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Birmania; prigioneri politici, minoranze etniche perseguitate e disboscamento cinese
Birmania: 1.100 i prigionieri politici
Inviato da Ornella Sinigaglia sabato, 01 ottobre 2005 18:33 Sono circa 1.100 i prigionieri politici del regime di Yangon. A rivelarlo, mercoledì scorso, è stato un funzionario delle Nazioni Unite di ritorno dal Paese. Paulo Sergio Pinheiro ha documentato le gravi violazioni dei diritti umani, perpetrate soprattutto a spese delle minoranze etniche. Lavoro forzato, stupro e altre violenze sessuali, estorsione e appropriazioni indebite da parte delle forze governative sono le principali accuse a carico del regime. Nonostante la liberazione di 249 prigionieri politici lo scorso 6 luglio, tra i 1.100 ancora in carcere ci sono monaci, avvocati, insegnanti, giornalisti, contadini, politici, studenti contestatori, scrittori e poeti. Una livella che si è abbattuta quindi su tutte le classi sociali. U Win Tin, editore e poeta di 75 anni, è agli arresti da 16 anni. Gli era stata promessa la liberazione nel corso della scarcerazione di luglio, ma è tuttora in carcere. Il perpetrarsi delle detenzioni a sfondo ideologico-politico va contro lo spirito della "road map" sottoscritta nel 2003 dalla giunta militare. E' più volte slittata di mesi la stesura di una nuova costituzione democratica, così come la liberazione della leader del partito democratico Aung San Suu Kyi e dei suoi collaboratori. Tutti gli uffici della Lega nazionale per la democrazia, il partito della Suu Kyi, sono stati chiusi a eccezione di quelli nella capitale, e «i membri del partito sono obiettivo principale delle persecuzioni e degli arresti», ha spiegato il funzionario Onu. Pinheiro ha espresso anche la sua preoccupazione per il ricorso frequente e sistematico della tortura e dei maltrattamenti da parte dele autorità anche prima dei processi; nel rapporto ha citato quattro casi di persone decedute proprio in conseguenza delle tortura prima di essere condotti di fronte a un giudice. Pinheiro, cui era stato impedito l'ingresso nel Paese dal novembre 2003, dice di aver raccolto le testimonianze di prigionieri che racconano di lunghe privazioni di sonno, acqua e cibo prima degli interrogatori, che possono durare svariati giorni. (O.S.) (www.warnews.it)
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Birmania - Václav Havel e Desmond Tutu all'ONU: Il Consiglio di Sicurezza prenda la situazione in mano al più presto
[ICN-News 03/10/05, 10:20] Václav Havel e Desmond Tutu: “Il nostro interesse per la Birmania va indietro di molti anni, da quando abbiamo iniziato a seguire la sua lotta per la pace e la riconciliazione nazionale. I riflettori sono puntati di nuovo sulla Birmania per una serie di ragioni, fra queste quella del 60° compleanno, lo scorso 20 giugno, di Aung San Suu Kym, l'unico premio Nobel al mondo privato della libertà di movimento. Ha trascorso infatti gran parte degli ultimi 16 anni agli arresti domiciliari. Negli ultimi anni è diventato chiaro che i conflitti interni della Birmania stanno causando problemi seri con conseguenze probabilmente permanenti che vanno di là delle violazioni dei diritti umani. La Birmania è ormai diventata un vero problema per la regione ed anche per la comunità internazionale. Abbiamo incaricato lo studio legale DLA Piper Rudnick Gray Cary, che opera a livello mondiale, perché approntasse un dossier obiettivo ed autorevole sulla minaccia rappresentata dal governo birmano sia al suo popolo sia alla sicurezza ed alla pace di quella regione. L'evidenza ed i fatti contenuti nel rapporto indicano in maniera più che convincente che il Consiglio di Sicurezza dell'ONU deve occuparsi della questione Birmania al più presto possibile. Per questa ragione, il rapporto stilato prende anche in esame i criteri in base ai quali la situazione di un dato paese deve essere portata all'attenzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, sintetizza i problemi attinenti e le sfide della Birmania, ponendo il tutto nel contesto di precedenti interventi dell'ONU. Avendo letto il dossier e le sue raccomandazioni, chiediamo con urgenza che il Consiglio di Sicurezza dell'ONU prenda in mano la situazione della Birmania. E' quello che occorre fare per garantire pace, sicurezza e stabilità nella regione in questione e nel mondo." Václav Havel, ex-presidente della Repubblica Ceca e l'arcivescovo emerito di Città del Capo, Desmond Tutu.
