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Old 31-05-2004, 15:57   #21
ni.jo
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uppino.

(ho adocchiato un libercolo interessante: Nina Furstenberg zu - Lumi dell'Islam. Mi sà che se qualcosa c'è di "illuminista" nell'Islam questi signori raccolti dalla Furstenberg ne sono un esempio)

Quote:
Note di Copertina
Riusciremo a liberarci dall'incubo di un conflitto tra civiltà? L'esito dipenderà non solo dall'Occidente ma anche dall'evoluzione del mondo islamico. Nove intellettuali musulmani parlano dell'incontro, difficile ma possibile, incompiuto ma avviato, delle loro culture con la modernità liberale, con i principi della democrazia, della dignità dell'individuo, uomo e donna, con i diritti umani. Se mai si scriverà una storia dell'Illuminismo musulmano del XXI secolo, Nina zu Fürstemberg ne ha scovato qui alcune delle voci più influenti che si mettono in gioco con le loro idee. E alcuni anche con grande coraggio, quello che occorre per aprire una strada nuova.

io considero valori universali le libertà individuali, i diritti civili, il principio di tolleranza, che sono valori portanti della democrazia occidentale ma questo non basta a farci sentire superiori a chicchessia: al massimo impedirmi, da laico, di essere "relativista" se questi valori (meritevoli di essere difesi) vengono attaccati da chi li contesta come "seduzioni di Satana" o "contrari alla fede" se non offensivi...
Questi valori anche diffusi, senza imporre o usare armi per farlo, giacchè si andrebbe contro proprio ai principi sopra elencati, anche contro uno sbagliato uso del relativismo assoluto (per cui per essere paritetici si accetta la discriminazione magari sulle donne!)

un esempio di scontro sull'argomento:
http://www.corriere.it/Primo_Piano/P...eligiosa.shtml

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Ultima modifica di ni.jo : 31-05-2004 alle 17:21.
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Old 31-05-2004, 16:24   #22
Anakin
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bella discussione...
stasera me la leggo.
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"Primo Ministro Ombra della Setta dei Logorroici - Quotatore Atipico - Cavaliere della Replica Instancabile"
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Old 31-05-2004, 17:34   #23
Andreucciolo
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Quote:
Originariamente inviato da ni.jo
CUT
Quello che volevo dire è che il giudicante non può (anzi può e lo fa ma imho sbaglia) mettere sul vetrino del microscopio globale una cultura nell’interezza senza conoscere i limite della sua stessa osservazione e soprattutto il fine ultimo della stessa osservazione: senza questo riconoscimento, viene messa in discussione la fallibilità dell’osservazione e la possibilità che il un confronto tra linguaggi, pratiche e pensieri alternativi alla cultura occidentale nasca da presupposti errati : diamine, nemmeno in fisica si riesce a separare l’osservatore dall’oggetto ed osservarlo in modo obbiettivo, vuoi che ci si riesca “filosofeggiando in libertà”?

La possibilità di un confronto tra visioni del mondo estremamente diverse, soprattutto per i valori in gioco (e quindi le regole derivate), ha bisogno di essere interno ad uno scambio tra le culture in osservazione: non esiste per me obbiettività nella visione unilateralistica che prende a riferimento solo sé stessa nella forma migliore come unità di misura.
Quoto, vedi che fai il falso modesto della minchiazza?: non ho le conoscenze, la capacità dialettica
Per non cadere in complicate dicussioni filosofiche, proporrei (se siete d'accordo) di semplificare il discorso intorno a tre temi:
1) Supposta "crisi culturale" dell'occidente;
2) Implicazioni della regola "dall'essere (migliore o peggiore) non discende il dover essere".
3) Dialogo, possibile o no?
Sul primo punto ho già detto la mia opinione.
Il secondo è un problema più complesso: la regola è valida in astratto e da un punto di vista prettamente logico. Ma dal punto di vista della prassi, non è cosi', non lo è mai stato. Proprio perchè nessuna logica al mondo è capace di rispondere alla domanda: come devo vivere? La nostra cultura, al pari delle altre, ha dato delle risposte. Il pluralismo non è altro che un risultato della nostra cultura, il relativismo nella prassi non esiste, ogni nostra scelta che non sia "tecnica" è carica di valori, di precisi valori che noi scegliamo anche inconsapevolmente, il vero relativismo porterebbe al blocco di qualsiasi tipo di decisione; questo lo sappiamo tutti, eccetto certi filosofi che con queste categorie ancora ci devono campare.....
Posto quindi che a mio avviso si parla di pluralismo, e non di relativismo, si può cominciare a fare qualche distinzione: ammettere che esistano una pluralità di modi di vivere, non implica nemmeno l'accettazione acritica di tutto ciò che sia "altro". L'antropologo può cercare di comprendere i riti dei "cannibali", senza per questo aderire ai valori dell'antropofagia o giustificarli. Nella prassi politica reale, i discorsi che mirano con insistenza al "meglio" hanno portato alle teorie razziste, ai gulag e alle camere a gas.
Il presupposto del dialogo (che è prassi,non teoria) è innanzitutto la consapevolezza di avere un interlocutore, e il dialogo stesso prenderà una piega diversa a seconda di come io considero questo interlocutore, ma il dialogo in se, non implica di essere d'accordo su nulla, se non sull'opportunità di dialogare.
Quindi io sono occidentale, ritengo la mia cultura "preferibile", e cerco il dialogo, fosse ANCHE per convincere gli altri della sua bontà ; da alcune affermazioni di Pera, mi pare che confonda il dialogo con "l'inquinamento dei propri valori". Nei confronti dell'islam, non si dialoga per dibattere su "teorie", si dialoga per trovare un modo per coesistere, senza nulla togliere al fatto che in questo dialogo possiamo e dobbiamo sostenere idee che troviamo giuste, ed essere critici su ciò che troviamo sbagliato.
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La risposta è dentro di te, che pperò è sbagliata.....

Ultima modifica di Andreucciolo : 31-05-2004 alle 17:36.
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Old 31-05-2004, 19:50   #24
Bet
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Originariamente inviato da ni.jo
si ma non darmi ragione solo se ti dò ragione...
mannaggia, mi hai scoperto








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Mettiamola in questo senso allora: il pluralismo oggi è ormai parte del nostro modo di pensare, un patrimonio comune acquisito.
Dal pluralismo al relativismo il passo è abbastanza breve, tant’è che per l’ignorante come me è quasi la stessa cosa: quando si parla di “conoscenza” (io parlo da laico) è abbastanza comune l’idea che si possa avere una diversa percezione della “verità”, una diversa idea di metodo, e siamo cioè pronti a riconoscerci il diritto ad avere una certa posizione e confrontarsi con essa.
Pera sottolinea che questo esclude alcuni punti fermi (ad esempio religiosi, ma anche morali) e lì il confronto si blocca: non è una tragedia sino a che non si cerca di imporre all'altro al propria visione a casa sua.

Tutto sommato comunque si riconosce la necessità di “ammettere” l’esistenza di tradizioni culturali diverse da quella occidentale per linguaggio, credenze e valori; solo che arrivati alla definizione di questi “valori” si inizia a delineare una diversa concezione della vita, diciamo, vissuta pienamente e felicemente ma soprattutto nel METODO con cui questi valori vengono soddisfatti.

Quello che volevo dire è che il giudicante non può (anzi può e lo fa ma imho sbaglia) mettere sul vetrino del microscopio globale una cultura nell’interezza senza conoscere i limite della sua stessa osservazione e soprattutto il fine ultimo della stessa osservazione: senza questo riconoscimento, viene messa in discussione la fallibilità dell’osservazione e la possibilità che il un confronto tra linguaggi, pratiche e pensieri alternativi alla cultura occidentale nasca da presupposti errati : diamine, nemmeno in fisica si riesce a separare l’osservatore dall’oggetto ed osservarlo in modo obbiettivo, vuoi che ci si riesca “filosofeggiando in libertà”?

La possibilità di un confronto tra visioni del mondo estremamente diverse, soprattutto per i valori in gioco (e quindi le regole derivate), ha bisogno di essere interno ad uno scambio tra le culture in osservazione: non esiste per me obbiettività nella visione unilateralistica che prende a riferimento solo sé stessa nella forma migliore come unità di misura.
credo che siano osservazioni giuste, e come al solito credo che siano l'altra faccia della medaglia: quanto hai detto mi va bene se non esclude la possibilità di quel giudizio di cui ho parlato, perchè escluderebbe qualsiasi elemento comune tra due sistemi diversi, qualsiasi possibilità di comunicare di confrontare, il che francamente sarebbe fuori dalla realtà. In ogno caso non si tratta solo di un'analisi fatta al microscopio: Pera ha parlado di un dialogo di confronto come verifica, che è una condizione che non pone ci pone da osservatore, ma ci coinvolge.
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Ultima modifica di Bet : 31-05-2004 alle 19:54.
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Old 31-05-2004, 19:57   #25
Bet
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Originariamente inviato da Andreucciolo
...ammettere che esistano una pluralità di modi di vivere, non implica nemmeno l'accettazione acritica di tutto ciò che sia "altro". L'antropologo può cercare di comprendere i riti dei "cannibali", senza per questo aderire ai valori dell'antropofagia o giustificarli. Nella prassi politica reale, i discorsi che mirano con insistenza al "meglio" hanno portato alle teorie razziste, ai gulag e alle camere a gas.
Il presupposto del dialogo (che è prassi,non teoria) è innanzitutto la consapevolezza di avere un interlocutore, e il dialogo stesso prenderà una piega diversa a seconda di come io considero questo interlocutore, ma il dialogo in se, non implica di essere d'accordo su nulla, se non sull'opportunità di dialogare.
Quindi io sono occidentale, ritengo la mia cultura "preferibile", e cerco il dialogo, fosse ANCHE per convincere gli altri della sua bontà ; da alcune affermazioni di Pera, mi pare che confonda il dialogo con "l'inquinamento dei propri valori". Nei confronti dell'islam, non si dialoga per dibattere su "teorie", si dialoga per trovare un modo per coesistere, senza nulla togliere al fatto che in questo dialogo possiamo e dobbiamo sostenere idee che troviamo giuste, ed essere critici su ciò che troviamo sbagliato.
ok

ps: anche tu, non rispondere sempre a Pera che tanto non sa neppure chi sei! Cio' che ha detto Pera è uno spunto (articolato piuttosto bene)
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Old 31-05-2004, 19:58   #26
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tanto tra un po' arriva Anakin e sono bastonate x tutti

