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Old 25-05-2004, 14:01   #1
ni.jo
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TORNA A CASA CERBERT!

Manchi ormai da tanto tempo...
i tuoi pupilli (e non), fanno finta di non accorgersi della tua assenza, ma gli sguardi virtuali orbi di tanto spiro ti cercano e osservano mogi il vuoto della tua logorrea riempire il tutto

e anche
Le orde destrorse dilagano inarrestanbili, annunciando l'avvento della supremazia dello slogan sulla logorrea, protetti dal piagnisteo sul comunismo.








Dai ciccio torna che non se ne può più, lascia stare quelle cartacce tanto la pensione è un utopia, una meta irraggiungibile, un sogno evanescente.
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Old 25-05-2004, 14:02   #2
The March
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io cero
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Old 25-05-2004, 14:03   #3
jumpermax
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Re: TORNA A CASA CERBERT!

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Originariamente inviato da ni.jo
Manchi ormai da tanto tempo...
i tuoi pupilli (e non), fanno finta di non accorgersi della tua assenza, ma gli sguardi virtuali orbi di tanto spiro ti cercano e osservano mogi il vuoto della tua logorrea riempire il tutto

e anche
Le orde destrorse dilagano inarrestanbili, annunciando l'avvento della supremazia dello slogan sulla logorrea, protetti dal piagnisteo sul comunismo.








Dai ciccio torna che non se ne può più, lascia stare quelle cartacce tanto la pensione è un utopia, una meta irraggiungibile, un sogno evanescente.
tanto ormai abbiamo vinto... siamo inarrestabili
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Old 25-05-2004, 14:04   #4
ni.jo
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io cero
pussa via, "sei lettere+smile" , se devi esserci posta per lo meno una paginetta protocollo....
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Old 25-05-2004, 14:05   #5
Wagen
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Re: TORNA A CASA CERBERT!

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Manchi ormai da tanto tempo...
i tuoi pupilli (e non), fanno finta di non accorgersi della tua assenza, ma gli sguardi virtuali orbi di tanto spiro ti cercano e osservano mogi il vuoto della tua logorrea riempire il tutto

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Dai ciccio torna che non se ne può più, lascia stare quelle cartacce tanto la pensione è un utopia, una meta irraggiungibile, un sogno evanescente.
Mi unisco al coro: TORNA, C'E' BISOGNO DI TE!!!
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Old 25-05-2004, 14:06   #6
motogpdesmo16
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scusate...ma di chi si parla?
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Old 25-05-2004, 14:08   #7
jumpermax
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Originariamente inviato da ni.jo
pussa via, "sei lettere+smile" , se devi esserci posta per lo meno una paginetta protocollo....
Nel suo “Nero su Nero”, memorie e appunti di cronaca venuti ad accumularsi “per dieci anni torbidi, fra il 1969 e il 1979”, Leonardo Sciascia si chiedeva: “Nascerà il verbo lottagovernare? ”. Doveva presto trovare conferma alla sua intuizione il grande scrittore siciliano se in una riunione con la base comunista, “un operaio interviene dandomi quasi dell’ignorante: in Polonia, dice, il Partito comunista appunto lottagoverna: com’è che non me ne rendo conto?”. Sono passati vent’anni e tutti gli eredi della tradizione, ex, post e neo comunista non solo lottagovernano, ma sono tornati a sparare, parrebbe al loro interno (e col risultato di rafforzare - come per altro avvenne già negli anni settanta, quando il risultato politico del terrorismo fu la crescita elettorale e l’approdo del Pci al governo - più che disarticolare “il cuore dello Stato”) e sempre al loro interno, a discutere se l’analisi brigatista sia più o meno “accettabile”, più o meno “farneticante”. Insomma, anche se la società è da tutt’altra parte, come in un tragico videogame un pugno di irriducibili ci costringe a discutere di “comunismo”. Riflettiamo: il comunismo è stato in questo secolo degno compare del nazismo riuscendo a seppellire qualcosa come cento milioni di donne, uomini, bambini, in nome di un’utopia che si è nutrita di terrore, guerre, stermini di massa. Di là dell’Adriatico un nazional-comunista è riuscito a inventarsi una variante etnicista dei campi di concentramento di Treblinka e delle fosse comuni di Katyn ottenendo di far tirare addosso a quel che resta della Jugoslavia tante bombe quanto basta perché muoia Sansone con tutti i filistei. L’Albania non esiste più da almeno un decennio e nei prossimi anni è verosimile che la sua popolazione, ridotta dal comunista Enver Oxa alla stadio larvale e poi dalla guerra allo stato di ente assistito sotto l’Alto Patrocinio Onu, si traferisca - è proprio il caso di dirlo - “armi e bagagli” in Italia. E davanti a tutto ciò (sorvolando sui milioni di vittime dei Gulag sovietici, sul genocidio cambogiano di Pol Pot, sui cimiteri “culturali” di Mao-Tze-Tung, gli obitori africani e quelli di Kim il Sung) in Italia non solo abbiamo fieri “comunisti” di lottagoverno, ma ritornano i “comunisti combattenti”. Tutti dicono: marziani. In realtà poi a ripensarci bene, uno riflette sulla filosofia che sottende le riforme Bindi e Berlinguer, va negli ospedali e nelle scuole, legge le pagine culturali del quotidiano di lottagoverno La Repubblica, compulsa le riviste sindacali della Cgil, consulta i libri di storia per bambini e per liceali, assiste ai film benignani e scopre che tutto il filone dei democratici veri è quello dell’antifascismo ex, post, neocomunista, di compagni che, tutt’al più, sbagliano. Spie piccole, ma significative, del mite brigatismo che coltiva l’élite exneopost di questo vecchio, vecchissimo paese, le ritroviamo quotidianamente già nelle pagine culturali (come la notizia denunciata da Paolo Mieli sulla Stampa secondo cui Gustav Herling, noto filosofo antitotalitario che da partigiano antinazista è finito nel Gulag sovietico, è stato censurato dalla casa editrice “democratica” per eccellenza Giulio Einaudi, perché nella sua prefazione a uno scrittore russo si era permesso di scrivere che “nazismo e comunismo sono gemelli totalitari” e che “la differenza tra i due regimi riguarda i metodi di uccisione”). Di fronte a questo apparato di potere che ha il suo epicentro nel ventre molle romano e cinghie di trasmisione ideologica nella cultura nazionale, c’è la multicolore, variegata, cosmopolita, maggioranza di cittadini, associazioni, gruppi sociali che sono cresciuti col gusto della libertà, persone che divenute adulte hanno imparato a guardare ai fatti, non più alle sirene della tradizionale opposizione destra/sinistra. Persone che, siano esse l’imprenditore, l’operaio, l’insegnante, lo studente o l’ex brigatista, siano esse impegnate sul terreno della libera iniziativa o dell’impresa educativa o dell’opera o del reinserimento sociali, si trovano sistematicamente sbarrata la strada dal blocco ideologico che va da Rifondazione a La Malfa, blocco statalista che ritiene la società costantemente immatura e dunque da tenere, con le buone o con le cattive, al guinzaglio e/o sotto la tutela di avanguardie illuminate. Grazie a un’epoca giudiziaria e quirinalizia favorevole (tanto per cambiare) agli ex, post, neo comunisti, l’accesso a una stagione di vere riforme politiche in campo educativo, sanitario, giudiziario, penitenziario, economico, sembra a tutt’oggi preclusa: guai a intervenire su magistratura, scuola, sanità, pensioni, carceri, struttura del lavoro; quando si viene al dunque si trova la dura opposizione degli apparati sindacali e corporativi, il ripiegarsi della politica in demagogia, la piazza scatenata, la Tv (compreso quella di Berlusconi) a sostenere la greppia del politicamente corretto di moda. Per questo non c’è molta altra alternativa, sul piano politico, a quella di una lotta (questa sì di lunga durata) che porti in politica e nella cultura nazionale, quella società operosa, antideologica e libertaria che oggi è maggioranza esclusa. C’è un unico particolare: la continuazione della guerra in Jugoslavia (nonostante le Br siano riuscite per qualche giorno a dare ossigeno al governo D’alema stornando da Belgrado e dal Kosovo l’attenzione pubblica) non favorisce certo questa impresa. Che è poi quella della fuoriuscita dal exneopost comunismo, l’unica vera anomalia (gramsciana) italiana.. TEMPI
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Old 25-05-2004, 14:11   #8
ni.jo
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scusate...ma di chi si parla?
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Brevemente,( ) Fondatore della Setta dei Logorroici - Supremo annoiatore delle masse catalettiche - Gran Vizir Ansiolitico e Lassativo, domatore passivo del Muffin...
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Old 25-05-2004, 14:11   #9
Bet
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Ei fu. Siccome logorreo,
dato il periodo senza respiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percosso, attonito
il forum al nunzio sta,

muto pensando all'ultimo
thread dell'uom noglobal;
né sa quando una simil
byte di macchina digitale
la sua rossa polvere
a calpestar verrà.

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http://www.cipoo.net Musica corale di pubblico dominio - spartiti-MID-MP3
Chi cerca conferme le trova sempre. (Popper)
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Old 25-05-2004, 14:12   #10
ni.jo
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Originariamente inviato da Bet
Ei fu. Siccome logorreo,
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rossi di brace
i post tuoi
ove il mio cuore brucia
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Old 25-05-2004, 14:13   #11
giovane acero
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Old 25-05-2004, 14:16   #12
bluelake
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Old 25-05-2004, 14:16   #13
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Old 25-05-2004, 14:17   #14
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(se non si fà vivo dopo un haiku, sintetica forma di poesia, non c'è speranza...)
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Old 25-05-2004, 14:18   #15
The March
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... cavolo nemmeno a dire "io cero" sono capace...
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Old 25-05-2004, 14:23   #16
giovane acero
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Re: TORNA A CASA CERBERT!

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Dai ciccio torna che non se ne può più, lascia stare quelle cartacce tanto la pensione è un utopia, una meta irraggiungibile, un sogno evanescente.
Mi unisco all'appello accorato di ni.jo, affinchè il Sommo Catone torni a calcare la mano sinistra (ma anche la destra) sull'ormai fredda e triste tastiera, la quale, abituata a tour de force digitatori prolissi come un viaggio in transiberiana giace inanimata sullo scrittoio informatico invaso dalla polvere di settimane... E il modem dai lucenti led sopisce, privato da giorni dalle piene straripanti delle inondanti maree semantiche del nostro compagno di ventura!

Torna... non fosse altro che per correggere il mio pessimo francese!






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Old 25-05-2004, 14:25   #17
ni.jo
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Originariamente inviato da The March
... cavolo nemmeno a dire "io cero" sono capace...
butta giù due righe almeno, è una seduta topico evocativa di uno spirito mai domo, pregno di sapiente conoscenza generosamente e umilmente elargita, riconosciuto e stimato dal nemico, padre putativo dei logorroici...
amleto
Atto III
Scena I
Elsinore, una stanza nel castello.

