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#41 |
Senior Member
Iscritto dal: Oct 2000
Città: Montesilvano (PE)
Messaggi: 1045
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A me, tra gli altri, è sempre piaciuto lo spesso dimenticato Gozzano ed in particolare questa:
La signorina Felicita ovvero la Felicita'à di Guido Gozzano (1883-1916) I) Signorina Felicita, a quest'ora scende la sera nel giardino antico della tua casa. Nel mio cuore amico scende il ricordo. E ti rivedo ancora, e Ivrea rivedo e la cerulea Dora e quel dolce paese che non dico. Signorina Felicita, è il tuo giorno! A quest'ora che fai? Tosti il caffè: e il buon aroma si diffonde intorno? O cuci i lini e canti e pensi a me, all'avvocato che non fa ritorno? E l'avvocato è qui: che pensa a te. Pensa i bei giorni d'un autunno addietro, Vill'Amarena a sommo dell'ascesa coi suoi ciliegi e con la sua Marchesa dannata, e l'orto dal profumo tetro di busso e i cocci innumeri di vetro sulla cinta vetusta, alla difesa... Vill'Amarena! Dolce la tua casa in quella grande pace settembrina! La tua casa che veste una cortina di granoturco fino alla cimasa: come una dama secentista, invasa dal Tempo, che vestì da contadina. Bell'edificio triste inabitato! Grate panciute, logore, contorte! Silenzio! Fuga dalle stanze morte! Odore d'ombra! Odore di passato! Odore d'abbandono desolato! Fiabe defunte delle sovrapporte! Ercole furibondo ed il Centauro, le gesta dell'eroe navigatore, Fetonte e il Po, lo sventurato amore d'Arianna, Minosse, il Minotauro, Dafne rincorsa, trasmutata in lauro tra le braccia del Nume ghermitore... Penso l'arredo - che malinconia! - penso l'arredo squallido e severo, antico e nuovo: la pirografia sui divani corinzi dell'Impero, la cartolina della Bella Otero alle specchiere... Che malinconia! Antica suppellettile forbita! Armadi immensi pieni di lenzuola che tu rammendi pazïente... Avita semplicità che l'anima consola, semplicità dove tu vivi sola con tuo padre la tua semplice vita! II. Quel tuo buon padre - in fama d'usuraio - quasi bifolco, m'accoglieva senza inquietarsi della mia frequenza, mi parlava dell'uve e del massaio, mi confidava certo antico guaio notarile, con somma deferenza. «Senta, avvocato...» E mi traeva inqueto nel salone, talvolta, con un atto che leggeva lentissimo, in segreto. Io l'ascoltavo docile, distratto da quell'odor d'inchiostro putrefatto, da quel disegno strano del tappeto, da quel salone buio e troppo vasto... «...la Marchesa fuggì... Le spese cieche...» da quel parato a ghirlandette, a greche... «dell'ottocento e dieci, ma il catasto...» da quel tic-tac dell'orologio guasto... «...l'ipotecario è morto, e l'ipoteche...» Capiva poi che non capivo niente e sbigottiva: «Ma l'ipotecario è morto, è morto!!...». - «E se l'ipotecario è morto, allora...» Fortunatamente tu comparivi tutta sorridente: «Ecco il nostro malato immaginario!». III. Sei quasi brutta, priva di lusinga nelle tue vesti quasi campagnole, ma la tua faccia buona e casalinga, ma i bei capelli di color di sole, attorti in minutissime trecciuole, ti fanno un tipo di beltà fiamminga... E rivedo la tua bocca vermiglia così larga nel ridere e nel bere, e il volto quadro, senza sopracciglia, tutto sparso d'efelidi leggiere e gli occhi fermi, l'iridi sincere azzurre d'un azzurro di stoviglia... Tu m'hai amato. Nei begli occhi fermi rideva una blandizie femminina. Tu civettavi con sottili schermi, tu volevi piacermi, Signorina: e più d'ogni conquista cittadina mi lusingò quel tuo voler piacermi! Ogni giorno salivo alla tua volta pel soleggiato ripido sentiero. Il farmacista non pensò davvero un'amicizia così bene accolta, quando ti presentò la prima volta l'ignoto villeggiante forestiero. Talora - già la mensa era imbandita - mi trattenevi a cena. Era una cena d'altri tempi, col gatto e la falena e la stoviglia semplice e fiorita e il commento dei cibi e Maddalena decrepita, e la siesta e la partita... Per