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Old 31-05-2004, 20:34   #27
ni.jo
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Originariamente inviato da Andreucciolo
Quoto, vedi che fai il falso modesto della minchiazza?: non ho le conoscenze, la capacità dialettica
Ecchecazz, mi citi Popper il minimo che posso fare è mettere le mani avanti
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Originariamente inviato da Andreucciolo
Per non cadere in complicate dicussioni filosofiche, proporrei (se siete d'accordo) di semplificare il discorso intorno a tre temi:
1) Supposta "crisi culturale" dell'occidente;
Il relativismo assoluto, per quanto ne posso sapere io ( ) sembra una cosa divertente da analizzare ma non mi sembra la tattica migliore da tenere in guerra: in effetti posso capire che si senta in guerra con l'Islam dopo aver letto "scontro di civiltà" possa esserne turbato anche da tutto quello che gli somiglia.
Quote:
Originariamente inviato da Andreucciolo
2) Implicazioni della regola "dall'essere (migliore o peggiore) non discende il dover essere".
Più che altro si dovrebbe passare a discutere sul "fare" giacche l'essere mi pare aleatorio e nel campo dellelibertà personali...
Quote:
Originariamente inviato da Andreucciolo
3) Dialogo, possibile o no?
Indispensabile.
Le uniche persone con cui non si può dialogare sono i terroristi.

ni.jo log out
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Ultima modifica di ni.jo : 31-05-2004 alle 20:37.
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Old 31-05-2004, 21:43   #28
Mixmar
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Veramente interessante... questo svela finalmente alcuni punti del pensiero di Pera che non mi erano affatto chiari... e conferma le divergenze tra il mio pensiero e il suo... non che siano poi cosi rilevanti, ma ero appunto curioso di sapere...
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"Et Eärallo Endorenna utúlien. Sinome maruvan ar Hildinyar tenn' Ambar-metta!" -- Aragorn Elessar, Heir of Isildur
Mixmar -- OpenSuSE 11.1 on AMD 64 3000+ on DFI LanParty nF4-D | GeForce 6600 GT + Thermaltake Schooner on Samsung 710N
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Old 31-05-2004, 22:36   #29
Anakin
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Quote:
Originariamente inviato da Andreucciolo
Io sinceramente non vedo questa crisi culturale, e mi pare che Pera in alcuni punti si contraddica. Se la grandezza della cultura occidentale risiede nella capacità di una continua autocritica, nella capacità di accogliere altri mondi, altre culture, dove è precisamente questa crisi oggi?
In molti discorsi di questo tipo, mi sembra che esista un capovolgimento della realtà: non stiamo cercando in tutti i modi di esportare i nostri valori? Qualcuno nega che la maggioranza degli occidentali consideri la sua cultura preferibile? Voi conoscete molta gente che si è convertita ad un modo di vita islamico?
Ho l'impressione che io e Pera non condividiamo la stessa"realtà fenomenica" .
Sempre partendo dai suoi presupposti, l'esistenza in occidente di voci critiche e persino contrarie alla presunta superiorità della nostra cultura, non erano una forza e la prova che la nostra è una "società aperta" e dunque desiderabile? Credo che su alcune cose debba mettersi d'accordo con se stesso
Io continuo a non vedere alcuna crisi.
rispondo a nome di Pera,che è di la in soggiorno e ha da fare

no non c'è contraddizione.
secondo me tu hai sovrapposto piu' cose.

innanzitutto l'autocritica forza del occidente,è Vargas Llosa che lo dice,in realta' essa è una delle forze del occidente,non la sola.
andando ad indovinare il pensiero di Vargas Llosa,essa è citata come primaria,anche con intento provocatorio e riflessivo.
per dare uno scacco a tutti coloro,occidentali che denigrano l'occidente,e magari ne han fatto lo sport quotidiano,si ricorda loro che la capacita' di autocritica(loro passatempo) non è da tutti,ma è occidentale.cioe' che ringrazino cio su cui sputano.

la crisi c'è,perche' ormai è diffusa l'idea,cioe' non si parla piu' di voci che possono esistere,ma si parla di mentalita' comune.
di che parlo?
di quel che quotato anche Bet,quelle che Pera chiama le due paralisi.
la prima paralisi,è il ritenere nemmeno possibile a livello teorico un confronto se una cosa è migliore o meno di un altra.
per chi?per un uomo qualunque.
che uno sia nero,bianco,giallo o rosso,certe esigenze sono fondamentali nella vita.
la seconda è l'errore logico(che da sempre vedo nei nostri 3D) di confondere giudizio,con atteggiamento.
si ha paura a esprimere giudizi,perche' si ha paura che a questi debbano seguire azioni di un certo tipo,quindi si autocensura il proprio giudizio.
è come uno che per apparire bene,dice cose diverse da quelle che vede...come diremmo?che non è se stesso(perdita di identita' appunto)che è determinato dal essere considerato ok...un complessato in pratica.
queste due paralisi imbavagliano,e alla lunga ci faranno spegnere,perche' in questo modo,non siamo nemmeno piu' capaci di riconoscere cio che di noi stessi vale,e cio che degli altri non va affatto bene.

certo che la maggioranza degli occidentali SA che è fortunata ad essere vissuta qua.
non è questo il discorso di Pera.
il discorso è un altro.
come diceva Ferrara in TV,per sottolineare una certa ipocrisia,ogni due per tre infilava questa frase:
"la civilta' occidentale(faceva una pausa),che non è superiore alle altre,(pausa)pero' è superiore" e andava avanti...

ovvero il punto non è che siamo ciechi e non vediamo che il modello occidentale con tutti i suoi difetti è piu' garante della persona,il punto è che ci autocensuriamo,e che in nome del politically correct non lo diciamo.anzi non si puo nemmeno dire.
quando il berlusca disse l'ovvieta',si scateno il finimondo'...
e a livello popolare,il punto non era tanto sulla poca furbizia di dire pubblicamente una cosa del genere come presidente del consiglio(chiaro che non è furbo far incazzare gli arabi dicendolo a quel modo),ma era per la gente una bestemmia a livello sostanziale.
in nome del pluralismo e del accettare l'altro,è peccato sostenere che una cosa è meglio di un altra.
non si puo proprio fare.
è come se fossimo diventati dei complessati.

questo ha delle conseguenze specialmente in ambito politico,dove questa mentalita' dilaga.
certamente è piu' europeo come fenomeno.
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Old 01-06-2004, 00:39   #30
Andreucciolo
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Originariamente inviato da Anakin
rispondo a nome di Pera,che è di la in soggiorno e ha da fare

no non c'è contraddizione.
secondo me tu hai sovrapposto piu' cose.

innanzitutto l'autocritica forza del occidente,è Vargas Llosa che lo dice,in realta' essa è una delle forze del occidente,non la sola.
andando ad indovinare il pensiero di Vargas Llosa,essa è citata come primaria,anche con intento provocatorio e riflessivo.
per dare uno scacco a tutti coloro,occidentali che denigrano l'occidente,e magari ne han fatto lo sport quotidiano,si ricorda loro che la capacita' di autocritica(loro passatempo) non è da tutti,ma è occidentale.cioe' che ringrazino cio su cui sputano.

la crisi c'è,perche' ormai è diffusa l'idea,cioe' non si parla piu' di voci che possono esistere,ma si parla di mentalita' comune.
di che parlo?
di quel che quotato anche Bet,quelle che Pera chiama le due paralisi.
la prima paralisi,è il ritenere nemmeno possibile a livello teorico un confronto se una cosa è migliore o meno di un altra.
per chi?per un uomo qualunque.
che uno sia nero,bianco,giallo o rosso,certe esigenze sono fondamentali nella vita.
la seconda è l'errore logico(che da sempre vedo nei nostri 3D) di confondere giudizio,con atteggiamento.
si ha paura a esprimere giudizi,perche' si ha paura che a questi debbano seguire azioni di un certo tipo,quindi si autocensura il proprio giudizio.
è come uno che per apparire bene,dice cose diverse da quelle che vede...come diremmo?che non è se stesso(perdita di identita' appunto)che è determinato dal essere considerato ok...un complessato in pratica.
queste due paralisi imbavagliano,e alla lunga ci faranno spegnere,perche' in questo modo,non siamo nemmeno piu' capaci di riconoscere cio che di noi stessi vale,e cio che degli altri non va affatto bene.

certo che la maggioranza degli occidentali SA che è fortunata ad essere vissuta qua.
non è questo il discorso di Pera.
il discorso è un altro.
come diceva Ferrara in TV,per sottolineare una certa ipocrisia,ogni due per tre infilava questa frase:
"la civilta' occidentale(faceva una pausa),che non è superiore alle altre,(pausa)pero' è superiore" e andava avanti...

ovvero il punto non è che siamo ciechi e non vediamo che il modello occidentale con tutti i suoi difetti è piu' garante della persona,il punto è che ci autocensuriamo,e che in nome del politically correct non lo diciamo.anzi non si puo nemmeno dire.
quando il berlusca disse l'ovvieta',si scateno il finimondo'...
e a livello popolare,il punto non era tanto sulla poca furbizia di dire pubblicamente una cosa del genere come presidente del consiglio(chiaro che non è furbo far incazzare gli arabi dicendolo a quel modo),ma era per la gente una bestemmia a livello sostanziale.
in nome del pluralismo e del accettare l'altro,è peccato sostenere che una cosa è meglio di un altra.
non si puo proprio fare.
è come se fossimo diventati dei complessati.