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E come se non bastasse questo........
19 ottobre 2005 - Le compagnie cinesi stanno abbattendo intere foreste nel Myanmar settentrionale, a ridosso dei monti Kumon e Mangin, con la complicità delle milizie etniche locali e il disinteresse del governo centrale di Pechino. La denuncia viene da Global Witness, organizzazione privata per la tutela dell’ambiente. Il 95 per cento del legname che la Cina importa dal Myanmar – si legge in un rapporto dell'asociazione – viene tagliato in violazione delle leggi per la protezione delle foreste. Le foreste Kachin (nell'immagine), al confine con la Cina, presentano – secondo l’Unesco - una delle bio-diversità più rilavanti al mondo. E il pesante disboscamento sarebbe un pericolo più che consistente per la sopravvivenza di questo delicato ecosistema. Dal versante cinese, nella provincia dello Yunnan, la maggior parte dell’area è parco nazionale e il taglio di legna è proibito. “E’ un commercio fuori di qualsiasi controllo”, dice Susanne Kempel, ricercatrice di Gw. Sono anni che le organizzazioni internazionali chiedono l’intervento di Pechino. E si stima che dal 2001 al 2004 il commercio illegale sia aumentato del 60 per cento. Dal 2001 Pechino ha contratto impegni con i Paesi vicini per tutelare le foreste dal taglio illegale di alberi. Ma la Cina è il secondo maggior importatore mondiale di legno (dopo il Giappone) che utilizza non solo per le necessità interne ma anche per prodotti che esporta. (Montagna.org) ---------- N.B. Il Myanmar è ancora conosciuto in occidente con il nome di Birmania.
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Birmania - Boniver: Il Consiglio di Sicurezza ONU dovrebbe intervenire
[ICN-News 27/10/05, 20:15] La Sottosegretaria agli Esteri, On. Boniver, ha chiesto con urgenza l'íntervento del Consiglio di Sicurezza per risolvere la gravissima situazione in Birmania Ricordando che la leader Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi e´ancora agli arresti domiciliari, la Boniver, nel corso di un dibattito ONU sulla condizione delle donne ha dichiarato: " Sono fermamente convinta che il Consiglio di Sicurezza OMU dovrebbe intervenire al piu´presto per risolvere la terribile situazione politica ed umanitaria in Birmania", ha dichiarato il sottosegretario. Boniver ha pure sottolineato la continua e sistematica violazione dei fondamentali diritti umani, che van avanti indisturbata. La sottosegretaria agli Esteri ha anche espresso "simpatia per una popolazione ostaggio della giunta militare che e´ completamente sorda a qualsiasi appello esterno"
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QUESTA situazione va avanti da molti anni in quel paese ma nessuno è sembrato accorgersene, solo qualche notizia in quindicesima pagina sui giornali ogni tanto... ah dimenticavo in birmania non c'è petrolio...
