi stralci della proposta messa a punto dall’Unione Africana), pubblicata oggi sul sito internet del Dipartimento di Stato Usa, si “prevede il disarmo completo e verificato delle milizie Janjaweed (considerate le principali responsabili delle violenze ai danni di civili, ndr) al più tardi entro la metà di ottobre del 2006”. Sempre riguardo alle milizie armate considerate alleate di Khartoum nella guerra del Darfur, il documento fornisce poi indicazioni chiare “sull’accantonamento dei Janjaweed e di altre milizie armate in alcune zone delimitate e specificate, prima che il processo di disarmo abbia inizio”, predispone il ritiro “delle armi pesanti” di questi gruppi e “impone restrizioni ai movimenti delle Forze di difesa popolare (truppe paramilitari sudanesi, ndr), che dovranno essere ridotte numericamente”. “Un calendario dettagliato – si apprende ancora dagli stralci del documento – assicura che i Janjaweed dovranno essere disarmati prima che le forze ribelli preparino l’ammassamento delle loro truppe e il conseguente disarmo”. L’accordo stabilisce inoltre la creazione di “zone cuscinetto” intorno ai campi per sfollati e corridoi d’assistenza umanitaria in cui non sarà consentito l’accesso né alle forze armate sudanesi né a quelle ribelli. Riguardo alla politica, dai nuovi passaggi dell’accordo forniti alla stampa si apprende che “un referendum popolare, da tenersi al più tardi entro il luglio 2010, deciderà l’eventuale trasformazione del Darfur in un’unica entità amministrativa”. Attualmente la regione occidentale sudanese del Darfur è divisa i 3 stati: Darfur meridionale, settentrionale e occidentale. Ai ribelli, spiega un altro passaggio dell’accordo relativo alla “condivisione del potere”, è stata affidata la “quarta più importante carica del governo d’unità nazionale sudanese: l’assistente principale del presidente” e la “presidenza della neonata Autorità regionale di transizione per il Darfur”. Per quanto riguarda l’aspetto economico, il documento stabilisce la creazione di “un fondo per la ricostruzione e lo sviluppo”, di alcune commissione per “la compensazione delle vittime” e “l’aiuto ai rifugiati” e infine impegna la comunità internazionale a convocare “una conferenza dei donatori per raccogliere fondi supplementari da destinare al Darfur”.


CIAD 6/5/2006
OPERATRICE ONU FERITA NELL’EST

Un'operatrice umanitaria di nazionalità spagnola è rimasta ferita ieri ad Abeché, la principale città dell’est del Ciad. Lo hanno riferito oggi fonti umanitarie delle Nazioni Unite, precisando che l’operatrice lavorava per l’Unicef (il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia) ed è stata ferita da un colpo di arma da fuoco ad un braccio, sparatogli da un uomo in uniforme militare che successivamente è fuggito con la macchina della donna, un grande fuoristrada. “Chiediamo alle autorità di garantire la nostra sicurezza”, ha detto Claire Bourgeois che dirige le operazioni dell’Onu ad Abeché. Anche se è la prima volta che un operatore umanitario rimane ferito in un attacco, come ha precisato la stessa Bourgeois, da mesi ormai il personale delle agenzie dell’Onu e delle organizzazioni non governative (ong) che operano nell’est del Ciad (soprattutto a fianco degli oltre 200.000 profughi sudanesi fuggiti negli ultimi 3 anni dal Darfur) hanno segnalato un aggravarsi costante dell’insicurezza. Proprio nell’est del paese, infatti, da alcuni mesi si sono installati i numerosi movimenti ribelli armati che intendono prendere il potere e rovesciare il governo del presidente Idriss Deby.
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Darfur, Kofi Annan ora chiede a Khartum di dare il via libera ai caschi blu dell'Onu

New YorkKhartum acconsenta all'invio di una missione Onu di valutazione in preparazione del dispiegamento di un contingente di caschi blu nel Darfur. È l'appello lanciato dal segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, all'indomani della storica firma degli accordi di pace ad Abuja, cui però ha partecipato solo una delle fazioni ribelli coinvolte nei negoziati. La comunità internazionale si deve muovere con rapidità «per avere il giusto impatto sul terreno», ha sottolineato Annan, in particolare per rafforzare e fornire supporto logistico ai 7mila peacekeeper dell'Unione africana. Commentando la firma di venerdì, Annan ha poi invitato gli altri due gruppi che si sono rifiutati di sottoscrivere la bozza dell'Ua a «cogliere il momento storico e firmare un accordo che metterà fine a questo tragico capitolo della storia del Sudan». [Avvenire]
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Necessario l'impegno del Sudan, dei ribelli, dell'Onu e dei Paesi donatori

Fermare la pulizia etnica in Darfur Non è bastata la lezione di Srebrenica?