questo ha delle conseguenze specialmente in ambito politico,dove questa mentalita' dilaga.
certamente è piu' europeo come fenomeno.
Vammi subito a chiamare Pera, su....
Guarda, io a questa cosa del complesso non ci credo, secondo me la cosa è diversa.
Come dicevo prima, non è assolutamente vero che a livello teorico o pratico la gente non confronti e non giudichi. Ognuno di noi lo fa ogni giorno, e persino quando critichiamo la nostra società lo facciamo dall'interno. Questo mi sembra un punto molto importante: noi non la critichiamo facendo un paragone con le altre: la nostra critica solitamente è rivolta a quelle pratiche che si discostano troppo da certi ideali; ideali che ci vengono forniti dalla nostra stessa cultura, non dalle altre. Il termine superiore io non lo uso, non è questione di complessi ; anche io lo giudico troppo "ontologico) (copriright di Bet ), troppo reificante. Inoltre, quando parliamo della nostra cultura, ci riferiamo a quella "ideale" o a quella reale? E in quale prospettiva temporale?No, perchè basta prendere solo gli ultimi 60 anni, e posso dimostrare che qualunque cosa abbiano fatto gli islamici la abbiamo fatta anche noi, in alcuni casi solo noi. Invece dal punto di vista ideale, potrei dire che la nostra cultura "sarebbe" superiore, ma poi stiamo discutendo senza aver chiara una cosa: quale cultura? E' un termine troppo ampio, dato che ci possiamo mettere dentro Bush e il Papa, i missionari e i mercenari nelle guerre africane, gli ecologisti e gli speculatori, Cesare Beccaria e la sedia elettrica, l'illuminismo e i fanatici religiosi con tanto di tele-predicatori, la non-violenza e il terrorismo, il rispetto della donna insieme a quelli che vanno con le prostitute-schiave. Quindi quale cultura? E supposto che la individuiamo, chi è che la incarna? Nessuno completamente, è ovvio, però quando parliamo della cultura islamica per come la vediamo noi, la risposta la conosciamo bene: la incarnano tutti indistintamente, ogni musulmano risponde perfettamente alla nostra idea di musulmano.
Allora, anche io ritengo (come ho detto in altri post), che ci siano cose nella società islamica che non vanno per niente, ma non si possono fare filosofie della storia: come evolverà l'islam non lo sa nessuno, quello che ci frega è la nostra idea di progresso, per cui tutte le culture devono seguire gli stessi identici passi in una scala ideale che permette di stabilire un gradino per ogni cultura, da cui il famoso "superiore" e "inferiore". Siccome nessuno può prevedere se l'occidente partorirà un nuovo olocausto, o se l'islam troverà uno sviluppo diverso, io continuerò a dire che preferisco la mia cultura, o meglio gli aspetti della mia cultura che più aderiscono agli "ideali", e continuerò a vivere cosi', il concetto di superiorità è totalizzante, abbraccia troppe cose, troppo diverse.
__________________
La risposta è dentro di te, che pperò è sbagliata.....
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Old 01-06-2004, 01:33   #31
Andreucciolo
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Ragazzi, un piccolo OT: vi ringrazio davvero per questa bella discussione, mi sono fatto un giro in un paio di 3d e..........
E' veramente un piacere poter discutere in questa maniera
__________________
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Old 01-06-2004, 07:41   #32
Bet
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cmq Andreucciolo hai un'abilità oggi molto diffusa: quella di fare domande, porre problemi, problematizzare... in definitiva alzare un polverone
Rimane sempre un aspetto troppo evidente e riscontrabile nei fatti: la libertà... e su quello ci si puo' girare poco intorno, a meno che non si ipotizzi che qualche persona non aspiri ad essere libera, che sarebbe un po' ritenerla realmente non umana. E in una visione sintetica (non semplicistica, ma sintetica) c'è un meglio e un peggio.
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Old 01-06-2004, 08:10   #33
powerslave
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Originariamente inviato da Andreucciolo
Ragazzi, un piccolo OT: vi ringrazio davvero per questa bella discussione, mi sono fatto un giro in un paio di 3d e..........
E' veramente un piacere poter discutere in questa maniera
straquoto,sono mancato un paio di giorni e mi sono ritrovato una bella sfilza di 3d da fare invidia a forza nuova

complimenti a chi ha ideato questo 3d e a chi ha portato avanti la discusssione,stasera me lo leggo tutto e vi dico la mia.

ciauz
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Old 01-06-2004, 09:07   #34
SaMu
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Originariamente inviato da Andreucciolo
Continuo a non vedere alcuna crisi, il fatto che ci sia un dibattito all'interno della nostra cultura, è la riprova che esistono quegli aspetti che la fanno apparire a NOI come PREFERIBILE.
Dico la mia.

L'esistenza del dibattito non basta a rendere la nostra cultura preferibile.. non basta nemmeno ad affermare che la nostra è una cultura.

Il dibattito è un processo produttivo di una cultura.. un processo produttivo preferibile perchè tutti possono partecipare alla produzione.. ma non è gia un risultato, non è già una cultura.

Il risultato del dibattito diventa cultura se è in grado di produrre una realtà migliore.. è sul piano della realtà che si misura una cultura.. altrimenti il risultato del dibattito rimangono parole vuote.

"La crisi della cultura occidentale" per come la intendo io è questo.. siamo riusciti a dotarci di quello che, abbastanza unanimemente, consideriamo essere il miglior processo produttivo di una cultura.. vale a dire il dibattito.

Ma non riusciamo a produrre la miglior cultura possibile.. peggio ancora, fatichiamo persino a produrre una cultura che sia una.

Ci ritiriamo dall'idea di proporre una cultura, neghiamo l'opportunità e addirittura la possibilità di fare un confronto tra culture, e ci arrocchiamo sulla difesa del metodo.. sostenendo il dibattito e la libertà di espressione.

Ma quanto reggerà questa fortezza, se il dibattito non è in grado di produrre una cultura? Tra 50 anni saremo ancora unanimemente convinti che il dibattito e la libertà di espressione siano il metodo migliore, oppure il relativismo avrà relativizzato anche quelli?

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Old 01-06-2004, 10:13   #35
Bet
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SaMu, cosa intendi per dibattito che "produce una realtà migliore"? Mi faresti qualche esempio? Cosa dovrebbe produrre in concreto e cosa non sta producendo?
per capire meglio
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Old 01-06-2004, 10:34   #36
ni.jo
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Originariamente inviato da Anakin
cut
innanzitutto l'autocritica forza del occidente,è Vargas Llosa che lo dice,in realta' essa è una delle forze del occidente,non la sola.
andando ad indovinare il pensiero di Vargas Llosa,essa è citata come primaria,anche con intento provocatorio e riflessivo.
per dare uno scacco a tutti coloro,occidentali che denigrano l'occidente,e magari ne han fatto lo sport quotidiano,si ricorda loro che la capacita' di autocritica(loro passatempo) non è da tutti,ma è occidentale.cioe' che ringrazino cio su cui sputano.
qui c’è un cane che si morde la coda, però: l’occidente ha la capacità di autocritica e la esercita perché qualcuno prima di noi ha iniziato queste speculazioni, e uno di quelli che la criticano è proprio Llosa: tutti quelli che “criticano l’occidente” sembra un po’ troppo generica come condanna, tant’è che a leggere sembrerebbe diffusissima:a me pare che la sua critica verta sul fatto che "Si fanno tante chiacchiere inutili su questo tema, sia da parte dei suoi sostenitori sia nel fronte degli oppositori” andando a focalizzarsi su aspetti sbagliati o secondari: se non erro per Llosa il nocciolo è proprio una mancanza di critica e impegno politico, non su un ecceso e di fatto si è pure candidato armi e bagagli (perdendo ) Ad esempio su uno degli aspetti della critica all'Occidente dice: "I paesi ricchi hanno delle gravi colpe perché fingono di sostenere il liberismo, invece chiudono in maniera drastica, ermetica le loro frontiere ai prodotti agro-alimentari del sud del mondo, togliendo così ai più poveri la possibilità di mettersi al passo con gli altri. I critici della globalizzazione, invece, battono poco su questi tasti e puntano su concetti fumosi e praticamente inutili": è una posizione molto più liberista di altri auto-incensatisi tali…detto questo è innegabile che esistano persone che “sputano nel piatto in cui mangiano”: quello che scrive sul muro “10-100-1000 nassirya”, tale a.c.a.b. , probabilmente non ha inquadrato molto bene la situazione (è un eufemismo che sostituisce alcuni epiteti poco gentili) ma grazie al cielo non mi pare in grado di provocare un blocco all’Occidente: il blocco c’è stato da poco, invece, e sai in che casa?
In quello delle torture nel carcere di abu graihb, dove l’occidente ha scoperto, dopo un eticissimo discorso pubblico che negli u.s.a ha rigettato l’uso della tortura, che non pochi dei suoi “figli di una cultura superiore” si sono dimostrati non diversi dai cattivi figli dell’islam: il blocco è stato evidente e devastate, tanto da avere ricadute nella guerra al terrorismo... soprattutto per il sospetto che le torture avessero un imput dall’alto e che il loro fine non fosse del tutto scovare informazioni (scelta comunque oscena) quanto umiliare i musulmani (ne sono sstati liberati a centinaia, perché una percentuale altissima era assolutamente innocente, quindi la tortura era anche assolutamente inutile. )