la partita, verso ventun'ore giungeva tutto l'inclito collegio politico locale: il molto Regio Notaio, il signor Sindaco, il Dottore; ma - poiché trasognato giocatore - quei signori m'avevano in dispregio... M'era più dolce starmene in cucina tra le stoviglie a vividi colori: tu tacevi, tacevo, Signorina: godevo quel silenzio e quegli odori tanto tanto per me consolatori, di basilico d'aglio di cedrina... Maddalena con sordo brontolio disponeva gli arredi ben detersi, rigovernava lentamente ed io, già smarrito nei sogni più diversi, accordavo le sillabe dei versi sul ritmo eguale dell'acciottolio. Sotto l'immensa cappa del camino (in me rivive l'anima d'un cuoco forse...) godevo il sibilo del fuoco; la canzone d'un grillo canterino mi diceva parole, a poco a poco, e vedevo Pinocchio e il mio destino... Vedevo questa vita che m'avanza: chiudevo gli occhi nei presagi grevi; aprivo gli occhi: tu mi sorridevi, ed ecco rifioriva la speranza! Giungevano le risa, i motti brevi dei giocatori, da quell'altra stanza. IV. Bellezza riposata dei solai dove il rifiuto secolare dorme! In quella tomba, tra le vane forme di ciò ch'è stato e non sarà più mai, bianca bella così che sussultai, la Dama apparve nella tela enorme: «È quella che lasciò, per infortuni, la casa al nonno di mio nonno... E noi la confinammo nel solaio, poi che porta pena... L'han veduta alcuni lasciare il quadro; in certi noviluni s'ode il suo passo lungo i corridoi...». Il nostro passo diffondeva l'eco tra quei rottami del passato vano, e la Marchesa dal profilo greco, altocinta, l'un piede ignudo in mano, si riposava all'ombra d'uno speco arcade, sotto un bel cielo pagano. Intorno a quella che rideva illusa nel ricco peplo, e che morì di fame, v'era una stirpe logora e confusa: topaie, materassi, vasellame, lucerne, ceste, mobili: ciarpame reietto, così caro alla mia Musa! Tra i materassi logori e le ceste v'erano stampe di persone egregie; incoronato dalle frondi regie v'era Torquato nei giardini d'Este. «Avvocato, perché su quelle teste buffe si vede un ramo di ciliege?» Io risi, tanto che fermammo il passo, e ridendo pensai questo pensiero: Oimè! La Gloria! un corridoio basso, tre ceste, un canterano dell'Impero, la brutta effigie incorniciata in nero e sotto il nome di Torquato Tasso! Allora, quasi a voce che richiama, esplorai la pianura autunnale dall'abbaino secentista, ovale, a telaietti fitti, ove la trama del vetro deformava il panorama come un antico smalto innaturale. Non vero (e bello) come in uno smalto a zone quadre, apparve il Canavese: Ivrea turrita, i colli di Montalto, la Serra dritta, gli alberi, le chiese; e il mio sogno di pace si protese da quel rifugio luminoso ed alto. Ecco - pensavo - questa è l'Amarena, ma laggiù, oltre i colli dilettosi, c'è il Mondo: quella cosa tutta piena di lotte e di commerci turbinosi, la cosa tutta piena di quei «cosi con due gambe» che fanno tanta pena... L'Eguagliatrice numera le fosse, ma quelli vanno, spinti da chimere vane, divisi e suddivisi a schiere opposte, intesi all'odio e alle percosse: così come ci son formiche rosse, così come ci son formiche nere... Schierati al sole o all'ombra della Croce, tutti travolge il turbine dell'oro; o Musa - oimè! - che può giovare loro il ritmo della mia piccola voce? Meglio fuggire dalla guerra atroce del piacere, dell'oro, dell'alloro... L'alloro... Oh! Bimbo semplice che fui, dal cuore in mano e dalla fronte alta! Oggi l'alloro è premio di colui che tra clangor di buccine s'esalta, che sale cerretano alla ribalta per far di sé favoleggiar altrui... «Avvocato, non parla: che cos'ha?» «Oh! Signorina! Penso ai casi miei, a piccole miserie, alla città... Sarebbe dolce restar qui, con Lei!...» «Qui, nel solaio?...» - «Per l'eternità!» «Per sempre? Accetterebbe?...» - «Accetterei!» Tacqui. Scorgevo un atropo soletto e prigioniero. Stavasi in riposo alla parete: il segno spaventoso chiuso tra l'ali ripiegate a tetto. Come lo vellicai