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28 Ottobre 2005
MYANMAR Il Myanmar vuole uscire dall’organizzazione Onu del lavoro La giunta militare al governo nell’ex Birmania ha dichiarato di voler abbandonare l’Oil ma la lettera ufficiale di rinuncia non è stata ancora inoltrata. Bangkok (AsiaNews/Scmp) - La giunta militare al governo in Myanmar ha manifestato l’intenzione di uscire dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) delle Nazioni unite, che aveva chiesto a Yangon l'eliminazione del lavoro forzato. Diplomatici di Yangon hanno dichiarato che il governo ha comunicato questa decisione a una missione dell’Oil al lavoro nel Paese, mentre il ministero del lavoro la ha annunciata a Francis Maupain, avvocato francese con una lunga esperienza nell’Oil e consigliere speciale del direttore generale dell’organizzazione arrivato a Yangon la scorsa settimana. Un funzionario del Myanmar ha inoltre dichiarato che a marzo di quest’anno, prima dell’ultimo incontro principale dell’Oil, il governo ha chiesto ai ministeri di preparare uno studio sulle conseguenze politiche e finanziarie di un eventuale ritiro dall’Oil. Maupain ha dichiarato che il governo del Myanmar ha preparato anche una lettera ufficiale che ancora non è stata però inoltrata. Per ritirarsi dall’organizzazione, ha dichiarato un portavoce dell’Oil, il Myanmar deve dare 2 anni di preavviso che iniziano nel momento in cui il direttore generale Juan Somavia riceve la lettera. Quasi certamente la lettera non è stata inviata perché il regime aspetta prima di vedere gli sviluppi della proposta di portare il caso birmano al Consiglio di sicurezza dell’Onu, come richiesto da una campagna internazionale e da un reportage redatto dall’ex presidente della repubblica Ceca Vaclav Havel e dall’ex premio Nobel per la pace e Arcivescovo sudafricano Desmond Tutu. L’Oil mirava ad assicurarsi un impegno da parte di Yangon ad eliminare il lavoro forzato e a collaborare con i suoi rappresentanti, ma la risposta della giunta è stata sfavorevole. La delegazione Oil non può uscire dalla capitale, e per mesi è stata vittima di campagne di denigrazione, come quella del movimento filogovernativo “Associazione unita di sviluppo e solidarietà”, che ha organizzato raduni di massa dove ha condannato il lavoro dell’Oil e ha chiesto alle autorità di uscire dall’organizzazione. Diplomatici occidentali affermano inoltre che negli ultimi mesi il rappresentante Oil a Yangon ha ricevuto molte minacce di morte. Ora non riceve più minacce, ma le autorità non hanno fatto nessuna indagine a proposito. Yangon cerca sostegno politico dagli Stati asiatici, ma la risposta è che non si può organizzare una campagna a favore di Yangon se prima i militari non faranno alcune concessioni. Cina, Giappone, e la maggior parte degli stati dell’Asean inoltre non sono favorevoli alla decisione di Yangon di ritirarsi dall’Oil. In maniera privata, hanno tutti raccomandato alla giunta di rimanere nell’organizzazione. Un funzionario cinese del ministero del lavoro ha dichiarato che “nel passato la Cina ha sostenuto la causa birmana all’Oil, ma negli ultimi tempi abbiamo chiesto alla giunta di collaborare con l’organizzazione”.
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MYANMAR 7/11/2005 15.51
COMINCIATO TRASFERIMENTO CAPITALE AMMINISTRATIVA NEL NORD Il regime militare al potere in Myanmar (ex Birmania) ha iniziato il trasferimento della nuova capitale amministrativa a Pyinmana, nella giungla settentrionale. Secondo fonti raccolte da agenzie internazionali di stampa, già da ieri mattina convogli di camion carichi di merce e personale hanno lasciato la capitale Yangon (ex Rangoon) in direzione della città situata circa 600 chilometri più a nord. È da anni che i militari progettavano di trasferirsi nella zona, ma i lavori di costruzione sarebbero iniziati solo un anno fa. Il complesso destinato ad ospitare i nuovi uffici dovrebbe comprendere le residenze degli esponenti dell’esercito, i quartieri diplomatici, la sede del parlamento, un aeroporto, un campo da golf e altri palazzi per i funzionari pubblici. Negli ultimi due giorni 10 ministri hanno intrapreso il viaggio verso il nord e altrettanti li dovrebbero seguire in futuro. Non è ancora chiaro il motivo del trasferimento, ma, secondo gli esperti, potrebbe essere dovuto al timore di un futuro attacco degli Usa contro Yangon, oppure addirittura al suggerimento degli indovini, frequentemente consultati nella tradizione birmana dai re dell’epoca pre-coloniale per conoscere il luogo adatto dove costruire case e città. Di certo la nuova capitale amministrativa sarà vicina alle zone di frontiera abitate dalle etnie shan, chin e karen, da tempo in contrasto con il governo centrale.