Jan Egeland*

[Avvenire] Ho parlato per la prima volta del Darfur al Consiglio di Sicurezza due anni fa, definendolo un caso di pulizia etnica della peggiore specie. Oggi, non posso fare altro che rilanciare la mia denuncia. L'esito dello sforzo umanitario più ingente al mondo è incerto, sospeso a causa delle attuali insostenibili condizioni. Se si intende evitare la perdita imminente di un altissimo numero di vite umane, occorre che tutte le parti in causa - governo del Sudan, ribelli, membri del Consiglio di Sicurezza, donatori - agiscano ora. Il massacro in Darfur continua inarrestabile, e si propaga in Ciad. Solo negli ultimi quattro mesi altre 200mila persone sono fuggite per cercare scampo dalla carneficina. I profughi sono più di due milioni. Bande di miliziani appoggiati dal governo scorrazzano nelle campagne inaridite seminando terrore, distruggendo abitazioni e villaggi, uccidendo in totale impunità. Gli attacchi dei ribelli continuano sia contro i civili sia contro le attività umanitarie. Ci sono attualmente 14mila operatori non armati in Darfur, la maggior parte dei quali sudanesi, un numero doppio rispetto a quello delle truppe dell'Unione africana, che sul terreno cercano di imporre un fallimentare cessate il fuoco su un'area equivalente a quella del Texas. Come in Bosnia dieci anni fa, i soccorsi umanitari hanno rappresentato una delle pochissime risposte efficaci che la comunità internazionale è stata in grado di organizzare. Invece di sanare la ferita, il mondo ha preferito applicare bende su un'emorragia che non smette. Certo, il bendaggio umanitario è essenziale per salvare vite umane. Nel corso degli ultimi due anni, abbiamo compiuto enormi progressi su questo fronte. Nel 2004 c'erano solamente 230 operatori per assistere sul terreno 350mila persone. Oggi ce ne sono dieci volte tanti. Lavorando di concerto, le agenzie dell'Onu e le Ong hanno ridotto il tasso di mortalità tra i profughi in Darfur di due terzi rispetto ai livelli del 2004, contribuendo nel contempo a dimezzare il tasso di malnutrizione nel corso del 2005. Ma questi risultati sono oggi vanificati da un livello di violenza che è cresciuto da ogni parte, nonché dall'atteggiamento sempre più ostruzionistico del governo sudanese. Nel frattempo, il sostegno da parte dei Paesi donatori europei e nell'area del Golfo sta seriamente calando. Il nostro appello per ottenere risorse essenziali a garantire la sopravvivenza ha registrato una risposta inferiore al 20% di quanto sarebbe effettivamente necessario. La settimana scorsa abbiamo annunciato che saremo presto costretti a dimezzare le razioni giornaliere di cibo. Le truppe dell'Unione Africana, pur motivate, sono sfruttate al limite, e vanno potenziate immediatamente per garantire una migliore tutela della popolazione. Gli stessi operatori umanitari devono poter prestare la propria attività senza il timore di essere rapiti, attaccati, boicottati dalle autorità locali. Governo, milizie e ribelli sono tutti responsabili per le terribili condizioni di sicurezza che minacciano le vite della gente del Darfur e rendono gli sforzi umanitari sempre più ardui. In secondo luogo, è necessario poter arrivare a tutti coloro che hanno bisogno di aiuto. Anche in questo caso, purtroppo, si è invertita la positiva tendenza che avevamo marcato lo scorso anno. L'accesso dipende anche da una migliore cooperazione da parte del governo e dei gruppi armati. Purtroppo, è accaduto l'opposto. I dipendenti di agenzie Onu e Ong in Darfur sono alle prese con minacce e intimidazioni. Il mese scorso, ad esempio, una delle maggiori Ong, responsabile della gestione di un campo di 90mila rifugiati, è stata obbligata a lasciare. Sarà ora il governo ad occuparsi direttamente del campo. È appena il caso di dire che ci sono gravi ragioni di preoccupazione per la sicurezza dei profughi, visti i precedenti del governo in materia di protezione dei propri cittadini. Non ripetiamo il tragico errore delle zone protette, utilizzate in Bosnia prima di Srebrenica. L'approccio umanitario non dovrebbe mai essere utilizzato come una foglia di fico per giustificare l'inazione politica. Eppure, è proprio quello che sta accadendo oggi in Darfur. La popolazione ha urgente bisogno di aiuto, ma non solo. Cerca protezione sul territorio e pace, una pace che per essere vera, deve trovare pratica attuazione in ogni singolo villaggio. Infine, occorre che i Paesi membri delle Nazioni Unite dimostrino la loro autorità morale alla gente del Darfur, salvando oggi le vite e portando domani la pace.
*Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari e Coordinatore degli aiuti di emergenza
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Old 08-05-2006, 11:35   #130
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SUDAN 8/5/2006 10.31
DARFUR: DOPO FIRMA ACCORDO, RIBELLI ANNUNCIANO INIZIO DISARMO

“Abbiamo deposto le armi una volta per tutte avviando la realizzazione degli accordi di pace”: lo ha detto un portavoce della fazione dell’Esercito di liberazione del Sudan (Sla), che venerdì scorso ha firmato in Nigeria un’intesa con il governo di Khartoum per porre fine al conflitto nella regione del Darfur, non sottoscritta però da un’ala dissidente del movimento e da un’altra formazione ribelle. Ieri, secondo la stampa sudanese, il governo ha espresso “gratitudine” all’Unione Africana (Ua) per gli sforzi compiuti nel favorire il processo di pace in Darfur fino al raggiungimento dell’accordo. Nelle stesse ore era giunta una prima apertura alla presenza di truppe dell’Onu in Darfur, in sostituzione dei circa 7.000 soldati dell’Ua, finora sempre respinta da Khartoum. “Il governo valuterà se ha bisogno oppure no di assistenza di militari stranieri e potrebbe decidere di chiedere il dispiegamento dell’Onu”, ha detto ieri un portavoce del ministero degli Esteri di Khartoum. Ribadendo però: “Di certo nessuna forza straniera sarà schierata senza il consenso del governo”. L’accordo di pace è stato respinto da una fazione dello Sla e dal Movimento per l’uguaglianza e la giustizia (Jem), ai quali il governo di Khartoum chiede di accettare le condizioni previste dal documento. Intanto ieri è arrivato in Darfur Jan Egeland, vicesegretario dell’Onu per gli affari umanitari, cui il governo sudanese il mese scorso aveva impedito di recarsi nella regione teatro di una guerra civile da tre anni. “Nell’accordo di pace di Abuja è garantito un accesso illimitato per tutte le organizzazioni umanitarie, ma questo non è ancora applicato”, ha affermato Egeland, che oggi dovrebbe incontrare esponenti del governo nella capitale Khartoum. “Sono necessarie – ha aggiunto – risorse umanitarie da tutto il mondo, compresi i paesi occidentali, islamici, arabi e asiatici”. Parlando all’emittente britannica ‘Bbc’, ha detto che “il Darfur viene lentamente soffocato, sta morendo davanti a noi”. Nelle ultime settimane, secondo il sottosegretario Onu, ai circa 2 milioni di profughi se ne sono aggiunti altri 200.000; finora – secondo stime internazionali – la ribellione dei due movimenti armati e i continui attacchi dei predoni arabi ‘Janjaweed’ sostenuti dall’esercito governativo avrebbero provocato circa 300.000 morti, per attacchi armati e mancanza di assistenza umanitaria.
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Old 08-05-2006, 20:47   #131
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CIAD - Il generale Mahmat Nouri, ambasciatore del Ciad in Arabia Saudita, si sarebbe aggregato alla ribellione che lo scorso 13 aprile ha cercato di rovesciare il presidente Idriss Deby attaccando la capitale N’Djamena; lo riferisce l’agenzia di stampa del Gabon, ricordando che Nouri è stato ministro dell’allevamento e della Difesa per più di 7 anni ed era considerato molto vicino al capo di Stato.
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Old 09-05-2006, 22:12   #132
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SUDAN 9/5/2006 13.42
DARFUR: RIBELLI RITRATTANO ACCORDO?

