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Senior Member
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La gente mi evita, teme la mafia
«A Palermo con mio figlio 15 anni dopo
La gente mi evita, teme la mafia» Rosaria Schifani, vedova di un agente della scorta di Falcone: i giudici? Litigano come allora DAL NOSTRO INVIATO PALERMO — Quindici anni dopo la strage di Capaci, è tornata a Palermo Il luogo dove avvenne la strage di Capaci nella quale persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della polizia di Stato di scorta Vito Schifani, Rocco Di Cillo e Antonio Montinaro. (Ansa) Rosaria. Con il suo Manù che aveva appena quattro mesi quando restò orfano. La giovane vedova, sempre ricordata per quell'acuto dolente rivolto ai mafiosi, «Vi perdono, ma inginocchiatevi», ha scrutato per cinque giorni la città dove il marito Vito Schifani morì dilaniato con altri due colleghi per proteggere Giovanni Falcone. Eccola con Manù in centro, in vacanza come una turista, fra Politeama e Teatro Massimo dove nessuno la riconosce. A passeggio nella borgata dove nacque, a Vergine Maria, con il ragazzo che lei ha fatto crescere in Toscana. E Manù ha scoperto solo adesso con inquietudine i vicoli, le casette basse fra lungomare e cimitero dei Rotoli, gli angoli abbelliti, ma anche il disastro della vicina Arenella, la spazzatura agli angoli, le costruzioni abusive. Con gli occhi di un ragazzo stupito, disorientato davanti alla città ritrovata: «Mamma perché Palermo è così bella e così brutta?». Rosaria ha ricostruito la sua vita lontano da Vergine Maria e dall'Uditore, il quartiere dei genitori. Ma ha voluto accompagnare Manù nella città da dove l'aveva portato via. Ha ripercorso le strade dell'infanzia, ha rivisto parenti, incrociato conoscenti. Un viaggio, un calvario. La prima posta è la casa natia, due ulivi, il mare di fronte. Una donna s'avvicina, incerta. «Sei la figlia di Lina?». «Ho colto affetto. Ma è scattato subito un rifiuto», spiega Rosaria turbata su queste viuzze a due passi dal cimitero. Le case dei vivi a ridosso delle tombe. Le case sulla costa dominate da croci e gentilizie che scivolano sul pendio. Morte e vita impastate. «Gli uomini non si avvicinano. Contorti come i vicoli. Hanno paura, incontrandomi, fermandosi e parlando, di dare l'impressione di pensarla come me. E allora tanti fingono di non vedermi: meglio non averci a che fare. E gli sguardi mi attraversano come fossi trasparente. Ma non dovrebbe essere il contrario? Dovrei essere io a non volere avere a che fare con loro». Manù osserva e chiede: «Si vergognano di te, mamma?». Ha trovato la casa delle vacanze su Internet, a due passi da Villa Igiea. «Bellissima», gioisce dal balconcino sul mare e sui pizzi della Tonnara Florio. Ma si rabbuia subito, mentre due ragazzotti schizzano in moto senza caschi: «La spiaggia, una distesa sterrata. Il mare bagna polvere e immondizia. Dov'è il Comune? Hanno fatto le elezioni e hanno un sindaco. Ma c'è un netturbino? Un vigile urbano che si occupi delle norme da rispettare? La facciata di Palermo finalmente appare vivibile nel centro della città. Qualcosa è stata fatta, si vede. Ma un sindaco non deve lavorare sul bello, deve occuparsi del brutto. Chiedo scusa, ma non mi sembra che Palermo sia andata avanti». Tornerebbe Rosaria a vivere qui? «Manco morta. A Palermo sento odore di mafia, l'arroganza del quartiere, della politica ridotta ad affare, del parcheggiatore abusivo, dei commercianti meravigliati quando chiedo lo scontrino. Da sola ci starei. Per sfidare quei maledetti che condizionano pure il respiro dei nostri parenti. Qui prevale il doppio. La costa sembra bella ed è brutta per le costruzioni che la assediano. Le case sembrano brutte, ma dentro sono belle. Per nascondere, per confondere, per scansare invidie. Prevale il contrasto. Guardo e mi rattristo. Qui non cambia niente». E' l'amara sensazione che l'accompagna attraversando la città, indicando a Manù l'Albero Falcone, arenandosi nel traffico intorno al Palazzo di Giustizia. Da lontano ha pensato che potesse cambiare qualcosa? «Poteva cambiare tutto. Ma lo Stato si è fermato. I magistrati hanno ripreso a litigare fra loro. Divisi fra amici di Grasso e amici di Caselli. Ancora? Basta. Come ai tempi di Falcone. Senza mai riconoscere i meriti di chi lavora davvero. Sono contenta per tante inchieste che hanno fatto scoprire dei traditori pure all'interno dell'apparato investigativo. Ma non basta. Lo Stato s'è fermato troppe volte. Perché lo Stato ha paura di guardarsi dentro». E' un atto d'accusa con il quale evoca una stagione investigativa: «Sciolsero il Gruppo Stragi quando ancora stavano lavorando sui mandanti occulti di Capaci e via D'Amelio. E' come se lo Stato avesse voluto interrompere quel lavoro. Quanti libri sono usciti su quelle ed altre inchieste. I magistrati diventano scrittori. Ma non ci dicono fino in fondo in quali misteri si sono impantanati. A cominciare dalla cassaforte vuota di Riina, dal databank di Falcone con la memoria cancellata, dalla borsa fatta sparire dalla macchina di Borsellino con l'agenda dentro». Un consiglio? «Per Provenzano e compagnia non parlate di cicoria, vizi e vezzi. Non create e non amplificate il mito. Abbiamo di fronte solo assassini». Chi è Provenzano? «Un signore che, col suo misticismo, prende in giro anche Dio». Se potesse parlargli? «Una domanda ce l'ho. Perché furono fatte le stragi? Questo voglio sapere, visto che la giustizia arriva e si ferma solo a voi boss. Ma la mafia è mafia quando si associa a qualcosa che si muove in altri ambienti. No, forse è meglio un altro tono: se può fare quest'atto di carità, signor Provenzano, parli per favore. So che forse è utopia. Capisco che potrebbe temere di essere avvelenato in carcere, com'è successo altre volte in Italia, ma faccia la carità a questo popolo senza verità. Si liberi signor Provenzano e muoia almeno senza questo peso. Ti scade l'affitto, Bernardo Provenzano. Sei anche tu di passaggio. Liberati dal male, liberaci con la verità». L'inquietudine maggiore? «Il mistero delle stragi a Palermo. Perché non a Roma, dove Falcone era un bersaglio facile? A che cosa doveva servire il segnale di Palermo? Bisogna scoprire le complicità alte, visto che tutto accadde mentre si stava eleggendo il Presidente della Repubblica». Chi potrebbe convincere Provenzano a parlare? «I suoi figli. Ho notato una differenza con quelli di Riina. Una diversità segnata forse dal ruolo della donna. "I miei ragazzi non devono delinquere", avrà detto la madre. Mentre la moglie di Riina, sorella di Bagarella, non mi pare che abbia fatto lo stesso. Ecco perché oggi mi interessa di più la famiglia Provenzano. Ai suoi figli parlerei: aiutate vostro padre a confessare. Tu, figlio di Provenzano che insegni a scuola, insegna a tuo padre a cambiare». Rosaria insiste quindi su pentimento e perdono? Si può ancora ripetere quel «perdono, ma inginocchiatevi»? «Intanto, chi lo vuole deve chiederlo. E agire. Inginocchiarsi significa parlare, raccontare, pentirsi davvero, non solo fare un patto con lo Stato. Perché con quei patti sono emerse solo mezze verità. Non basta. Serve solo la verità, anche se cruda. Non controfigure della verità nascosta occultando il contenuto di una cassaforte, cancellando e facendo sparire agende». Prevale il pessimismo? «Ricordo l'incontro con la vedova di Pio La Torre, guardinga. Mi spiegò che eravamo vittime non di "segreti di Stato", ma di "delitti di Stato"». Che immagine porta via Manù di questa Sicilia? «Gli ho spiegato che, oltre ai boss con la coppola, in questo Paese troppi conviviamo con i mafiosi diventando ciechi. Io no, non posso farlo. Per Manù, cresciuto accanto a un uomo straordinario che chiama papà. Un uomo dello Stato, come lo era il mio Vito. Lo racconto perché perfino un vicino qui mi ha redarguito, agghiacciante: "Te lo sei portato appresso lo sbirro? La prossima volta, da sola". Specchio di una mentalità che se ne infischia della società civile, pietrificata, immutabile, nonostante ogni tragedia, ogni anniversario». E Rosaria riparte. http://www.corriere.it/Primo_Piano/C...avallaro.shtml |
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#2 |
Senior Member
Iscritto dal: Nov 2003
Città: Brindisi
Messaggi: 874
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Ho appena letto l'articolo sul Corriere. Non ci sono commenti da fare.