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#9 |
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MYANMAR 28/11/2005 10.58
GIUNTA MILITARE PROLUNGA DI UN ANNO ARRESTI DOMICILIARI SUU KYI La giunta militare che governa il Myanmar ha esteso di un altro anno gli arresti domiciliari a Aung San Suu Kyi, Segretario generale del partito d’opposizione Lega nazionale per la democrazia, segregata nella sua abitazione da novembre del 2003. È la seconda volta che il governo dell'ex-Birmania prolungare la misura cautelare alla leader del dissenso democratico in base alla cosiddetta ‘legge di Protezione’ che, oltre a prevedere l’incarcerazione senza processo, permette di rinnovare la detenzione di anno in anno fino a un massimo di cinque. La Premio Nobel per la pace 1991 avrebbe infatti dovuto tornate in libertà già a novembre dello scorso anno. Suu Kyi era stata arrestata il 30 maggio di due anni fa dopo scontri avvenuti in una località del nord del paese tra suoi sostenitori e giovani attivisti vicini ai militari al potere, durante il suo primo tour politico in Myanmar dopo anni. Di lei scomparvero le tracce fino al ricovero in un ospedale nel settembre 2003 per un intervento chirurgico, in seguito al quale fu inviata agli arresti domiciliari. Figlia dell’eroe nazionale Aung San, Suu Kyi rientrò in patria nel 1988, prendendo presto parte al movimento democratico birmano; dei suoi 15 anni di presenza in Myanmar ne ha trascorsi complessivamente 10 in prigione o agli arresti domiciliari.
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#10 |
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30 Novembre 2005
MYANMAR Washington: l'Onu si occupi dei diritti umani in Myanmar Consegnato un resoconto sul "deteriorarsi della situazione" nell'ex Birmania. Intanto il governo del Myanmar prosegue i lavori per spostare la capitale nel centro del Paese. I militari, secondo il generale Sarki dell'Unione nazionalista Karen, sperano di controllare meglio le zone ribelli. New York (AsiaNews/Agenzie) - Gli Stati uniti hanno inoltrato al Consiglio di sicurezza dell'Onu un resoconto sul "deteriorarsi della situazione" nel Myanmar, ex Birmania. Redatto da John Bolton, ambasciatore statunitense alle Nazioni unite, il resoconto chiede che "un alto responsabile del segretariato dell'Onu prepari un rapporto ufficiale sulla situazione in Birmania, da consegnare al Consiglio". "La situazione dei diritti dell'uomo è sconvolgente", ha scritto Bolton nella lettera indirizzata a Andrei Denisov, presidente di turno del Consiglio di sicurezza. "La popolazione viene spostata da una regione all'altra con la forza, e villaggi interi vengono distrutti. Alcune persone trovano rifugio anche fuori dai confini birmani". Bolton ha inoltre accusato Yangon di cercare di ottenere armi nucleari e di commettere crimini contro le minoranze etniche del Paese, e ha ricordato che Yangon detiene più di un migliaio di prigionieri politici, fra cui il capo dell'opposizione ed ex premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, a cui lunedì sono stati prolungati gli arresti domiciliari. La giunta prosegue intanto i lavori per completare il passaggio della capitale da Yangon a Pyinmana, in una zona isolata e montagnosa nel centro del paese. Secondo il generale Sarki, un famoso militante dell'Unione nazionalista Karen (Unk), sono 2 le ragioni che hanno portato i militari a prendere questa decisione. La prima è che in caso di invasione da parte degli Stati uniti la giunta militare si potrebbe rifugiare e difendere nelle foreste di montagna. La seconda è che Pyinmana, data la sua collocazione geografica, permette un controllo maggiore delle regioni di confine in cui varie etnie, come i Karen, gli Shan, i Chin o i Karenni, si ribellano al potere centrale. "Agire in modo rapido è molto importante in guerra", ha dichiarato Sarki. I militari sperano che concentrare le forze militari nella nuova capitale gli consentirà di sopprimere in modo diretto e veloce ogni rivolta.
