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Old 05-09-2007, 23:41   #1
Igor
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Mafia: Lirio Abbate minacciato, trovato un ordigno

http://espresso.repubblica.it/dettag...8/7&ref=hpsbdx

Quote:
MAFIA: NUOVE MINACCE A UN CRONISTA, TROVATO UN ORDIGNO

Nuove minacce al cronista della sede palermitana dell'Ansa Lirio Abbate, gia' sottoposto a intimidazioni nei mesi scorsi. Due sconosciuti hanno cercato di mettere sotto la sua automobile, posteggiata nei pressi dell'abitazione del giornalista, in un quartiere popolare del capoluogo siciliano, un ordigno rudimentale costruito con un paio di contenitori di liquido infiammabile e alcuni cavi elettrici. A notarli sono stati gli agenti del "servizio di bonifica" dell'Ufficio scorte di Palermo, che da un paio di mesi proteggono il giornalista: le due persone sono comunque riuscite a far perdere le loro tracce. Per rimuovere l'involucro sono stati chiamati gli artificieri e sono state spostate le altre auto posteggiate nelle vicinanze. Il fatto risale a sabato notte, ma si e' appreso soltanto oggi ed e' stato confermato in ambienti giudiziari. L'ordigno sarebbe stato efficiente e in grado di funzionare.

Le prime situazioni di pericolo erano emerse nel corso di indagini della Squadra mobile la scorsa primavera, poco dopo la pubblicazione del libro "I complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento", scritto dal cronista assieme a Peter Gomez. Poi ad Abbate erano arrivate lettere minatorie e il Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza gli aveva assegnato una 'tutela'. Il giornalista, che si occupa di nera e giudiziaria, e' protetto dalla polizia ed era stato trasferito temporaneamente, per motivi di sicurezza, a Roma. A Lirio Abbate erano arrivati numerosissimi attestati di solidarieta' da esponenti del giornalismo, della politica, delle istituzioni e della societa' civile. (AGI)

(04 settembre 2007)
Dopo Saviano (http://www.hwupgrade.it/forum/showthread.php?t=1531697), un altro giornalista nel mirino della criminalità organizzata che ha avuto il coraggio, insieme a Peter Gomez, di denunciare il vero volto della mafia e i suoi numerosi legami con la politica e il mondo degli affari.
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Old 06-09-2007, 00:15   #2
diabolicus
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devo comprarlo sto libro..
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Old 06-09-2007, 07:12   #3
Ser21
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Gran Libro,uno dei migliori nel campo...
Lirio era ben consapevole a quello a cui andava incontro e come altri che hanno raccontato fatti scomodi a cosa nostra,si accolla una croce pesante....
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Old 06-09-2007, 09:18   #4
Ser21
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Minacce al giornalista Lirio Abbate dopo l'inchiesta sulla mafia. "Ho fatto solo il mio lavoro"
Prima le lettere di avvertimento, poi una bomba incendiaria sotto la macchina
Vita sotto assedio di un cronista a Palermo
"Sotto scorta in una Sicilia senza onore"
di GIUSEPPE D'AVANZO


L'arresto di Bernando Provenzano
Dice Lirio Abbate che il lavoro di cronista a Palermo o è accurato o non è. Lirio ha 37 anni, è redattore all'Ansa. Come tutti i siciliani "buoni", come tutti i siciliani migliori, non è portato a far gruppo, a stabilire solidarietà e a stabilirvisi. Sono i siciliani peggiori quelli che hanno il genio del gruppo, della "cosca", ricordava Sciascia. Sarà per questo, che Lirio se ne sta per conto suo e segue la sua strada anche se sa bene quale sarebbe il modo più conveniente per starsene in ombra, un po' in disparte e in pace. Puoi sempre scivolare lento sulla superficie dei fatti e quindi "prendere atto": prendere atto che quello è indagato per mafia; che quell'altro è stato rinviato a giudizio; che quell'altro ancora è sotto processo per favoreggiamento alle cosche; che la magistratura sempre "indaga a 360 gradi".