I siciliani assecondano la mafia o ne hanno il terrore. Quelli che la odiano sono come gocce nell'oceano |
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#3 |
Member
Iscritto dal: Aug 2006
Città: Treviso
Messaggi: 192
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hanno rieletto cuffaro.....cosa aspettarsi da loro?
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''Chi lotta può perdere,chi non lotta ha già perso.'' ''Se tu vieni,per esempio,tutti i pomeriggi alle quattro,dalle tre io comincerò ad essere felice.'' |
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#4 |
Member
Iscritto dal: Feb 2006
Messaggi: 287
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inquietante.
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"Non sono narcisista, nè egoista. Se fossi vissuto nell'antica Grecia non sarei stato Narciso". "E chi saresti stato?". "Giove"
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#5 | |
Senior Member
Iscritto dal: May 2003
Città: Lucca
Messaggi: 14946
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焦爾焦 |
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#6 |
Bannato
Iscritto dal: Sep 2002
Città: LA CITTA' PLURI-CAMPIONE D'ITALIA!
Messaggi: 5903
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Tutti i politici,giudici ed altri coivolti in processi di mafia sn sempre stati assolti alla fin fine...l'italia è un paese,comed isse lunardi
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#7 |
Member
Iscritto dal: Aug 2006
Città: Treviso
Messaggi: 192
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almeno lo stato mi paga l'assistenza sanitaria,la mafia non penso(sempre disposto a sbagliarmi comunque...)
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''Chi lotta può perdere,chi non lotta ha già perso.'' ''Se tu vieni,per esempio,tutti i pomeriggi alle quattro,dalle tre io comincerò ad essere felice.'' |
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#8 | |
Bannato
Iscritto dal: Aug 2001
Città: Berghem Haven
Messaggi: 13526
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E qui non sono certo comunisti a parlare. |
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#9 |
Senior Member
Iscritto dal: May 2003
Città: Lucca
Messaggi: 14946
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Purtroppo la mia è una constatazione di un dato di fatto, mica sono contento che sia così, però è da capire anche chi abitando in certe zone si trovi a fare determinate scelte che diventano OBBLIGATE se si vuole vivere.
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焦爾焦 |
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#10 |
Senior Member
Iscritto dal: Jan 2006
Messaggi: 785
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la mafia c'era prima dello stato
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#11 | |
Bannato
Iscritto dal: Aug 2001
Città: Berghem Haven
Messaggi: 13526
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#12 |
Member
Iscritto dal: Jun 2001
Città: Torino
Messaggi: 203
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...e quando lo stato è arrivato, ha pensato bene di entrarci in affari...
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“Oggi ci vogliono due qualità: l’onestà e il coraggio. Quindi l’appello che faccio ai giovani è questo: cercate di essere onesti prima di tutto. La politica dev’essere fatta con le mani pulite! Se c’è qualche scandalo, se c’è qualcuno che dà scandalo, se c’è qualche uomo politico che approfitta della politica per fare i suoi sporchi interessi, deve essere denunciato” ... Sandro Pertini. |
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#13 |
Senior Member
Iscritto dal: Jan 2006
Messaggi: 785
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appunto
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#14 | |
Senior Member
Iscritto dal: Dec 2002
Città: AnTuDo ---------- Messaggi Totali: 10196
Messaggi: 1521
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Quote:
la mafia non e' solo coppola e vinello[ ![]() la mafia e' favore, vive di quello, vive di quello che va male, la mafia del fatto che ti fa passare come favore, quello che ti spetta di diritto, e uno dei campi preferiti e la sanita'...ma anche tutti gli altri devi fare una visita e ti spetta entro 30 giorni? bene in realta' la visita si sposta a 300 giorni, e quando la fai, devi sperare di essere qualcuno per averla fatta con in maniera regolare, allora cosa si fa? si va dall'amico e gli si chiede il favore di poter essere visitato nel piu' breve tempo possibile, risultato? a te ti fanno passare come favore quello che ti spetta come diritto, e resti pure obbligato con chi ti ha fatto il favore, generalmente si tratta di voti.. dimmi a chi conviene una sanita'[nel caso di questo esempio] che funzioni? a quello che alla fine ha avuto la visita? a quello che ricevera' il voto? no... ecco la mafia vive di questo..questo e' il terreno della mafia... le cose devono andare male per vivere, quella e' la sua linfa... Io stavo li, il giorno dei funerali di falcone..ah.cazzo, sembrava che doveva scoppiare il mondo...sembrava, ma dopo qualche mese tutto fu assimilato, e dopo qualche anno, con la mafia come disse un ministro..bisogna saper convivere... non cambiera mai niente, perche quel modo di pensare, e' una cosa gentica, ereditaria, come si dice? i parenti,genitori non li scegli? be questo e' vero, uno non sceglie ne i parenti.ne i genitori..uno puo' ritrovarsi un parente mafioso..un familiare, non si scelgono..ma ci vogliono due controcazzi per mandare a farli in culo, perche nel momento che lo fai, sei fuori..non conti piu', sei solo.