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MYANMAR 3/12/2005 1.01
NUOVA OFFENSIVA AMERICANA CONTRO LA GIUNTA MILITARE DI YANGON (PIME) Su insistenti pressioni di Washington, il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha approvato la richiesta di discutere - in una seduta a porte chiuse non inserita in un'agenda formale - la situazione dei diritti umani in Myanmar ( ex-Birmania, nota anche come Burma). Nessuna data è stata comunque stabilita e non è chiaro se il segretario generale Kofi Annan accetterà di parteciparvi. Gli Stati Uniti hanno imposto al Myanmar un embargo unilaterale protestando anche con i paesi asiatici che non hanno mai preso posizione contro il governo di Yangon, una giunta militare che si autodefinisce "Consiglio di stato per la pace e lo sviluppo" ed è al potere dal 1988. Pochi giorni fa fonti del dissenso attive all'estero avevano reso noto che sarebbero stati prorogati i provvedimenti che limitano a una presunta condizione di arresti domiciliari la libertà personale di Aung San Suu Kyi, da anni principale esponente dell'opposizione. Mentre la giunta di governo non fornisce notizie ufficiali su Suu Kyi, le voci di birmani residenti all'estero appaiono particolarmente attive. Subito prima della decisione dell'Onu, un organismo del dissenso birmano con sede in Thailandia, l’Associazione per l’assistenza ai detenuti politici (Aapp), con l'appoggio di un rappresentante del partito repubblicano statunitense, aveva diffuso nella capitale americana un rapporto basato sulle testimonianze di 35 ex-detenuti politici in Myanmar. In 124 pagine vengono descritti vari tipi di violenze compiute ai danni dei detenuti anche nei cosiddetti ‘centri per interrogatori’; gli intervistati sostengono di avere subito ripetuti elettroshock, di essere stati picchiati fino alla perdita dei sensi, sfregati con lime di ferro e costretti a camminare sui vetri. Tra la fine del 2004 e i primi mesi del 2005 il governo di Yangon ha rimesso in libertà migliaia di detenuti (19.000 secondo i dati forniti da Yangon) ma a quanto pare appena una dozzina lo erano per motivi politici. Secondo il relatore speciale dell’Onu per il Myanmar Paulo Sergio Pinheiro, al quale dal 2003 non è consentito dalle autorità locali l’ingresso nel paese, nelle carceri di Yangon ci sarebbe ancora 1.100 detenuti per ragioni politiche. Dal 1962 il Myanmar è governato dai militari.
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MYANMAR 17/12/2005 10.39
CONSIGLIO DI SICUREZZA ONU SOLLECITA RIFORME DEMOCRATICHE Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha tenuto una riunione sul Myanmar (ex Birmania), evento molto raro nell’ambito di questo organismo, per chiedere alla dittatura militare di procedere sulla strada delle riforme democratiche. Su richiesta di alcuni paesi occidentali tra i 15 componenti del Consiglio di sicurezza, il sottosegretario generale per gli affari politici Ibrahim Gambari ha convocato la breve riunione durante la quale sono stati affrontati i problemi degli abusi dei diritti umani e della detenzione di prigionieri politici, tra cui la leader del dissenso e Premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, che ha speso 10 degli ultimi 16 anni agli arresti. Gambari ha aggiunto che in Myanmar 240 villaggi sono stati distrutti dal 2002, permane la piaga dei lavori forzati e nelle carceri restano 1.147 detenuti politici. All’incontro era presente anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, il quale ha affermato che “tutti sono incoraggiati” dalla recente decisione dell’Asean, Associazione dei paesi del sudest asiatico, di mandare un inviato a Yangon per verificare l’attuazione del promesso programma di riforme democratiche. Stati Uniti e altre nazioni occidentali stanno conducendo da tempo una campagna, finora infruttuosa, per inserire ufficialmente il Myanmar nell’agenda del Consiglio di sicurezza; contrari invece Repubblica popolare cinese, Giappone, Russia e Algeria, i quali ritengono che sia un’area non compresa nel mandato di sicurezza e pace internazionale affidato all’organismo.