Quote:
Originariamente inviato da Anakin
la crisi c'è,perché' ormai è diffusa l'idea,cioe' non si parla piu' di voci che possono esistere,ma si parla di mentalita' comune.
di che parlo?
di quel che quotato anche Bet,quelle che Pera chiama le due paralisi.
la prima paralisi,è il ritenere nemmeno possibile a livello teorico un confronto se una cosa è migliore o meno di un altra.
per chi?per un uomo qualunque.
che uno sia nero,bianco,giallo o rosso,certe esigenze sono fondamentali nella vita.
Non capisco questo passo: il confronto è tra cose diverse, si sono spese tonnellate di parole ultimamente su islam e occidente, e nessuno nega che nel mondo, non solo nell’islam, la dittatura "oggi domini in troppi paesi", e che l’occidente abbia una percentuale di paesi democratici superiore.
Quote:
Originariamente inviato da Anakin
la seconda è l'errore logico(che da sempre vedo nei nostri 3D) di confondere giudizio,con atteggiamento.
si ha paura a esprimere giudizi,perche' si ha paura che a questi debbano seguire azioni di un certo tipo,quindi si autocensura il proprio giudizio.
è come uno che per apparire bene,dice cose diverse da quelle che vede...come diremmo?che non è se stesso(perdita di identita' appunto)che è determinato dal essere considerato ok...un complessato in pratica.
queste due paralisi imbavagliano,e alla lunga ci faranno spegnere,perche' in questo modo,non siamo nemmeno piu' capaci di riconoscere cio che di noi stessi vale,e cio che degli altri non va affatto bene.
Questo mi pare vada anche al contrario: dal giudizio specifico su un aspetto “fuorviato” dell’islam si passa ad un timore generalizzato su tutto il mondo islamico e da quì all’odio il passo è breve: è una cosa che puoi notare anche sul forum.
In Francia invece hanno adottato una linea molto dura: niente religioni nelle scuole pubbliche, istituzione di una scuola per imam moderati: pensano che il vero problema sia il fondamentaismo integralista trasmesso come insegnamento, lo stesso che si può trovare in Palestina sui libri importati dal libano o dall’egitto che predicano la scomparsa di Israele…non l’islam in sé, che come tutte le religioni può essere interpretata per seguire il bene o “difendersi” con tutti i mezzi indiscriminatamente anche quando l’attacco fa solo comodo pensare che ci sia.
Quote:
Originariamente inviato da Anakin
certo che la maggioranza degli occidentali SA che è fortunata ad essere vissuta qua.
non è questo il discorso di Pera.
il discorso è un altro.
come diceva Ferrara in TV,per sottolineare una certa ipocrisia,ogni due per tre infilava questa frase:
"la civilta' occidentale(faceva una pausa),che non è superiore alle altre,(pausa)pero' è superiore" e andava avanti...
le polemiche contro il «relativismo culturale» sono assolutamente legittime e spesso fondate, ma a volte mi sembra che si esasperi la critica pensando che quello aperto l’11 settembre sia uno scontro per l’esistenza tra due civiltà e due religioni: l’inopportunità delle affermazioni di Berlusconi e moltii colleghi di Pera è che in un contesto in cui è indispensabile trovare alleati moderati, una sponda nell’Islam che faccia diga contro il fondamentalisti (e chi sta loro dietro con motivazioni molto terrene, altro che religiose e culturali): si tratta di allargare il sodalizio con di chi si oppone al terrore fondamentalista anche nel mondo islamico, non certo di creare ulteriori problemi ad interlocutori già in seria difficoltà, quelli che si sentono ora dire sprezzanti "è questa la democrazia che auspicate per noi?"

Molto più controversa è invece la fondatezza storica, politica e culturale di questa “superiorità”, cui si occupano Ferrara, Fallaci e Pera: è pacifico che la maggioranza di noi consideri valori positivi assoluti democrazia le libertà civili, religiose,personali, i diritti civili, la tolleranza e il pluralismo, e che queste trovino terreno fertile nella società di tipo occidentale: basta a farci sentire superiori, se molti paesi arabi sono incamminati in quella direzione, se esistono voci che spingono per affermare quei valori anche da loro, e se la pretesa superiorità quando non ha nulla di umile viene usata prima come giudizio poi come scusa per passare all’imposizione, vanificando proprio la ricerca della sponda nel fronte dei moderati?

Attenzione io vado anche più avanti, perché questi valori sono assolutamente da proteggere quando vengono attaccati, soprattutto in casa nostra: in casa “loro” andrebbero diffusi aiutando chi li desidera, perché se una cosa viene imposta dall’alto, l’abbiamo capito forse, non verrà accettata ma vista come un usurpazione: e vanno difesi anche quando a usurparli è l’occidente stesso, che nascondendosi dietro il primato “morale” a volte crea dei mostri (tra i quali il nucleo dei jihaddisti che, non più “quattro fondamentalisti” ma marea ci sta impegnando così tanto).

L’Occidente ha nel pluralismo di opinioni e nella trasmissione di questi alle istituzioni uno dei validi fattori di miglioramento (è innegabile che la situazione sia migliorata…pensate ai tempi delle colonie) e il pluralismo delle opinioni anche estreme è una ricchezza,è quello che ci differenzia dalle dittature del mono-pensiero: mi sfugge come si potrebbe imbrigliare in un senso o nell’altro questa pluralità di opinioni, se pure fosse necessario o conveniente.

Quote:
Originariamente inviato da Anakin
ovvero il punto non è che siamo ciechi e non vediamo che il modello occidentale con tutti i suoi difetti è piu' garante della persona,il punto è che ci autocensuriamo,e che in nome del politically correct non lo diciamo.anzi non si puo nemmeno dire.
quando il berlusca disse l'ovvieta',si scateno il finimondo'...
e a livello popolare,il punto non era tanto sulla poca furbizia di dire pubblicamente una cosa del genere come presidente del consiglio(chiaro che non è furbo far incazzare gli arabi dicendolo a quel modo),ma era per la gente una bestemmia a livello sostanziale.
in nome del pluralismo e del accettare l'altro,è peccato sostenere che una cosa è meglio di un altra.
non si puo proprio fare.
è come se fossimo diventati dei complessati.

questo ha delle conseguenze specialmente in ambito politico,dove questa mentalita' dilaga.
certamente è piu' europeo come fenomeno.
Non sono d’accordo: l’errore di Berlusconi era indubbiamente tattico, politico, pratico ma anche storico ed etico perché non si limitava ad un giudizio severo sull’islam in toto (e non solo ai terroristi) raffrontato alla civiltà occidentale («dobbiamo essere consapevoli della superiorità e della forza della nostra civiltà ») ma lo faceva in un contesto in cui da questo giudizio scaturiva l’imposizione di questa civiltà con l’uso della forza, quello dell’attacco bellico Usa visto come conquista e imposizione della democrazia a suon di bombe («LA CIVILTA' OCCIDENTALE CONQUISTERA' I POPOLI» «l'Occidente comunque è destinato a continuare ad occidentalizzare e conquistare i popoli». «L'ha fatto con il mondo comunista, l'ha fatto con una parte del mondo islamico» e lo farà con l’«altra parte ferma a 1400 anni fa».
Non siamo nel campo del giudizio / atteggiamento, siamo passati direttamente dal giudizio (parziale) all’atteggiamento (equivoco, presuntuoso) all’azione (sbagliata, disastrosa).
__________________
Primo Officiante della Setta dei Logorroici - Arconte della prolissità - Crociato della Replica|Custode Di Lomaghiusa e Muffin|

Ultima modifica di ni.jo : 01-06-2004 alle 10:58.
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Old 01-06-2004, 10:48   #37
Everyman
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Molta gente avrebbe bisogno di leggersi topic di questo tipo.

Aiutano a vivere meglio imho, se interpretati nella maniera giusta.

Ciaoooooooo
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Old 01-06-2004, 11:21   #38
AlexGatti
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Originariamente inviato da SaMu
...
Il dibattito è un processo produttivo di una cultura.. un processo produttivo preferibile perchè tutti possono partecipare alla produzione.. ma non è gia un risultato, non è già una cultura.
...
"La crisi della cultura occidentale" per come la intendo io è questo.. siamo riusciti a dotarci di quello che, abbastanza unanimemente, consideriamo essere il miglior processo produttivo di una cultura.. vale a dire il dibattito.

Ma non riusciamo a produrre la miglior cultura possibile.. peggio ancora, fatichiamo persino a produrre una cultura che sia una.
Mah secondo me la nostra _è_ già una cultura, con tutti i suoi difetti ma lo è già, non capisco in base a cosa tu affermi che noi occidentali non abbiamo una cultura, o meglio una famiglia di culture visto che per "occidente" si intende almeno tutta l'europa e tutta l'america del nord.