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“ Fiat iustitia, et pereat mundus”-המעז מנצח - ![]() |
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#15 |
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Iscritto dal: Jan 2007
Messaggi: 41
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Poteva cambiare tutto. Ma lo Stato si è fermato. I magistrati hanno ripreso a litigare fra loro. Divisi fra amici di Grasso e amici di Caselli. Ancora? Basta. Come ai tempi di Falcone. Senza mai riconoscere i meriti di chi lavora davvero. Sono contenta per tante inchieste che hanno fatto scoprire dei traditori pure all'interno dell'apparato investigativo. Ma non basta. Lo Stato s'è fermato troppe volte. Perché lo Stato ha paura di guardarsi dentro».
E' un atto d'accusa con il quale evoca una stagione investigativa: «Sciolsero il Gruppo Stragi quando ancora stavano lavorando sui mandanti occulti di Capaci e via D'Amelio. E' come se lo Stato avesse voluto interrompere quel lavoro. Quanti libri sono usciti su quelle ed altre inchieste. I magistrati diventano scrittori. Ma non ci dicono fino in fondo in quali misteri si sono impantanati. A cominciare dalla cassaforte vuota di Riina, dal databank di Falcone con la memoria cancellata, dalla borsa fatta sparire dalla macchina di Borsellino con l'agenda dentro». Ifamosi mandanti occulti,citati da diversi pentiti. |
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#16 |
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Iscritto dal: Jan 2007
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http://www.cuntrastamu.org/mafia/documenti_sen.htm
http://www.archivio900.it/it/download/file.aspx?id=135 T R I B U N A L E D I C A L T A N I S S E T T A UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI DECRETO DI ARCHIVIAZIONE (artt.409 e 411 c.p.p.) Il Giudice, dott. Giovanbattista Tona, nel procedimento nei confronti di: • BERLUSCONI Silvio, nato a Milano il 29 settembre 1936; • DELL’UTRI Marcello, nato a Palermo l’1 settembre 1941; in relazione al reato di cui agli artt.110-422 c.p., 7 d.l. 13 maggio 1991, n.152 (conv. in l. n.203/91) (c.d. aggravante della finalità mafiosa), 1 d.l. 15 dicembre 1979 n.625 (conv. in l.n.15/80) (c.d. aggravante della finalità di terrorismo). [3.2]La Corte di Assise di Caltanissetta, nella sentenza che ha concluso il c.d. “Via D’Amelio ter”, ha sostenuto che “risulta quanto meno provato che la morte di Paolo Borsellino non era stata voluta solo per finalità di vendetta e di cautela preventiva, bensì anche per esercitare – cumulando i suoi effetti con quelli degli altri delitti eccellenti – una forte pressione sulla compagine governativa che aveva attuato una linea politica di contrasto alla mafia più intensa che nel passato ed indurre coloro che si fossero mostrati disponibili tra i possibili referenti, a farsi avanti per trattare un mutamento di quella linea politica (…). E proprio per agevolare la creazione di nuovi contatti politici occorreva eliminare persone che come Borsellino avrebbe scoraggiato qualsiasi tentativo di approccio con cosa nostra”. ..... Appare allora opportuno esaminare, in maniera approfondita, le propalazioni dei collaboratori a carico di Berlusconi e Dell’Utri nei loro contenuti, nella loro genesi e nella loro progressione, tenendo conto dei verbali a disposizione di questo Ufficio. 4. Le dichiarazioni di Salvatore Cancemi Salvatore Cancemi è un collaboratore di giustizia che proviene dai ranghi direttivi di “cosa nostra”, essendo stato reggente del mandamento di Porta Nuova e come tale componente della c.d. “Commissione Provinciale”, competente a decidere gli omicidi di uomini dello Stato ..... La sua collaborazione è iniziata, quando egli ha deciso di consegnarsi spontaneamente ai Carabinieri il 22/7/1993 ..... Cancemi ha dichiarato al P.M. nisseno l’1/11/1993 che, nel maggio del 1992, di ritorno da una riunione con altri soggetti di “cosa nostra”, egli aveva discusso con Raffaele Ganci dell’attentato a Giovanni Falcone. Ganci gli avrebbe detto che Riina aveva avuto un incontro con persone molto importanti, insieme alle quali aveva deciso di “mettere una bomba a Falcone. Queste persone importanti” – avrebbe aggiunto Ganci – “hanno promesso allo zù Totò che devono rifare il processo nel quale lui è stato condannato all’ergastolo”. ..... In quell’interrogatorio Cancemi disse di essere andato con Ganci a due riunioni con altre persone di “cosa nostra” ..... Nel corso dell’interrogatorio del 7/1/1994, ha rievocato “il discorso… che Ganci mi confidò che Salvatore Riina si era incontrato con personaggi importanti proprio in relazione all’attentato in danno del giudice Falcone per ottenere in cambio una probabile revisione dei processi o altri favori come per esempio la non approvazione della legge sui pentiti o comunque di non rendere possibile una legislazione sfavorevole all’organizzazione di cosa nostra”. Ha aggiunto: “Mi rendo conto che (…) devo indicare alle SS.LL. fatti e circostanze precise. Sono certo che con il tempo e quando io riacquisterò una serenità interiore io sarò in grado di affrontare più completamente questo discorso, ma siate certi sin da ora che le parole di Raffaele Ganci a proposito dell’incontro avuto con Salvatore Riina rispondono purtroppo a verità” Sul punto il P.M. nisseno tornò durante l’interrogatorio del 18/2/1994, ma ancora una volta Cancemi ribadì la veridicità del colloquio senza aggiungere altri particolari. Affermò: “una cosa deve essere chiara che queste ‘persone importanti’ non erano certo uomini di ‘cosa nostra’, perché più importanti di Riina e Provenzano non ce ne sono all’interno dell’organizzazione e quindi i personaggi con cui Riina si è incontrato li dovete cercare fuori dall’organizzazione”. ..... Ricostruì allora un episodio, poi nei successivi verbali ribadito dallo stesso collaborante, e riguardante un’iniziativa di Totò Riina finalizzata a gestire direttamente i contatti con Berlusconi e Dell’Utri. Riferì ..... ..... di essere stato convocato da Salvatore Riina tra il 1990 e il 1991 presso l’abitazione di Girolamo Guddo e di aver partecipato ad un incontro con lui, con Raffaele Ganci e con Salvatore Biondino. In quella occasione Riina gli avrebbe ordinato di rivolgersi a Vittorio Mangano e di dirgli che doveva mettersi da parte rispetto a Berlusconi. Riina considerava il rapporto con Berlusconi “un bene per tutta cosa nostra” e voleva gestirlo direttamente; aveva detto a Cancemi che, se Mangano si fosse mostrato riluttante, avrebbe dovuto fargli presente che Riina non aveva dimenticato uno sgarbo ricevuto, cioè il fatto che Mangano aveva regalato un’arma al suo avversario Stefano Bontade. ..... Nel