Entrano il Re, la Regina, Polonio, Ofelia, Rosencrantz e Guildenstern

Re E non potreste voi,
con velate domande, fargli dire (075)
qualche cosa di quel suo turbamento
che inasprisce la pace dei suoi giorni
in una torbida, insidiosa insania?
Rosencrantz Ammette di non esser più se stesso,
ma si rifiuta di dirne la causa.
Guildenstern Né lo troviamo aperto e ben disposto
a lasciarsi sondare da noi due.
Quanto appena tentiamo d'invogliarlo
a dir qualcosa sul suo vero stato,
svicola, con astuta stravaganza.
Regina V'ha bene accolto?
Rosencrantz Da gran gentiluomo.
Guildenstern Facendo però assai forza a se stesso.
Rosencrantz Avaro di domande,
ma alle nostre scioltissimo a rispondere.
Regina Non avete tentato d'invogliarlo
a darsi qualche distrazione?
Rosencrantz Infatti,
signora, si dà il caso che per via
ci sia occorso di lasciarci dietro
alcuni commedianti qui diretti.
Gliene abbiamo parlato,
e ci sembrò che avesse un certo gusto
a udirne. Quelli sono ora a corte,
in qualche luogo, e credo abbian già l'ordine
di recitare innanzi a lui stasera.
Polonio Proprio così; è stato anzi lui stesso
a dirmi di pregar le vostre altezze
di assistere anche loro allo spettacolo.
Re Ma certo! Come no! Con tutto il cuore!
E non sapete quanto mi consola
apprendere ch'egli è sì ben disposto!
A voi, signori miei, di stimolarlo
ancora, indirizzandone lo spirito
a questo genere di distrazioni.
Rosencrantz Va bene, vostra altezza, lo faremo.
(Escono Rosencrantz e Guildenstern)
Re Andate pure voi, dolce Gertrude.
Abbiamo fatto, in tutta discrezione,
che Amleto venga qui,
sì che possa incontrarsi con Ofelia,
come fosse per caso:
il di lei padre ed io ci disporremo
da legittime spie, in modo tale
che potremo, vedendo non veduti,
dedurre dall'incontro miglior causa
di conoscenza della sua condotta,
e sapere s'è per la sua passione
o no, ch'egli si strugge in questo modo.
Regina Farò come voi dite. In quanto a te,
Ofelia, m'auguro che le tue grazie
siano esse solo la felice causa
della stranezza che pervade Amleto,
sperando che le tue virtù squisite
lo rendano alle forme sue consuete,
per l'onore di entrambi.
Ofelia Dio lo voglia.
(Esce la regina)
Polonio Ofelia, qui: comincia a passeggiare.
(Al re)
E noi, se non dispiace a vostra grazia,
andiamo intanto ad appostarci là.
(A Ofelia)
Mentre passeggi, leggi questo libro.
L'ostentazione d'un tale esercizio
può dar colore alla tua solitudine...
Troppo spesso noi siamo biasimati
in questo, ma è provato, arciprovato:
viso compunto e atteggiamento pio
riescono ad addolcire il diavolo.
Re (A parte)
Troppo vero, ahimè!... Ma che frustata,
queste parole per la mia coscienza!
La guancia d'una avvizzita puttana
non è più brutta dell'immonda pàtina
che la copre, di quanto sia più sporco
dell'urbano e compunto mio parlare
il mio modo d'agire sotterraneo.
Polonio Eccolo, monsignore. Ritiriamoci.
(Escono il re e Polonio)
Entra Amleto
Amleto Essere, o non essere...
questo è il nodo: (076) se sia più nobil animo
sopportar le fiondate e le frecciate
d'una sorte oltraggiosa,
o armarsi contro un mare di sciagure,
e contrastandole finir con esse.
Morire... addormentarsi: nulla più.
E con un sonno dirsi di por fine
alle doglie del cuore e ai mille mali
che da natura eredita la carne.
Questa è la conclusione
che dovremmo augurarci a mani giunte.
Morir... dormire, e poi sognare, forse...
Già, ma qui si dismaga l'intelletto:
perché dentro quel sonno della morte
quali sogni ci possono venire,
quando ci fossimo scrollati via
da questo nostro fastidioso involucro?
Ecco il pensiero che deve arrestarci.
Ecco il dubbio che fa così longevo
il nostro vivere in tal miseria.
Se no, chi s'indurrebbe a sopportare
le frustate e i malanni della vita,
le angherie dei tiranni,
il borioso linguaggio dei superbi,
le pene dell'amore disprezzato,
le remore nell'applicar le leggi,
l'arroganza dei pubblici poteri,
gli oltraggi fatti dagli immeritevoli
al merito paziente,
quand'uno, di sua mano, d'un solo colpo
potrebbe firmar subito alla vita
la quietanza, sul filo d'un pugnale?
E chi vorrebbe trascinarsi dietro
questi fardelli, e gemere e sudare
sotto il peso d'un'esistenza grama,
se il timore di un "che" dopo la morte
- quella regione oscura, inesplorata,
dai cui confini non v'è viaggiatore
che ritorni - non intrigasse tanto
la volontà, da indurci a sopportare
quei mali che già abbiamo,
piuttosto che a volar, nell'aldilà,
incontro ad altri mali sconosciuti?
Ed è così che la nostra coscienza
ci fa vili; è così che si scolora
al pallido riflesso del pensiero
il nativo colore del coraggio,
ed alte imprese e di grande momento,
a cagione di questo, si disviano
e perdono anche il nome dell'azione.
(Vede Ofelia)
Ma zitto, adesso!... La leggiadra Ofelia!
Ninfa, nelle tue preci
rammemoràti siano i miei peccati.
Ofelia Mio buon signore, come s'è sentito
vostro onore, durante questi giorni?
Amleto Oh, bene, bene, bene, umili grazie!
Ofelia Signore, ho qui con me vostri ricordi
che da tempo volevo ritornarvi.
Vi prego, riprendeteli.
Amleto Non io.
Non v'ho dato mai niente.
Ofelia Vostro onore,
voi ben sapete di avermeli dati;
e accompagnati pure da parole
spiranti tal profumo di dolcezza
da renderli oltremodo più preziosi.
Quel profumo è svanito. Riprendeteli.
A cuor gentile anche i doni più ricchi
si fan povera cosa,
se chi li dona si mostra crudele.
Eccoli, mio signore.
(Gli porge un pacchetto)
Amleto (Ridendo)
Ah, ah! Voi siete onesta?
Ofelia Monsignore?...
Amleto Siete bella?
Ofelia Che intende vostra altezza?
Amleto Che essendo onesta e bella, come siete,
mai la vostra onestà dovrebbe ammettere
che si parli della bellezza vostra.
Ofelia Con chi potrebbe meglio accompagnarsi
la bellezza, se non con l'onestà?
Amleto Oh, sì! Ma la bellezza ha tal potere
da far dell'onestà la sua ruffiana,
più di quanto non possa l'onestà
fare a sua somiglianza la bellezza.
Questo un tempo pareva un paradosso,
ma ora i tempi provano che è vero.
Una volta vi amavo.
Ofelia Mio signore,
confesso, me l'avete dato credere.
Amleto Non m'avresti dovuto prestar fede;
ché non si può innestare la virtù
sul nostro vecchio tronco
e fargli perdere la sua natura.
Io non t'ho mai amata.
Ofelia Tanto più mi considero ingannata.
Amleto Va' in un convento. Perché ti vuoi fare
procreatrice di peccatori? Anch'io
son virtuoso abbastanza, e tuttavia
mi potrei incolpar di tali cose,
da pensar che sarebbe stato meglio
mia madre non m'avesse partorito.
Sono molto superbo,
vendicativo, pieno d'ambizione,
con più peccati pronti ad un mio cenno
che pensieri nei quali riversarli,
o fantasia con cui dar loro forma,
o tempo sufficiente a consumarli.
Che ci fa al mondo un essere così?
Sempre a strisciare qui, tra cielo e terra?
Siamo grandi canaglie, tutti quanti:
farai bene a non credere a nessuno.
Va', va in convento... Tuo padre dov'è?
Ofelia A casa, mio signore.
Amleto Bada che sian serrate a lui le porte,
ch'egli non esca a far lo scemo. Addio.
(Fa per andarsene, poi torna indietro)
Ofelia (Tra sé)
O potenze celesti, soccorretelo!
Amleto Se ti mariti, voglio darti in dote
questo pestilenziale ammonimento:
puoi rimanere casta come ghiaccio,
candida e pura come fior di neve,
ma non potrai sfuggire alla calunnia.
Perciò ti dico: vattene in convento.
O, se proprio hai bisogno di sposarti,
prenditi un gonzo, perché quelli dritti
sanno fin troppo bene
quali mostri sapete far di loro. (077)
Va', chiuditi in convento. E presto. Addio.
(Fa ancora per andarsene, ed ancora torna indietro)
Ofelia (Tra sé)
O potenze celesti, risanatelo!
Amleto Ho sentito che usi imbellettarti...
Dio t'ha dato una faccia, e tu ti mascheri.
Quando cammini vai ballonzolando,
sculetti, bamboleggi a destra e a manca,
chiamando coi nomignoli più strani
le creature di Dio...
e fai passare la tua sfrontatezza
per ignoranza... Va', ce n'ho abbastanza.
È questo che m'ha fatto uscir di senno.
Sai che ti dico? Che è passato il tempo
dei matrimoni; quelli già sposati,
tranne uno, (078) proseguano a campare;
ma gli altri resteranno come sono.
Va', vattene in convento.
(Esce)
Ofelia Oh, qual nobile mente è qui sconvolta!
Occhio di cortigiano,
lingua di dotto, spada di soldato;
la speranza e la rosa del giardino
del nostro regno, specchio della moda,
modello d'eleganza,
ammirazione del genere umano,
tutto, e per tutto, in lui così svanito!...
Ed io, la più infelice e derelitta
delle donne, ch'ho assaporato il miele
degli armoniosi voti del suo cuore,
debbo mirare adesso, desolata,
questo sublime, nobile intelletto
risuonare d'un suono fesso, stridulo,
come una bella campana stonata;
l'ineguagliata sua forma, e l'aspetto
fiorente di bellezza giovanile
guaste da questa specie di delirio!...
Me misera, che ho visto quel che ho visto,
e vedo quel che seguito a vedere!
Entrano il Re e Polonio. Ofelia resta in disparte.
Re Amore, quello?... No, non è di là
che spira il vento. (079) Né quel suo parlare,
benché scucito, era un parlare pazzo.
C'è qualche cosa in lui
su cui la sua tristezza sta covando,
ed ho una gran paura
che la covata sia pericolosa.
Perciò, per precauzione, ho già disposto
di spedirlo senz'altro in Inghilterra
a reclamare il tributo arretrato.
Altri mari, altre terre,
con le lor varie e diverse atmosfere
può darsi che riescano a fugargli
quel qualcosa che gli sta fitto in mente,
su cui batte e ribatte il suo cervello,
estraniandolo tanto da se stesso.
Che ne pensate?
Polonio Che l'idea è buona;
ma io persisto a credere, signore,
che al fondo ed al principio del suo male,
a renderlo così angosciato e triste,
è questo amore non contraccambiato.
Ebbene, Ofelia, non è necessario
che tu ci dica quello che t'ha detto
il principe. Abbiamo udito tutto.
(Esce Ofelia)
Signore, agite come più vi aggrada.
Però, se non vi sembri inopportuno,
sarebbe bene che, dopo la recita,
la regina sua madre
s'intrattenga con lui, da solo a sola,
e gli chieda di dirle la sua ambascia:
e che sia un parlare ben deciso.
Io, se non vi dispiace,
andrò a piazzarmi in luogo ove origliare
potrò il lor colloquio.
Se poi nemmeno lei ne viene a capo,
inviatelo pure in Inghilterra,
o confinatelo dove parrà
alla vostra saggezza.
Re Questo, questo!
Così sarà. Ché la pazzia dei grandi
non deve rimanere incustodita.
(Escono)
__________________
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KARL MARX
IL CAPITALE