Nessuno te ne vorrà. È il tuo lavoro e se fai il tuo lavoro con prudenza, senza eccessi, con mediocrità, nessuno salterà su contro di te. Però, dice Lirio, che ha una compagna e un bimba di dieci mesi, questo lavoro non è accurato, non è onesto perché non racconta quel che vede e sa: "Io so, noi sappiamo chi sono i mafiosi e gli amici dei mafiosi o i loro protettori. Non ho, non abbiamo bisogno di attendere una sentenza o la parola della Cassazione o un'inchiesta giudiziaria perché penso che, prima della responsabilità penale, sempre eventuale, ci sia una responsabilità sociale e politica accertabile. Se il deputato, il consigliere regionale, l'assessore, il primario, il professore universitario se ne vanno in giro con il mafioso è un fatto. Si conoscono, passeggiano sottobraccio, si baciano quando s'incontrano. È soltanto accuratezza non rinviare ai tempi di una sentenza quel racconto. È il mio lavoro dirlo ora, subito. Non sono una testa calda, non sono un estremista, sono un cronista e credo che il mio impegno sia stretto in poche parole: raccontare quel che posso documentare".

Deve essere questa convinzione che ha fottuto Lirio. Alla vigilia delle elezioni amministrative (maggio 2007), il suo metodo di lavoro deve aver messo di cattivo umore qualche capintesta moralmente opaco. La sua certosina ostinazione a ricostruire la rete di complicità "borghesi" che, per 43 anni, ha custodito la latitanza di Bernardo Provenzano non deve aver migliorato l'umore di altri. Un giorno lo chiamano in questura e gli dicono che "non si deve preoccupare, ma che sarà protetto con discrezione". Lirio si preoccupa, altroché. Cerca di capire. Capisce che sono in corso delle intercettazioni nel quartiere mafiosissimo di Brancaccio e in quelle conversazioni è saltato fuori che occorrono delle armi per fare "una sorpresa a quel rompicoglioni". Dice Lirio che, in quei momenti, quel che ti sta accadendo ti appare del tutto sproporzionato. "In fondo, sei consapevole che il tuo lavoro, per quanto meticoloso e accurato, nella migliori delle ipotesi si avvicina, senza svelarla, all'autentica realtà delle cose. Ti chiedi qual è stata la frase, il dettaglio, il nome che può avere inquietato e non sai dirlo. Puoi forse immaginarlo, non averne la certezza. Così vai avanti. Fingi che non sia accaduto niente. Tieni per te l'angoscia, senza rovesciarla su chi ti è accanto. Tanto passerà".

Non passa invece. Un giorno Lirio trova sulla sua auto "la lettera di un amico". Lo invita "a stare attento". In questura dicono che la minaccia è "molto seria", che una scorta armata lo seguirà passo passo durante il giorno. Per un cronista andarsene in giro con uomini armati è molto buffo. Il lavoro ne è irrimediabilmente pregiudicato. Quale "fonte" accetterà di incontrarti? Quale fonte ti confermerà quel che non potrebbe confermarti? Devi fermarti all'ufficialità, al "prendere atto". Dice Lirio che anche per questo, con la direzione dell'Ansa, decide di "staccare", di venir via dalla Sicilia, di starsene qualche mese a Roma, nella redazione centrale.

Lirio è tornato a Palermo soltanto dieci giorni fa e quelli subito si sono fatti sotto. Nella notte gli hanno sistemato una bomba incendiaria sotto l'auto. Il quartiere della Kalsa bloccato per ore. Polizia a sigillare la zona; artificieri per disattivare l'ordigno; vigili del fuoco preparati al peggio; carri dei vigili urbani per spostare in fretta le auto che davano impiccio e, nei giorni successivi, il silenzio di Palermo. Un silenzio freddo, scrupoloso, amaro che lo imprigiona come in una bolla d'aria. Dice Lirio che non vuole parlare di "solitudine" perché gli sembra retorico e inesatto: se ne vergognerebbe.