precedente interrogatorio del 18/2/1994, Cancemi aveva aggiunto un altro particolare: in occasione del colloquio sull’invito da rivolgere a Mangano di mettersi da parte, Riina “precisò che, secondo degli accordi stabiliti con Dell’Utri, che faceva da emissario per conto di Berlusconi, arrivavano a Riina 200 milioni l’anno in più rate, in quanto erano dislocate a Palermo più antenne”. ..... Ai P.M. di Roma e di Milano in data 15/3/1994 ha esplicitato che, dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio, “da quello che sentivo dire da Riina e da Biondino (…), si era certi che lo Stato non avrebbe reagito, i rapporti che loro facevano comprendere avere con altre persone erano tali da non far presumere reazioni forti”. Successivamente Cancemi è stato sentito dalla Corte di Assise di Caltanissetta nel processo a carico di Aglieri Pietro + 40 per la strage di Capaci (ud. 19/4/1996 e ud. 18/9/1996) ed ha ancora una volta ribadito la vicenda della riunione a casa di Guddo, i discorsi di Riina e di Ganci e ha confermato che l’obiettivo perseguito da Riina era quello di ottenere sostanziali modifiche della legislazione e degli orientamenti giudiziari grazie a dei referenti politici; ..... Il collaboratore è stato ancora sentito dall’Ufficio requirente nisseno in data 29/1/1998 e ..... Ha ribadito ancora una volta che Ganci non gli disse chi erano le “persone importanti” con le quali Riina aveva parlato dell’esecuzione dell’attentato a Falcone, ma ha esplicitato che egli dedusse trattarsi di Berlusconi e Dell’Utri alla luce di altri fatti, in particolare della richiesta precedente di mettere da parte Mangano nel rapporto con i due odierni indagati e poi di un’affermazione di Riina nel corso dei festeggiamenti a casa di Guddo, dopo la strage di Capaci, quando lo stesso Riina avrebbe detto: “io mi sto giocando i denti, possiamo dormire tranquilli, ho Dell’Utri e Berlusconi nelle mani e questo è un bene per tutta cosa nostra”. Ha affermato il collaborante che, durante la riunione, Riina li consultò su una serie di richieste che egli avrebbe dovuto inoltrare in un incontro che si stava ancora preparando:“un giorno ci siamo incontrati io, Riina, Ganci e credo Biondino Salvatore, che è venuto … ci doveva dare alcuni punti, di fare annullare l’ergastolo, di fare annullare la legge sui pentiti, il sequestro dei beni e altre cose, diciamo ha parlato con me e con Ganci (…)” “Erano sei o sette punti”. Quanto all’epoca in cui sarebbe avvenuta questa riunione, Cancemi su domanda del P.M. ha risposto: “Mi sembra che c’era stata Capaci.” “P.M.: Allora nel periodo… Cancemi: Questo a cavallo… P.M.: Tra… Cancemi: Sì. P.M.: Capaci e Via D’Amelio? Cancemi: Sì” (…) “P.M.: E queste richieste in quell’occasione disse a chi dovevano essere rivolte? Cancemi: Lui più volte ha detto che aveva queste persone nelle mani, quindi Berlusconi e Dell’Utri, quindi queste cose lui le doveva girare a queste persone. Per me era una cosa… P.M.: Sì, ma nel corso di questa, in questa riunione riprese il discorso di, chiarendo… Cancemi: (…) sì, lui in questa, in questa riunione dice che ci doveva fare avere queste cose a queste persone, Berlusconi e Dell’Utri, i nomi che ha fatto erano questi qua. Anche dopo diciamo lui parlava sempre di queste persone, anche dopo quest’incontro mi ricordo che, altre, un paio di volte ha parlato sempre di queste persone.” “Mi ricordo una volta ha fatto un discorso che cercava di portare queste persone (spiegherà poi Cancemi che “portare significa… di portarli a comandare”), gli dovevamo poi, diciamo nel futuro, portare queste persone perché lui cercava con queste bombe di sfiduciare, diciamo, quelle che c’erano attuali, in sella. (…) Cancemi ha inoltre riferito che, dopo l’arresto di Riina, avvenuto nel gennaio 1993, ebbe a parlare più volte con Provenzano delle strategie già messe in atto dallo stesso Riina per risolvere i problemi dei detenuti e fiaccare la reazione dello Stato; ma Provenzano lo avrebbe tranquillizzato: “Mi rispose così: ‘Totuccio stai tranquillo, stai tranquillo, stiamo a buon punto, non pensare che io dimentico, diciamo, né carcerati né nessuno. I discorsi stanno andando avanti quelli con zio Totuccio, si stanno portando avanti’”. In sostanza, secondo Cancemi, Provenzano gli fece intendere che manteneva la linea di Riina; ..... Sui fatti sinora esposti, Cancemi è tornato nuovamente nell’interrogatorio reso al P.M. di Caltanissetta in data 23/10/1998 ..... ..... In quell’occasione Cancemi è tornato a parlare della riunione nella villa di Guddo, successiva alla strage di Capaci e collocabile all’incirca a giugno del 1992, nella quale Riina avrebbe espresso la sua volontà di uccidere Borsellino, affermando che se ne assumeva tutta la responsabilità. Cancemi ha sostenuto di aver sentito un colloquio sull’argomento, avvenuto tra Raffaele Ganci e Riina che si erano appartati, e di averne avuto conferma dallo stesso Ganci durante il viaggio di ritorno, raccogliendo da quest’ultimo affermazioni di perplessità sull’utilità del delitto (“questo ci vuole rovinare tutti”). ..... Ha aggiunto sempre in quell’occasione che a queste riunioni, svolte a casa di Guddo, durante le quali Riina diceva loro di avere “nelle mani” Dell’Utri e Berlusconi, era presente Brusca ..... Cancemi ha invece affermato di aver percepito nella riunione di giugno (del 1992) una chiara volontà di accelerare i tempi: “io ho capito che il Riina aveva premura, come vi devo dire, una cosa…di una cosa veloce, aveva… io avevo intuito questo, che il Riina questa cosa la doveva… la doveva fare al più presto possibile, come se lui aveva qualche impegno preso”. Ma il giudizio complessivo delle Corti di Assise che hanno valutato le dichiarazioni di Cancemi sulle stragi del 1992 (e ciò lo si ricava proprio dai diversi passaggi motivazionali citati dal P.M.) risulta positivo, essendosi affermato che “una volta individuato il solo fattore inquinante della collaborazione del Cancemi nella predetta volontà di esagerata autoprotezione e così spiegata l’indubbia progressione accusatoria delle sue dichiarazioni, ben possono le medesime essere utilizzate” e dando atto che il loro analitico esame “conferma l’attendibilità delle sue chiamate in correità nei confronti degli imputati per cui è processo”. Si impone tuttavia di valutare un’ipotesi alternativa, e cioè che Cancemi abbia introdotto con le chiamate in correità in esame delle circostanze false – in maniera volutamente generica – al fine di accreditare ancor più la propria collaborazione, stante il rilievo politico e la notorietà degli accusati. La genericità e la mutevolezza delle sue dichiarazioni a carico di Berlusconi e Dell’Utri potrebbe infatti spiegarsi, anziché con il tentativo di offrire agli inquirenti una notizia in suo possesso ridimensionando il suo ruolo nella fase deliberativa della strage, con il diverso tentativo – mal riuscito – di introdurre elementi fantasiosi e non facilmente verificabili. 