Viaggio al centro di calcolo del CERN, fra Intel e particelle

Viaggio al centro di calcolo del CERN, fra Intel e particelle

Inaugurato proprio nella giornata di ieri, il Large Hadron Collider (LHC) del CERN di Ginevra costituisce una sfida sotto molti punti di vista. Uno di questi il calcolo di ingenti quantitativi di dati. Così, oltre ad assistere all'assegnazione di un LHC Computing Award ad Intel, abbiamo approfittato per realizzare un report di quanto osservato al Computer Center.

di pubblicato il nel canale Processori
Intel
 

LHC Computing Grid ed alcuni dati

Il 3 ottobre di questo mese è stata inaugurata una nuova rete, chiamata LHC Computing Grid. Non è un caso che questa infrastruttura, che vi descriverò a grandi linee fra poco, sia stata inaugurata quasi contemporaneamente all'LHC stesso, in quanto nasce per soddisfare l'enorme fame in termini di potenza di calcolo, conseguente alla raccolta dati da parte delle strutture dell'LHC. Impensabile, vista la mole di dati, elaborare e semplificare questi dati all'interno del CERN. Si parla infatti di circa 15PB, PetaBytes, ovvero 15000TB, Terabyte di dati all'anno a regime, nei quali cercare qualcosa di anomalo, di mai osservato, tutto da interpretare. Una sfida nelle sfide.

Al centro della grande rete si trova ovviamente il Computer Center del CERN, che riveste il ruolo di Tier-0 che da solo però, almeno attualmente, può farsi carico sì dello storage di tutti i dati (più avanti parlerò anche di quello), ma non certo del relativo calcolo ed interpretazione. Ad oggi infatti il Computer Center può processare "solo" il 20% dei dati, motivo per cui nasce la LHC Computing Grid, LCG. Al Computer Center del CERN, Tier-0, sono connessi direttamente altri 11 centri di calcolo Tier-1, dislocati in altri paesi fra cui l'Italia, con il nostro INFN-CNAF di Bologna. La connessione con questi centri di calcolo avviene attraverso linee dedicate in fibra ottica a 10Gigabit/s, che a loro volta potranno distribuire ulteriori pacchetti di calcolo a centri Tier-2 più piccoli, e così via fino a piccoli gruppi di lavoro Tier-4.

Lungo i 27Km dell'acceleratore sono piazzate quattro stazioni di rilevamento, indicate con i nomi di Alice, Atlas, CMS e LHCb. Nel corso di un esperimento importante con l'acceleratore di particelle vengono generati una quantità di dati che per essere analizzati necessitano della potenza di circa 40.000 PC odierni, che salgono a 140.000 nel caso di attivazione della stazione LHCb. Questo ovviamente anche per un solo giorno di esperimenti che, se effettuati in serie, non fanno che allungare la "coda" dei dati da processare.

Ogni test, mi viene spiegato, è come una fotografia composta da un numero quasi infinito di pixel. L'acceleratore e tutti gli strumenti di misura ad esso connessi sono studiati proprio per misurare ogni tipo di segnale o particella (ed in certi casi il confine fra le due cose non esiste o è tutto da chiarire). La sensibilità degli strumenti è tale da essere condizionata anche dall'attività umana in superficie, come per esempio il passaggio di un treno ad un chilometro di distanza.

Questa "fotografia" è di fatto un file grezzo, come i RAW/NEF per le reflex digitali, che necessita di una analisi e dell'eliminazione di dati poco importanti ai fini della ricerca. A differenza di quanto accade nella fotografia però, qui non si sa bene cosa cercare e dove. Quello che si cerca è una dissonanza nel noto, un dato non atteso, che dovrà poi essere interpretato. Ammetto che, arrivato a questo punto della spiegazione da parte dei tecnici CERN, il tutto ha assunto per me ancora più interesse, un fascino del tutto imprevisto. La mente va a Newton e alla mela, ad una fisica fatta di intuizione osservando il mondo tangibile. Passano i secoli, cambiano i mezzi di osservazione, ma stupisce che in un centro di questo tipo, in cui tutto appare pre-ordinato, preciso e replicabile, alla fine il successo o l'insuccesso di una scoperta sia sempre nelle mani di una intuizione. Qualcuno che darà il nome alla dissonanza, qualcuno che la riprodurrà. Qui al CERN è già successo al nostro Carlo Rubbia, premiato con il Nobel per la fisica nel 1984.

 
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