In secondo luogo noi avendo il dibattito abbiamo i mezzi per rinnovare la nostra cultura e produrre qualcosa di nuovo, pensa ai cambiamenti culturali avvenuti durante il secolo scorso.
Chi non ha il dibattito difficilmente riuscirà a rinnovare la propria cultura e se la dovrà tenere come è, nei secoli dei secoli... a meno di non dover introdurre il dibattito in maniera anche violenta (rivoluzione).
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Old 01-06-2004, 11:55   #39
Andreucciolo
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Originariamente inviato da Bet
cmq Andreucciolo hai un'abilità oggi molto diffusa: quella di fare domande, porre problemi, problematizzare... in definitiva alzare un polverone
Rimane sempre un aspetto troppo evidente e riscontrabile nei fatti: la libertà... e su quello ci si puo' girare poco intorno, a meno che non si ipotizzi che qualche persona non aspiri ad essere libera, che sarebbe un po' ritenerla realmente non umana. E in una visione sintetica (non semplicistica, ma sintetica) c'è un meglio e un peggio.
E tu fai come il Leone Svicolone, anche se non svicoli tutta a mancina
Tra tutte quelle domande, non mi dai neanche una piccola risposta?
La libertà è un'ottima cosa, tant'è che ci sono musulmani che la vogliono per se, come in Iran, come in Egitto, come in Algeria. E io sono dalla loro parte, ci mancherebbe.Ma la libertà presuppone sempre qualcuno che la voglia,e la libertà nella storia non è sempre prevedibile e scontata, e qui non sono d'accordo con te sull'umano-disumano. I tedeschi che affollavano le piazze nei comizi nazisti, erano disumani? Oppure alla fine della guerra sono ridiventati umani?E la gente che ha combattuto in guerre civili dalla parte della dittatura? Il fatto è che noi abbiamo trovato un modo furbo per neutralizzare queste cose: noi diciamo che gli aspetti ideali migliori sono la "nostra cultura", tutto ciò che è successo e che accade di negativo lo mettiamo tra parentesi, non ci appartiene, è accaduto per caso. Solo perchè una piccola parte del mondo ha avuto 50 anni di relativa pace INTERNA, ci permettiamo di dare sentenze definitive sulle altre culture.
Quello che voglio dire è che io non rigetto i giudizi concreti, ma bensi' le sentenze definitive; "in Italia ora c'è più liberta personale che in Iran", questo è quello che accetto, non le sentenze rozze di chi pretende di aver imboccato la strada maestra e "progressiva" della storia una volta per sempre.
__________________
La risposta è dentro di te, che pperò è sbagliata.....
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Old 01-06-2004, 12:04   #40
ni.jo
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A proposito di Mario vergas Llosa, ieri su La Stampa c'era un suo lungo articolo in cui prendeva posto d'autorità in mezzo alle voci "Plurali", criticando "i mezzi che che distrugono i fini":
come diceva Abert Camus non sono i mezzia giustificare i fini ma i mezzi a giustificare i fini:abbattere un tirannia e aiutare un paese a diventare democrazia è un ottimo fine, ma se per ottenerlo si violano diritti umani e ci si asciaandare a torture e umiliazioni crudeli l'obbiettivo si trasforma e snatura in unmero pretesto.
Non è esagerato dice Llosa, dire che hanno fatto più danni al "fine" di Usa e Israele le torture e le stragi di civili che tutti gli attentati di questi mesi.
Che credibilità possono avere Bush e Rumsfeald che i fronte a immagini in cui prigionieri senza processo, accusati in molti casi di nulla, negono denudati, obbligati masturbarsi, sodomizarsi, sottoposti a scariche eletttriche o percossi a sangue, dicono che sono lì a portre democrazia e libertà?
Ovvio, dice, che non bisogna fare pericolose equazioni bush=saddam ecc... una società civile può avere un mediocre incapace come bush ma ha dei meccanismi di controllo e retifica degli errori che giustificano la speranza: la possibilià di un radicale cambio di politica: i meccanismi ci sono e ono entrati in azione -il soldato Joseph Darby che ha denunciato le torture, con coraggio e diritura morale enorme: le istituzioni intervnute a punire i responsabili: i soldati israeliani che si sono rifiutati di usare armi da guerra in mezzo ai civili (sempre Llosa a parlare) e le critiche feroci di Tomy Lapid, che con rettitudine e coraggio accusato di tradimento dai suoi stessi concittadini ha detto in parlamento che i bambini e le donne palesinesi uccisi nella manifestazione in mezzo alle macerie delle case, questi metodi "non sono umani, non sono ebrei".

E' una cultura sì, o mglio tante culture con gli stessi valori di riferimento, quella che contiene tante voci così alte e permette di seguire gi eventi ed adeguarsi alle istanze...


un (lungo) contributo sul dilemma (affatto europeo, molto americano) sulla tortura:
in U.s.a.,a differenza di quanto pensa Anakin penso ci siano molte più voci critiche e autorevoli, che in europa e non scordiamoci che i movimenti per una globalizzazione dei diritti, per il pacifismo, per la libertà di stampa (con inchieste che sono arrivate a far cadere presidenti e governi) sono tutte squisitamente made in U.s.a.
E' questo, assieme a persone come il soldato Joseph Darby o a mio parere lo stesso Kerry (le cui critiche sulla guerra del Vietnam, dopo aver dato il suo contributo -medaglie comprese- potrebbero costargli l'elezione) che permettono agli u.s.a. di essere comunque una grande democrazia....

Quote:
Con la forza e con il terrore
Un'inchiesta di Mark Bowden
C'è chi crede che contro il terrorismo sia giusto perfino usare la tortura.

Internazionale 512, 30 ottobre 2003

Rawalpindi, Pakistan. Un giorno che forse era un sabato o forse no, e forse era il 1 marzo o forse no, in una casa che forse era l'abitazione di Ahmad Abdul Qadoos o forse no, un commando di soldati pachistani e statunitensi ha svegliato bruscamente il famigerato terrorista Khalid Sheikh Mohammed. Si aspettavano uno scontro a fuoco e avevano fatto irruzione nella casa correndo e urlando. Invece l'hanno trovato che dormiva. L'hanno tirato giù dal letto, incappucciato e legato. L'hanno fatto salire su una macchina e portato via.

È stato il più importante arresto della guerra al terrore. Sheikh Mohammed è considerato l'ideatore di due attentati al World Trade Center: quello fallito del 1993 e quello catastroficamente riuscito di otto anni dopo. Si pensa che fosse dietro agli attentati contro le ambasciate americane in Kenya e Tanzania del 1998, e a quello di due anni dopo contro l'Uss Cole della marina degli Stati Uniti, e forse anche dietro l'omicidio del giornalista del Wall Street Journal, Daniel Pearl, avvenuto l'anno scorso.

Qualcuno sostiene che l'arresto di Sheikh Mohammed sia avvenuto molto prima del 1 marzo, data in cui è stato annunciato dai servizi segreti pachistani dell'Inter-Services Intelligence (Isi). Abdul Qadoos, un uomo pallido e anziano, mi ha detto che Sheikh Mohammed non era in quella casa "né c'era mai stato". Sembra che il video ufficiale dell'arresto sia un falso. Ma i dettagli hanno poca importanza: ormai quasi tutti sono convinti che Sheikh Mohammed sia nelle mani degli americani già da qualche tempo. Nelle prime ore della sua prigionia, gli hanno tolto il cappuccio e hanno scattato una fotografia.

Si vede un uomo scuro di carnagione, robusto, villoso, con gli occhi velati e grossi baffi neri, sopracciglia spesse, un'ombra scura di barba sul viso tondo, triplo mento, lunghe basette, e capelli lunghi, folti e arruffati. È in piedi di fronte a una parete di colore chiaro con la vernice scrostata, leggermente piegato in avanti, come un uomo che ha le mani legate dietro la schiena. Guarda in basso, a destra della macchina. Sembra intontito e depresso.

Sheikh Mohammed è un uomo intelligente. C'è un'aria di ansiosa incertezza nell'espressione che ha in quella prima foto dopo l'arresto. È lo sguardo di un uomo che si è svegliato in un incubo. Tutto quello che ha dato senso alla sua vita – il suo ruolo di marito e di padre, la sua leadership, la sua statura morale, i suoi piani, le sue ambizioni – è finito. Nel suo futuro ci sono mesi, forse anni di prigionia e interrogatori, un tribunale militare e quasi sicuramente una condanna a morte. Sembra di vedere il suo cervello che lavora, analizzando la situazione. Come passerà i suoi ultimi mesi o anni? Manterrà un dignitoso silenzio di sfida? O si arrenderà al nemico e tradirà i suoi amici, la sua causa e la sua fede?

Faccia da schiaffi
In questo periodo si parla tanto della schiacciante tecnologia militare degli Stati Uniti, della professionalità dei soldati americani, delle loro armi sofisticate e dei loro sistemi d'intercettazione; ma l'arma più importante che hanno potrebbe essere l'arte d'interrogare. Per contrastare un nemico che confida sulla clandestinità e sulla sorpresa, lo strumento più utile sono le informazioni, e spesso l'unica fonte di informazioni è il nemico stesso.

Gli uomini come Sheikh Mohammed, presi vivi in questa guerra, sono i tipici candidati a subire quest'arte macabra. Intellettuali, raffinati, profondamente religiosi e ben addestrati, rappresentano una sfida perfetta per chi deve interrogarli. Ottenere le informazioni di cui sono in possesso potrebbe permetterci di impedire gravi attacchi terroristici, scoprire la loro organizzazione e salvare migliaia di vite. Loro stessi e la situazione in cui si trovano sono uno degli argomenti più forti a favore dell'uso della tortura.

La tortura è ripugnante. È un atto di crudeltà, uno strumento di oppressione politica antico e rozzo. Viene usata per terrorizzare le persone o per strappare confessioni a presunti colpevoli. È la classica scorciatoia degli investigatori pigri o incompetenti. Esempi orribili delle conseguenze della tortura sono catalogati e pubblicati ogni anno da Amnesty International, Human Rights Watch e altre organizzazioni che combattono questo tipo di abusi in tutto il mondo. Non si può fare a meno di essere solidali con le loro vittime innocenti e impotenti. Ma i terroristi rappresentano una questione più difficile.

Sono casseforti in cui sono riposte informazioni che potrebbero salvare delle vite. Sheikh Mohammed ha i suoi motivi politici e religiosi per progettare omicidi di massa, e c'è chi applaudirebbe l'atteggiamento di sfida che mantiene nonostante sia prigioniero. Ma il suo silenzio lo paghiamo col sangue.

La parola tortura viene dal verbo latino torquere, cioè "torcere". Il dizionario inglese Webster's dà questa definizione: "L'atto d'infliggere un dolore intenso per ottenere informazioni e confessioni o per vendetta". Vi prego di notare l'aggettivo "intenso", che evoca immagini di ruote, pollici schiacciati, scalpelli, marchi a fuoco, pozzi ardenti, strumenti per impalare, scosse elettriche e tutti gli altri diabolici strumenti concepiti dagli esseri umani per mutilare e procurare dolore. Molti generi di crudeltà sono ancora diffusi soprattutto in America Centrale e Meridionale, in Africa e in Medio Oriente. La polizia di Saddam Hussein marchiava a fuoco sulla fronte ladri e disertori, e tagliava la lingua a chi offendeva lo stato. In Sri Lanka i prigionieri vengono appesi a testa in giù e bruciati con ferri roventi.

In Cina vengono picchiati con bastoni e tormentati con pungoli per il bestiame. In India la polizia infila spilli nelle unghie e nelle dita dei prigionieri. Le mutilazioni e le violenze fisiche sono legali in Somalia, Iran, Arabia Saudita, Nigeria, Sudan, e in altri paesi che applicano la sharia; ai ladri vengono tagliate le mani e le donne condannate per adulterio rischiano la lapidazione. Vari governi del mondo continuano a usare lo stupro e la mutilazione, e a colpire i familiari, compresi i bambini, per estorcere confessioni o informazioni ai prigionieri. In tutto il mondo le persone civili condannano senza esitazione queste pratiche. Ma ci sono anche dei metodi che, secondo alcuni, non sono vere torture.