TERZA SEZIONE

LA PRODUZIONE DEL PLUSVALORE SSOLUTO

CAPITOLO QUINTO

PROCESSO LAVORATIVO E PROCESSO DI VALORIZZAZIONE


1. Processo lavorativo.

L'uso della forza-lavoro è il lavoro stesso. Il compratore della forzalavoro

la consuma facendo lavorare il suo venditore. Attraverso tale

processo quest'ultimo diventa actu quel che prima era solo potentia, forzalavoro

in azione, lavoratore. Per rappresentare il suo lavoro in merci, deve

rappresentarlo prima di tutto in valori d'uso, cose che servono alla

soddisfazione di bisogni d'una qualche specie. Dunque quel che il

capitalista fa eseguire all'operaio è un valore d'uso particolare, un articolo

determinato. La produzione di valori d'uso o beni non cambia la sua

natura generale per il fatto che essa avviene per il capitalista e sotto il suo

controllo. Quindi il processo lavorativo deve essere considerato in un primo

momento indipendentemente da ogni forma sociale determinata.

In primo luogo il lavoro è un processo che si svolge fra l'uomo e la

natura, nel quale l'uomo per mezzo della propria azione produce, regola e

controlla il ricambio organico fra se stesso e la natura: contrappone se

stesso, quale una fra le potenze della natura, alla materialità della natura.

Egli mette in moto le forze naturali appartenenti alla sua corporeità,

braccia e gambe, mani e testa, per appropriarsi i materiali della natura in

forma usabile per la propria vita. Operando mediante tale moto sulla

natura fuori di sé e cambiandola, egli cambia allo stesso tempo la natura

sua propria. Sviluppa le facoltà che in questa sono assopite e assoggetta il

giuoco delle loro forze al proprio potere. Qui non abbiamo da trattare delle

prime forme di lavoro, di tipo animalesco e istintive. Lo stadio nel quale il

lavoro umano non s'era ancora spogliato della sua prima forma di tipo

istintivo si ritira nello sfondo lontano delle età primeve, per chi vive nello

stadio nel quale il lavoratore si presenta sul mercato come venditore della

propria forza-lavoro. Il nostro presupposto è il lavoro in una forma nella

quale esso appartiene esclusivamente all'uomo. Il ragno compie operazioni

che assomigliano a quelle del tessitore, l'ape fa vergognare molti architetti

con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio

distingue il peggiore architetto dall'ape migliore è il fatto che egli ha

costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del

2

processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio

nella idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che

egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell'elemento naturale; egli

realizza nell'elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, che egli

conosce, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve

subordinare la sua volontà. E questa subordinazione non è un atto singolo

e isolato. Oltre lo sforzo degli organi che lavorano, è necessaria per tutta la

durata del lavoro, la volontà conforme allo scopo, che si estrinseca come

attenzione: e tanto più è necessaria quanto meno il lavoro, per il proprio

contenuto e per il modo dell'esecuzione, attrae seco l'operaio; quindi

quanto meno questi lo gode come giuoco delle proprie forze fisiche e

intellettuali.

I momenti semplici del processo lavorativo sono la attività conforme

allo scopo, ossia il lavoro stesso; l'oggetto del lavoro; e i mezzi di lavoro.

La terra (nella quale dal punto di vista economico è inclusa anche

l'acqua), come originariarnente provvede l'uomo di cibarie, di mezzi di

sussistenza bell'e pronti1 si trova ad essere, senza contributo dell'uomo,

l'oggetto generale del lavoro umano. Tutte le cose che il lavoro non fa che

sciogliere dal loro nesso immediato con l'orbe terracqueo, sono oggetti di

lavoro che l'uomo si trova davanti per natura. Così il pesce, che vien preso

e separato dal suo elemento vitale, l'acqua, il legname che viene abbattuto

nella foresta vergine, il minerale strappato dalla sua vena. Se invece

l'oggetto del lavoro è già filtrato, per così dire, attraverso lavoro precedente,

lo chiamiamo materia prima. P. es. il minerale già estratto, quando viene

sottoposto a lavaggio. Ogni materia prima è oggetto di lavoro; ma non ogni

oggetto di lavoro è materia prima. L'oggetto di lavoro è materia prima

soltanto quando ha subìto un cambiamento mediante il lavoro.

Il mezzo di lavoro è una cosa o un complesso di cose che il

lavoratore inserisce fra sé e l'oggetto del lavoro, e che gli servono da

conduttore della propria attività su quell'oggetto. L'operaio utilizza le

proprietà meccaniche, fisiche, chimiche delle cose, per farle operare come

mezzi per esercitare il suo potere su altre cose, conformemente al suo

scopo2. Immediatamente - astrazion fatta dall'afferrare mezzi di sussistenza

già bell'e pronti, p. es. frutta, nel che gli servono come mezzi di lavoro i soli

organi del suo corpo - il lavoratore non s'impadronisce dell'oggetto del

lavoro, ma del mezzo di lavoro. Così lo stesso elemento naturale diventa

1 « Poiché le spontanee produzioni della terra sono di piccola quantità e del tutto indipendenti

dall'uomo, sembrano essere state fornite dalla natura proprio come si da a un giovanotto una

piccola somma affinché si metta sulla strada dell'industriosità e possa fare la sua fortuna » (JAMES

STEUART, Principles of political economy, ed. Dublino, 1770, vol. I, p. 116).

2 « La ragione è tanto astuta quanto potente. L'astuzia consiste in genere nell'attività mediatrice, la

quale, facendo agire gli oggetti gli uni sugli altri conformemente alla loro propria natura e

facendoli logorare dal lavorio dell'uno sull'altro, mentre non s'immischia immediatamente in

questo processo, non fa tuttavia che portare a compimento il proprio fine ») (HEGEL, Enzyklopädie,

parte prima, Logica, Berlino, 1840, p. 382).

3

organo della sua attività: un organo che egli aggiunge agli organi del

proprio corpo, prolungando la propria statura naturale, nonostante la

Bibbia. La terra è non solo la sua dispensa originaria, ma anche il suo

arsenale originario di mezzi di lavoro. P. es. gli fornisce la pietra che gli

serve per il lancio, per macinare e limare, per premere e pestare, per

tagliare, ecc. La terra stessa è un mezzo di lavoro, eppure presuppone a

sua volta, prima di poter servire come mezzo di lavoro nell'agricoltura,

tutta una serie di altri mezzi di lavoro e uno sviluppo della forza lavorativa

relativamente già elevato3. In genere, appena il processo lavorativo è

sviluppato almeno in piccola parte, ha bisogno di mezzi di lavoro già

preparati. Strumenti e armi di pietra si trovano nelle più antiche caverne

abitate da uomini. All'inizio della storia dell'umanità, la parte principale fra

i mezzi di lavoro, assieme a pietre, legna, ossa e conchiglie lavorate, è

rappresentata dall'animale addomesticato, dunque cambiato anch'esso per

mezzo del lavoro, allevato4. L'uso e la creazione dei mezzi di lavoro, benché

già propri, in germe, di certe specie animali, contraddistinguono il processo

lavorativo specificamente umano; per questo il Franklin definisce l'uomo « a

toolmaking animal », un animale che fabbrica strumenti. Le reliquie dei

mezzi di lavoro hanno, per il giudizio su formazioni sociali scomparse, la

stessa importanza che ha la struttura delle reliquie ossee per conoscere

l'organizzazione di generi animali estinti. Non è quel che vien fatto, ma

come vien fatto, con quali mezzi di lavoro, ciò che distingue le epoche

economiche5. I mezzi di lavoro non servono soltanto a misurare i gradi

dello sviluppo della forza lavorativa umana, ma sono anche indici dei

rapporti sociali nel cui quadro vien compiuto il lavoro. Fra i mezzi di lavoro

i mezzi meccanici di lavoro, il cui complesso possiamo chiamare il sistema

osseo e muscolare della produzione, ci offrono note caratteristiche d'una

epoca sociale di produzione che sono più decisive di quanto non siano quei

mezzi di lavoro che servono soltanto da ricettacoli dell'oggetto di lavoro, e il

cui complesso può essere designato in modo del tutto generale come

sistema vascolare della produzione, come tubi, botti, ceste, orci, ecc. Questi

hanno una funzione importante soltanto quando comincia la fabbricazione

chimica5a.

Oltre le cose che trasmettono l'efficacia del lavoro al suo oggetto, e

3 Il Ganilli nel suo scritto, del resto assai misero, Théorie de l’économie politique, Parigi, 1815,

enumera giustamente, contro i fisiocratici, la lunga serie di processi di lavoro che costituiscono il

presupposto dell’agricoltura vera e propria.

4 Nelle Réflexions sur la formation et la distribution des richesses (1766) il TURGOT spiega bene

l'importanza dell'animale addomesticato per gli inizi della civiltà.

5 Fra tutte le merci le vere e proprie merci di lusso sono le meno importanti per il confronto

tecnologico fra differenti epoche di produzione.

5a Nota alla seconda edizione. Per quanto poco la storiografia che si è avuta sinora conosca lo

svolgimento della produzione materiale, e dunque il fondamento di ogni vita sociale e quindi di

ogni storia reale, per Io meno l'epoca preistorica è stata divisa, in base a ricerche di naturalisti, non

di cosiddetti storici, a seconda del materiale, degli strumenti e delle armi, in età della pietra, età

del bronzo, età del ferro.