4. Le dichiarazioni di Angelo Siino Il collaboratore di giustizia Angelo Siino (verb. P.M. Caltanissetta 28/11/1997) ha ricostruito il contesto nel quale erano maturate le forti avversioni dell’organizzazione “cosa nostra” nei confronti di Falcone e Borsellino, fornendo ampie indicazioni sul fatto che tali sentimenti erano condivisi anche dai personaggi politici e dagli imprenditori che in qualche modo mantenevano contatti o avevano cointeressenze con quella associazione criminale. I Presto si diffuse nell’organizzazione, in seguito ad alcune dichiarazioni pubbliche di Falcone (tra le quali la seguente: “la mafia sta entrando in borsa”), il timore che il magistrato avesse capito i nuovi rapporti economici e politici di “cosa nostra”. ..... Berlusconi era considerato un tramite per giungere a Craxi; ..... Successivamente sarebbe stato Santapaola a riferire a Siino che durante quell’incontro Brusca gli aveva chiesto di realizzare degli attentati alla Standa per stimolare un contatto con Craxi. Il collaboratore avrebbe appreso poi da Michele Camarda, persona vicina a Gioè, che quest’ultimo gli aveva detto che dietro le stragi del 1992 vi erano appoggi esterni e che “cosa nostra” sin dall’attentato a Falcone era stata “autorizzata” (verb. 25/6/1998 cit.). 4. Le dichiarazioni di Giovanni Brusca Ha raccontato (verb. P.M. Caltanissetta 7/9/1998) che Riina gli aveva detto, dopo la sentenza di appello del c.d. “maxi-processo”, che bisognava stare tranquilli in attesa della decisione della Cassazione; Riina lo aveva mandato in più occasioni da Ignazio Salvo “per contattare i canali Lima, Andreotti, Carnevale”. Salvo tuttavia “rispondeva picche (…) che non erano più i tempi di una volta”. In questo momento cominciarono a maturare i propositi di Riina di uccidere Salvo. Brusca ha riferito di una riunione, avvenuta nel 1992, prima dell’omicidio Lima, durante la quale si discusse “esclusivamente di un progetto di eliminare tutta una serie di personaggi, però, quelli sul pentolone: Lima prima e Falcone… (…) Si parla di personaggi politici, non politici, amici o ex amici, persone che si erano messe a disposizione e che avevano tradito (…) perché noi dovevamo stroncare l’attività politica o la corrente politica di Andreotti in Sicilia, in quanto lui non si era interessato per il maxi processo”. Il collaborante ha sottolineato: “non mi è stato mai richiesto: ‘…che ne pensi… se vuoi uccidere il dottor Borsellino o meno o cose varie’, non mi è stato chiesto, quindi io non è che potevo dire un parere, si o no. Uno: perché non mi è stato chiesto; due: se mi veniva chiesto io avrei detto sì”. Nell’interrogatorio del 2/10/1998, Brusca ..... Ha parlato di due riunioni che si tennero a casa di Guddo, dietro Villa Serena, una dopo l’altra in data antedecente al 20 febbraio, comunque successivamente alla sentenza del maxi-processo in Cassazione, quando cioè cominciò a covare l’idea di colpire gli “ex amici” e i vecchi nemici al fine di ottenere dallo Stato tutto quanto non era stato possibile ottenere attraverso i consueti canali. Si passò poi alla fase della preparazione vera e propria della strage di Capaci, discussa e pianificata sempre in casa di Guddo. ..... In un successivo incontro, sempre nel 1992, Riina gli disse: “Si sono fatti sotto, gli ho fatto un papello così”. Si trattava, secondo Brusca, di “tutta una serie di benefici che si discuteva nel tempo!”. Il Bellini fece loro sapere che in relazione al ritrovamento e alla consegna di opere d’arte si sarebbero potute intavolare utili trattative. Di queste trattative già si parlava prima ancora della strage di Capaci ed erano finalizzate ad ottenere trattamenti più favorevoli per i detenuti di “cosa nostra”, specie per quelli più anziani, come il padre del collaboratore, per questo motivo interessato in prima persona. Riina consegnò a Brusca delle fotografie di opere trafugate e la trattativa riguardò benefici per cinque persone, tra i quali lo stesso Riina incluse Pippo Calò del mandamento di Porta Nuova. Si tratta evidentemente della stessa trattativa avente ad oggetto opere d’arte di cui ha parlato Cancemi, che apparteneva appunto al mandamento di Porta Nuova. A dire di Brusca, “il fine comune era di portare lo Stato a trattare con ‘cosa nostra’”; “e nello stesso tempo loro per i fatti suoi io non so per quale motivo, si volevano togliere qualche spina o qualche cosa dalla scarpa”. Il P.M. di Caltanissetta ha di nuovo sentito su queste vicende il Brusca in data 9/11/2000 ..... Ne ha concluso – sempre nell’ambito del suo “ragionamento” – che anche le stragi del 1992 dovevano essere state organizzate ed eseguite nella prospettiva di creare le condizioni per una trattativa, ma non ha saputo indicare niente di più preciso. I rapporti tra Brusca e Mangano erano particolarmente qualificati; si erano conosciuti in carcere tra il 1986 e il 1987 e poi Brusca e un suo parente avevano fatto in modo di fargli assegnare la reggenza della “famiglia” di Porta Nuova, dopo che Cancemi si era consegnato ai Carabinieri. Brusca gli chiese allora se poteva attivarsi per ripristinare questi contatti e Mangano si rese disponibile. Fece diversi viaggi a Milano per portare a termine il compito affidatogli da Brusca e che consisteva nell’avanzare a Berlusconi le richieste che stavano a cuore all’associazione “cosa nostra”, come ad esempio l’abrogazione del regime detentivo speciale per i mafiosi e l’ammissione di costoro ai benefici della legge Gozzini. Mangano si servì di un altro intermediario, che diceva a Brusca chiamarsi Roberto e che faceva “l’imprenditore all’interno della Fininvest…aveva l’appalto delle pulizie all’interno della Fininvest”; nessun altra informazione su questa persona ha saputo fornire il collaborante, tuttavia ha escluso che Mangano gli abbia detto di avere contattato Dell’Utri. ..... ha tra l’altro parlato di un incontro politico-elettorale che si doveva fare con Berlusconi in un ristorante di Palermo e che avrebbe dovuto organizzare Mangano anche per consentire in quell’occasione agli uomini dell’organizzazione un contatto diretto con lui (incontro questo che poi non ebbe mai luogo). ..... All’idea di interessare Mangano per riagganciare i rapporti con Berlusconi, Brusca sarebbe giunto, quindi, a suo dire, dopo le stragi del Nord Italia; ..... ..... "… Quindi io leggendo questo gli chiedo a Vittorio Mangano se era vero o non era vero (…) e quello mi conferma tutto paro paro: ‘sì, vero è’. Allora dico ‘sei in condizioni di ripristinare, cioè di riprendere un’altra volta i contatti con Berlusconi?’ Dice ‘sì’, dice: ‘fammi vedere’. Va a Milano, torna e mi porta la risposta che è a disposizione, cioè c’è il contatto di potere riprendere con Silvio Berlusconi, però non gli domando tramite chi.”. Successivamente, in data 21/9/1999 ..... fratello Giovan Battista, gli diceva che a Berlusconi e a Canale 5 “gli faceva uscire i picciuli”, che venivano erogati con un versamento mensile. Non gli spiegò mai a che titolo si facesse elargire quelle somme, ma gli disse di essere subentrato in un rapporto già instaurato da Stefano Bontade. Brusca ha pure escluso di aver mai sentito parlare Riina di Berlusconi e Dell’Utri nell’ambito delle riunioni tenutesi durante il 1992 per mettere a punto la c.d. “strategia stragista”. Sul punto il Brusca è stato particolarmente chiaro. Ha affermato di conoscere le dichiarazioni di Cancemi in ordine alle confidenze che avrebbe ricevuto da Riina sui contatti con Berlusconi e dell’Utri, ha ammesso di aver partecipato con lui a due riunioni precedenti alla strage di Capaci, ma ha comunque escluso che in quelle occasione si fosse parlato dei due odierni indagati. Non ha invece escluso che in altre occasioni Cancemi abbia potuto avere informazioni di quel tipo da Riina. ..... I giudici fiorentini hanno ritenuto ampiamente riscontrato l’episodio riferito da Brusca e inerente il c.d. “papello”, cioè le richieste che Riina avrebbe rivolto ad alcuni organi istituzionali e che avevano ad oggetto degli immediati benefici per gli “uomini d’onore” in carcere e lo smantellamento della legislazione e delle pronunce giudiziarie che avevano danneggiato “cosa nostra”. Si legge nelle motivazioni della loro sentenza: “Brusca dice il vero quando afferma che la richiesta di trattare, formulata da un organismo istituzionale a lui sconosciuto (oggi si sa che erano gli uomini del ROS), indusse Riina a pensare (e a comunicare ai suoi accoliti) che ‘quelli si erano fatti sotto’. Lo indusse cioè a ritenere che le stragi di Capaci e di Via D’Amelio, da poco avvenute, avevano completamente disarmato gli uomini dello Stato; li avevano convinti dell’invincibilità di ‘cosa nostra’; li avevano indotti a rinunciare all’idea del ‘muro contro muro’ ed a fare sostanziali concessioni all’organizzazione criminale cui apparteneva (…)” (sent.6/6/1998, p. 1547). Ad avviso di quella Corte, invece, la stasi della trattativa aveva indotto l’organizzazione mafiosa a mettere in esecuzione i successivi attentati del 1993, il cui metodo era stato già messo a punto e la cui esecuzione era stata sospesa in attesa dell’esito della trattativa stessa. In ogni caso, nessuna delle due Corti ha ritenuto inattendibile sul punto il Brusca, ritenendo credibile che egli abbia appreso la notizia della trattativa da Riina e ritenendo comunque riscontrata una complessiva strategia di “cosa nostra” finalizzata ad imporre le proprie condizioni a nuovi referenti. 4. Le dichiarazioni di Salvatore Cucuzza Secondo Cucuzza, Vittorio Mangano riuscì a tenere stretti a sé Brusca e Bagarella proprio in virtù di questi rapporti con Dell’Utri e non assunse mai alcuna iniziativa senza tenerli informati. Ha raccontato di avere appreso da Mangano che egli aveva lavorato presso la tenuta di Arcore di Silvio Berlusconi e che lì aveva addirittura organizzato un sequestro di persona ai danni del padre dell’imprenditore; questo sequestro poi non riuscì, in quanto all’ultimo momento si cambiò obiettivo ma senza successo. Questi finanziamenti di Berlusconi prima a Bontate, poi a Teresi, infine a Pullarà, Cucuzza li ha contestualizzati a cavallo tra la fine degli anni “80 e i primi anni “90. Quando il 30/1/1994, Cucuzza venne scarcerato, tornò a parlare con Mangano dei suoi rapporti con Dell’Utri; Mangano gli disse di essere ancora in stretto contatto con lui e che grazie a lui “poteva influenzare qualche cosa”, “di interesse naturalmente di cosa nostra” (verb. P.M. Firenze 7/5/1997). Brusca e Bagarella, per fargli comprendere la necessità di mantenere il ruolo di Mangano, spiegarono a Cucuzza che, attraverso Dell’Utri, Mangano aveva fatto conoscere in anticipo delle possibilità di ottenere una disciplina favorevole a “cosa nostra” in relazione al noto decreto Biondi, poi ritirato in seguito a delle polemiche politiche. Mangano inoltre faceva sapere loro quali erano le indicazioni che provenivano da Dell’Utri e quali le iniziative che egli avrebbe avviato in loro favore. Per Mangano veniva tenuto in affitto un ufficio a Como, all’interno del quale egli diceva anche di incontrare Dell’Utri che lo raggiungeva in elicottero. Secondo quanto riferitogli da Mangano, Dell’Utri mandava a dire: “Non fate rumore, perché altrimenti ci mettete in una condizione di non potere fare niente”; “Si, faremo, faremo, però stiamo attenti, non facciamo succedere cose”. E aveva preannunciato che all’inizio del 1994 sarebbero state adottate normative con aspetti più vantaggiosi per ‘cosa nostra’ (verb. cit. 7/5/1997). In ogni caso il profondo legame che intercorreva tra loro rende poco credibile che lo stesso Brusca sia venuto a sapere occasionalmente da un articolo di stampa dei rapporti di Mangano con Dell’Utri, già notori in “cosa nostra” e dei quali lo stesso Mangano nell’ambiente criminale non perdeva occasione di menare vanto. 4. Le dichiarazioni di Tullio Cannella Successivamente nell’interrogatorio del 28/5/1997, ma, in maniera ancora più approfondita, in quello del 17/7/1997 .... Cannella ha reso dichiarazioni più ampie in ordine alla strategia di ‘cosa nostra’ nella ricerca di nuovi interlocutori politici.... “Bagarella – ha riferito Cannella – era già perfettamente a conoscenza che era in cantiere la discesa in campo di Silvio Berlusconi a capo di un nuovo movimento politico che ci avrebbe assicurato, in virtù di impegni preesistenti, di risolvere le questioni che più stavano a cuore a cosa nostra e cioè: pentiti, carcere duro e reato di associazione mafiosa. Chiarisco che queste erano, per così dire, le priorità che l’accordo con Berlusconi ci avrebbe consentito a breve termine di affrontare e risolvere. ... Cannella ha insistito sugli impegni preesistenti di Berlusconi con uomini di cosa nostra, sottolineando che l’accordo era stato coltivato dai fratelli Graviano per conto di tutta quanta l’organizzazione negli anni 1991-1992. Di questo venne a conoscenza grazie alle confidenze di Bagarella. .... Marcello Dell’Utri con cui i Graviano si incontravano personalmente (…). La nascita ed il consolidarsi delle relazioni di cui ho appena detto concretizzò definitivamente un rapporto di amicizia e di collaborazione su tutti i fronti con Dell’Utri e conseguentemente con Berlusconi. Questa non è solo una mia deduzione ma fu oggetto di numerose conversazioni con Leoluca Bagarella, oltre che con altri uomini di cosa nostra”. Cannella ha poi parlato di una serie di attività svolte da uomini di cosa nostra al fine di sostenere Berlusconi nella competizione elettorale del 1994 e ha detto che Calvaruso gli riferì che Giovanni Brusca si stava impegnando in questo senso. Brusca ha ammesso di essersi in qualche modo impegnato in questo senso: “ci sono molti collaboranti che dicono che io ho fatto votare Forza Italia, ed è vero, ma ho fatto votare Forza Italia solo ed esclusivamente per andare contro la sinistra, per un fatto ideologico mio…” (Verb. P.M. Caltanissetta 8/9/1998). 