Google, abbiamo un problema: AI Overview sta uccidendo i siti di notizie

L'introduzione di AI Overview da parte di Google e dei chatbot conversazionali sta riducendo drasticamente il traffico verso i siti di informazione. I click calano e il giornalismo digitale ne risente, in tutti i sensi.
di Manolo De Agostini pubblicata il 12 Giugno 2025, alle 06:01 nel canale WebIntelligenza ArtificialeGoogle
Un articolo in merito del Wall Street Journal è solo lo spunto per affrontare un problema di enormi proporzioni che tutto il settore dell'editoria online sta già vivendo e di cui si parla, spesso sottovoce, sperando che passi la buriana. Ma che esiste e che rappresenta uno tsunami per molte ragioni.
L'intelligenza artificiale, in ogni sua forma, potrebbe decimare il numero delle testate online. Anzitutto, sempre più persone si avvalgono di servizi come ChatGPT per reperire informazioni, anche fresche, rapidamente dal web, evitando di cliccare sui siti web proposti da Google "come si faceva un tempo". In secondo luogo, ma non meno importante, anche la porta di accesso per eccellenza alle informazioni, ovvero il motore di ricerca di Google, ha deciso di cambiare pelle integrando le AI Overview.
Quest'ultime appaiono in alto nella pagina dei risultati di ricerca e non sono altro che degli specchietti con risposte sintetiche prese dai siti online e mostrate direttamente all'utente. Spesso tale riassunto esaudisce il quesito dell'utente, che clicca molto meno rispetto al passato sui contenuti proposti dal motore. È capitato a noi che siamo utenti smaliziati, figurarsi a chi il web lo usa puramente per utilità e senza grandi fini di approfondimento.
Ovviamente da un punto di vista dell'utente finale è tutto più rapido e semplice, anche se manca quella - talvolta importante - fase di ricerca e approfondimento, mentre per i siti web è una mazzata senza precedenti. Peraltro, i siti stavano già affrontando la concorrenza dei social - dove le informazioni sintetiche spesso esaudiscono i desiderata degli utenti - e quella di altre figure, come gli youtuber indipendenti.
Pensate a un sito interamente incentrato sulle guide, che spiega "come fare una cosa", ce ne sono di molto famosi anche in Italia; ebbene, se la risposta che si cerca la si trova direttamente nella pagina di Google, nessuno avrà bisogno più di andare su quel sito. E poco conta che Google citi il portale tal dei tali per il contenuto mostrato. Per quel sito è un danno bello grosso, che lo mette probabilmente in posizione ancora peggiore di un sito di news, il quale può trovare, almeno al momento, sponda in Google Discover - croce e delizia di cui parliamo a breve.
Già prima di questa evoluzione il panorama dell'editoria online era diventato piuttosto deprimente per dinamiche del tutto slegate dal giornalismo e dal fine ultimo, ovvero quello informare l'utente finale: dapprima la SEO, con arzigogolate strategie di scrittura e impaginazione per scalare la prima pagina di Google e sottrarre click ai concorrenti, poi l'arrivo di Google Discover, quel servizio a cui accedete dallo smartphone – e tra poco anche su desktop – con uno swipe da sinistra a destra sulla schermata home.
Finire in Google Discover o non finirci fa un'enorme, gigantesca differenza, in termini di traffico, per un sito web. E per esserci cosa bisogna fare? Spesso scrivere un buon pezzo non basta, anzi non serve affatto: Google Discover sembra comportarsi come un social network, dove vengono proposti sì contenuti affini alle passioni degli utenti, ma anche e soprattutto contenuti "di pancia", con titoli roboanti e spesso dalle tematiche discutibili.
Di conseguenza, volenti o nolenti, ecco che se si vuole stare nel settore è pressoché impossibile sfuggire alla necessità di sporcarsi le mani, fare titoloni a quattro colonne e concentrarsi su contenuti più leggeri e potenzialmente in grado di indurre al click facile. In certi casi lo si fa con la morte nel cuore, ma è proprio la morte del sito, quella sì definitiva, che si cerca di evitare.