4

quindi in un modo o nell'altro servono come conduttori dell'attività, il

processo lavorativo annovera fra i suoi mezzi, in un senso più ampio,

anche tutte le condizioni oggettive che in genere sono richieste affinché

esso abbia luogo. Queste condizioni non rientrano direttamente nel

processo lavorativo, il quale però senza di esse può non verificarsi affatto, o

si verifica solo incompletamente. Il mezzo universale di lavoro di questo

tipo è ancora una volta la terra stessa, poiché essa da al lavoratore il locus

standi e al processo lavorativo dà il suo campo d'azione (field of

employment). Mezzi di lavoro di questo genere già procurati mediante il

lavoro sono p. es. edifici di lavoro, canali, strade, ecc.

Dunque nel processo lavorativo l'attività dell'uomo opera, attraverso

il mezzo di lavoro, un cambiamento dell'oggetto di lavoro che fin da

principio era posto come scopo. Il processo si estingue nel prodotto. Il suo

prodotto è un valore d'uso, materiale naturale appropriato a bisogni

umani mediante cambiamento di forma. Il lavoro s'è combinato col suo

oggetto. Il lavoro si è oggettivato, e l'oggetto è lavorato. Quel che dal lato del

lavoratore s'era presentato nella forma del moto, ora si presenta dal lato

del prodotto come proprietà ferma, nella forma dell'essere. L'operaio ha

filato, e il prodotto è un filato.

Se si considera l'intero processo dal punto di vista del suo risultato,

cioè del prodotto, mezzo di lavoro e oggetto di lavoro si presentano entrambi

come mezzi di produzione6, e il lavoro stesso si presenta come lavoro

produttivo7.

Se dal processo lavorativo risulta come prodotto un valore d'uso, in

esso entrano come mezzi di produzione altri valori d'uso, prodotti di

processi lavorativi precedenti. Lo stesso valore d'uso che è il prodotto di

questi ultimi costituisce il mezzo di produzione di quel lavoro. Quindi i

prodotti non sono soltanto risultato, ma anche, insieme, condizione del

processo lavorativo.

Con l'eccezione dell'industria estrattiva che trova in natura il suo

oggetto di lavoro, come l'attività mineraria, la caccia, la pesca (l'agricoltura

solo in quanto dissoda la terra vergine, in prima istanza), tutte le branche

dell'industria trattano un oggetto che è materia prima, cioè oggetto di

lavoro già filtrato attraverso il lavoro, che è già anch'esso prodotto del

lavoro. Così, p. es., la semente dell'agricoltura. Animali e piante che si è

soliti considerare come prodotti naturali, sono non solo prodotti del lavoro,

forse del lavoro dell'anno precedente, ma anche, nella loro forma del

momento, prodotti di una trasformazione continuata attraverso molte

generazioni, sotto controllo umano, e per mezzo di lavoro umano. E per

6 Sembra paradossale chiamare mezzo di produzione della pesca, p. es., il pesce non ancora pescato.

Però finora non è stata ancora inventata l'arte di pescare pesci in acque nelle quali non ce ne sono.

7 Questa definizione del lavoro produttivo come risulta dal punto di vista del

processo lavorativo semplice, non è affatto sufficiente per il processo di

produzione capitalistico.

5

quel che riguarda in particolare i mezzi di lavoro la loro stragrande

maggioranza mostra tracce di lavoro trascorso, anche allo sguardo più

superficiale.

La materia prima può costituire la sostanza principale d'un

prodotto, oppure può entrare nella sua formazione soltanto come materiale

ausiliario. Il materiale ausiliario viene consumato dal mezzo di lavoro, come

il carbone dalla macchina a vapore, l'olio dalla ruota, il fieno dal cavallo da

tiro, oppure viene aggiunto alla materia prima, per operarvi un

cambiamento materiale, come il cloro vien dato alla tela non candeggiata, il

carbone vien combinato col ferro, il colore vien dato alla lana; oppure può

aiutare a compiere il lavoro stesso, come p. es. i materiali adoprati per

l'illuminazione e il riscaldamento del locale di lavoro. La differenza tra

materiale principale e materiale ausiliario si dissolve nella fabbricazione di

prodotti chimici veri e propri, poiché nessuna della materie prime

adoperate torna a presentarsi come sostanza del prodotto8.

Poiché ogni cosa possiede varie proprietà, e quindi è atta a essere

applicata a usi differenti, lo stesso prodotto può costituire materia prima di

differentissimi processi lavorativi. P. es. il grano è materia prima per il

mugnaio, per il fabbricante d'amido, per il distillatore, per l'allevatore di

bestiame, ecc. Come semente diventa materia prima della propria

produzione. Così il carbone viene dall'industria mineraria come prodotto, e

vi ritorna come mezzo di produzione.

Lo stesso prodotto può servire da mezzo di lavoro e da materia

prima nello stesso processo lavorativo. P. es. nell'ingrassamento del

bestiame, dove il bestiame, che è la materia prima che quivi si lavora, è

anche mezzo della preparazione del concime.

Un prodotto che esista in forma finita e pronta per il consumo può

tornare a divenire materia prima di un altro prodotto, come l'uva diventa

materia prima del vino. In altri casi il lavoro può congedare il suo prodotto

in forme nelle quali esso sia usabile soltanto, ancora, come materia prima.

La materia prima in questo stato si chiama semifabbricato e si

chiamerebbe meglio fabbricato graduale, come p. es. il cotone, il filo, il refe.

Benché sia già prodotto essa stessa, la materia prima iniziale può dover

passare attraverso tutta una scala di processi distinti nei quali tornerà

sempre a funzionare da materia prima, in forma sempre cambiata, fino

all'ultimo processo lavorativo, che la distaccherà da sé come mezzo di

sussistenza finito o come mezzo di lavoro finito.

Ecco dunque: che un valore d'uso si presenti come materia prima,

mezzo di lavoro o prodotto dipende assolutamente dalla sua funzione

determinata nel processo lavorativo, dalla posizione che occupa in esso; e

col cambiare di questa posizione cambiano quelle determinazioni.

Dunque, col loro ingresso in nuovi processi lavorativi in qualità di

mezzi di produzione, i prodotti perdono il carattere di prodotti e funzionano

8 Loo Storch distingue la materia prima vera e propria rome « matière » dalle materie

ausiliario quali « matériaux »; lo Cherbuliez designa le materie ausiliarie come «

matières instrumentales ».

6

ormai soltanto come fattori oggettivi del lavoro vivente. Il filatore tratta il

fuso solo come mezzo col quale fila, il lino come oggetto ch'egli fila. Certo,

non si può filare senza materiale da filare e senza fusi: quindi, quando

comincia la filatura, la presenza di questi prodotti è presupposta. Ma in

questo processo della filatura è indifferente che lino e fusi siano prodotti di

lavoro trascorso, quanto è indifferente, nell'atto della nutrizione, che il pane

sia il prodotto dei lavori trascorsi del contadino, del mugnaio, del fornaio,

ecc. E viceversa. Quando i mezzi di produzione fanno valere nel processo

produttivo il loro carattere di prodotti di lavoro trascorso, ciò avviene per

mezzo dei loro difetti. Un coltello che non taglia, refe che si strappa

continuamente, fan ricordare vividamente il coltellaio A, il filatore B.

Quando il prodotto è riuscito, la mediazione delle sue qualità d'uso per

opera di lavoro trascorso è estinta.

Una macchina che non serve nel processo lavorativo è inutile, e

inoltre cade in preda alla forza distruttiva del ricambio organico naturale.

Il ferro arrugginisce, il legno marcisce. Refe non tessuto o non usato in

lavori a maglia, è cotone sciupato. Queste cose debbono essere afferrate

dal lavoro vivo, che le evochi dal regno dei morti, le trasformi, da valori

d'uso possibili soltanto, in valori d'uso reali e operanti. Lambite dal fuoco

del lavoro, divenute propria parte di esso come corpi, animate per le funzioni

che hanno, secondo la loro definizione e secondo il loro compito, nel

processo, certo quelle cose vengono anche consumate, ma

appropriatamente, come elementi della formazione di nuovi valori d'uso, di

nuovi prodotti, capaci di entrare nel consumo individuale come mezzi di

sussistenza o in un nuovo processo lavorativo come mezzi di produzione.

Se dunque i prodotti presenti non sono soltanto risultati ma anche

condizioni d'esistenza del processo lavorativo, d'altra parte, l'unico mezzo

per conservare e realizzare come valori d'uso questi prodotti di lavoro

trascorso è gettarli nel processo lavorativo, dunque il loro contatto con il

lavoro vivente.

Il lavoro consuma i suoi elementi materiali, i suoi oggetti e il suo

mezzo, se ne ciba, ed è quindi processo di consumo. Tale consumo

produttivo si distingue dal consumo individuale per il fatto che

quest'ultimo consuma i prodotti come mezzi di sussistenza dell'individuo

vivente, mentre il primo li consuma come mezzi di sussistenza del lavoro,

cioè della attuantesi forza-lavoro dell'individuo stesso. Il prodotto del

consumo individuale è quindi lo stesso consumatore, il risultato del

consumo produttivo è un prodotto distinto dal consumatore.

In quanto il suo mezzo e il suo oggetto stesso sono già prodotti, il

lavoro consuma prodotti per creare prodotti, ossia utilizza prodotti come

mezzi di produzione di prodotti. Ma come il processo lavorativo si svolge

originariamente soltanto fra l'uomo e la terra che esiste già senza il suo

contributo, in esso continuano ancora sempre a servire quei mezzi di

produzione che esistono per natura, che non rappresentano nessuna

combinazione di materiale naturale e di lavoro umano.

Il processo lavorativo, come l'abbiamo esposto nei suoi movimenti

semplici e astratti, è attività finalistica per la produzione di valori d'uso;

appropriazione degli elementi naturali pei bisogni umani; condizione

7

generale del ricambio organico fra uomo e natura; condizione naturale

eterna della vita umana; quindi è indipendente da ogni forma di tale vita, e

anzi è comune egualmente a tutte le forme di società della vita umana.

Perciò non abbiamo avuto bisogno di presentare il lavoratore in rapporto

con altri lavoratori. Sono stati sufficienti da una parte l'uomo e il suo

lavoro, e dall'altra la natura e i suoi materiali. Come dal sapore del grano

non si sente chi l'ha coltivato, così non si vede da questo processo sotto

quali condizioni esso si svolga, sotto la sferza brutale del sorvegliante di

schiavi o sotto l'occhio inquieto del capitalista, non si vede se lo compie

Cincinnato arando i suoi pochi jugeri o il selvaggio che abbatte una bestia

con un sasso9.