Sottili distinzioni
Le cosiddette "torture leggere" includono la privazione del sonno, l'esposizione al caldo o al freddo, l'uso di droghe per indurre confusione, maltrattamenti (schiaffi, spinte, strattoni), la costrizione a stare in piedi per giorni o a stare seduto in posizioni scomode, e il far leva sulle paure del prigioniero per se stesso e per la sua famiglia. Anche se strazianti per la vittima, queste tecniche generalmente non lasciano segni permanenti e non producono danni fisici duraturi. La Convenzione di Ginevra non fa distinzione: proibisce qualsiasi maltrattamento nei confronti dei prigionieri.

Ma alcuni paesi che per altri versi si sono impegnati a rinunciare alla brutalità hanno usato la tortura leggera in circostanze che ritenevano giustificabili. Nel 1987 Israele tentò di codificare una distinzione tra la tortura, proibita, e una "moderata pressione fisica", permessa in casi particolari. Anzi, alcuni ufficiali di polizia, soldati e agenti dei servizi segreti che condannano i metodi "brutali" sono convinti che eliminare tutte le forme di pressione fisica sarebbe un'ingenuità pericolosa. Pochi sono favorevoli all'uso delle pressioni fisiche per estorcere confessioni, soprattutto perché spesso le vittime sono disposte a dire qualsiasi cosa (fino al punto di autoincriminarsi) pur di mettere fine al dolore.

Ma molti veterani del mestiere sono convinti che sia giustificato usare questi metodi per estorcere informazioni quando si possono salvare delle vite costringendo un soldato nemico a rivelare la posizione del suo esercito o un terrorista a rivelare i dettagli di un complotto. Dal loro punto di vista, il valore dell'incolumità fisica di un prigioniero va misurato con le vite che si potrebbero salvare costringendolo a parlare. Un metodo che consenta di ottenere informazioni vitali senza infliggere a nessuno danni permanenti è non solo migliore, ma sembra anche moralmente accettabile. Da ora in poi userò la parola "tortura" per indicare i metodi tradizionali più brutali e "coercizione" per indicare la tortura leggera o una moderata pressione fisica.

I prigionieri
Non si sa esattamente quanti siano i presunti terroristi imprigionati oggi negli Stati Uniti. Circa 680 erano detenuti a Camp X-Ray, la prigione costruita a Guantánamo, sulla punta sudorientale di Cuba. Molti di loro sono considerati soldati semplici del movimento islamico, catturati in Afghanistan durante la disfatta dei taliban. Vengono da quarantadue paesi.

Decine di altri detenuti, considerati i loro capi, sono stati o sono ancora detenuti in varie località sparse in tutto il mondo: in Pakistan, Arabia Saudita, Egitto, Sudan, Siria, Giordania, Marocco, Yemen, Singapore, nelle Filippine, in Thailandia e in Iraq, dove l'esercito statunitense ora tiene prigioniere le alte gerarchie dell'ex regime di Saddam Hussein. Alcuni sono detenuti in prigioni note, come quella di Bagram e l'isola di Diego Garcia. Altri – figure di maggior rilievo come Sheikh Mohammed, Abu Zubaydah, Abd al Rashim al Nashiri, Ramzi bin al Shibh e Tawfiq bin Attash – si trovano in località segrete.

È probabile che i nomi e l'arresto di alcuni terroristi catturati non siano stati rivelati; una persona può essere trattenuta per mesi prima che venga messo in scena il suo "arresto". Una volta che tutti sanno che un sospettato di alto rango è in prigione, il valore delle sue informazioni diminuisce. La sua organizzazione si sparpaglia, modifica piani, travestimenti, coperture, codici, tattiche e metodi di comunicazione.

Le migliori opportunità di raccogliere informazioni si hanno nelle prime ore dopo l'arresto, prima che il suo gruppo venga a sapere che è stata aperta una breccia. Mantenere segreto un arresto per giorni o settimane prolunga questa opportunità. Perciò, lo ripeto, non si conosce il numero esatto dei presunti terroristi che sono in prigione. A settembre dello scorso anno, davanti alle commissioni sui servizi segreti del parlamento statunitense, il coordinatore antiterrorismo del dipartimento di stato Cofer Black ha dichiarato che sono circa tremila.

Tutti questi sospetti vengono interrogati rigorosamente, ma a quelli di grado più alto viene applicato il trattamento coercitivo. E se dobbiamo credere ai rapporti ufficiali e ufficiosi del governo, il metodo usato funziona. In vari rapporti si dice che i terroristi più duri stanno collaborando o, come minimo, stanno dando delle informazioni utili, dettagliate e verificabili. Alla fine di marzo, Time riferiva che Sheikh Mohammed aveva "fornito agli investigatori statunitensi i nomi e la descrizione di una dozzina di personaggi chiave di al Qaeda che si riteneva stessero preparando attacchi terroristici contro l'America e altri paesi occidentali" e aveva "aggiunto alla descrizione dettagli fondamentali".

Gli Stati Uniti torturano i loro prigionieri? Nella prigione afgana tre detenuti sono morti, e sembra che a Guantánamo diciotto prigionieri abbiamo tentato il suicidio. Uno di loro è sopravvissuto al tentativo di impiccarsi, ma è rimasto in coma e non si riprenderà. Shah Muhammad, un pachistano di vent'anni che è rimasto a Camp X-Ray per diciotto mesi, mi ha raccontato di aver ripetutamente tentato di uccidersi per la disperazione: "Mi stavano facendo impazzire", ha detto.
In un articolo del dicembre 2002, Dana Priest e Barton Gellman del Washington Post affermavano che a Bagram si usavano "violenze fisiche e psicologiche", e un articolo del New York Times di marzo descriveva i maltrattamenti riservati ai detenuti.

Quello stesso mese, Irene Kahn, segretario generale di Amnesty International, ha scritto una lettera di protesta al presidente Bush. A giugno, dietro insistenza di Amnesty e di altre organizzazioni, il presidente Bush ha riaffermato che gli Stati Uniti sono contrari alla tortura: "Invito tutti i governi a unirsi agli Stati Uniti e a tutta la comunità dei paesi rispettosi delle leggi nel proibire, scoprire e condannare qualsiasi atto di tortura. Noi daremo l'esempio". Una risposta leggermente più dettagliata era stata preparata due mesi prima dal massimo legale del Pentagono, William J. Haynes ii, in una lettera a Kenneth Roth, direttore di Human Rights Watch (le mie richieste di intervistare qualcuno del Pentagono, della Casa Bianca o del dipartimento di stato sono state respinte).

Haynes aveva scritto: "Gli Stati Uniti interrogano i combattenti nemici per ottenere informazioni che potrebbero aiutare la coalizione a vincere la guerra e impedire ulteriori attacchi terroristici contro i cittadini degli Stati Uniti e di altri paesi. Come il presidente ha ribadito recentemente all'Alto commissariato nelle Nazioni Unite per i diritti umani, la politica degli Stati Uniti condanna e vieta la tortura. Quando interroga i combattenti nemici, il personale statunitense è tenuto a seguire questa politica e a rispettare tutte le leggi in vigore che vietano la tortura".

Le parole scelte da Haynes sono cautamente rivelatrici. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani e l'amministrazione statunitense definiscono i termini in modo diverso. Tuttavia, pochi direbbero che costringere Sheikh Mohammed a parlare non sarebbe nell'interesse generale dell'umanità. Quindi, prima di affrontare i problemi morali e legali sollevati dagli interrogatori, forse la domanda che dovremmo porci è: che cosa funziona?

Gli orgasmi delle scimmie
La ricerca di un metodo infallibile per condurre gli interrogatori è stata lunga, sgradevole e generalmente infruttuosa. Gli scienziati nazisti facevano esperimenti sui detenuti dei campi di concentramento, sottoponendoli a temperature estremamente calde o estremamente fredde, somministrando loro droghe e procurandogli acute sofferenze nel tentativo di vedere quale combinazione di orrori potesse servire a ottenere collaborazione. Questi tentativi produssero una lunga lista di morti e mutilati, ma nessun sistema affidabile per far parlare le persone.

Nel 1953 John Lilly, del National Institute of Mental Health statunitense, scoprì che inserendo degli elettrodi nel cervello delle scimmie, poteva stimolare dolore, rabbia, paura e piacere. Ne inserì uno nel cervello di una scimmia maschio e diede alla scimmia un interruttore che avrebbe fatto scattare immediatamente l'erezione e l'orgasmo (la scimmia girava l'interruttore in media ogni tre minuti, confermando così lo stereotipo del suo sesso). L'idea di manipolare il cervello dall'interno attirò subito l'interesse della Cia, che immaginava di poter aggirare in questo modo le difese degli informatori più riluttanti. Ma Lilly abbandonò la ricerca dopo aver osservato che l'introduzione degli elettrodi danneggiava il cervello.

Questi e altri esperimenti sono riportati in dettaglio nel libro di John Marks, The search for the Manchurian candidate: the Cia and mind control (Alla ricerca del candidato della Manciuria: la Cia e il controllo della mente) del 1979, e nel libro di George Andrews, Mkultra: the Cia top secret program in human experimentation and behavior modification (Il programma segreto della Cia per la sperimentazione sugli esseri umani e la modificazione dei comportamenti) del 2001.

Andrews riassume varie informazioni scoperte durante un'inchiesta del congresso sugli eccessi della Cia. Il libro di Marks è più sensazionalistico: tende a interpretare l'interesse dell'agenzia per le scienze comportamentali, l'ipnosi e le droghe che alterano il funzionamento della mente come un progetto per la creazione di agenti segreti simili a zombie, anche se sembra che il vero scopo fosse trovare un metodo per costringere le persone a parlare.

