Intel e l'investimento tecnologico in Italia: perché bisogna sperare che vada in porto

Intel e l'investimento tecnologico in Italia: perché bisogna sperare che vada in porto

Intel sta trattando con il governo per aprire un impianto relativo al back-end dei processori in Italia. Ma cosa significa back-end e cosa potrebbe significare in futuro? Tra parole ingannevoli come "packaging" e altre considerazioni, vediamo perché l'arrivo nel Bel Paese del colosso dei microchip potrebbe essere una bellissima notizia.

di pubblicato il nel canale Processori
Intel
 

Un mese fa Intel ha annunciato la prima fase del suo piano di investimenti produttivi in Unione Europea. Per mesi si è parlato della possibilità che l'Italia rientrasse della partita per ottenerne una fetta e, in effetti, il CEO Pat Gelsinger ha nominato anche il Bel Paese nel corso di una conferenza stampa, sottolineando che Intel e lo Stato italiano sono in trattativa per realizzare un impianto all'avanguardia dedicato alla fase di back-end del processo di fabbricazione dei chip.

La notizia non è stata accolta come in redazione ci eravamo immaginati. Leggendo i commenti è emerso che molti non avessero idea di cosa si trattasse, altri hanno erroneamente pensato al "packaging" (una delle molteplici fasi del back-end) scambiandolo per l'inscatolamento dei chip, ovvero l'inserimento delle CPU dentro le scatole. Il potenziale di questo possibile investimento è però ben altro.

Lavori di espansione presso la Fab Intel di Leixlip

Insomma, al posto di festeggiare, molti lettori hanno colto l'occasione per lanciare epiteti contro il governo, un po' lo sport nazionale. Non che ci interessi difendere chicchessia, ma semplicemente desideriamo spiegare perché la decisione di Intel di investire in Italia è importante e perché l'impegno non è assolutamente da sottostimare.

Certo, non giovano le voci sui dissidi all'interno dell'esecutivo, ma quelle sono beghe di palazzo che non devono interessare, se non per amor di dietrologia. Cerchiamo quindi di capire cosa vuole fare Intel in Europa e cosa dovrebbe venire a fare in Italia, al netto delle informazioni disponibili in questo momento.

Un investimento fondamentale per il futuro del Vecchio Continente

Anzitutto preme sottolineare che il discorso coinvolge Intel per forza di cose, ma se fosse stata un'altra azienda del settore a investire in Europa e in Italia nulla cambierebbe nel nostro discorso: basterebbe cambiare il soggetto. Intel, da poco più di un anno guidata da Pat Gelsinger, ha deciso di entrare in quella che viene chiamata "produzione per conto terzi", ossia ha intenzione di produrre chip anche per altre società oltre che per il proprio fabbisogno.

L'obietto di Intel è quindi quello di mettere le sue linee produttive a disposizione di clienti che necessitano di chip realizzati con tecnologie sofisticate, ma non solo: l'azienda offre la sua esperienza nella progettazione e le sue competenze per offrire la massima flessibilità alle aziende con cui collabora. Intel chiama questo nuovo corso IDM 2.0 e a questo scopo ha creato un'apposita divisione chiamata Intel Foundry Services (IFS).

Ed è proprio per perseguire questa strada che Intel ha varato molteplici investimenti, dapprima negli Stati Uniti e poi in Europa, ovvero in quelle aree dove la concorrenza asiatica composta da Samsung e TSMC è meno forte. L'obiettivo è quello di rendere la filiera dei chip meno dipendente dall'Asia e non solo a causa delle tensioni geopolitiche che ormai abbiamo imparato a conoscere, ma anche perché a seguito della pandemia e dei continui lockdown si è visto che il modello dell'esternalizzazione a tutti i costi, qualcuno direbbe il capitalismo più sfrenato, si è inceppato.

Filiera corta e maggiore capacità di produzione complessiva sono ciò che il mercato dei semiconduttori sta chiedendo a gran voce e Intel ha intenzione di cogliere l'opportunità. L'Europa è un terreno ideale da cui partire: il Vecchio Continente vuole ritornare a contare nel mondo della tecnologia e per questo motivo recentemente è stato varato lo European Chips Act.

Si tratta di un piano che mobilita oltre 43 miliardi di euro tra investimenti pubblici e privati, con il fine ultimo di raddoppiare l'attuale quota dell'UE nel campo dei semiconduttori entro il 2030, portandola dal 10% al 20%. Se pensate che la capacità produttiva europea era del 44% nel 1990 (anche se su questo valore, comunicato dalle autorità, c'è un più che giusto dibattito), non si può che parlare di grande miopia dei singoli Stati e dell'Europa tutta.