Torniamo al nostro capitalista in spe. L'abbiamo lasciato dopo che

aveva acquistato sul mercato tutti i fattori necessari al processo lavorativo,

i fattori oggettivi ossia i mezzi di produzione, il fattore personale ossia la

forza-lavoro. Ha scelto, con l'occhio scaltro del conoscitore, i mezzi di

produzione e le forze-lavoro convenienti al suo genere particolare di operazioni,

filatura, calzoleria, ecc. Dunque il nostro capitalista si mette a

consumare la merce che ha comprato: la forza-lavoro; cioè fa consumare i

mezzi di produzione al detentore della forza-lavoro, all'operaio, attraverso il

suo lavoro. Naturalmente la natura generale del processo lavorativo non

cambia per il fatto che il lavoratore lo compie per il capitalista invece che

per se stesso. Ma neppure la maniera determinata di fare stivali o di filare

il refe può cambiare in un primo momento per l'inserirsi del capitalista. In

un primo momento questi deve prendere la forza-lavoro come la trova sul

mercato; tanto vale anche per il lavoro da essa compiuto, com'era sorto in

un periodo nel quale non c'erano ancora capitalisti. La trasformazione

anche del modo di produzione attraverso la subordinazione del lavoro al

capitale può avvenire solo più tardi, e va quindi considerata più tardi.

Ora, il processo lavorativo nel suo svolgersi come processo di

consumo della forza-lavoro da parte del capitalista ci mostra due fenomeni

peculiari.

L'operaio lavora sotto il controllo del capitalista, al quale appartiene

il tempo dell'operaio. Il capitalista sta attento a che il lavoro si svolga per

bene e che i mezzi di produzione vengano impiegati appropriatamente;

dunque fa attenzione a che non si sperperi materia prima, e che lo

strumento di lavoro non venga danneggiato, cioè che venga logorato

soltanto quanto è reso necessario dal suo uso nel lavoro.

Però, in secondo luogo: il prodotto è proprietà del capitalista, non del

9 Per questa logicissima ragione, certo, il colonnello Torrens scopre nel sasso del

selvaggio... l'origine del capitale. « Nella prima pietra che il selvaggio getta

sull'animale selvatico che egli insegue, nel primo bastone da lui afferrato per tirar

giù il frutto che non può cogliere con le mani, noi vediamo già l'appropriazione d'un

articolo allo scopo di procurarsene un altro e scopriamo così... l'origine del capitale »

(R. TORRENS, An essay on the production of wealth ecc., pp. 70, 71). Forse si può

spiegare con quel primo bastone (stock) perche in inglese stock sia sinonimo di

capitale.

8

produttore diretto, dell'operaio. Il capitalista paga, p. es., il valore

giornaliero della forza-lavoro. Dunque per quel giorno l'uso di essa gli

appartiene come quello di ogni altra merce, p. es. di un cavallo noleggiato

per un giorno. Al compratore della merce appartiene l'uso della merce, e

intatti il possessore della forza-lavoro, dando il suo lavoro, non da altro che

il valore d'uso che ha venduto. Dal momento che egli è entrato nell'officina

del capitalista, il valore d'uso della sua forza-lavoro, cioè l'uso di essa, il

lavoro, è appartenuto al capitalista. Questi, mediante la compera della

forza-lavoro ha incorporato il lavoro stesso, come lievito vivo, ai morti

elementi costitutivi del prodotto, che anch'essi gli appartengono. Dal suo

punto di vista il processo lavorativo è semplicemente il consumo della

merce forza-lavoro, da lui acquistata, merce ch'egli tuttavia può

consumare soltanto aggiungendole mezzi di produzione. Il processo

lavorativo è un processo che si svolge fra cose che il capitalista ha

comprato, fra cose che gli appartengono. Dunque il prodotto di questo

processo gli appartiene, proprio come gli appartiene il prodotto del

processo di fermentazione nella sua cantina10.

2. Processo di valorizzazione.

Il prodotto - proprietà del capitalista - è un valore d'uso, refe,

stivali, ecc. Ma benché p. es. gli stivali costituiscano in certo senso la base

del progresso sociale e il nostro capitalista sia un deciso progressista, egli

non fabbrica gli stivali per amor degli stivali. Il valore d'uso non è affatto la

cosa qu'on aime pour elle-même, nella produzione delle merci. Quivi in

genere i valori d'uso vengono prodotti soltanto perché e in quanto essi sono

sostrato materiale, depositari del valore di scambio. E per il nostro capitalista

si tratta di due cose: in primo luogo egli vuol produrre un valore d'uso

che abbia un valore di scambio, un articolo destinato alla vendita, una

merce; e in secondo luogo vuol produrre una merce il cui valore sia più alto

della somma dei valori delle merci necessarie alla sua produzione, i mezzi di

10 « I prodotti vengono appropriati... prima di essere convertiti in capitale, e questa

conversione non li sottrae a quella appropriazione » (CHER-BULIEZ, Riche ou pauvre,

ed. Parigi, 1841, pp. 53, 54). « Il proletario, dando il suo lavoro per un determinato

vettovagliamento, ... rinuncia completamente a ogni diritto... sui prodotti che il suo

lavoro farà nascere. L'attribuzione di questi prodotti rimane quella che era prima;

non è modificata in nessun modo dalla convenzione della quale parliamo. I

prodotti, per dirla in breve, continuano ad appartenere esclusivamente al

capitalista che ha fornito le materie prime e il vettovagliamento. Questa è una

conseguenza rigorosa della legge di appropriazione, la stessa legge il principio

fondamentale della quale era viceversa l'attribuzione esclusiva ad ogni lavoratore

dei prodotti del suo lavoro» (ivi, p. 58). JAMES MILL, Elements of political economy, p.

70: ) « Quando i lavoratori vengono pagati per il loro lavoro... il capitalista è

proprietario non solo del capitale » (qui intende dire: mezzi di produzione) « ma

anche del lavoro (of labour also). Se quel che viene pagato come salario al lavoro,

com'è uso, viene incluso nel concetto di capitale, è assurdo parlare di lavoro

separatamente dal capitale. Il termine capitale in questo senso include l'uno e

l'altro, capitale e lavoro ».

9

produzione e la forza-lavoro, per le quali ha anticipato sul mercato il suo

buon denaro. Non vuole produrre soltanto un valore d'uso, ma una merce,

non soltanto valore d'uso, ma valore, e non soltanto valore, ma anche

plusvalore.

In realtà noi abbiamo considerato finora, com'è evidente, soltanto

un lato del processo, dato che qui si tratta di produzione di merci. Come la

merce stessa è unità di valore d'uso e valore, anche il processo di

produzione della merce deve essere unità di processo lavorativo e di

processo di formazione di valore.

Consideriamo ora il processo di produzione anche come processo di

formazione di valore.

Noi sappiamo che il valore di ogni merce è determinato dalla

quantità del lavoro materializzato nel suo valore d'uso, dal tempo di lavoro

socialmente necessario per la produzione di essa. Questo vale anche per il

prodotto che il nostro capitalista ha ottenuto come risultato del processo

lavorativo. Si deve quindi calcolare per prima cosa il lavoro che è

aggettivato in questo prodotto.

Si tratti, p. es., di refe.

Per la preparazione del refe è stata necessaria in primo luogo la sua

materia prima, p. es. dieci libbre di cotone. Non abbiamo da metterci a

indagare qual è il valore del cotone, perché il capitalista l'ha comprato sul

mercato al suo valore, p. es. a dieci scellini. Il lavoro richiesto per la

produzione del cotone è già rappresentato come lavoro generalmente

sociale nel suo prezzo. Ammettiamo inoltre che la massa di fusi logorantesi

nella lavorazione del cotone, la quale rappresenta per noi tutti gli altri

mezzi di lavoro, abbia un valore di due scellini. Se una massa aurea di

dodici scellini è il prodotto di ventiquattro ore lavorative ossia di due

giornate lavorative, ne segue in primo luogo che nel refe sono oggettivate

due giornate lavorative.

Non ci deve sconcertare la circostanza che il cotone ha cambiato la

sua forma, e che la massa logorata dei fusi è scomparsa del tutto. Secondo

la legge generale del valore, p. es. dieci libbre di refe sono un equivalente di

dieci libbre di cotone e di un quarto di fuso quando il valore di quaranta

libbre di refe è eguale al valore di quaranta libbre di cotone più il valore

d'un fuso intero, vale a dire, quando per produrre le due parti di questa

equazione è richiesto lo stesso tempo di lavoro. In questo caso il medesimo

tempo di lavoro si presenta, una volta nel valore d'uso refe, l'altra volta nei

valori d'uso cotone e fusi. Per il valore è dunque indifferente presentarsi

nel refe, nel fuso, o nel cotone. Che fuso e cotone invece di starsene

tranquilli l'uno accanto all'altro entrino col processo di filatura in una

combinazione che cambia le loro forme d'uso e li trasforma in refe, non

tocca il loro valore più che se fossero stati sostituiti con un equivalente in

refe per mezzo d'un semplice scambio.

Il tempo di lavoro richiesto per la produzione del cotone è parte del

tempo di lavoro richiesto per la produzione del refe del quale esso

costituisce la materia prima; perciò è contenuto nel refe. Altrettanto vale

10

per il tempo di lavoro richiesto per la produzione della massa di fusi senza

il cui logoramento e consumo non si può filare il cotone11.

Dunque, in quanto si considera il valore del refe, cioè il tempo di

lavoro richiesto per la sua produzione, i differenti e particolari processi

lavorativi, separati nel tempo e nello spazio, che debbono venir percorsi per

produrre il cotone stesso e la massa logorata dei fusi, e infine per fare, con

il cotone e coi fusi, il refe, possono venir considerati come fasi distinte e

successive di un solo e medesimo processo lavorativo. Tutto il lavoro

contenuto nel refe è lavoro trascorso. Che il tempo di lavoro richiesto per la

produzione dei suoi elementi costitutivi sia trascorso prima, si trovi cioè al

passato remoto, mentre invece il lavoro adoperato direttamente per il

processo conclusivo, per la filatura, stia più vicino al presente, e sia al

passato prossimo, è una circostanza del tutto indifferente. Se per la

costruzione d'una casa è necessaria una determinata misura di lavoro, p.

es. trenta giornate lavorative, il fatto che la trentesima giornata lavorativa è

passata nella produzione ventinove giorni dopo la prima, non cambia nulla

alla quantità complessiva del tempo di lavoro incorporato in quella casa.

Così pure il tempo di lavoro contenuto nel materiale lavorativo e nei mezzi

di lavoro può essere considerato senz'altro come speso semplicemente in

uno stadio precedente del processo della filatura, prima del lavoro

applicato in ultimo sotto la forma della filatura.