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MYANMAR- La Commisione Europea ha stanziato 15 milioni di euro in aiuti umanitari destinati alle minoranza etniche in Myanmar (ex Birmania) e a 130 mila sfollati interni accampati da decenni in sistemazioni di fortuna lungo il confine con la Thailandia senza alcuna assistenza. L’Unione Europea è uno dei principali critichi del regime militare di Yangon, al potere sotto sigle diverse dal 1962, e contro il quale ha varato sanzioni politiche. I finanziamenti serviranno a portare cibo, acqua e a migliorare le condizioni igieniche.
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10 Aprile 2006
MYANMAR Myanmar: più di 700 persone di etnia karen cacciate dai loro villaggi L’esercito birmano ha distrutto i loro villaggi. I Karen, dove si contano nutrite comunità di cristiani, hanno riparato nel villaggio di Ko Kay. Alcuni di loro vogliono raggiungere i campi profughi in Thailandia. Ko Kay (AsiaNews) – La giunta militare che governa il Myanmar, ex Birmania, ha lanciato un nuovo attacco nei confronti delle minoranze etniche del Paese, in modo particolare contro l’etnia karen, nella quale si contano numerose comunità di cristiani. “In Birmania questo momento dell’anno è noto anche come stagione delle uccisioni”, si legge in un servizio del Christian Freedom International (Cfi), che raccoglie e distribuisce cibo e medicine, e assiste le minoranze etniche perseguitate in Myanmar. “Durante la stagione secca i soldati si muovono con maggiore facilità nella fitta giungla birmana. Quest’anno non ha fatto eccezione, anzi la giunta militare ha aumentato gli attacchi per portare avanti quello che è un vero e proprio genocidio contro la minoranza etnica dei karen”. Saw Aro, 50 anni, è un militante dell’Esercito di liberazione nazionale karen (Knla), che dalla seconda guerra mondiale lotta per la sopravvivenza dell’etnia karen. Aro ha dichiarato al Cfi che oltre 700 fra uomini, donne e bambini sono arrivati da poco nel suo villaggio di Ko Kay. “Vengono dai distretti di Toungoo e Nyaunglebin”, ha detto. “L’esercito birmano di recente ha dislocato da Yangon (Rangoon) 10 battaglioni con più di 1500 soldati”. “Questi militari rappresentano un grave problema: quando sono arrivati nei distretti di Toungoo e Nyaunglebin hanno invaso tutta la zona, poi si sono messi alla ricerca dei villaggi dove vivevano persone di etnia karen. Hanno distrutto tutto, così adesso gli abitanti non hanno niente né da mangiare né da coltivare per il futuro. Se trovavano persone di etnia karen li catturavano. Gli abitanti di queste zone non hanno osato affrontare l’esercito birmano, ma per salvare le loro vite hanno lasciato i villaggi e si sono nascosti sulle montagne e nella giungla”. Aro ha poi dichiarato che “prima di arrivare al villaggio di Ko Kay queste persone hanno dovuto affrontare cose terribili. Hanno camminato per 10 giorni, in una situazione di insicurezza, senza cibo e medicine. I soldati birmani hanno provato a bloccarli anche con mine, e queste persone sono riuscite a superare le difficoltà solo grazie alla guida di alcuni soldati karen”. Anche nel villaggio di Ko Kay i 700 karen hanno dovuto affrontare il problema della mancanza di cibo e medicine. “Non sono sufficienti, e questo è un grave problema. La maggior parte di queste persone non vuole tornare nel suo villaggio. Alcuni hanno espresso il desiderio di fermarsi a Ko Kay, altri vogliono raggiungere i campi profughi in Thailandia”.