sul corsaletto si librò con un ronzo lamentoso. «Che ronzo triste!» - «È la Marchesa in pianto... La Dannata sarà che porta pena...» Nulla s'udiva che la sfinge in pena e dalle vigne, ad ora ad ora, un canto: O mio carino tu mi piaci tanto, siccome piace al mar una sirena... Un richiamo s'alzò, querulo e rôco: «È Maddalena inqueta che si tardi: scendiamo; è l'ora della cena!». - «Guardi, guardi il tramonto, là... Com'è di fuoco!... Restiamo ancora un poco!» - «Andiamo, è tardi!» «Signorina, restiamo ancora un poco!...» Le fronti al vetro, chini sulla piana, seguimmo i neri pippistrelli, a frotte; giunse col vento un ritmo di campana, disparve il sole fra le nubi rotte; a poco a poco s'annunciò la notte sulla serenità canavesana... «Una stella!...» - «Tre stelle!...» - «Quattro stelle!...» «Cinque stelle!» - «Non sembra di sognare?...» Ma ti levasti su quasi ribelle alla perplessità crepuscolare: «Scendiamo! È tardi: possono pensare che noi si faccia cose poco belle...» V. Ozi beati a mezzo la giornata, nel parco dei marchesi, ove la traccia restava appena dell'età passata! Le Stagioni camuse e senza braccia, fra mucchi di letame e di vinaccia, dominavano i porri e l'insalata. L'insalata, i legumi produttivi deridevano il busso delle aiole; volavano le pieridi nel sole e le cetonie e i bombi fuggitivi... Io ti parlavo, piano, e tu cucivi innebriata dalle mie parole. «Tutto mi spiace che mi piacque innanzi! Ah! Rimanere qui, sempre, al suo fianco, terminare la vita che m'avanzi tra questo verde e questo lino bianco! Se Lei sapesse come sono stanco delle donne rifatte sui romanzi! Vennero donne con proteso il cuore: ognuna dileguò, senza vestigio. Lei sola, forse, il freddo sognatore educherebbe al tenero prodigio: mai non comparve sul mio cielo grigio quell'aurora che dicono: l'Amore...» Tu mi fissavi... Nei begli occhi fissi leggevo uno sgomento indefinito; le mani ti cercai, sopra il cucito, e te le strinsi lungamente, e dissi: «Mia cara Signorina, se guarissi ancora, mi vorrebbe per marito?». «Perché mi fa tali discorsi vani? Sposare, Lei, me brutta e poveretta!...» E ti piegasti sulla tua panchetta facendo al viso coppa delle mani, simulando singhiozzi acuti e strani per celia, come fa la scolaretta. Ma, nel chinarmi su di te, m'accorsi che sussultavi come chi singhiozza veramente, né sa più ricomporsi: mi parve udire la tua voce mozza da gli ultimi singulti nella strozza: «Non mi ten...ga mai più... tali dis...corsi!» «Piange?» E tentai di sollevarti il viso inutilmente. Poi, colto un fuscello, ti vellicai l'orecchio, il collo snello... Già tutta luminosa nel sorriso ti sollevasti vinta d'improvviso, trillando un trillo gaio di fringuello. Donna: mistero senza fine bello! VI. Tu m'hai amato. Nei begli occhi fermi luceva una blandizie femminina; tu civettavi con sottili schermi, tu volevi piacermi, Signorina; e più d'ogni conquista cittadina mi lusingò quel tuo voler piacermi! Unire la mia sorte alla tua sorte per sempre, nella casa centenaria! Ah! Con te, forse, piccola consorte vivace, trasparente come l'aria, rinnegherei la fede letteraria che fa la vita simile alla morte... Oh! questa vita sterile, di sogno! Meglio la vita ruvida concreta del buon mercante inteso alla moneta, meglio andare sferzati dal bisogno, ma vivere di vita! Io mi vergogno, sì, mi vergogno d'essere un poeta! Tu non fai versi. Tagli le camicie per tuo padre. Hai fatta la seconda classe, t'han detto che la Terra è tonda, ma tu non credi... E non mediti Nietzsche... Mi piaci. Mi faresti più felice d'un'intellettuale gemebonda... Tu ignori questo male che s'apprende in noi. Tu vivi i tuoi giorni modesti, tutta beata nelle tue faccende. Mi piace. Penso che leggendo questi miei versi tuoi, non mi comprenderesti, ed a me piace chi non mi comprende. Ed io non voglio più essere io! Non più l'esteta gelido, il sofista, ma vivere nel tuo borgo natio, ma vivere alla piccola conquista mercanteggiando placido, in