I valori dei mezzi di produzione, del cotone e dei fusi, espressi nel

prezzo di dodici scellini, sono dunque parti costitutive del valore di refe,

cioè del valore del prodotto.

Solo che occorre adempiere a due condizioni. Uno: cotone e fusi

debbono esser serviti realmente alla produzione d'un valore d'uso. Nel

nostro caso, dev'esserne sorto il refe. Per il valore è indifferente quale

valore d'uso ne sia il portatore, ma da un valore d'uso deve pur essere

portato. Due: si presuppone che sia stato adoperato soltanto il tempo di

lavoro necessario nelle condizioni sociali della produzione date nel

momento. Se dunque fosse necessaria solo una libbra di cotone per filare

una libbra di rete, nella preparazione di una libbra di refe non si dovrebbe

consumare più di una libbra di cotone. Altrettanto per il fuso. Se al

capitalista viene la fantasia di adoperare fusi d'oro invece che di ferro, nel

valore del refe però quel che conta è soltanto il lavoro socialmente

necessario, cioè il tempo di lavoro necessario alla produzione di fusi di

ferro.

Adesso sappiamo qual parte del valore del refe costituiscono i mezzi

di produzione, cotone e fusi. È eguale a dodici scellini, cioè alla

materializzazione di due giornate lavorative. Ora si tratta dunque della

parte del valore che viene aggiunta al cotone dal lavoro del filatore stesso.

Dobbiamo ora considerare questo lavoro da un punto di vista del

tutto differente da quello usato durante il processo lavorativo. Là si trattava

11 « Non il solo lavoro applicato direttamente alle merci influisce sul loro valore, ma

anche il lavoro che viene adoperato per gli attrezzi, gli strumenti e per gli edifici coi

quali si assiste quel lavoro » (RICARDO, Principles of political economy, p. 16).

11

dell'attività, idonea al suo fine, di trasformare il cotone in refe. Tanto più

appropriato allo scopo il lavoro, tanto migliore il refe, presupponendo che

tutte le altre circostanze rimangano eguali. Il lavoro del filatore era distinto

specificamente da altri lavori produttivi e la distinzione si manifestava

soggettivamente e oggettivamente, nello scopo particolare della filatura,

nella particolarità delle sue operazioni, nella natura particolare dei suoi

mezzi di produzione, nel particolare valore d'uso del prodotto di essa;

cotone e fuso servono quivi come mezzi di sussistenza del lavoro di filatura,

ma con essi non si possono fare cannoni rigati. Invece, appena il lavoro del

filatore è produttivo di valore, cioè fonte di valore, esso non è affatto

distinto dal lavoro del rigatore di cannoni, ossia, ed è ciò che qui più ci

importa, non è affatto distinto dai lavori del piantatore di cotone e del

fusaio. Soltanto per questa identità il coltivare cotone, fare fusi e filare

possono costituire parti del medesimo valore complessivo, del valore del

refe, distinte solo quantitativamente. Qui non si tratta più della qualità,

della natura e del contenuto del lavoro, ma ormai soltanto della sua

quantità. E questa ha da essere semplicemente contata. Supponiamo che il

lavoro di filatura sia lavoro semplice, lavoro sociale medio. Più avanti

vedremo che l'ipotesi opposta non cambia niente alla cosa.

Durante il processo lavorativo il lavoro si converte continuamente

dalla forma dinamica in quella dell'essere, dalla forma del movimento in

quella dell'oggettività. Alla fine di un'ora il movimento della filatura si

presenta in una quantità determinata di refe, cioè in una quantità

determinata di lavoro; è un'ora di lavoro, oggettivata nel cotone. Diciamo

ora di lavoro; cioè dispendio di forza vitale del filatore durante un'ora,

poiché qui il lavoro della filatura conta soltanto in quanto dispendio di

forza-lavoro, non in quanto è il lavoro specifico del filare.

Ora, è d'importanza decisiva che per tutta la durata del processo,

cioè della trasformazione del cotone in refe, venga consumato soltanto il

tempo di lavoro socialmente necessario. Se in condizioni di produzione

normali, cioè in condizioni sociali medie, a libbre di cotone debbono essere

trasformate durante una ora lavorativa in b libbre di refe, solo la giornata

lavorativa che trasforma 12 a libbre di cotone in 12 b libbre di refe conta

come giornata lavorativa di dodici ore. Poiché soltanto il tempo di lavoro

socialmente necessario conta come creatore di valore.

Come il lavoro, anche la materia prima e il prodotto appaiono qui in

una luce del tutto differente da quella del punto di vista del processo

lavorativo vero e proprio. La materia prima si presenta qui come

assorbente di una determinata quantità di lavoro. Infatti essa si trasforma

in refe mediante questo assorbimento perché la forza-lavoro è stata spesa

in forma di filatura e le è stata aggiunta. Ma adesso il prodotto, il refe, è

ormai soltanto misura del lavoro assorbito dal cotone. Se in un'ora vien

filata ossia trasformata in una libbra e due terzi di refe una libbra e due

terzi di cotone, dieci libbre di refe indicano sei ore lavorative assorbite.

Determinate quantità di prodotto, fissate in base alla esperienza, non

rappresentano ormai altro che determinate quantità di lavoro, masse

determinate di tempo di lavoro cristallizzato. Ormai sono semplicemente

materializzazione d'un'ora, di due ore, d'un giorno di lavoro sociale.

12

Che il lavoro sia per l'appunto lavoro di filatura, la sua materia

prima il cotone e il suo prodotto il refe, qui diventa tanto indifferente

quanto che l'oggetto del lavoro sia anch'esso già prodotto, e quindi materia

prima. Se l'operaio fosse occupato nella miniera di carbone invece che nella

filanda, l'oggetto del lavoro, il carbone, sarebbe presente per natura.

Tuttavia una quantità determinata di carbone estratto dalla vena, p. es.,

un quintale, rappresenterebbe una quantità determinata di lavoro

assorbito.

Per la vendita della forza-lavoro si era presupposto che il suo valore

giornaliero fosse eguale a tre scellini; e che in questi fossero incorporate sei

ore lavorative, e che dunque per produrre la somma media dei mezzi di

sussistenza giornalieri del lavoratore fosse richiesta tale quantità di lavoro.

Ora, se il nostro filatore durante un'ora lavorativa trasforma una libbra e

due terzi di cotone in una libbra e due terzi di refe 1212, in sei ore

trasformerà dieci libbre di cotone in dieci libbre di refe. Quindi durante il

processo di filatura il cotone assorbe sei ore lavorative. Lo stesso tempo di

lavoro è rappresentato da una quantità d'oro di tre scellini. Dunque

mediante la filatura stessa viene aggiunto al cotone un valore di tre

scellini.

Guardiamo ora il valore complessivo del prodotto, cioè delle dieci

libbre di refe. In queste dieci libbre sono oggettivate due giornate lavorative

e mezza; due, contenute nel cotone e nel fuso, mezza, di lavoro assorbito

durante il processo della filatura. Il medesimo tempo di lavoro è

rappresentato in una massa d'oro di quindici scellini. Dunque il prezzo

adeguato al valore delle dieci libbre di refe ammonta a quindici scellini, il

prezzo di una libbra di refe a uno scellino e sei pence.

Il nostro capitalista si adombra: il valore del prodotto è eguale al

valore del capitale anticipato. Il valore anticipato non si è valorizzato, non

ha generato nessun plusvalore, e così il denaro non si è trasformato in

capitale. Il prezzo delle dieci libbre di refe è di quindici scellini, e quindici

scellini erano stati spesi al mercato per gli elementi costitutivi del prodotto,

cioè, il che è la stessa cosa, per i fattori del processo lavorativo: dieci

scellini per il cotone, due per la massa dei fusi logorati, e tre scellini per la

forza-lavoro. Non serve a niente che il valore del refe sia gonfiato, poiché

questo suo valore è soltanto la somma dei valori che prima erano distribuiti

fra il cotone, il fuso e la forza-lavoro; e da tale semplice addizione di valori

esistenti non può sorgere né ora né mai un plusvalore13. Ora questi valori

12 Le cifre sono qui del tutto arbitrarie.

13 Questa è la proposizione fondamentale sulla quale poggia la dottrina fisiocratica

della improduttività di ogni lavoro non agricolo, ed è inconfutabile per gli

economisti... di professione. « Questo modo d'imputare a una cosa sola il valore di

molte altre (per esempio, alla tela quel che consuma il tessitore), di ammucchiare

molti valori su di uno solo, per così dire, a strati, ha per effetto che quel valore

s'ingrossa d'altrettanto... II termine di addizione dipinge benissimo il modo col

quale si forma il prezzo delle opere della mano d'opera; questo prezzo non è altro

che un totale di più valori consumati e addizionati; ma addizionare non è

13

tono tutti concentrati su di una cosa sola, ma altrettanto accadeva per la

somma di denaro di quindici scellini, prima che questa si frantumasse

attraverso tre acquisti di merce.

In se e per sé questo risultato non è strano. Il valore di una libbra

di refe è uno scellino e sei pence, e quindi per dieci libbre di refe il nostro

capitalista avrebbe dovuto pagare sul mercato quindici scellini. Che egli

comperi la sua abitazione privata bell'e fatta, sul mercato, o che se la

faccia costruire, nessuna di queste due operazioni aumenterà il denaro

sborsato nel procurarsi la casa.

Forse il capitalista, che sa il fatto suo quanto a economia politica

volgare, dirà di aver anticipato il suo denaro con l'intenzione di farne più

denaro. Ma di buone intenzioni è lastricata la via dell'inferno, e tanto

varrebbe che avesse l'intenzione di far denaro senza produrre14. Minaccia

che non ci cascherà più. In futuro comprerà la merce bell'e fatta sul

mercato, invece di fabbricarla egli stesso. Ma se tutti i suoi fratelli

capitalisti faranno altrettanto, dove trovare la merce sul mercato? E non

può mangiare denaro. Si mette a catechizzare: Si rifletta alla sua

astinenza. Avrebbe potuto scialacquare i suoi quindici scellini. Invece, li ha

consumati produttivamente e ne ha fatto del refe. Ma in compenso, ha ben

del refe invece di rimorsi. E non deve a nessun costo ricadere nella parte

del tesaurizzatore che ci ha mostrato qual è il risultato dell'ascetismo. E

poi, dove non c'è niente, l'imperatore non ha più diritti. Qualunque possa

essere il merito della rinuncia del capitalista, non c'è nulla per pagarla a

parte, poiché il valore del prodotto che risulta dal processo lavorativo è

eguale soltanto alla somma dei valori delle merci immessevi. Se ne resti

dunque quieto pensando che della virtù la virtù è premio. Invece, il

capitalista diventa indiscreto. Il refe è inutile per lui. L'ha prodotto per

venderlo. E che lo venda; - oppure, più semplicemente ancora, in futuro

produca solo per il suo fabbisogno personale, come dice la ricetta che gli

ha prescritto il suo medico curante MacCulloch come mezzo sperimentato

contro l'epidemia della sovrapproduzione. Il capitalista s'inalbera: allora

l'operaio avrebbe creato dal nulla, con le sole sue braccia, i frutti del

lavoro, avrebbe prodotto merci dal nulla? Non è stato lui, il capitalista, a

dargli il materiale col quale e nel quale soltanto quegli può incarnare il suo

lavoro? E poiché la maggior parte della società consiste di questi nullatenenti,

non ha reso alla società, coi suoi mezzi di produzione, il suo cotone

e i suoi fusi, un servizio incommensurabile, e così all'operaio, che ha per

giunta provveduto di mezzi di sussistenza? E non deve mettere in conto

questo servizio? E l'operaio non gli ha reso il servizio di trasformare cotone

moltiplicare» (MERCIER DE LA RIVIÈRE, L'ordre naturel cit, p. 599).