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Ciao Adric. Sono un ex e lascia che ti dica che ti si rimpiange moltissimo qui. A mio parere sei stato il moderatore più equilibrato e benvoluto del forum. Ciao. |
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#18 |
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MYANMAR 11/4/2006 13.53
CONDANNATO A SETTE ANNI EX MINISTRO DEGLI ESTERI L’ex ministro degli esteri birmano Win Aung, destituito e poi incriminato a fine 2004 insieme con l’ex primo ministro Khin Nyunt, è stato condannato a sette anni di carcere per abuso di potere: lo ha riferito oggi l’‘Assistance association for political prisoners – Burma’, associazione che si occupa del sistema carcerario del paese, e la notizia è stata confermata dal capo della polizia, generale Khin Yi, sebbene fonti vicine all’esercito abbiano precisato che la condanna sarebbe in realtà stata pronunciata alcune settimane fa. A emettere il verdetto contro Win Aung, un tempo considerato il ‘volto pubblico’ della giunta militare al potere da decenni in Myanmar (ex Birmania), è stato lo speciale tribunale istituito all’interno del famigerato carcere di Insein per processare gli uomini legati a Khin Nyunt, eletto premier nell’agosto 2003, autore di un controverso ‘piano in sette punti’ per le riforme democratiche e capo dei servizi segreti militari. In seguito alla lunga lotta di potere che vide contrapposti Nyunt e Than Shwe, attuale ‘numero uno’ della giunta, l’allora primo ministro uscì di scena il 19 ottobre 2004; fu poi incriminato e condannato l’anno scorso a 44 anni di detenzione per corruzione, anche se la pena è stata sospesa e attualmente si trova agli arresti domiciliari.
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![]() 12 Aprile 2006 MYANMAR Myanmar: violenze dei militari per il controllo dell’area intorno alla nuova capitale Vittime delle violenze le minoranze etniche, in modo particolare di etnia karen. I militari hanno ucciso, distrutto raccolti, stuprato e commesso altre gravi violenze per costringerli a lasciare le loro case. Bangkok (AsiaNews/Agenzie) - Il regime militare ha dato vita a una sanguinosa offensiva militare contro le minoranze etniche per avere il pieno controllo dell’area intorno alla nuova capitale. Lo rendono noto ribelli e gruppi antigovernativi del Myanmar. Il colonnello Nerdah Mya, portavoce del gruppo Unità nazionale karen (Knu), dichiara che i militari hanno ucciso più di 100 persone di etnia karen. Hanno inoltre costretto altre migliaia di persone ad abbandonare le loro case, e hanno bruciato villaggi e raccolti. “La giunta militare – dichiara - ha dislocato migliaia di militari da Rangoon (l’attuale Yangon) alla nuova capitale Pyinmana. Uccidono, stuprano, depredano, bruciano. La gente così è costretta ad andarsene. Se sei di etnia karen i soldati ti attaccano, vogliono costringere i karen a lasciare la Birmania”. Il Knu è il più importante gruppo armato ancora in lotta con Yangon. Il colonnello Mya rende noto che i karen hanno più di 10 mila uomini preparati per la resistenza. La giunta militare ha invece concordato una tregua con altri 17 gruppi armati di minoranze etniche. “L’esercito birmano per garantire la sicurezza dell’area costringe le persone a lasciare i loro villaggi con la forza. I militari sparano alle persone”, denuncia un portavoce del Backpack Health Workers, un gruppo volontario che offre servizi medici nell’area karen. “Nello regione karen, nell’ovest del Paese, distretto di Toungoo, i militari hanno aperto il fuoco sugli abitanti”, aggiunge il Free Burma rangers, un gruppo di volontari che sostiene la causa dei karen. “Li hanno catturati, uccisi e decapitati. Ora oltre 2000 si nascondono e 1000 hanno già attraversato il confine con la Thailandia”. Il gruppo ha inoltre pubblicato un articolo di denuncia su internet con alcune fotografie. Hyaw Hsan, generale brigadiere e Ministro dell’informazione, domenica ha confermato che ci sono stati scontri con le minoranze etniche ma a causa dei “sabotatori” karen che commettono “atrocità”. “Ma - dichiara – noi lasciamo aperta una porta per la pace”. Sally Thompson, vice responsabile del gruppo Thailand Burma Border Consortium, rende noto che sono circa 1300 i karen arrivati nei campi profughi thailandesi da quando è cominciato l’attacco dei militari in concomitanza con la stagione secca. I profughi, continua, dicono che i militari bruciano i loro villaggi, distruggono i raccolti e tentano di costringerli al lavoro forzato.
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