A cinque giorni dalla firma dell’accordo di pace con il governo di Khartoum sul Darfur, la principale fazione dell’Esercito di liberazione del Sudan (Sla) avrebbe chiesto al segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, di sospenderne l’applicazione e verificare le condizioni in cui il documento è stato firmato ai negoziati di Abuja, in Nigeria. Lo scrive oggi il quotidiano di Khartoum ‘Sudan Tribune’, citando una lettera in cui il consigliere politico dello Sla, Ibrahim Ahmed Ibrahim, afferma che l’intesa di pace è stata sottoscritta in “circostanze inusuali” dal leader del movimento ribelle, Minni Menawi, sottoposto a “pressioni anormali”e “isolato” dal resto della delegazione. Nella missiva si chiede inoltre la revisione del documento e la separazione degli aspetti umanitari da quelli politici. Per ora non ci sono reazioni ufficiali a questa presa di posizione, né appare chiaro se la lettera abbia effettive conseguenze o sia soltanto l’ennesima lotta interna allo Sla. Ibrahim, sempre secondo la stampa sudanese, avrebbe anche aggiunto che lo Sla leggerà in questi giorni le 85 pagine dell’accordo di pace e poi prenderà una decisione. Intanto Jan Pronk, rappresentante speciale di Annan in Sudan, è atteso oggi in Darfur, dove cercherà di convincere a firmare l’accordo di pace anche la fazione minoritaria dello Sla e il Movimento per l’uguaglianza e la giustizia (Jem), che hanno finora respinto il documento criticandone alcuni aspetti. In queste ore Europa e Unione Africana stanno intensificando le pressioni nei confronti degli ultimi due gruppi ribelli, per obbligarli a firmare “immediatamente e senza condizioni” – comunque entro il 15 maggio - l’accordo per porre fine al conflitto in Darfur. Da Abuja, in Nigeria, il ministro della cooperazione e lo sviluppo dei Paesi Bassi, Agnes van Ardenne, ha detto che il suo paese si sta preparando a organizzare una conferenza dei donatori per la ricostruzione del paese, che si terrà all’Aja entro la fine dell’anno.


REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 9/5/2006 13.52
KATANGA, GRUPPO COMBATTENTI MAYI-MAYI ABBANDONA LE ARMI

Centocinquanta Mayi-Mayi, ribelli dediti soprattutto al banditismo e a violenze contro i civili, si sono consegnati, nel Katanga, alla missione dell’Onu nella Repubblica Democratica del Congo (Monuc). L’operazione è avvenuta nei giorni scorsi a Mitwaba, 400 chilometri a nord di Lubumbashi, capitale del Katanga, ma l’esercito nazionale della Repubblica Democratica del Congo (Fardc) ne ha dato notizia solo ieri. “Tra loro vi sono 50 uomini e 100 tra donne e bambini-soldato” ha precisato Jean-Willy Mutombo, portavoce dell’esercito, aggiungendo che anche il capo del gruppo, Kyungu Kasongo meglio noto come Gedeon, avrebbe intenzione di arrendersi, ma vuole garanzie per la sua sicurezza prima di consegnarsi alle forze dell’Onu. “Sono rimasti solo circa altri 200 Mayi-Mayi e non possono resistere troppo a lungo”, ha affermato Mutombo. Ex-alleati del governo durante il conflitto 1998-2003 ma non nuovi a occasionali alleanze con altri gruppi armati, i Mayi-Mayi non sono stati coinvolti nel programma di disarmo del governo e da mesi attaccano civili e militari nel nord e centro Katanga. Da quando, nel novembre scorso, è stata lanciata un’offensiva delle forze governative contro il gruppo di Gedeon, 170.000 persone hanno abbandonato le proprie abitazioni nella regione.
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Old 10-05-2006, 11:43   #133
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CIAD 10/5/2006 9.39
PRIME DEFEZIONI TRA I RIBELLI DELL’EST?