14 Così p. es. il capitalista sottrasse nel 1844-47 parte del suo capitale alle imprese

produttive per giocarselo nelle speculazioni sulle azioni ferroviarie. Così, al tempo

della guerra civile americana, chiuse la fabbrica e gettò l'operaio sul lastrico, per

giocare alla Borsa del cotone di Liverpool.

14

e fuso in refe? Inoltre, qui non si tratta di servizi15. Un servizio non è altro

che l'effetto utile d'un valore d'uso, sia della merce, sia del lavoro16. Ma

quello che conta qui è il valore di scambio. Il capitalista ha pagato

all'operaio il valore di tre scellini. L'operaio gli ha restituito un equivalente

esatto nel valore di tre scellini aggiunto al cotone: gli ha restituito valore

per valore. Il nostro amico, che poco fa era ancora tanto fiero del suo

capitale, assume d'un tratto il contegno modesto del proprio operaio. Non

ha lavorato anche lui? Non ha compiuto il lavoro di sorveglianza, di

sovraintendenza nei confronti del filatore? E questo suo lavoro non crea

valore anch'esso? Il suo sorvegliante e il suo direttore si stringono nelle

spalle. Ma intanto il capitalista ha ripreso, ridendo allegramente, la sua

antica fisionomia. Ci ha voluto canzonare, con tutta quella litania. Non

gliene importa niente. Lascia questi sciocchi pretesti e questi vuoti sofismi

ai professori di economia politica, che proprio per questo son pagati. Egli è

un uomo pratico, che fuori degli affari non riflette sempre a quel che dice,

ma negli affari sa sempre quel che fa.

Vediamo un po' più da vicino. Il valore giornaliero della forza-lavoro

ammontava a tre scellini perché in esso è oggettivata una mezza giornata

lavorativa, cioè perché i mezzi di sussistenza necessari giornalmente alla

produzione della forza-lavoro costano una mezza giornata lavorativa. Ma il

lavoro trapassato, latente nella forza-lavoro, e il lavoro vivente che può

fornire la forza-lavoro, cioè i costi giornalieri di mantenimento della forzalavoro

e il dispendio giornaliero di questa sono due grandezze del tutto

distinte. La prima determina il suo valore di scambio, l'altra costituisce il

suo valore d'uso. Che sia necessaria una mezza giornata lavorativa per

tenerlo in vita per ventiquattro ore, non impedisce affatto all'operaio di

lavorare per una giornata intera. Dunque il valore della forza-lavoro e la

sua valorizzazione nel processo lavorativo sono due grandezze differenti. A

questa differenza di valore mirava il capitalista quando comperava la forzalavoro.

L'utile qualità di produrre refe e stivali, propria della forza-lavoro,

15 « Lascia pure celebrare, adornare, e lisciare... Ma chi prende più o meglio (di quel

che dia), ciò è usura, e si chiama aver fatto non servizio ma danno al suo prossimo,

come accade rubando e rapinando. Non tutto è servizio e beneficio al prossimo quel

che si chiama servizio e beneficio. Poiché un adultero e un'adultera si fan

reciprocamente gran servizio e compiacenza. Un cavalleggero fa gran servizio da

cavalleggero a un masnadiero incendiario aiutandolo a rapinare per le strade, a

saccheggiare le terre e le genti. I papisti rendono gran servizio ai nostri non

affogandoli tutti, non bruciandoli tutti, non assassinandoli tutti, non facendoli tutti

marcire in carcere, ma lasciandone vivere alcuni, o scacciandoli, o togliendo loro

tutto quel che hanno. Anche il diavolo rende grandi, incommensurabili servizi ai

suoi servitori... In conclusione il mondo è pieno di grandi, bei servizi e benefici

giornalieri » (MARTIN LUTERO, An die Pfarrherrn, wider den Wucher su predigen ecc.,

Wittenberg, 1540).

16 In Per la critica dell'economia politica, p. 14, ho osservato fra l'altro su questo

argomento: «Si capisce che "servizio" la categoria "servizio" (service) debba fare ad

economisti della specie di J. B. Say e di F. Bastiat ».

15

era per il capitalista soltanto la conditio sine qua non, poiché, per creare

valore, il lavoro dev'essere speso in forma utile: ma decisivo era invece il

valore d'uso specifico di questa merce, che è quello di esser fonte di valore,

e di più valore di quanto ne abbia essa stessa. Questo è il servizio specifico

che il capitalista se ne aspetta. E in questo egli procede secondo le eterne

leggi dello scambio delle merci. Di fatto, il venditore della forza-lavoro

realizza il suo valore di scambio e aliena il suo valore d'uso, come il venditore

di qualsiasi altra merce. Non può ottenere l'uno senza cedere l'altro.

Il valore d'uso della forza-lavoro, il lavoro stesso, non appartiene affatto al

venditore di essa, come al negoziante d'olio non appartiene il valore d'uso

dell'olio da lui venduto. Il possessore del denaro ha pagato il valore

giornaliero della forza-lavoro; quindi a lui appartiene l'uso di essa durante

la giornata, il lavoro di tutt'un giorno. La circostanza che il mantenimento

giornaliero della forza-lavoro costa soltanto una mezza giornata lavorativa,

benché la forza-lavoro possa operare, cioè lavorare, per tutta una giornata,

e che quindi il valore creato durante una giornata dall'uso di essa superi

del doppio il suo proprio valore giornaliero, è una fortuna particolare per il

compratore, ma non è affatto un'ingiustizia verso il venditore.

II nostro capitalista ha preveduto questo caso, che lo mette in

allegria. Quindi il lavoratore trova nell'officina non solo i mezzi di

produzione necessari per un processo lavorativo di sei ore, ma quelli per

dodici ore. Se dieci libbre di cotone hanno assorbito sei ore lavorative e si

sono trasformate in dieci libbre di refe, venti libbre di cotone assorbiranno

dodici ore di lavoro e si trasformeranno in venti libbre di refe.

Consideriamo il prodotto del processo lavorativo prolungato. Adesso nelle

venti libbre di refe sono oggettivate cinque giornate lavorative: quattro,

nella massa di cotone e di fusi consumata; una, assorbita dal cotone

durante il processo di filatura. Ma l'espressione in oro di cinque giornate

lavorative è: trenta scellini, cioè una sterlina e dieci scellini. Questo è

dunque il prezzo delle venti libbre di refe. La libbra di refe costa, come

prima, uno scellino e sei pence. Ma il totale del valore delle merci immesse

nel processo ammontava a ventisette scellini. Il valore del refe ammonta a

trenta scellini. Il valore del prodotto è cresciuto di un nono oltre il valore

anticipato per la sua produzione. Così ventisette scellini si sono

trasformati in trenta scellini. Han deposto un plusvalore di tre scellini. Il

colpo è riuscito, finalmente. Il denaro è trasformato in capitale.

Tutti i termini del problema sono risolti e le leggi dello scambio

delle merci non sono state affatto violate. Si è scambiato equivalente con

equivalente; il capitalista, come compratore, ha pagato ogni merce al suo

valore, cotone, massa dei fusi, forza-lavoro; poi ha fatto quel che fa ogni

altro compratore di merci; ha consumato il loro valore d'uso. Il processo di

consumo della forza-lavoro che insieme è processo di produzione della

merce, ha reso un prodotto di venti libbre di refe del valore di trenta

scellini. Il capitalista torna ora sul mercato e vende merce, dopo aver

comprato merce. Vende la libbra di cotone a uno scellino e sei pence, non

un quattrino più o meno del suo valore. Eppure trae dalla circolazione tre

scellini di più di quelli che vi ha immesso inizialmente. Tutto questo

svolgimento di trasformazione in capitale del denaro del nostro capitalista,

16

avviene e non avviene nella sfera della circolazione. Avviene attraverso la

mediazione della circolazione, perché ha la sua condizione nella compera

della forza-lavoro sul mercato delle merci; non avviene nella circolazione,

perché questa non fa altro che dare inizio al processo di valorizzazione, il

quale avviene nella sfera della produzione. E così « tout est pour le mieux

dans le meilleur des mondes possibles ».

Il capitalista, trasformando denaro in merci che servono per

costituire il materiale di un nuovo prodotto ossia servono come fattori del

processo lavorativo, incorporando forza-lavoro vivente alla loro morta

oggettività, trasforma valore, lavoro trapassato, oggettivato, morto, in

capitale, in valore autovalorizzantesi; mostro animato che comincia a «

lavorare » come se avesse amore in corpo.

Ma confrontiamo il processo di creazione di valore e il processo di

valorizzazione: quest'ultimo non è altro che un processo di creazione di

valore prolungato al di là di un certo punto. Se il processo di creazione di

valore dura soltanto fino al punto nel quale il valore della forza-lavoro

pagato dal capitale è sostituito da un nuovo equivalente, è processo

semplice di creazione di valore; se il processo di creazione di valore dura al

di là di quel punto, esso diventa processo di valorizzazione.

Inoltre, se confrontiamo il processo di creazione del valore col

processo lavorativo, quest'ultimo consiste nel lavoro utile, che produce

valori d'uso. Qui il movimento viene considerato qualitativamente, nel suo

modo e nella sua caratteristica particolari, secondo il suo fine e il suo

contenuto. Il medesimo processo lavorativo si presenta invece solo dal suo

lato quantitativo nel processo di creazione del valore. Qui si tratta ormai

soltanto del tempo del quale il lavoro abbisogna per condurre a termine le

sue operazioni, ossia della durata del dispendio utile di forza-lavoro. Qui

anche le merci che vengono immesse nel processo lavorativo non valgono

più come fattori materiali, determinati in base alla loro funzione, della

forza-lavoro operante per il proprio fine: contano ormai soltanto come

quantità determinate di lavoro oggettivato. Che sia contenuto nei mezzi di

produzione o che venga aggiunto mediante la forza-lavoro, il lavoro conta

ormai soltanto secondo la sua misura di tempo. Ammonta a tante ore,

tante giornate, ecc.