"In quel che mi accade" sostiene Lirio "mi sento fortunato. Sento accanto a me l'amichevole presenza dei miei colleghi di redazione. La direzione dell'Ansa è premurosa. Polizia e magistratura di più non potrebbero fare per rassicurarmi. Ma, se si esclude questo cerchio protettivo, avverto l'indifferenza della città. Un sindacato di giornalisti ha diffuso un comunicato in cui si diceva, più o meno, che - è vero - Lirio Abbate è minacciato, ma è un affare che riguarda soltanto lui perché - tranquilli - i cronisti siciliani non corrono alcun pericolo. Si può? Quest'incomprensione collettiva è un grumo di veleno e di amarezza che aggrava l'angoscia peggio della minaccia di quei vigliacchi e non parlo di me soltanto, parlo delle decine di casi che, come il mio, si consumano ogni giorno in città, nell'indifferenza di una Palermo muta che quotidianamente "prende atto" di negozi bruciati dagli estorsori che non risparmiano i piccoli e piccolissimi esercizi e finanche i distributori di benzina. Una città dove, se ti portano via l'auto o la moto, sai a chi puoi rivolgerti - tutti sanno chi è il mafioso del quartiere - per fartela restituire dietro il pagamento di una cauzione, così la chiamano. È vero, l'iniziativa di Confindustria è straordinaria. Erano dodici anni che le associazioni antiracket invocavano un gesto, un passo deciso. Ora c'è una promessa. Vedremo con il tempo se alle parole seguiranno i fatti. Però, perché prima di mandar via chi paga il pizzo non si comincia a mettere fuori da Confindustria l'imprenditore condannato per mafia? Ce ne sono. Basta guardare a Caltanissetta".

Dice Lirio che hanno ragione il capo dello Stato e il governo a chiedere che "la società civile" faccia la sua parte contro la mafia. È la parte del problema con cui egli sente di dover fare più dolorosamente i conti, oggi. "È un paradosso. Credi di dover fare in modo accurato il tuo lavoro di cronista per illuminare nell'interesse dell'opinione pubblica, di quella "società civile", gli angoli bui e sporchi del cortile di casa. Poi scopri che sei un ingenuo. Nessuno vuole guardare da quella parte, in quegli angoli - no - preferiscono voltarsi da un'altra parte anche se stai lì a tirargli la giacchetta. E allora perché lo faccio?, ti chiedi. Perché infliggo a chi mi è caro ansia, paura, apprensione e, Dio non voglia, pericoli? Perché, mi chiedo, non ascolti chi ti dice: ma chi te lo fa fare, vattene da qui, vattene subito, non ti accorgi che non vale la pena?".

La voce di Lirio sembra rompersi ora. Percettibilmente, il timbro diventa roco e trattenuto come di chi si sta sforzando di controllare un'emozione che forse è rabbia, forse è avvilimento o forse entrambe le cose. Dopo qualche secondo, Lirio dice finalmente: "Lo sai perché non decido di andarmene? Per onore. Sì, per onore! Non per il mostruoso, folle, ridicolo onore di cui si riempiono la bocca mafiosi deboli con i forti e forti con i più deboli, ma per quell'onore che mi chiede di avere rispetto di me stesso, che mi impedisce di inchinarmi alla forza e alla paura, di scendere a patti con ciò che disprezzo. Quell'onore che molti siciliani hanno dimenticato di coltivare".

(5 settembre 2007)

Giuseppe D'avanzo
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Old 06-09-2007, 13:22   #5
Igor
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Ecco un piccolo estratto pubblicato dall'espresso:

Quote:
«...Enrico tu sai da dove vengo e che cosa ero con tuo padre… Io sono mafioso come tuo padre, perché con tuo padre me ne andavo a cercare i voti vicino a Villalba da Turiddu Malta che era il capomafia di Vallelunga… Ora (lui) non c’è (più), ma lo posso sempre dire io che tuo padre era mafioso…».

Una frase del genere, anche loro che per lavoro erano abituati ad ascoltare ogni giorno ore e ore d’intercettazioni, non l’avevano mai sentita. Sembravano le parole di un film. Dentro c’era tutto: la minaccia - «io sono mafioso» - il ricatto - «lo posso sempre dire io che tuo padre era mafioso» - i riferimenti ai capi storici di Cosa Nostra - Turiddu Malta, capofamiglia liberato dal carcere nel ’43 dagli americani - e la politica. Sì, la politica. Quella con la P maiuscola, perché Enrico era il figlio del senatore fanfaniano Giuseppe La Loggia: era Enrico La Loggia, dal 1996 al 2001 capogruppo di Forza Italia al Senato e poi ministro degli Affari Regionali nel governo Berlusconi. Ma a pronunciare quelle parole non era stato un attore: a scandirle con voce forte e chiara era stato, appena un mese prima di finire in manette, l’avvocato Nino Mandalà. È il 4 maggio 1998. Quel giorno il boss di Villabate sale, verso le 11 del mattino, sulla Mercedes turbodiesel di un uomo d’onore grande e grosso, dalla folta barba scura. È l’auto di Simone Castello, l’imprenditore che, fin dagli anni Ottanta, per conto di Provenzano recapita i suoi pizzini in tutta la Sicilia. I carabinieri l’hanno imbottita di microspie perché sanno che parlare con Castello significa parlare direttamente con l’ultimo Padrino. Mandalà è su di giri. Le elezioni amministrative sono alle porte, nel direttivo provinciale di Forza Italia di cui fa parte c’è fermento, le riunioni per preparare la lista dei candidati si succedono alle riunioni. Gaspare Giudice lo ha consultato per trovare un uomo da presentare per la corsa al consiglio provinciale a Misilmeri, un paesino a pochi chilometri da Villabate. Lui gli ha fornito un nome: all’ultimo momento però l’accordo è saltato, perché Renato Schifani, neoeletto senatore nel collegio di Corleone, «ha preteso, giustamente, che il candidato di Misilmeri alla provincia fosse suo, visto che Gaspare Giudice ne aveva già quattro», spiega Nino a Simone. (...)