Le autorità del Ciad hanno annunciato la resa di una trentina di ribelli del ‘Rassemblement pour le Progrès et la Justice’ (Rpj) che avrebbero lasciato il gruppo armato per rientrare nelle file dell’esercito. Gli ormai ex-ribelli sono apparsi a N’Djamena di fronte a un gruppo di giornalisti affermando di aver disertato dalle forze governative alla fine dello scorso anno su richiesta di Abakar Tolli, capo dello Rpj. “Una volta sul campo di battaglia, ci siamo resi conto che ci veniva chiesto di combattere al fianco di altri ribelli, per lo più sudanesi, per rovesciare il governo”, avrebbe detto a un'agenzia di stampa africana un ex-combattente presentatosi come il colonnello Kardaya, aggiungendo: “Quando abbiamo capito la confusione esistente tra le varie fazioni dell’est abbiamo espresso la volontà di rientrare nelle forze armate regolari”. Il governo ha accusato Tolli di aver collaborato a pianificare il tentato golpe del 14 marzo scorso insieme allo Scud ('Socle pour le changement, l’unité et la démocratie'), uno dei due principali movimenti ribelli asserragliati al confine col Sudan, guidato da due nipoti del presidente Idriss Deby. Lo Scud ha recentemente unito le sue forze al cosiddetto Fuc (‘Front uni pour le changement’), protagonista della fallita offensiva del 13 aprile scorso contro la capitale. Deby, al potere da 16 anni, attende una scontata riconferma alle elezioni del 3 maggio, boicottate dall’opposizione, i cui risultati saranno diffusi il 14 maggio.
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Old 15-05-2006, 11:44   #134
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CIAD 15/5/2006 8.44
IDRISS DEBY RIELETTO PRESIDENTE CON OLTRE IL 77%

Alla presidenza dal 1990 dopo un colpo di stato, presentatosi alle elezioni del 3 maggio per un terzo mandato dopo una revisione costituzionale molto criticata, Idriss Deby Itno è stato rieletto con il 77,53 % dei voti. Dopo il “golpe”, Deby, che ha 54 anni, era stato eletto già nel 1996 e nel 2001. Annunciando i risultati, la Commissione elettorale nazionale indipendente. (Ceni) ha anche comunicato che su un totale di 5.7 milioni di aventi diritto, ha partecipato alla consultazione il 61,49 %. Gli altri quattro candidati hanno ottenuto percentuali inferiori al 10 %;l' ex-primo ministro Kassiré Cumakoye ha raggiunto l' 8,81%; il ministro dell' agricoltura Albert Pahimi Padacké il 5,35 %. Sulla base di accuse di corruzione relative soprattutto al commercio del petrolio l’opposizione aveva deciso un boicottaggio che a quanto pare non ha raggiunto l’obiettivo. I mesi scorsi erano stati caratterizzati da ripetute scaramucce sulla frontiera con il Sudan e da un’intensa attività del Fronte unito per il cambiamento democratico (Fuc), un gruppo ribelle dell’est del paese che, secondo Deby, è sostenuto da Khartoum per scopi di destabilizzazione. Il governo sudanese, con cui Deby ha deciso di rompere le relazioni diplomatiche, ha sempre smentito le accuse, anc Un mese fa, i ribelli, che almeno una parte della popolazione sembra vedere di buon occhio come oppositori di Deby, erano arrivati fini alla capitale N’djamena dove erano stati respinti anche grazie all’appoggio dei militari francesi dell’operazione “Sparviero” dopo duri scontri che avevano provocato decine di morti (alcune fonti ne indicavano anche 150) e forse anche 200 feriti. Sullo sfondo di queste vicende c’è ancora una volta una “questione petrolifera” collegata alla gestione dei giacimenti del Ciad, ai rapporti con la Banca Mondiale ( con cui N’djamena ha avuto un lungo braccio di ferro) e al mega-oleodotto Ciad-Camerun. E’ parere di molti osservatori che Parigi sostenga Deby anche in base a interessi petroliferi.


REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 15/5/2006 10.16
ITURI: FINE SETTIMANA DI SCONTRI TRA ESERCITO E RIBELLI

Nuovi combattimenti sono esplosi nel fine settimana in Ituri, la turbolenta provincia nord-orientale della Repubblica democratica del Congo, dove, nonostante alcune recenti campagne militari dell’esercito congolese e della missione delle nazioni unite in Congo (monuc), sono ancora presenti numerosi gruppi armatI. La notizia è riportata oggi dalla stampa locale e da quella internazionale, citando fonti dell’esercito congolese, le quali hanno precisato che le tensioni sono tornate ad esplodere sabato, quando un gruppo di alcune centinaia di uomini armati ha attaccato una base dell’esercito congolese a Nioka, a nord di Bunia, verso il confine con l’Uganda. L’intensa battaglia seguita all’attacco si sarebbe conclusa con la morte di 52 ribelli e almeno un soldato regolare congolese, almeno stando al bilancio fornito da un portavoce delle forze armate congolesi. Ieri poi scontri tra truppe dell’esercito e gruppi armati si sono verificati nei pressi della cittadina di Nioka. Il bilancio, provvisorio, di questo secondo episodio parla di due morti tra le fila dei ribelli. Secondo l’esercito, i miliziani vorrebbero riconquistare alcune postazioni strategiche nell’area di Nioka (strappategli dall’esercito in recenti operazioni) per continuare a gestire alcuni traffici illeciti con la confinante Uganda.
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UGANDA 15/5/2006 14.02
STAMPA, CAPO RIBELLI LRA CHIEDE NEGOZIATI CON GOVERNO

Una richiesta per l’avvio di colloqui di pace sarebbe stata inoltrata da Joseph Kony, capo e fondatore del movimento ribelle del nord Uganda Esercito di resistenza del signore (Lra), al presidente ugandese Yoweri Museveni. Lo scrive oggi il principale quotidiano indipendente ugandese, The Monitor, precisando che la richiesta di Kony è stata consegnata al capo di Stato ugandese dal vice-presidente del Sudan, nonchè presidente dell’autorità nazionale del Sud Sudan, Salva Kiir, che il 12 maggio scorso si è recato a Kampala per partecipare alla cerimonia di insediamento di Museveni alla presidenza. Secondo la ricostruzione effettuata dal giornale ugandese, la scorsa settimana Kony avrebbe incontrato nelle foreste del Sud Sudan, Riek Machar, il vice presidente dell’autorità meridionale sudanese al quale avrebbe affidato la richiesta di mediazione e avrebbe chiesto ‘asilo’ in territorio sud sudanese fino al raggiungimento di un accordo col governo ugandese.


REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO – Sono state represse con la forza dalla polizia due distinte manifestazioni avvenute oggi in altrettante zone dell’ex-Zaire: è di tre morti e un numero indeterminato di feriti il bilancio delle proteste popolari provocate nella regione del Kasai dai continui ed improvvisi tagli di energia elettrica. Nella capitale Kinshasa, invece, migliaia di persone sono scese in strada dopo l’arresto del pastore Ferdinando Kutino, della Chiesa del risveglio, chiedendone la liberazione.

SUDAN 15/5/2006 22.09
DARFUR, NUOVA PROROGA A RIBELLI PER FIRMA ACCORDO DI PACE

Una nuova proroga fino al prossimo 31 maggio è stata concessa oggi dall’Unione Africana ai due gruppi armati del Darfur che non hanno ancora firmato l’accordo di pace con il governo di Khartoum. Lo ha annunciato in serata il ministro degli Esteri della Nigeria, Olu Adeniji, al termine del Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione Africana ad Addis Abeba, in Etiopia, dove ha sede l’organismo continentale. Lo scorso 5 maggio l’intesa per porre fine alla guerra in Darfur era stata sottoscritta dal governo sudanese e da una parte dell’Esercito di liberazione del Sudan (Sla), ma non da una fazione dissidente dello stesso gruppo né dall’altra formazione ribelle (il Movimento per la giustizia e l’uguaglianza, Jem). La mancata firma entro la fine di maggio – ha aggiunto il ministro – “indicherà il non impegno nel processo di pace”. In questo caso, ha detto ancora, l’Unione Africana “prenderà tutte le misure necessarie”, chiedendo al Consiglio di sicurezza dell’Onu di imporre “sanzioni mirate”. Invano nelle ultime ore erano aumentate le pressioni per spingere i due gruppi ad aderire all’accordo di pace che dovrebbe porre fine alla guerra in Darfur, dove finora – secondo stime diffuse – vi sarebbero stati oltre 180.000 morti (fino a 300.000 stando ad alcune fonti) e circa due milioni tra sfollati e profughi nel vicino Ciad.
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CIAD 16/5/2006 10.05
NUOVE ACCUSE CONTRO KHARTOUM

Il governo sudanese ha creato “un nuovo gruppo” ribelle per aggredire il Ciad: è la sintesi del messaggio letto ieri notte sulle frequenze della radio e della televisione pubblica ciadiana dal ministro della Comunicazione del governo di N’djamena, Hourmadji Moussa Doumgor, il quale ha precisato che le autorità sudanesi avrebbero raccolto in una nuova formazione “gruppi armati ostili al presidente Idriss Deby Itno”. Alla guida di questa nuova forza si troverebbe Mahamat Nour Abdelkerim, già a capo del gruppo armato anti-governativo Fronte unito per il cambiamento (Fuc), responsabile dell’attacco alla capitale dello scorso aprile. "Questo nuovo gruppo – ha aggiunto Doumgor - è stato creato a Khartoum e rifornito di armi e altri equipaggiamenti militari prima di essere trasferito domenica nella città di el-Geneina”, capoluogo del Darfur occidentale uno dei 3 stati che compongono l’omonima regione al confine tra Ciad e Sudan e già teatro di un conflitto interno dal febbraio 2003. Il ministro, a nome del governo ciadiano, ha poi chiesto alla comunità internazionale di intervenire “prima che sia troppo tardi” e ha sottolineato che N’djamena “si riserva il diritto di fare tutto quello che è in suo potere per respingere eventuali attacchi, da ogni parte essi provengano”.


CIAD 16/5/2006 13.51
ONU: PROSEGUE ARRUOLAMENTO FORZATO NEI CAMPI PROFUGHI

Sono stati quasi 5000 i profughi sudanesi (uomini e adolescenti) arruolati nel mese di marzo da non meglio precisati gruppi ribelli sudanesi: lo ha detto oggi al Palazzo delle Nazioni Unite di Ginevra Ron Redmond, portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Acnur/Unhcr), tornando a lanciare l’allarme su un fenomeno che, “nonostante le precedenti segnalazioni, continua a verificarsi in maniera costante” in molti dei campi creati nell’est del Ciad per accogliere i profughi del confinante Darfur. Secondo i dati diffusi da Redmond, gli arruolamenti (forzati e volontari) di giovani hanno riguardato finora soprattutto i campi di Breidjing e Treguine, entrambi nell’est del Ciad, ma più recentemente anche il grande campo di Goz Amir. “Dalle testimonianze dei rifugiati temiamo che le operazioni di reclutamento possano estendersi ulteriormente anche ad altre strutture finora risparmiate da questo fenomeno” ha detto ancora Redmond. I giovani rifugiati che sono riusciti a tornare nei campi da cui erano stati costretti a partire hanno raccontato di essere stati portati in “aree di addestramento” a ridosso della frontiera tra Ciad e Sudan, dove è stato loro insegnato a maneggiare le armi, in attesa di essere trasferiti in zone di combattimento. L’Acnur ha chiesto con urgenza al governo del Ciad di fare tutto il possibile per assicurare il carattere civile dei campo profughi. Non è chiaro su quale fronte dovrebbero essere impegnati, nelle intenzioni dei loro ‘rapitori’, i profughi sudanesi: se nel conflitto in Darfur o dall’altra parte del confine negli scontri tra i ribelli ciadiani e il governo sudanese.
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SUDAN 16/5/2006 19.21
DARFUR: NUOVA RISOLUZIONE ONU SU RISPETTO ACCORDI DI PACE E INVIO ‘CASCHI BLU’

Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha varato una nuova risoluzione, la numero 1679, per chiedere una stretta osservanza dell’accordo di pace per il Darfur firmato il 5 giugno ad Abuja (Nigeria) dal governo di Khartoum e da una parte dell’Esercito di liberazione del Sudan (Sla) e accelerare l’invio dei ‘caschi blu’ nella regione. Nel documento, presentato dagli Usa, il Consiglio “esprime l’intenzione di adottare misure ferme ed efficaci (...) contro tutte le persone o i gruppi che violeranno o tenteranno di ostacolare l’applicazione dell’intesa”. Sul dispiegamento dei soldati Onu, in sostituzione dei militari dell’Unione Africana giudicati finora incapaci di fermare le violenze contro la popolazione civile, la risoluzione dà al Sudan una settimana di tempo per consentire l’ingresso di esperti militari in Darfur; il passaggio delle consegne dovrebbe avvenire, secondo il Consiglio, entro la fine di settembre. Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, dovrà pronunciarsi dettagliatamente sulla dimensione della nuova forza di pace e sul suo mandato, al massimo entro una settimana dal rientro della missione esplorativa in Darfur. Già ieri, il Palazzo di Vetro aveva annunciato che dal 4 al 13 giugno una delegazione di osservatori sarà in Africa per verificare gli scenari considerati più ‘caldi’: La missione farà tappa a Khartoum, poi a Juba, capitale del Sud Sudan pacificato e a el-Facher, in Darfur; in seguito si recherà in Ciad, ad Addis Abeba, sede dell’Ua, e a Brazzaville nella Repubblica del Congo.
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Old 17-05-2006, 23:16   #138
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UGANDA 17/5/2006 18.19
AVVIATA MEDIAZIONE, RIBELLI LRA SOSPENDONO ATTACCHI IN SUD SUDAN

“Il comandante dell’Esercito di resistenza del signore (Lra) Joseph Kony si è impegnato a sospendere le ostilità in Sud Sudan e il nostro governo faciliterà la mediazione con l’Uganda”: lo ha detto oggi alla MISNA John Garang Deng, viceministro dell’Informazione del sud Sudan, dopo le notizie pubblicate dalla stampa ugandese su un possibile trattativa tra i ribelli dello Lra (Lord’s resistance army), attivi soprattutto nel nord Uganda, e le autorità di Kampala. Garang Deng ha anche confermato alla MISNA che il vicepresidente del Sud Sudan Riek Machar ha incontrato nei giorni scorsi il capo dei ribelli Kony – ricercato dalla Corte penale internazionale dell’Aja insieme ad altri 4 comandanti - nella località di Maridi, a poche decine di chilometri dal confine con la Repubblica democratica del Congo. La proposta per avviare colloqui di pace è stata poi portata dal presidente del Sud Sudan Salva Kiir al suo omologo ugandese Yoweri Museveni due giorni fa, durante la cerimonia di insediamento di quest’ultimo, riconfermato alla presidenza per altri cinque anni. “L’Uganda ha accettato il ruolo di garanzia del governo del Sud Sudan, che ha già fissato una serie di incontri con i ribelli” ha detto ancora il vice-ministro. Da Kampala, intanto, il presidente Museveni ha fatto sapere che garantirà “la sicurezza” del capo ribelle se questi accetterà di deporre le armi entro il 31 luglio, altrimenti avvierà un’azione militare congiunta con l’esercito del Sud Sudan (di fatto composto dagli ex-ribelli dell’Esercito di liberazone popolare, Spla). Non è chiaro se il riferimento alla ‘sicurezza’ di Kony sia relativo ai mandati di cattura della Corte penale internazionale contro i vertici della ribellione. Secondo osservatori locali l’iniziativa della procura della Corte dell’Aja negli ultimi mesi avrebbe compromesso le precedenti trattative di pace avviate dal governo ugandese. Garang Deng ha anche confermato che alla metà di aprile – come la MISNA aveva scritto – un gruppo di ribelli è stato prelevato dai soldati sudanesi nella zona del Parco della Garamba, nel nord della confinante Repubblica democratica del Congo, e portato in territorio sudanese. In vent’anni i ribelli dello Lra hanno ucciso – secondo stime diffuse – circa 100.000 civili soprattutto in nord Uganda, arruolato a forza 25.000 bambini-soldato provocando oltre un milione e mezzo di sfollati.




SUDAN 17/5/2006 12.01
DARFUR: ONU E UA, “PROSEGUONO SCONTRI E VIOLAZIONI TREGUA”