L'lsd aveva creato molte speranze. Scoperto per caso in un laboratorio farmaceutico svizzero nel 1943, l'lsd produce potenti effetti di alterazione mentale anche a piccolissime dosi. È più potente della mescalina, che aveva i suoi sostenitori, e poteva facilmente essere somministrato senza che la vittima se ne accorgesse, mettendolo di nascosto nel cibo o nelle bevande. La speranza era che, trovandosi in uno stato mentale così artificialmente disinibito, un informatore avrebbe perso di vista i propri obiettivi e il proprio senso di lealtà. Varie università importanti avviarono studi sull'lsd.

La maggior parte degli esperimenti causarono solo scandalo e imbarazzo. Gli effetti della droga erano troppo imprevedibili perché potesse essere utilizzata negli interrogatori. Tendeva ad amplificare il tipo di sentimenti che inibiscono la collaborazione. Paura e ansia si trasformavano in allucinazioni e fantasie terrificanti, che rendevano ancora più difficile strappare segreti e aggiungevano un tocco di irrealtà a qualsiasi informazione venisse rivelata.

Furono condotti esperimenti anche con l'eroina e con i funghi psichedelici, ma nessuna delle due sostanze costringeva gli uomini a liberarsi dei propri segreti in modo affidabile. Anzi, sembrava che le droghe potenziassero la capacità di mentire di alcune persone. Inizialmente, la scopolamina diede qualche speranza, ma spesso induceva allucinazioni.

I barbiturici erano promettenti e venivano già usati con buoni risultati dagli psichiatri in appoggio alla terapia. Alcuni ricercatori sostenevano che i trattamenti con l'elettroshock facevano esplodere, per così dire, le informazioni nella mente dei soggetti. Droghe come la marijuana, l'alcol e il pentotal possono ridurre le inibizioni, ma non cancellano le convinzioni profonde. E più la droga è potente, meno affidabile è la testimonianza. Secondo le mie fonti dei servizi segreti, oggi si usano alcune droghe negli interrogatori più critici, e le preferite sono le metanfetamine temperate da barbiturici e cannabis. Ma non sono più efficaci di una persona abile a condurre un interrogatorio.

Il manuale Kubark
Risultati migliori sembrava si potessero ottenere con le privazioni sensoriali e l'isolamento. In molte persone, gravi privazioni sensoriali inducono rapidamente la depressione; questi effetti sono documentati nel famigerato manuale della Cia sugli interrogatori del 1963, il Kubark manual, che resta la raccolta più completa e dettagliata mai pubblicata sui metodi coercitivi usati negli interrogatori – considerando la riluttanza ufficiale a discutere certe questioni o a metterle per iscritto.

Scovato nel 1997 grazie al Freedom of Information Act (legge statunitense sulla trasparenza dell'amministrazione) dai giornalisti del Baltimore Sun Gary Cohn, Ginger Thompson e Mark Matthews, il Kubark manual rivela quello che pensava la Cia dei metodi più duri impiegati dai militari e dai servizi segreti. Molte delle pratiche e delle teorie che espone si ritrovano immutate nell'Human resource exploitation training manual (Manuale di addestramento allo sfruttamento delle risorse umane) del 1983, noto come Honduras manual, che la Cia aveva cercato di ammorbidire con una affrettata revisione prima della pubblicazione. Il manuale era stato reso pubblico allo stesso tempo da Cohn e Thompson. Se esiste una Bibbia degli interrogatori, è sicuramente il Kubark manual.

Una cosa che appariva chiara da tutti gli esperimenti era che, qualunque droga o metodo venisse usato, i risultati variavano da persona a persona. Era importante, quindi, provare a definire certi tipi di personalità e scoprire quali metodi funzionavano meglio con ciascun tipo. Ma la divisione in gruppi era di un'approssimazione ridicola – il Kubark manual elencava il tipo “ordinato e ostinato”, quello “avido ed esigente” e quello “ansioso ed egocentrico” – e i metodi prescritti per interrogarli variavano molto poco e a volte erano sciocchezze (il consiglio per chi doveva interrogare un tipo ordinato e ostinato era di farlo in una stanza particolarmente ordinata).
Erano categorie inutili. Ogni persona e ogni situazione sono diverse; alcune persone all'inizio della giornata sono avide ed esigenti e alla fine sono ordinate e ostinate.

A quanto sembra l'unica cosa che fa regolarmente funzionare un interrogatorio è la persona che lo conduce. E alcune persone sono più brave di altre. "Quali sono le caratteristiche di una persona che conduce bene un interrogatorio?", si chiede Jerry Giorgio, il leggendario uomo del terzo grado del dipartimento di polizia di New York. "Dev'essere uno a cui piace la gente e che piace alla gente. Dev'essere uno che sa mettere gli altri a proprio agio. Perché più sono a loro agio, più parlano; e più parlano, più si mettono nei guai e più trovano difficile sostenere una bugia".

I pacifisti
In un mattino di primavera, negli uffici di Amnesty International di Washington, Alistair Hodgett e Alexandra Arriaga mi stavano illustrando il nobile tentativo della loro organizzazione di combattere la tortura in tutto il mondo. Sono giovani brillanti, simpatici, intelligenti, impegnati e attraenti, pieni di buoni propositi. Le persone perbene di tutto il mondo sono d'accordo su questo: la tortura è una cosa malvagia e indifendibile. Ma è sempre così?

Ho mostrato ai due un articolo che avevo preso dal New York Times di quel giorno. Parlava di un tragico caso di rapimento avvenuto a Francoforte, in Germania. Il 27 settembre 2002 uno studente di legge di Francoforte aveva rapito un bambino di 11 anni di nome Jakob von Metzler. Il suo volto sorridente appariva in un riquadro accanto all'articolo. Il rapitore aveva tappato il naso e la bocca di Jakob con il nastro adesivo, lo aveva avvolto nella plastica e nascosto in un boschetto nei pressi di un lago.

La polizia aveva arrestato il sospetto quando aveva cercato di andare a incassare i soldi del riscatto, ma il ragazzo non aveva voluto rivelare dove aveva lasciato il bambino. Convinto che Jakob fosse ancora vivo, il vice capo della polizia di Francoforte, Wolfgang Daschner, aveva detto ai suoi subordinati di minacciare il sospetto. Secondo il ragazzo, gli avevano detto che stava arrivando in aereo uno "specialista" che gli avrebbe inflitto un tipo di dolore che non aveva mai conosciuto. Lo studente aveva detto subito alla polizia dove era nascosto Jakob, che purtroppo fu trovato morto. Il giornale diceva che Daschner era sotto tiro da parte di Amnesty International e di altre organizzazioni per aver minacciato la tortura. "In questo caso", ho chiesto, "pensate veramente che fosse sbagliato minacciare la tortura?". Hodgett e Arriaga hanno cominciato ad agitarsi sulle sedie. "Ci rendiamo conto che esistono situazioni difficili", ha detto Arriaga, che è la responsabile per i rapporti con il governo dell'organizzazione. "Ma noi siamo contrari alla tortura in qualsiasi circostanza, e minacciare la tortura significa infliggere sofferenza mentale".

Sono pochi gli imperativi morali così giusti in astratto, ma che poi crollano miseramente quando si affronta un caso particolare. Un modo per risolvere questo dilemma è considerare due tipi di sensibilità contrapposte: quella del guerriero e quella dell'uomo civile. Per la sensibilità civile la cosa più importante è la legalità. Quali che siano le difficoltà presentate da una certa situazione, come quella di dover trovare il povero Jakob von Metzler prima che morisse soffocato, gli abusi di potere dell'autorità sono considerati il pericolo maggiore per la società.

Accettare che si faccia eccezione in un caso (per salvare Jakob) aprirebbe la porta a un male maggiore. Per la sensibilità del guerriero, invece, bisogna fare tutto il necessario per compiere una missione. Per definizione, la guerra esiste perché gli strumenti del mondo civile hanno fallito. Quello che conta è vincere e salvare la vita alle proprie truppe. Per un comandante che si trova in una zona di guerra, la vita di un nemico catturato che non collabora vale molto poco rispetto alle vite dei suoi uomini.

Le dichiarazioni ufficiali del presidente Bush e di William Haynes in cui si afferma che il governo degli Stati Uniti è contrario alla tortura hanno ricevuto il plauso di molte organizzazioni per la difesa dei diritti umani. Ma ripeto: il linguaggio che hanno usato è stato scelto accuratamente. Che cosa intende l'amministrazione Bush per tortura? Condivide veramente la definizione onnicomprensiva degli attivisti? Nella sua lettera al direttore di Human Rights Watch, Haynes ha usato l'espressione "combattenti nemici" per descrivere le persone arrestate.

Chiamarle "prigionieri di guerra" significava riconoscergli il diritto di essere protetti dalla Convenzione di Ginevra, che vieta l'uso della "tortura fisica e mentale" e "qualsiasi altra forma di coercizione", compreso "un trattamento spiacevole o dannoso di qualsiasi tipo" (per usare le parole sprezzanti di un militare: "Proibisce qualsiasi cosa tranne tre pasti al giorno, un letto caldo e l'accesso a Harvard"). I detenuti che sono cittadini americani hanno il vantaggio delle garanzie costituzionali, quindi non possono essere trattenuti senza un'accusa e hanno diritto a un avvocato. Contro gli abusi più gravi, sarebbero protetti anche dall'ottavo emendamento della costituzione, che vieta qualsiasi "forma di punizione crudele e insolita".

L'unico detenuto di Guantánamo nato negli Stati Uniti è stato trasferito in un'altra prigione, e sul suo status di prigioniero infuria una battaglia legale. Ma se le altre migliaia di detenuti non sono né prigionieri di guerra (anche se la maggior parte di loro sono stati catturati durante la guerra in Afghanistan) né cittadini americani, a Guantánamo possono farne quello che vogliono. Sono protetti solo dalle promesse fatte alla comunità internazionale, che di fatto è impossibile far rispettare.
Quali sono queste promesse? Le più venerabili sono quelle della Convenzione di Ginevra, ma gli Stati Uniti le hanno aggirate nella guerra al terrorismo. Al secondo posto vengono quelle della Dichiarazione universale dei diritti umani, che, all'articolo 5, afferma: "Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti".