La sua prima piccola rivincita, Nino, se l’è comunque già presa. Il candidato proposto da Schifani si è presentato in paese ma è stato respinto in malo modo. Ridendo, Mandalà racconta di avergli detto a brutto muso: «Caro mio io non do indicazioni a nessuno, non mi carico nessuno, Misilmeri non è Villabate, è inutile che vieni da me. Di voti qui non ce n’è per nessuno…». La dura reazione del capomafia ha preoccupato i vertici di Forza Italia, tanto che Gaspare Giudice lo ha immediatamente chiamato: «Mi ha telefonato dicendo che stamattina a casa di Enrico La Loggia c’è stata una riunione. (C’erano) La Loggia, Schifani, Giovanni Mercadante (l’allora capogruppo di Forza Italia in Comune a Palermo, arrestato per mafia nel 2006) e Dore Misuraca, l’assessore regionale agli Enti Locali. (Giudice mi ha raccontato che) Schifani disse a La Loggia: «Senti Enrico, dovresti telefonare a Nino Mandalà, perché ha detto che a Villabate Gaspare Giudice non ci deve mettere più piede… e quindi c’è la possibilità di recuperare Mandalà, telefonagli…».

Il mafioso è quasi divertito. Tanta confusione intorno al suo nome in fondo lo fa sentire importante. Alzare la voce con i politici è sempre un sistema che funziona. E, secondo lui, anche Renato Schifani ne sa qualcosa. Dice Mandalà: «Simone, hai presente che Schifani, attraverso questo (il candidato di Misilmeri)… aveva chiesto di avere un incontro con me, se potevo riceverlo. E io gli ho detto no, gli ho detto che ho da fare e che non ho tempo da perdere con lui. Quindi, quando ha capito che lui con me non poteva fare niente, si è rivolto al suo capo Enrico La Loggia che, secondo lui, mi dovrebbe telefonare. Ma vedrai che lui non mi telefonerà. Mi può telefonare che io, una volta, l’ho fatto piangere?».

Mandalà (...) torna con la mente al 1995, l’anno in cui suo figlio Nicola era stato arrestato per la prima volta. Accusa La Loggia di averlo lasciato solo, di averlo «completamente abbandonato», forse nel timore che qualcuno scoprisse un segreto a quel punto divenuto inconfessabile: lui e Nino Mandalà non solo si conoscevano fin da bambini, ma per anni erano anche stati soci, avevano lavorato fianco a fianco in un’agenzia di brokeraggio assicurativo (...). Il portaordini di Provenzano cerca d’interromperlo, sembra voler tentare di calmarlo: «Va bene, magari è il presidente (dei senatori di Forza Italia e non si può esporre)…». «D’accordo, però, dico, in una situazione come questa… Dio mio mandami un messaggio. (Poteva farlo attraverso) ’sto cornuto di Schifani che (allora) non era (ancora senatore), (ma faceva) l’esperto (il consulente in materie urbanistiche) qua al Comune di Villabate a 54 milioni (di lire) l’anno. Me lo aveva mandato (proprio) il signor La Loggia».