Mentre la diplomazia è intenta a convincere i non firmatari a sottoscrivere l’accordo di pace siglato il 5 maggio scorso da due dei principali protagonisti della guerra del Darfur, nella regione occidentale del Sudan i combattimenti, gli scontri e le violenze continuano con cadenza quasi quotidiana. Lo riferiscono fonti delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana, secondo cui dal giorno della firma dell’accordo si sono registrati numerosi episodi di violenza in tutti e tre gli Stati, Darfur settentrionale, occidentale e meridionale, che compongono l’omonima regione, teatro di un conflitto interno dal febbraio 2003. Secondo i resoconti settimanali della Missione dell’Onu e di quella dell’Unione Africana (Ua) in Sudan, di cui la MISNA ha preso visione, una serie di attacchi (l’ultimo solo lunedì scorso) sarebbero stati lanciati dopo la firma dell’accordo dai cosiddetti Janjaweed (le milizie di predoni arabi vicine al governo sudanese) nei villaggi intorno a Kutum, nel Darfur settentrionale. Secondo le stime raccolte da fonti locali, almeno 15 persone sarebbero morte nelle violenze, che avrebbero interessato i villaggi di Kori, Karbi e Lari Kangra. “Sono informazioni difficili da verificare, ma sembra che gli attacchi siano avvenuti intorno al villaggio di Korgat” ha detto Abdourahman Ahmed, responsabile politico dell’Ua in Sudan, alla stampa internazionale. Non sono ancora stati identificati, invece, i responsabili di un altro attacco lanciato domenica contro alcune località nei pressi di El-Gereida, nel Darfur meridionale. Sempre nella stessa zona, “oltre 300 miliziani armati appoggiati dalle forze dell’esercito regolare sudanese hanno attaccato la base dell’Esercito di liberazione del Sudan (Sla) a Labado (60 chilometri a est di Nyala, capoluogo del Darfur meridionale) l’8 maggio scorso” si apprende dal rapporto del Uncts, l’ufficio sudanese dell’Onu. La città tuttavia, prosegue la nota, è rimasta nelle mani dei ribelli e i bilanci in circolazione riferiscono che nei combattimenti sono morte almeno 42 persone: 17 elementi dello Sla e 25 miliziani. A questi andrebbero poi aggiunti un numero imprecisato di soldati governativi morti negli scontri. L’accordo di pace del 5 maggio scorso era stato firmato, seppur con riserva, proprio dai vertici dello Sla (il principale dei gruppi ribelli attivi nel conflitto del Darfur) e dal governo di Khartoum.



REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO – Innocent Kaina, considerato il fondatore del gruppo ribelle Movimento rivoluzionario del Congo (Mrc) è stato arrestato nella regione nord-orientale dell’Ituri in un’operazione della Monuc, la missione di pace dell’Onu in ex-Zaire; è stato poi trasportato all’ospedale di Bunia per curare le ferite riportate durante gli scontri con i caschi blu che lo hanno catturato.



REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 17/5/2006 13.59
BERLINO APPROVA INVIO SOLDATI IN VISTA DI ELEZIONI

Il governo tedesco ha approvato oggi il dispiegamento di propri in soldati nella Repubblica democratica del Congo nell’ambito della forza militare che l’Unione Europea invierà nel paese in vista delle elezioni del 30 luglio prossimo. Lo ha annunciato oggi il ministro della difesa tedesco, Franz Josef Jung, precisando che il contributo di Berlino alla missione dovrebbe aggirarsi intorno agli 800 uomini e che per l’avallo formale bisognerà aspettare l’approvazione della Bundestag, la camera bassa del Parlamento, che dovrà votare la decisione il 1 giugno prossimo. Quella di Berlino (il voto del Parlamento appare abbastanza scontato, vista la maggioranza di cui in godono i partiti dell’esecutivo) sarà la prima missione militare in Africa dai tempi della fine dell’epoca coloniale. Le truppe tedesche costituiscono, insieme a quelle francesi, il nucleo della forza europea da inviare in Congo.
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SUDAN 20/5/2006 12.19
DARFUR: MALGRADO ACCORDO DI PACE, OPERAZIONI UMANITARIE A RISCHIO

“Le prossime settimane saranno assolutamente critiche per milioni di persone in questa regione. Malnutrizione e indici di mortalità potrebbero moltiplicarsi”: lo ha detto il sottosegretario Onu agli aiuti umanitari, Jan Egeland, parlando della situazione del Darfur, dove da oltre tre anni è in corso un conflitto che la comunità internazionale non è ancora riuscita a fermare. Secondo Egeland, il futuro immediato segnerà “una cesura: possiamo andare verso la riconciliazione e la ricostruzione, oppure assistere persino a ulteriori crolli dei nostri sforzi di garantire protezione e aiuto a milioni di persone”. Il diplomatico ha sottolineato che gli attacchi contro gli operatori umanitari sono continuati e la mancanza di accesso ad alcune zone limita l’assistenza alle vittime civili; per questo, ha insistito, è “assolutamente necessario” incrementare la presenza di soldati di pace a fianco dei circa 7.000 dell’Unione Africana, incapaci finora di limitare gli attacchi delle milizie filo-governative e dei ribelli. Intanto si apprende che il Consiglio di sicurezza – dopo l’invio di due emissari di Kofi Annan a Khartoum per preparare la missione di pace dell’Onu in Darfur – ha deciso di riunirsi nella capitale sudanese alla fine di giugno per una delle rare sedute che vengono effettuate all’esterno del Palazzo di vetro di New York. L’obiettivo – secondo il giornale arabao ‘Asharq al-Awsat’ edito a Londra – è una seduta dedicata all’accordo di pace firmato in Nigeria all’inizio di tra il governo di Khartoum e una fazione di uno dei due gruppi ribelli del Darfur.


REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 20/5/2006 9.47
DIRITTI UMANI, È L’ESERCITO GOVERNATIVO IL PRIMO A COMPIERE VIOLAZIONI

“Le Forze armate della Repubblica democratica del Congo (Fardc) sono responsabili della maggioranza dei casi di violazioni dei diritti umani che sono state oggetto di un’inchiesta nel mese di aprile 2006”: lo scrive la sezione diritti umani della Missione dell’Onu in ex-Zaire (conosciuta come Monuc), in un dettagliato documento reso pubblico ieri. Esprimendo “preoccupazione per l’aumento di casi di violazioni delle libertà civiche”, gli esperti dell’Onu li hanno registrati soprattutto nelle province dell’Ituri (nord-est), del Nord e sud Kivu (est, la regione più instabile del Paese) e nell’Equatore (nord). Decine di casi di esecuzioni extra-giudiziali, stupri, saccheggi e abusi di potere sono stati commessi dai soldati del riunificato esercito congolese, che comprende alcuni degli ex-gruppi ribelli protagonisti del conflitto del 1998-2003, ma anche dalla polizia nazionale e dalla Guardia presidenziale del capo di Stato Joseph Kabila. Il rapporto indica anche numerosi casi di arresti di personalità politiche o di militanti di partiti, in relazione alle prossime elezioni presidenziali e legislative del 30 luglio. Rispetto ai 70 casi di violenze attribuite all’esercito, sembrano relativamente ridotti (“solo” 11) quelli di cui sono stati responsabili i gruppi armati ribelli, in particolare le ex-milizie filogovernative Mayi-Mayi e le Forze democratiche per la liberazione del Rwanda (Fdlr), gli estremisti hutu accusati di coinvolgimento nel genocidio ruandese del 1994; questi ultimi avrebbero dovuti essere disarmati già da anni: la loro smobilitazione era uno degli obiettivi principali della Monuc (la missione di pace più costosa del mondo, poco meno di un miliardo di euro all’anno), invece sono ancora attivi nell’est del Congo.
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REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 22/5/2006 9.51
ITURI: OPERAZIONE CONTRO UNO DEGLI ULTIMI GRUPPI RIBELLI

Un numero imprecisato di ribelli – 9 secondo alcune fonti, 32 stando ad altre – è stato ucciso in un’operazione militare condotta dall’esercito governativo con l’appoggio della missione dell’Onu nel tormentato distretto dell’Ituri, nel nord-est della Repubblica democratica del Congo. Circa 3.000 soldati e 500 ‘caschi blu’ sabato scorso hanno cercato di riprendere il controllo della località di Tchey, roccaforte delle milizie del Movimento rivoluzionario congolese (Mrc), che avrebbero risposto con armi pesanti e colpi di mortaio. Stando a informazioni in circolazione stamani sulla stampa locale, ieri i ribelli - alcune centinaia, forse un milgliaio - avrebbero lanciato una controffensiva per poi comunque abbandonare la località. I militari dell’Onu – in particolare il contingente del Bangladesh – hanno appoggiato con mezzi blindati ed elicotteri i soldati congolesi, che in queste ore sono ancora impegnati per prendere il controllo della zona di Tchey. Secondo un portavoce delle Forze armate congolesi (Fardc), almeno quattro militari sarebbero stati uccisi. I ribelli di questo gruppo sono tra gli ultimi attivi in Ituri, dove la guerra del 1998-2003 ha provocato – secondo stime Onu – oltre 50.000 vittime e mezzo milione di sfollati. Altre formazioni armate, sostenute da Uganda e Rwanda per sfruttare illegalmente le enormi ricchezze naturali di questa parte dell’ex-Zaire, sono stati in parte disarmati e i loro comandanti arrestati; uno di loro è già stato trasferito alla Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja, in Olanda, per rispondere di crimini di guerra. La missione Onu in Congo (conosciuta come Monuc) sta cercando di eliminare gli ultimi movimenti ribelli attivi soprattutto nell’est del paese alla vigilia delle elezioni presidenziali e legislative del prossimo 30 luglio, le prime multipartitiche dopo 41 anni. Per il voto, è previsto il dispiegamento – accanto ai circa 17.000 caschi blu dell’Onu, di altri 1.400 soldati europei, probabilmente francesi e tedeschi con l’obiettivo di garantire sicurezza.


SUDAN 22/5/2006 9.01
DARFUR: ANCORA VITTIME CIVILI, IN ARRIVO INVIATO ONU

Almeno sessanta civili sono stati uccisi in recenti attacchi compiuti in diverse località del Darfur malgrado l’accordo di pace firmato all’inizio di maggio in Nigeria da una parte dei ribelli attivi in questa regione del Sudan: lo hanno denunciato osservatori dell’Unione Africana (Ua) e dell’Onu. “Abbiamo assistito a un’impennata di attacchi nell’ultima settimana” ha detto Moussa Hamani, il responsabile dell’ufficio informazione del contingente panafricano schierato in Darfur con 7.300 soldati. La missione Onu presente a Khartoum – incaricata per ora di vigilare la tregua tra Nord e Sud Sudan ma che presto potrebbe dispiegare ‘caschi blu’ anche in Darfur – ha intanto affermato di aver ricevuto notizie di un attacco delle forze governative contro i cosiddetti ‘Janjaweed’ (letteralmente ‘diavoli a cavallo’), i predoni di origine araba accusati di aver compiuto gravi violazioni contro la popolazione nera con l’appoggio dell’esercito. L’accordo di pace prevede il loro disarmo, ma secondo l’Onu Nazir Tigani – un leader locale dei ‘Janjaweed’ - ha detto che il suo gruppo non cederà le armi. Le stesse fonti riferiscono anche di attacchi compiuti dai ribelli di una fazione dissidente dell’Esercito di liberazione del Sudan (Sla), che non hanno firmato il documento di pace ad Abuja. “Il problema – ha concluso il responsabile dell’Ua – è che ognuno vuole garantirsi il territorio più ampio possibile prima della tregua e dell’effettivo disarmo”. Domani dovrebbe arrivare nella capitale Khartoum l’inviato dell’Onu Lakhdar Brahimi, già impegnato in Afghanistan ed Iraq; il suo compito è di preparare la missione del contingente di pace dell’Onu in Darfur, che il governo del Sudan ha a lungo rifiutato ma che ora sembra disposto ad autorizzare.
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