oblio come tuo padre, come il farmacista... Ed io non voglio più essere io! VII. Il farmacista nella farmacia m'elogiava un farmaco sagace: «Vedrà che dorme le sue notti in pace: un sonnifero d'oro, in fede mia!» Narrava, intanto, certa gelosia con non so che loquacità mordace. «Ma c'è il notaio pazzo di quell'oca! Ah! quel notaio, creda: un capo ameno! La Signorina è brutta, senza seno, volgaruccia, Lei sa, come una cuoca... E la dote... la dote è poca, poca: diecimila, chi sa, forse nemmeno...» «Ma dunque?» - «C'è il notaio furibondo con Lei, con me che volli presentarla a Lei; non mi saluta, non mi parla...» «È geloso?» - «Geloso! Un finimondo!...» «Pettegolezzi!...» - «Ma non Le nascondo che temo, temo qualche brutta ciarla...» «Non tema! Parto.» - «Parte? E va lontana?» «Molto lontano... Vede, cade a mezzo ogni motivo di pettegolezzo...» «Davvero parte? Quando?» - «In settimana...» Ed uscii dall'odor d'ipecacuana nel plenilunio settembrino, al rezzo. Andai vagando nel silenzio amico, triste perduto come un mendicante. Mezzanotte scoccò, lenta, rombante su quel dolce paese che non dico. La Luna sopra il campanile antico pareva «un punto sopra un I gigante». In molti mesti e pochi sogni lieti, solo pellegrinai col mio rimpianto fra le siepi, le vigne, i castagneti quasi d'argento fatti nell'incanto; e al cancello sostai del camposanto come s'usa nei libri dei poeti. Voi che posate già sull'altra riva, immuni dalla gioia, dallo strazio, parlate, o morti, al pellegrino sazio! Giova guarire? Giova che si viva? O meglio giova l'Ospite furtiva che ci affranca dal Tempo e dallo Spazio? A lungo meditai, senza ritrarre la tempia dalle sbarre. Quasi a scherno s'udiva il grido delle strigi alterno... La Luna, prigioniera fra le sbarre, imitava con sue luci bizzarre gli amanti che si baciano in eterno. Bacio lunare, fra le nubi chiare come di moda settant'anni fa! Ecco la Morte e la Felicità! L'una m'incalza quando l'altra appare; quella m'esilia in terra d'oltremare, questa promette il bene che sarà... VIII. Nel mestissimo giorno degli addii mi piacque rivedere la tua villa. La morte dell'estate era tranquilla in quel mattino chiaro che salii tra i vigneti già spogli, tra i pendii già trapunti da bei colchici lilla. Forse vedendo il bel fiore malvagio che i fiori uccide e semina le brume, le rondini addestravano le piume al primo volo, timido, randagio; e a me randagio parve buon presagio accompagnarmi loro nel costume. «Vïaggio con le rondini stamane...» «Dove andrà?» - «Dove andrò? Non so... Vïaggio, vïaggio per fuggire altro vïaggio... Oltre Marocco, ad isolette strane, ricche in essenze, in datteri, in banane, perdute nell'Atlantico selvaggio... Signorina, s'io torni d'oltremare, non sarà d'altri già? Sono sicuro di ritrovarla ancora? Questo puro amore nostro salirà l'altare?» E vidi la tua bocca sillabare a poco a poco le sillabe: giuro. Giurasti e disegnasti una ghirlanda sul muro, di viole e di saette, coi nomi e con la data memoranda: trenta settembre novecentosette... Io non sorrisi. L'animo godette quel romantico gesto d'educanda. Le rondini garrivano assordanti, garrivano garrivano parole d'addio, guizzando ratte come spole, incitando le piccole migranti... Tu seguivi gli stormi lontananti ad uno ad uno per le vie del sole... «Un altro stormo s'alza!...» - «Ecco s'avvia!» «Sono partite...» - «E non le salutò!...» «Lei devo salutare, quelle no: quelle terranno la mia stessa via: in un palmeto della Barberia tra pochi giorni le ritroverò...» Giunse il distacco, amaro senza fine, e fu il distacco d'altri tempi, quando le amate in bande lisce e in crinoline, protese da un giardino venerando, singhiozzavano forte, salutando diligenze che andavano al confine... M'apparisti così come in un cantico del Prati, lacrimante l'abbandono per l'isole perdute nell'Atlantico; ed io fui l'uomo d'altri tempi, un buono sentimentale giovine romantico... Quello che fingo d'essere e non sono!