9.3 – Cannella ha ricordato ancora un altro episodio significativo: “quando Berlusconi tenne l’ultimo comizio della sua campagna elettorale a Palermo presso la Fiera del Mediterraneo, io ero presente su incarico di Bagarella. Riferii, poi, allo stesso Bagarella di una frase di Berlusconi in cui si manifestava un vago proposito di utilizzare i voti ‘contro la delinquenza’. Bagarella mi disse che era una frase ‘obbligata’ per l’opinione pubblica e per i giornalisti, dato che era stato contestato al Berlusconi che non parlava mai di mafia; ma in quella stessa occasione mi assicurò, ancora una volta, che lo stesso aveva preso ‘impegni seri’ con noi intendendo con tutta cosa nostra”. “nel gennaio 1994, mentre ci trovavamo presso il mio studio ubicato a Palermo, via Nicolò Gallo n. 14, ove Leoluca Bagarella con frequenza quasi quotidiana soleva raggiungermi, avevo un colloquio con quest’ultimo (…). Nell’occasione chiedevo al mio interlocutore come mai ‘cosa nostra’ si era determinata a commettere le stragi in Sicilia nel 92 e quelle successive nel continente nel 1993 e quali garanzie avevano avuto loro dal mondo politico e istituzionale per evitare le prevedibili conseguenze negative ricollegabili a tali fatti eclatanti (…). A fronte di tale mio articolato ragionamento, il Bagarella replicò, per tranquillizzarmi, dicendomi di non preoccuparmi perché avevano avuto ‘delle garanzie’ e che si trattava solo di vedere se gli impegni presi sarebbero stati mantenuti subito dopo le elezioni. Non mi precisò, in questa sede, da chi erano state date le garanzie, ma mi assicurò che, comunque, ‘l’operazione era stata studiata bene’ e che vi era la possibilità di accollare le stragi a organismi terroristici del tipo ‘Falange Armata’. Evidenzio che in quell’occasione non vi era nessuna altra persona presente” Va tuttavia rilevato che, sulla vicenda del sostegno di “cosa nostra” a “Sicilia Libera” e successivamente dell’opzione di sostenere invece il movimento “Forza Italia”, si sono raggiunti sufficienti elementi di conferma in forza delle dichiarazioni di numerosi altri collaboratori di giustizia, le cui assoluta convergenza sul punto è stata tra l’altro già evidenziata dalla Corte di Assise di Caltanissetta nella sentenza più volte citata relativa alla strage di Via D’Amelio. 4. Le dichiarazioni di Gioacchino Pennino Specificamente interrogato sulle stragi di Capaci e di Via D’Amelio in data 13/3/1998, Pennino ha escluso di essere a conoscenza di fatti specifici, mentre ha sottolineato di aver appreso da due fonti che Silvio Berlusconi era il mandante delle stragi del 1993: la prima fonte si identificava nel dottore Giuseppe Ciaccio, uomo d’onore di una ‘famiglia’ dell’agrigentino, di professione radiologo; la seconda era Pinuzzo Marsala, uomo d’onore della ‘famiglia’ di Santa Maria di Gesù. Dalle indagini del gruppo “Falcone e Borsellino” (nota in data 17/6/1998), è emerso che Giuseppe Ciaccio era effettivamente un radiologo, già residente a Palermo, ma di origine agrigentina, fin dal 1974 sottoposto ad accertamenti anche in seguito alle dichiarazioni del collaboratore Leonardo Vitale che lo indicò come affiliato a “cosa nostra”. Egli era deceduto il 2/8/1995 (su Ciaccio cfr. pure nota DIA in data 11/11/1998). Le dichiarazioni di Pennino, oggetto dell’odierna valutazione, sono “de relato” e del tutto generiche; l’impossibilità di escutere le fonti di esse, l’insussistenza di elementi per giungere a ricavare quali fossero le circostanze per cui Ciaccio e Marsala potevano essere a conoscenza di tali fatti, la mancanza di elementi idonei a prefigurare in capo a costoro un ruolo criminale di tale levatura da accedere a queste informazioni rendono del tutto inutilizzabili le propalazioni in esame. 4. Le dichiarazioni di Maurizio Avola Ha riferito che nel mese di settembre del 1992 si tenne una riunione a Catania, zona Zia Lisa, dove trascorreva la latitanza Nitto Santapaola; vi parteciparono Riina, Eugenio Gallea, Marcello D’Agata, Aldo Ercolano, Alfio Fichera e lo stesso Avola. Si discusse della nascita di un partito nuovo ... Lo scopo era quello di frenare le iniziative giudiziarie e legislative che avevano fortemente intaccato il potere di “cosa nostra” e che erano state scandite dall’esito del maxiprocesso, dalla disciplina a favore delle collaborazioni con la giustizia e poi dal regime penitenziario instaurato dal noto art.41bis O.P. Avola ha affermato di aver appreso da D’Agata che per sostenere il nuovo partito era necessario portare avanti un attacco violento allo Stato e questo attacco era stato delegato a “cosa nostra” già all’inizio del 1992, prima delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio. Nulla seppe su quale fosse tale partito nuovo; nel 1994, mentre era detenuto, apprese dalla moglie che gli esponenti di “cosa nostra” avevano ordinato agli affiliati di votare “Forza Italia”. affermò di voler rendere dichiarazioni circa la “strategia” che condusse alle stragi di Capaci e di Via D’Amelio, nonché a quelle successive commesse nel Nord-Italia, e sostenne che tale “strategia” aveva un punto di riferimento nella città dello Stretto. “Tutto deriva dai contatti fra Alfano e Dell’Utri. – disse Avola riferendo fatti del tutto nuovi – A Messina alla fine del 1991, ci sono stati degli incontri cui hanno partecipato Alfano, Sparacio, Dell’Utri ed alcuni uomini d’onore della famiglia catanese di cosa nostra”. ... Dopo quegli incontri, ed in particolare dopo una riunione avvenuta alla fine del 1991 a Messina tra Marcello D’Agata, Eugenio Gallea, Santo Battaglia, Alfano, Sparacio e Dell’Utri, il collaboratore sarebbe venuto a sapere da D’Agata che “cosa nostra” voleva consentire ad una forza politica nuova di assumere posizioni di potere, affinchè la rappresentasse in luogo dei precedenti referenti politici che l’avevano tradita; il progetto prevedeva l’eliminazione di personaggi pubblici