Molti siti stanno ricorrendo agli abbonamenti, ma è una strada che può avere successo o no, dipende da cosa offri e soprattutto se ciò che tu reputi di valore è visto in modo altrettanto simile dalla tua potenziale platea. A ogni modo, in un web che nasceva come "libero", essere arrivati agli abbonamenti non è proprio bellissimo - parere personale, eh.
Il Wall Street Journal scrive che secondo i dati di Similarweb, il traffico organico verso siti come HuffPost e Washington Post si è dimezzato negli ultimi tre anni. Anche Business Insider ha subito un calo del 55% tra aprile 2022 e aprile 2025, tanto da portare al licenziamento del 21% del personale.
Il CEO dell'Atlantic, Nicholas Thompson, ha affermato che la sua testata deve prepararsi a un futuro senza Google, mentre William Lewis del Washington Post parla apertamente di una "minaccia seria al giornalismo".
Questo cambiamento è ben documentato anche da BrightEdge (via Search Engine Land), che ha rilevato un aumento del 49% delle impression su Google nell’ultimo anno, ma un calo del 30% nei clic. In altre parole, i contenuti sono più visibili, ma meno fruiti. Google sostiene che che gli utenti trascorrono più tempo sui siti dopo aver cliccato da AI Overview, ma i click sono sempre più rari. Dato che ci si soppesa con il traffico e le entrate pubblicitarie dipendono da quello, è una bella gatta da pelare.
Per le testate giornalistiche, questo significa ridefinire le strategie e cambiare. Come? Difficile dirlo, nessuno ha la sfera di cristallo. Se in passato l'obiettivo era posizionarsi tra i primi risultati per massimizzare il traffico, oggi la priorità diventa fidelizzare i lettori per portare a un accesso diretto ai propri contenuti tramite app, newsletter e contenuti esclusivi. Inoltre, è importante anche provare a essere citati da AI Overview, sperando che l'utente dopo il riassunto prosegua cliccando verso il proprio sito. Purtroppo, sembra che a godere di tale spazio siano però i grandi editori, ai danni dei piccoli.
Tutto questo accade mentre sullo sfondo c'è un problema non di poco conto chiamato copyright. Molte aziende editoriali accusano le tech company di aver addestrato i loro modelli AI su articoli protetti da diritto d'autore. Il New York Times ha avviato una causa contro OpenAI e Microsoft, mentre ha firmato un accordo di licenza con Amazon. News Corp, invece, ha siglato una partnership con OpenAI e intrapreso un'azione legale contro Perplexity. E non c'è dubbio che i chatbot scandaglino i vari siti "succhiando" quanti più contenuti possibile.
L'intelligenza artificiale, dunque, per quanto pratica e utile, non è solo un'innovazione: è un punto di non ritorno per il giornalismo digitale, costretto a reinventarsi in un contesto dove la visibilità non garantisce più lettura né ricavi.
10 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infohttps://www.youtube.com/watch?v=qGlNb2ZPZdc
accetta e continua
accetta e continua
accetta e continua
accetta e continua
accetta e continua.
accetta e continua
accetta e continua
accetta e continua
accetta e continua
oppure
"bella Gemmi che ha fatto ieri la Roma?"
Di solito comunque sono siti di qualità pessima per cui l'informazione che cerchi magari è solo un paragrafetto di 20 parole in mezzo ad una sbrodolata di roba inutile messa lì per adempiere al SEO.
È ovvio che se le 20 parole che ti servono te le fornisce già il motore di ricerca tanto meglio ed il sitarello in questione può tanto chiudere.
I siti di informazione seria secondo me hanno poco da temere.
Beh penso che il loro scopo sia appunto quello di tenersi l'utente sui loro sistemi, sia esso il motore di ricerca o AI.
Poi troveranno il modo di monetizzare anche quello con il bonus che possono decidere cosa farti sapere
concordo
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