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Pace e Bene ![]() |
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#42 |
Senior Member
Iscritto dal: Jun 2002
Città: La Città Eterna ----- C'è chi uccide per insegnare a non uccidere...
Messaggi: 495
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To one in Paradise
Edgar Allan Poe, 1834 Thou wast all that to me, love, For which my soul did pine- A green isle in the sea, love, A fountain and a shrine, All wreathed with fairy fruits and flowers, And all the flowers were mine. Ah, dream too bright to last! Ah, starry Hope! that didst arise But to be overcast! A voice from out the Future cries, "On! on!"- but o'er the Past (Dim gulf!) my spirit hovering lies Mute, motionless, aghast! For, alas! alas! me The light of Life is o'er! "No more- no more- no more-" (Such language holds the solemn sea To the sands upon the shore) Shall bloom the thunder-blasted tree Or the stricken eagle soar! And all my days are trances, And all my nightly dreams Are where thy grey eye glances, And where thy footstep gleams- In what ethereal dances, By what eternal streams. --------- Trad: A una in Paradiso Eri per me quel tutto, amore, per cui si struggeva la mia anima - una verde isola nel mare, amore, una fonte limpida, un'ara di magici frutti e fiori adornata: e tutti erano miei quei fiori. Ah, sogno splendido e breve! Stellata speranza, appena apparsa e subito sopraffatta! Una voce del Futuro mi grida "Avanti, avanti!" - ma è sul Passato (oscuro gugite!) che la mia anima aleggia tacita, immobile, sgomenta! Perchè mai più, oh, mai più per me risplenderà quella luce di Vita! Mai più - mai più - mai più - (è quel che il mare ripete alle sabbie del lido) - mai più rifiorirà un albero percosso dal fulmine, nè potrà più elevarsi un'aquila ferita. Vivo, trasognato, giorni estatici, e tutte le mie notturne visioni mi riportano ai tuoi grigi occhi di luce, a là dove tu stessa ti porti e risplendi, oh, in quali eteree danze, lungo rivi che scorrono perenni. Ovviamente la traduzione non ha la "musicalità" di quella in lingua originale...
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To die, to sleep; To sleep: perchance to dream: ay, there's the rub; for in that sleep of death what dreams may come when we have shuffled off this mortal coil, must give us pause: there's the respect that makes calamity of so long life; Omiblog ~ Italylondon |
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#43 |
Senior Member
Iscritto dal: Nov 2003
Città: Helheim (Rimini)
Messaggi: 272
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La via assordante strepitava intorno a me.
Una donna alta, sottile, a lutto, in un dolore immenso, passò sollevando e agitando con mano fastosa il pizzo e l'orlo della gonna agile e nobile con la sua gamba di statua. Ed io, proteso come folle, bevevo la dolcezza affascinante e il piacere che uccide nel suo occhio, livido cielo dove cova l'uragano. Un lampo, poi la notte! - Bellezza fuggitiva dallo sguardo che m'ha fatto subito rinascere, ti rivedrò solo nell'eternità? Altrove, assai lontano di quì! Troppo tardi! Forse mai! Perchè ignoro dove fuggi, né tu sai dove io vado, tu che avrei amata, tu che lo sapevi!
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HW-Metallaro ![]() ![]() |
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#44 | |
Senior Member
Iscritto dal: Oct 2003
Città: Bergamo
Messaggi: 3204
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Canto XXVI dell'Inferno
Quote:
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#45 |
Senior Member
Iscritto dal: Feb 2001
Messaggi: 824
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L'albatro
Prendono spesso i marinai per gioco Albatri, grandi uccelli marini, Che indolenti compagni di viaggio Seguono il bastimento mentre scivola Sopra gli abissi amari. Appena posti Sulla tolda, questi re dell'azzurro Ora maldestri e vergognosi lasciano Penosamente trascinarsi ai fianchi Le grandi ali bianche come remi. L'alato viaggiatore, com'è goffo E fiacco! Lui, poc'anzi così bello, Com'è comico e insulso! Uno gli stuzzica Il becco con la pipa, un altro mima zoppicando l'infermo che volava! Il Poeta assomiglia a questo principe Dei nembi, che frequenta la tempesta E ride dell'arciere; a lui, esiliato Sulla terra, fra gli schiamazzi, le ali Da gigante impediscono il cammino. ....quella in sign, insomma
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Il Poeta assomiglia a questo principe // Dei nembi, che frequenta la tempesta // E ride dell'arciere; a lui, esiliato // Sulla terra, fra gli schiamazzi, le ali // Da gigante impediscono il cammino. (Baudelaire - l'albatro) |
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