«Poi, un giorno, dopo la scarcerazione di Nicola, (io e La Loggia) ci siamo incontrati a un congresso di Forza Italia. Lui mi dice: “Nino, io sai per questo incidente di tuo figlio…”. Gli ho detto: “Senti una cosa, tu mi devi fare la cortesia, pezzo di merda che sei, di non permetterti più di rivolgermi la parola”. [i]Lui si è messo a piangere, si è messo a piangere, ma non si è messo a piangere perché era mortificato, si è messo a piangere per la paura. Siccome gli ho detto“ora lo racconto che tuo padre veniva a raccogliere con me daTuriddu Malta”, e l’ho fatto proprio per farlo spaventare, per impaurirlo, per fargli male, ’sto cretino, minchia, ha pensato che io andassi veramente a fare una cosa del genere. Vedi quanto è cornuto e senza onore...».

(Lirio abbate, Peter Gomez, "I complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento", Fazi Editore, 2007, pag. 69)
http://www.marcotravaglio.it/libri/i...i_espresso.htm

Intervista Gomez - Abbate
http://www.fazieditore.it/Dettaglio_p.aspx?id=10&t=3
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Old 06-09-2007, 13:29   #6
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Ecco un piccolo estratto pubblicato dall'espresso:
Il libro di gomez e abate è sicuramente un genere letterario mafioso innovativo...parte dal controllo sul territorio operato grazie a politici locali,per arrivare alla visione più generale dell'assetto politico-mafioso...certamente un'opera preziosa per capire COME sia possibile che un boss mafioso sia arrivato a condizionare un uomo delle istituzioni di livello nazionale.
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Old 06-09-2007, 13:37   #7
diabolicus
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Old 06-09-2007, 13:40   #8
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e quello è niente...
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Old 06-09-2007, 13:47   #9
Cfranco
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Ma tanto arriverà qualcuno e dirà che finchè la cassazione non ha emesso una condanna i politici in questione sono da considerarsi immacolati ...
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Old 06-09-2007, 14:05   #10
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Ma tanto arriverà qualcuno e dirà che finchè la cassazione non ha emesso una condanna i politici in questione sono da considerarsi immacolati ...
A tale proposito vanno proprio ricordate le parole di Borsellino che nel 1989 così si esprimeva:

Quote:
“Vi è stata una delega totale e inammissibile nei confronti della magistratura e delle forze dell’ordine a occuparsi esse solo del problema della mafia (…). E c’è un equivoco di fondo: si dice che quel politico era vicino alla mafia, che quel politico era stato accusato di avere interessi convergenti con la mafia, però la magistratura, non potendone accertare le prove, non l’ha condannato, ergo quell’uomo è onesto…E no! (…) Questo discorso non va, perché la magistratura può fare solo un accertamento giudiziale. Può dire, be’ ci sono sospetti, sospetti anche gravi, ma io non ho le prove e la certezza giuridica per dire che quest’uomo è un mafioso. Però i Consigli comunali, regionali e provinciali avrebbero dovuto trarre le dovute conseguenza da certe vicinanze sospette tra politici e mafiosi, considerando il politico tal dei tali inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Ci si è nascosti dietro lo schema della sentenza, cioè quest’uomo non è mai stato condannato, quindi non è un mafioso, quindi è un uomo onesto!”.

(Lirio abbate, Peter Gomez, "I complici. Tutti gli uomini di Bernardo Provenzano da Corleone al Parlamento", Fazi Editore, 2007, pag. 6)
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Old 06-09-2007, 14:09   #11
Onisem
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Mmm, ma che bell'ambientino FI...
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Tanto poco un uomo si interessa dell'altro, che persino il cristianesimo raccomanda di fare il bene per amore di Dio. (Cesare Pavese)
"Sono un liberale di destra, come potrei votare uno come Berlusconi?"
Marcello Dell'Utri, fondatore del partito Forza Italia, è stato condannato per mafia.
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Old 06-09-2007, 14:13   #12
Ser21
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Mmm, ma che bell'ambientino FI...
fossero solo loro...si spazia da pci a fn ancora un po'...
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Old 06-09-2007, 14:25   #13
sander4
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libro molto interessante
l'autore abbate è stato molto coraggioso (insieme al co-autore peter gomez), così come anche saviano.... saranno condannati ad una vita sotto scorta per ciò che hanno scritto
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Old 06-09-2007, 15:02   #14
sider
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fossero solo loro...si spazia da pci a fn ancora un po'...