C'è anche la Convenzione contro la tortura, l'accordo citato da Bush lo scorso giugno, che sembrerebbe escludere alcuni dei metodi d'interrogatorio più aggressivi. All'articolo 1 afferma: "Ai fini di questa Convenzione, il termine ‘tortura' designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze intensi, fisici o psichici".

Notate ancora una volta la parola "intensi". Gli Stati Uniti stanno sfuggendo di nuovo con uno stratagemma verbale all'accusa di essere dei "torturatori". In materia di interrogatori, le forze armate e i servizi segreti degli Stati Uniti hanno sempre finto un rispetto formale per gli accordi internazionali e continuato a usare la coercizione ogni volta che le circostanze glielo hanno permesso. Tuttavia, l'esercito e la Cia sono sempre stati sinceri nelle loro pubblicazioni sull'uso dei metodi coercitivi.

Il Kubark manual fa solo pochi cenni nelle sue 128 pagine alla possibilità di avere scrupoli sui metodi che definisce con un prezioso eufemismo "tecniche esterne": "A parte ogni considerazione morale, l'uso di tecniche esterne per manipolare le persone porta con sé il grave rischio di denunce, pubblicità negativa o altri tentativi di ritorsione". L'uso del termine "ritorsione" è significativo, implica che qualsiasi critica a questi metodi vergognosi, di tipo legale, morale o giornalistico, non avrebbe alcun valore in sé e sarebbe considerata come un contrattacco del nemico.

Bill Wagner, un ex agente della Cia, ricorda di aver frequentato il corso di tre settimane sugli interrogatori alla cosiddetta "Fattoria" di Williamsburg, in Virginia, nel 1970. Fino a quando non fu abolito qualche anno dopo, era considerato il "corso principale" dell'agenzia, dice Wagner, e solo le reclute migliori venivano invitate a frequentarlo. Alcuni volontari recitavano la parte dei prigionieri in cambio della garanzia che sarebbero stati ammessi a una delle sessioni successive del corso. Venivano privati del sonno, restavano inzuppati d'acqua in stanze gelide, costretti a rimanere seduti o in piedi in posizioni scomode per lunghi periodi, lontani dalla luce del sole e da ogni contatto sociale, costretti a mangiare cibi disgutosi e sottoposti a finte esecuzioni. Almeno il dieci per cento dei volontari crollava, anche se sapeva che era solo un addestramento. Wagner dice che molti di quelli che avevano fatto da vittime si rifiutavano in seguito di partecipare al corso e di vittimizzare altre persone: "Non avevano più lo stomaco per farlo", dice.

Diversi anni dopo l'agenzia cancellò il corso. Gli scandali degli anni di Nixon avevano messo la Cia al centro di indagini senza precedenti. Nei trent'anni successivi le scuole di spionaggio e la maggior parte delle organizzazioni simili furono smantellate. Anche gli Stati Uniti non avevano più lo stomaco per certi metodi.

Il nocciolo del problema
Questo è il nocciolo del problema. Forse è chiaro che la coercizione a volte è la scelta giusta, ma come si fa a consentirla e al tempo stesso a controllarla? Il sadismo è profondamente radicato nella psiche umana. In ogni esercito ci sono soldati che si divertono a prendere a calci e a picchiare i prigionieri. Gli uomini che hanno il potere tendono ad abusarne, non tutti, ma molti. Come fa un paese a controllare quello che avviene nei suoi angoli più bui e lontani, nelle prigioni, sui campi di battaglia, e nelle stanze degli interrogatori, soprattutto quando le sue forze sono sparse in tutto il pianeta? Se si vuole prendere in considerazione un cambiamento della politica nazionale, bisogna prevedere le conseguenze pratiche. Se eliminiamo ufficialmente il divieto di tortura, anche se solo parzialmente e in alcuni rari casi specifici, il problema sarà: come possiamo garantire che la pratica non si diffonda, non solo come mezzo per ottenere informazioni vitali e in casi eccezionali, ma come normale strumento di oppressione?

Israele è bersaglio di attacchi terroristici da anni, e ha affrontato apertamente i dilemmi che la lotta al terrorismo pone a una democrazia. Nel 1987 una commissione guidata dal giudice in pensione della corte suprema Mishe Landau stilò una serie di raccomandazioni per i servizi di sicurezza. La commissione acconsentiva all'uso di "una moderata pressione fisica" e di "una pressione psicologica non violenta" negli interrogatori di prigionieri in possesso di informazioni che potevano servire a impedire un imminente attacco terroristico. Dodici anni dopo, la corte suprema israeliana ha revocato quelle raccomandazioni, vietando l'uso di qualsiasi forma di tortura. Negli anni immediatamente successivi alla commissione Landau, l'uso di metodi coercitivi si era molto diffuso nei Territori occupati. Si calcola che vi siano stati sottoposti più di due terzi dei palestinesi arrestati.

Ogni tentativo di regolamentare la coercizione era fallito. In teoria era facile immaginare una situazione estrema, e un sospetto che chiaramente meritava di essere maltrattato. Ma nella vita reale dove bisognava tracciare il limite? I metodi coercitivi dovevano essere applicati solo a chi sapeva di un attacco imminente? E se qualcuno era a conoscenza di attacchi progettati per qualche mese o qualche anno dopo? "Se si pensa che con la tortura si possono ottenere informazioni utili, allora perché non usarla sempre?", chiede Jessica Montell, direttrice di B'Tselem, un'organizzazione per la difesa dei diritti umani di Gerusalemme. "Perché fermarsi alla bomba che è stata già collocata e alle persone che sanno dov'è l'esplosivo? Perché non quelli che fabbricano le bombe, o quelli che regalano soldi o forniscono i fondi per fabbricare le bombe? Perché fermarsi alla vittima? Perché non torturare i suoi familiari, parenti e vicini? Se il fine giustifica i mezzi, dove tracciamo il limite?".

E come si fa a distinguere tra "coercizione" e "tortura"? Se tenere un uomo seduto su una minuscola sedia che lo costringe ad aggrapparsi dolorosamente con le mani legate quando scivola in avanti va bene, allora perché non applicare una piccola pressione alla base del collo per far aumentare quel dolore? Quand'è che gli strattoni e le spinte, che possono essere violente al punto da uccidere o ferire gravemente un uomo, superano il confine tra coercizione e tortura?
Montell ha riflettuto molto su questi problemi. Anche se lei e la sua organizzazione si oppongono risolutamente all'uso della coercizione (che lei considera equivalente alla tortura), Montell riconosce che il problema morale che pone non è semplice. Sa benissimo che l'uso della coercizione negli interrogatori non è stato completamente eliminato dopo che la corte suprema israeliana lo ha vietato nel 1999. La differenza è che quando usano "metodi aggressivi", adesso quelli che interrogano sanno che stanno violando la legge e potrebbero essere incriminati. Questo fa da deterrente e tende a limitare l'uso della coercizione alle situazioni più difendibili.

"Se io stessi interrogando qualcuno", dice, "e avessi la sensazione che fosse in possesso di informazioni che possono permettermi di impedire una catastrofe, immagino che farei quello che devo fare per impedire quella catastrofe. Lo stato però è obbligato a processarmi per aver violato la legge. Io potrò dire che quelli erano gli elementi di cui disponevo, che era quello che credevo giusto in quel momento. Posso invocare a mia discolpa lo stato di necessità, e poi il tribunale deciderà se è stato o meno ragionevole che io abbia infranto la legge per evitare questa catastrofe. Ma devo infrangere la legge. Non è possibile ch'io sia autorizzata preventivamente a usare la violenza". In altre parole: se non c'è un divieto, non c'è modo di frenare un investigatore pigro, incompetente o sadico. Finché torturare sarà illegale, chi usa la coercizione deve accettare il rischio. Deve essere pronto a presentarsi in tribunale, se sarà necessario, e difendere le sue scelte.

Ipocrisia consapevole
Gli investigatori usano la coercizione perché in alcuni casi ritengono che ne valga la pena. Questo non significa necessariamente che saranno puniti. In qualsiasi paese, la decisione di perseguire un reato spetta al potere esecutivo. Un pubblico ministero, un gran giurì o un giudice devono decidere se incriminare qualcuno, e le possibilità che sia incriminata, o addirittura condannata, una persona che sta indagando su una vera bomba a orologeria sono molto poche. Al momento Wolfgang Daschner, il vice capo della polizia di Francoforte, non è stato ancora processato per aver minacciato di tortura il rapitore di Jakob von Metzler, anche se ha palesemente infranto la legge. L'amministrazione Bush ha assunto l'atteggiamento giusto sulla questione. La sincerità e la coerenza non sono sempre pubbliche virtù. La tortura è un crimine contro l'umanità. Ma quello della coercizione è un problema che è meglio affrontare chiudendo un occhio, o anche con un pizzico di ipocrisia; dovrebbe essere vietata ma anche praticata di nascosto.

Quelli che protestano contro i metodi coercitivi ne esagerano sempre gli orrori, e questo va benissimo: crea un utile clima di paura. Ha fatto bene il presidente a riaffermare la sua adesione agli accordi internazionali che vietano la tortura, e gli investigatori americani fanno bene a usare tutti i metodi coercitivi che funzionano. È una cosa intelligente anche non discutere la questione con nessuno.

Se gli investigatori superano il confine tra coercizione e vera e propria tortura, devono assumersene la responsabilità. Ma nessuno di loro sarà mai processato per aver tenuto sveglio, bagnato e scomodo Khalid Sheikh Mohammed. Né dovrebbe esserlo
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Primo Officiante della Setta dei Logorroici - Arconte della prolissità - Crociato della Replica|Custode Di Lomaghiusa e Muffin|

Ultima modifica di ni.jo : 01-06-2004 alle 12:41.
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