particolarmente rappresentativi tra politici e magistrati. ... La strategia era motivata dal fatto che “stava nascendo questo… partito e si doveva appoggiare questa forza politica nuova che poi doveva aiutare un po’ tutta la situazione di cosa nostra”. Indagini su Berlusconi e Dell'Utri ... ... ... [Sugli attentati alla Standa..] Vi è poi la vicenda relativa agli attentati alla “Standa”, in relazione ai quali discordanti sono state le notizie fornite dai collaboratori; tutti d’accordo nell’indicare come essi perseguissero finalità estorsive, secondo alcuni di costoro ulteriore scopo era quello di promuovere un contatto con Berlusconi o con Dell’Utri da utilizzare anche per ottenere sostegno agli interessi dell’associazione. Brusca ha escluso invece tale ulteriore finalità e, sebbene sui tentativi di “cosa nostra” di avviare relazioni con gli odierni indagati egli sia apparso a questo Ufficio reticente, non si può escludere che sul punto le sue affermazioni siano veritiere. Difatti, delle due l’una: o Berlusconi e Dell’Utri versavano già da tempo a “cosa nostra” dei contributi, come molti collaboratori hanno riferito, e allora il rapporto già sussisteva e non era necessario propiziarlo con altre iniziative, oppure non vi era alcun rapporto pregresso (pertanto le convergenti dichiarazioni dei collaboratori non sarebbero credibili) e allora gli attentati di Catania potevano essere utili. Si propone una terza alternativa, che nella contraddittorietà delle indicazioni dei collaboratori rimane solo un’ipotesi; e cioè che gli attentati dovessero servire a fare maggiore pressione su Berlusconi e dell’Utri, ad alzare insomma la “posta” e a coinvolgere con un ruolo di rilievo anche le cosche catanesi. Conclusioni La ricognizione degli atti di indagine contenuti nel fascicolo fa emergere, ad avviso di questo Ufficio, che gli spunti indiziari a sostegno dell’ipotesi accusatoria, per quanto numerosi, risultano incerti e frammentari, pertanto inidonei a legittimare l’esercizio dell’azione penale e insuscettibili di ulteriore approfondimento. Gli esiti dei processi già celebrati e gli elementi agli atti convergono nel dimostrare che le stragi di Capaci e di Via D’Amelio maturarono in “cosa nostra”, dopo che i vertici dell’organizzazione ritennero di aver subito gravi affronti in ragione di nuove iniziative governative di contrasto della criminalità e dell’esito del maxiprocesso in Cassazione. Ai loro occhi si era determinata un’inedita ed inammissibile saldatura tra i suoi tradizionali nemici (Falcone e Borsellino) ed i suoi ex amici (tali consideravano Andreotti e la sua corrente, Martelli e altri esponenti del PSI), da contrastare con ogni mezzo. La strategia era quella di eliminare fisicamente e politicamente tutti costoro; già questo basta a prefigurare nella logica di “cosa nostra” l’esigenza di avere nuovi interlocutori. Le trattative difatti sarebbero dovute avvenire con lo Stato, ma non s’intendeva certamente accettare nuove alleanze a nuove condizioni con coloro i quali avevano “tradito”. Si è visto che la finalità di cercare nuovi contatti e nuovi equilibri fu perseguita a tutto campo e diverse iniziative furono coltivate: quella che coinvolgeva Bellini, quella che vide protagonisti gli ufficiali dei ROS, quella a cui alludeva Riina quando disse a Brusca “si sono fatti sotto”. Uno dei pensieri costanti di “cosa nostra” era anche nel 1992 e nel 1993 creare i “contatti politici”. In questa prospettiva appare compatibile l’interesse e il diretto coinvolgimento nella creazione di movimenti separatisti, come “Sicilia Libera”, da utilizzare quale extrema ratio al fallimento di altro tipo di soluzioni di collateralismo politico, da sempre preferiti da “cosa nostra”. ..... In questo ambito trova cittadinanza l’ulteriore florilegio di ipotesi secondo le quali l’organizzazione avrebbe agito dopo la consultazione di soggetti in grado di garantire appoggio per scongiurare una reazione repressiva; soggetti che avrebbero richiesto, concordato, acconsentito o consentito i delitti per cui si procede |
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#17 | |
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E aggiungo per questo non si possono martoriare i siciliani dicendo loro che sono dei codardi se nn combattono la mafia. Perchè nn hanno gli strumenti, la forza e la mafia ne stritolerebbe ogni iniziativa prim'ancora che essi l'abbiano realizzata. Vedete che fine ha fatto anche il bandito Giuliano che aveva più armi della gente comune.
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#18 |
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lo stato si è arreso da tempo.
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#19 |
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non credo proprio che lo stato si sia arreso. basta fare poche leggi ma chiare, e che vadano nel senso della demolizione dell'economia della mafia.
in realtà lo stato manco ci prova, perchè è fatto da politici che vogliono essere eletti e che quindi tentano più che altro di tenere in vita l'organizzazione. io credo che noi avremmo molto chiaro cosa fare, se fossimo al governo, per contrastare la mafia, e credo che anche chi fa il politicante abbia chiaro quali siano i provvedimenti da evitare per mantenere lo status quo ![]() ricordo quei giorni...direi quei mesi, perchè poi fino al 19 luglio l'atmosfera era surreale, prima della mazzata finale. e mi permetto di dire che da allora ad oggi le cose sono peggiorate. salvo rari movimenti di cittadini, che comunque hanno l'incidenza di un ventilatore contro un tornado. |
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#20 | ||||
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Occorre combattere la povertà e il disagio sociale, altrimenti con qualunque legge la mafia continuerebbe a prosperare. Quote:
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Ce ne sono stati tanti che a parole erano capaci di.... Non è una polemica contro di te, però devi convenire sul fatto che la mafia nn è fatta da rozzi campagnoli, proprio un certo Falcone parlava di menti raffinatissime. Occorre innanzi tutto che lo stato protegga e aiuti i ceti deboli per toglierli dalle mani della mafia. Solo dopo sarà possibile fare realmente terra bruciata. Quote:
Io che sono un firmatario ti domando, pensi che associazioni tipo addiopizzo durino ? Dureranno finchè nn daranno fastidio alla mafia. La verità è che a livello di lotta addiopizzo rappresentano un goccia nel mare per cui gli si lascia l'illusione che stanno ottenendo un qualche risultato. Il resto cova sotto traccia aiutato dalla miseria e dal bisogno.
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