Sicuramente si, ma quel partito sembra costruito proprio su quel tipo di rapporti.
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Old 06-09-2007, 15:14   #15
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Sicuramente si, ma quel partito sembra costruito proprio su quel tipo di rapporti.
Fi non ha una base, non ha una struttura tipo ex PCi (un esempio di doti organizzative) o MSI - AN, gente che si formava all'interno dei partiti, che cresceva e si costituiva su un'ideologia......è fondata su persone di varie attitudini e provenienze, incontrollate, e legate da amicizie nate nel mondo degli affari o simili....penso sia più facile l'infiltrazione di certi personaggi proprio per questo motivo.
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Se il cameriere di un locale per me è un idiota, non conosce le regole del locale, tratta bene solo i suoi leccaculo ma va bene al proprietario...cambio locale.
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Old 06-09-2007, 15:38   #16
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Fi non ha una base, non ha una struttura tipo ex PCi (un esempio di doti organizzative) o MSI - AN, gente che si formava all'interno dei partiti, che cresceva e si costituiva su un'ideologia......è fondata su persone di varie attitudini e provenienze, incontrollate, e legate da amicizie nate nel mondo degli affari o simili....penso sia più facile l'infiltrazione di certi personaggi proprio per questo motivo.
Questo potrebbe fornire una spiegazione , è tuttavia singolare che il fondatore di FI ( Dell' Utri ) sia un personaggio che è noto per le sue spericolate frequentazioni di ambienti mafiosi , e pure il Numero 1 , il signor B. ha avuto in passato contatti non casuali con alcuni boss .
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Old 06-09-2007, 15:44   #17
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Questo potrebbe fornire una spiegazione , è tuttavia singolare che il fondatore di FI ( Dell' Utri ) sia un personaggio che è noto per le sue spericolate frequentazioni di ambienti mafiosi , e pure il Numero 1 , il signor B. ha avuto in passato contatti non casuali con alcuni boss .
E' sbagliato dire contatti....Mr.B la mafia l'ha utilizzata sia come protezione sia come finanziamento...ma su questo tema si potrebbe scrivere per ore.
Il fatto che un capo mandamento fosse presente ad Arcore è un chiaro segnale di come Mr.B and co. fossero nelle mani di cosa nostra,come disse ripetute volte Riina e Provenzano in numerose riunioni del direttivo di cosa nostra (Parole riferite da Brusca,Cancemi e pure confermate in buona parte da balduccio di maggio).
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Old 06-09-2007, 16:11   #18
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Questo potrebbe fornire una spiegazione , è tuttavia singolare che il fondatore di FI ( Dell' Utri ) sia un personaggio che è noto per le sue spericolate frequentazioni di ambienti mafiosi , e pure il Numero 1 , il signor B. ha avuto in passato contatti non casuali con alcuni boss .
io sono pienamente convinto che in Fi ci sia di tutto (oltre i livelli già preoccupanti di tutte le altre formazioni) dalla brava persona che spera di poter migliorare la propria condizione, al porco arrivista, al mafioso.......all'uomo d'affari che per poter operare in Sicilia ha dovuto scendere a patti con la Mafia (il segmento nel quale penso possa identificarsi il Berlusca).....è preoccupante sicuramente.
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Addio Pierpo, motociclista.
Se il cameriere di un locale per me è un idiota, non conosce le regole del locale, tratta bene solo i suoi leccaculo ma va bene al proprietario...cambio locale.
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Old 06-09-2007, 16:18   #19
Cfranco
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io sono pienamente convinto che in Fi ci sia di tutto (oltre i livelli già preoccupanti di tutte le altre formazioni) dalla brava persona che spera di poter migliorare la propria condizione, al porco arrivista, al mafioso.......all'uomo d'affari che per poter operare in Sicilia ha dovuto scendere a patti con la Mafia (il segmento nel quale penso possa identificarsi il Berlusca).....è preoccupante sicuramente.
Mah , dalle indagini sembrerebbe che il livello di contatti tra Mr B. , Dell' Utri e diversi boss mafiosi fosse a un livello molto più elevato del semplice pizzo sui ripetitori ...
__________________
Ph'nglui mglw'nafh Cthulhu R'lyeh wgah'nagl fhtagn
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Old 06-09-2007, 16:21   #20
dantes76
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Mmm, ma che bell'ambientino FI...
tanto gli so arrivate le cartoline di precetto al tritolo.... questione di tempo, solo quello..
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