Tuttavia il lavoro conta solo in quanto il tempo consumato per la

produzione del valore d'uso è necessario socialmente. Ciò comprende vari

elementi. La forza-lavoro deve funzionare in condizioni normali. Se la

filatrice meccanica è il mezzo di lavoro per la filatura che predomina nella

società, non si può mettere fra le mani dell'operaio un filatoio a mulinello.

L'operaio non deve ricevere, invece di cotone di bontà normale, dello scarto

che si strappi ad ogni momento. In tutti e due i casi, egli consumerebbe

per la produzione di una libbra di rete più del tempo di lavoro socialmente

necessario, e questo tempo eccedente non creerebbe valore o denaro.

Tuttavia, il carattere normale dei fattori oggettivi del lavoro non dipende

dall'operaio, ma dal capitalista. Un'altra condizione è il carattere normale

della forza-lavoro stessa. Questa deve possedere, per la specialità nella

quale viene adoperata, la misura media prevalente di attitudine, rifinitura

e sveltezza. Ma il nostro capitalista ha comprato sul mercato del lavoro

17

forza-lavoro di bontà normale. Questa forza dev'essere spesa con la misura

media abituale di sforzo, nel grado d'intensità usuale in quella data

società. Il capitalista veglia a ciò con lo stesso scrupolo che mette in atto

perché non si sprechi tempo senza lavorare. Ha comprato la forza-lavoro

per un periodo determinato, e ci tiene ad avere il suo. Non vuole essere

derubato. E infine - e per questo lo stesso personaggio ha un proprio code

pénal - non ci deve essere nessun consumo irrazionale di materia prima e

di mezzi di lavoro, perché materiale o mezzi di lavoro sciupati

rappresentano quantità di lavoro oggettivato spese in maniera superflua, e

quindi non contano e non entrano nel prodotto della creazione del valore17.

Vediamo ora che la distinzione precedentemente ottenuta

attraverso l'analisi della merce, fra il lavoro in quanto crea valore d'uso, e il

medesimo lavoro in quanto crea valore, si è ora presentata come

distinzione fra i differenti aspetti del processo di produzione.

Il processo di produzione, in quanto unità di processo lavorativo e di

processo di creazione di valore, è processo di produzione di merci; in quanto

unità di processo lavorativo e di processo di valorizzazione, è processo di

17 Questa è una delle circostanze che rincarano la produzione fondata sulla

schiavitù. In questo tipo di produzione il lavoratore va distinto, secondo l'esatta

espressione degli antichi, soltanto come instrumentum vocale dall'animale,

instrumentum semivocale, e dall'inerte strumento di lavoro come instrumentum

mutum. Ma ci pensa lui a far sentire all'animale e allo strumento di lavoro che non

è loro eguale, ma è un uomo, e si procura, maltrattandoli e sciupandoli con amore

[con amore: in italiano nel testo], la sicurezza di quella differenza. Quindi in tale

modo di produzione vale come principio economico l'adoprare gli strumenti di

lavoro più rozzi, più pesanti, ma difficili a esser rovinati proprio per la loro goffa

pesantezza. Perciò, fino allo scoppio della guerra civile, negli stati schiavisti del

golfo del Messico si trovavano aratri di struttura cinese antica, che rimuovono il

terreno come fa il maiale o la talpa, ma non lo spaccano e non lo rivoltano. Cfr. J.

E. CAIRNES, The slave power, Londra, 1862, p. 46 sgg. L'OLMSTED, nel suo Seabord

slave states [p. 46 sgg.], racconta fra l'altro : « Mi sono stati mostrati attrezzi che

fra noi nessun uomo ragionevole permetterebbe appesantissero un lavoratore da lui

salariato: il loro peso eccessivo e la loro struttura grossolana renderebbero il lavoro,

a mio giudizio, più grave almeno del dieci per cento di quel che fanno gli attrezzi

ordinariamente usati da noi. E mi si assicura che non potrebbe esser fornito agli

schiavi niente di più leggero o meno rozzo, per la maniera trascurata e grossolana

con la quale gli schiavi ne usano, e che attrezzi come noi diamo costantemente ai

nostri lavoranti, trovandoci il nostro profitto, non durerebbero neppure un giorno

in un campo di grano della Virginia. Con tutto che quivi il terreno è più leggero e

più libero da pietre del nostro. Così pure, quando ho domandato perché nelle

fattorie i muli sono generalmente sostituiti ai cavalli, la prima ragione che ne è

stata data, e che è dichiaratamente anche la decisiva, è che i cavalli non possono

sopportare il trattamento che ricevono costantemente dai negri, mentre i muli

possono sopportare le bastonate o anche la perdita di un pasto o due ogni tanto,

senza risentirne materialmente, e non sentono il freddo e non si ammalano se sono

trascurati o sovraccaricati di lavoro. Ma non ho bisogno di andar oltre la finestra

della stanza dove scrivo, per vedere quasi di continuo un trattamento del bestiame

che assicurerebbe l'immediato licenziamento del guidatore da parte di quasi ogni

proprietario di bestiame nelle fattorie del Nord ».

18

produzione capitalistico, forma capitalistica della produzione delle merci.

Abbiamo già notato che per il processo di valorizzazione è del tutto

indifferente che il lavoro appropriatosi dal capitalista sia lavoro semplice,

lavoro sociale medio, oppure lavoro più complesso, lavoro di importanza

specifica superiore. Il lavoro che viene stimato come lavoro superiore, più

complesso, in confronto al lavoro sociale medio, è l'estrinsecazione d'una

forza-lavoro nella quale confluiscono costi di preparazione superiori, la cui

produzione costa più tempo di lavoro, e che quindi ha valore superiore a

quello della forza-lavoro semplice. Se il valore di questa forza è superiore,

essa si manifesterà anche in lavoro superiore e si oggettiverà quindi, negli

stessi periodi di tempo, in valori relativamente superiori. Tuttavia,

qualunque sia la differenza fondamentale fra lavoro di filatura e lavoro di

gioielleria, la porzione di lavoro per mezzo della quale il lavorante gioielliere

non fa che reintegrare il valore della propria forza-lavoro, non si distingue

affatto qualitativamente dalla porzione aggiuntiva di lavoro con la quale egli

crea plusvalore. In entrambi i casi, il plusvalore risulta soltanto attraverso

un'eccedenza quantitativa di lavoro, attraverso la durata prolungata del

medesimo processo produttivo, in un caso, processo di produzione di refe,

nell'altro, processo di produzione di gioielli18.

18 La differenza fra lavoro superiore e lavoro semplice, « skilled » e « unskilled labour

» poggia in parte su pure e semplice illusioni, o per lo meno su differenze che hanno

cessato da lungo tempo di essere reali e continuano a sussistere ormai soltanto

nella convenzione tradizionale; e in parte sulla situazione ancor più diseredata di

certi strati della classe operaia, che permette loro ancor meno che ad altri di

ottenere il valore della propria forza-lavoro. Qui le circostanze casuali hanno una

parte così grande che gli stessi generi di lavoro cambiano di rango. Dove p. es. la

sostanza fisica della classe operaia è indebolita e relativamente esaurita come

accade in tutti i paesi a produzione capitalistica sviluppata, i lavori brutali che

chiedono molta forza muscolare, salgono di rango nei confronti di lavori molto più

fini, che scendono al gradino del lavoro semplice: come p. es. il lavoro d'un

bricklayer (muratore) prende in Inghilterra un grado molto più alto di quello di un

tessitore di damasco. Dall'altra parte il lavoro di un fustian cutter (tagliatore di

fustagno), benché costi tanto sforzo corporeo e per giunta sia insalubre, figura

come lavoro « semplice ». Del resto, non ci si deve immaginare che il cosiddetto «

skilled labour » occupi un posto importante dal punto di vista quantitativo nel

lavoro nazionale. Il Laing calcola che in Inghilterra (e Galles) la vita di più di undici

milioni di persone s'appoggi su lavoro semplice. Detratti un milione di aristocratici

e un milione e mezzo di poveri, vagabondi, delinquenti, prostitute, ecc. dai diciotto

milioni del totale della popolazione, al tempo dello scritto del Laing, rimanevano

4.650.000 persone della classe media, con inclusione di persone che vivono

dell'interesse di piccoli investimenti, impiegati, scrittori, artisti, insegnanti, ecc. Per

ottenere questi quattro milioni e due terzi, egli annovera nella parte lavoratrice

della classe media, oltre i banchieri, ecc., anche gli « operai di fabbrica » meglio

pagati! Neppure i bricklayers (muratori) mancano fra i « lavoratori potenziati ». E

così rimangono gli undici milioni che si è detto (S. LAING, National distress ecc.,

Londra, 1844, [p. 51]). « La grande classe che non ha nulla da dare in cambio del

suo cibo fuor che lavoro ordinario, è la gran massa del popolo » (JAMES MILL

nell'articolo Colony in Supplement to the Encyclopaedia Britannica, 1831, [p. 8]).

19

D'altra parte, in ogni processo di creazione di valore il lavoro

superiore dev'essere ridotto sempre a lavoro sociale medio, p. es. una

giornata di lavoro superiore deve essere ridotta a x giornate di lavoro

semplice19. Dunque, con l'ipotesi che l'operaio adoperato dal capitale

compia lavoro sociale medio semplice si risparmia un'operazione superflua

e si semplifica l'analisi.

19 « Dove ci si riferisce al lavoro come misura del valore, s'implica necessariamente:

lavoro di un tipo particolare..., poiché è facile stabilire la proporzione nella quale gli

altri tipi di lavoro stanno con il primo » (Outlines of political economy, Londra,

1832, pp, 22, 23).
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Apri le mie labbra, aprile dolcemente. Aiuta il mio cuore. Cometa cuci la bocca ai profeti.
Cometa chiudi la bocca e vattene via. Lascia che sia io a trovare la libertà.
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Old 25-05-2004, 14:30   #19
Bet
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pensavo avessi un cuore magnus, ma se non rispondi hai il cuore di prio... ehm di pietra: così la guerra puo' essere pensata solo nel modo teorizzato da von Clausewitz, e non più come la Tenebra della ragione

ps: proviamo con la seduta spiritica?
oppure (e mi rivolgo a cerbert) provo con un incantesimo di evocazione? (solo che ho paura che con la magia selvaggia mi escano 4 cerbert )
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Chi cerca conferme le trova sempre. (Popper)
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Old 25-05-2004, 14:30   #20
ni.jo
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Originariamente inviato da giovane acero
KARL MARX
IL CAPITALE
...
ehi ehi non vale, hai messo l'intelinea doppia!!!
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