Nel Vecchio Continente Intel vuole mettere sul piatto circa 80 miliardi di euro nei prossimi 10 anni lungo tutta la filiera dei semiconduttori: dalla ricerca e sviluppo fino alla produzione e alle più avanzate tecnologie di packaging dei chip. Nella fase 1 del suo piano ha previsto investimenti in Germania, Francia, Italia, Spagna, Irlanda e Polonia.

Germania capofila e Italia centrale (ma c'è un però)

L'impegno più importante riguarda la Germania, con 17 miliardi di euro che serviranno per costruire due fabbriche (Fab) per la produzione di semiconduttori a Magdeburgo, capitale dello Stato federato Sassonia-Anhalt. La costruzione inizierà nella prima metà del 2023, in vista di una produzione di chip prevista all'avvio per il 2027 con processi produttivi dell'era Angstrom (Intel 20A, 18A e successivi).

Nel nuovo polo tedesco - ribattezzato "Silicon Junction" - Intel produrrà sia chip per conto terzi che per sé stessa. Per la costruzione saranno creati 7000 posti di lavoro, ma a questi si aggiungeranno 3000 posti di lavoro a tempo indeterminato ad alta specializzazione e decine di migliaia di ulteriori posti di lavoro fra fornitori e partner.

Se in Italia qualcuno aspirava anche solo lontanamente a raccogliere un investimento di quel livello, probabilmente era estremamente ottimista. Duole dirlo, ma la Germania ha una forza "contrattuale" superiore a quella dell'Italia, può permettersi di investire ben di più di quanto non possa fare il nostro Paese per incentivare Intel e aziende di tale calibro a realizzare impianti di produzione. Il debito pubblico che l'Italia si porta avanti è un problema non da poco che lega le mani a tutti i nostri governanti.

Vi è poi la posizione strategica, nel cuore dell'Europa, da non sottovalutare. E poi, se qualcuno volesse proprio dirlo, la vicinanza ai produttori di automobili tedeschi, un comparto che sempre più sta assorbendo tecnologia e dunque chip, è qualcosa da tenere in seria considerazione. Il tutto senza nemmeno citare il fatto che da anni aziende come GlobalFoundries e Infineon producono chip in Germania nell'area di Dresda, segno di una stabilità in termini economico / legislativo che dà modo a un'azienda di poter pianificare una strategia a lungo termine.

L'altro investimento di una certa mole è invece per certi versi "facile" per Intel, in quanto l'azienda continuerà a sviluppare il proprio impianto di Leixlip, in Irlanda. Ulteriori 12 miliardi di euro serviranno a raddoppiare lo spazio per la produzione, portando sul suolo europeo il processo produttivo Intel 4 ed espandendo il servizio di produzione per clienti esterni. Una volta completata l'espansione, l'investimento totale di Intel in Irlanda ammonterà ad oltre 30 miliardi di euro.

Il terzo investimento importante riguarda la tanto bistrattata Italia. Si parla di un "potenziale investimento fino a 4,5 miliardi di euro, questa fabbrica potrà creare circa 1500 posti di lavoro in Intel e altri 3500 posti di lavoro fra fornitori e partner".

In aggiunta, Intel ambisce a portare innovazione e opportunità di crescita per la produzione di semiconduttori in Italia grazie alla recente acquisizione di Tower Semiconductor. Quest'ultima ha una partnership rilevante con STMicroelectronics, con una Fab situata ad Agrate Brianza (MB).

L'investimento, di cui entreremo nel merito a breve, è di assoluta rilevanza e non certo marginale. Perché diciamo che "c'è un però"? Perché Intel ha parlato di "avvio delle trattative" con il governo italiano, il che non rende certo l'investimento, almeno sulla carta. Non è stata inoltre indicata l'ubicazione dell'impianto. Sono due particolari che chi è attento ai dettagli ha subito notato, ma al tempo stesso ci sono segnali che dovrebbero farci stare tranquilli (e speriamo che questa nostra sensazione si confermi nei fatti).

"Intel e l'Italia hanno l'obiettivo di rendere questo impianto un'eccellenza nell'Unione Europea con tecnologie inedite e innovative", ha dichiarato l'azienda statunitense nella sua nota stampa, il che lascia tranquilli sulle intenzioni dell'azienda e della controparte. Al tempo stesso, un altro motivo per essere piuttosto fiduciosi sono le cifre snocciolate, dall'investimento economico ai posti di lavoro. Terzo punto, Intel ha bisogno di un impianto complementare alle Fab tedesche per sostenere la strategia IDM 2.0 e i suoi progetti futuri.

Allora perché l'accordo non è stato chiuso? Non lo sappiamo, ma possiamo avanzare delle ipotesi. La prima è che non si sia ancora esattamente deciso il dove realizzare questo stabilimento. Sappiamo che molte regioni italiane hanno avanzato proposte, con aree di valore per un verso o per l'altro. Sembra che la partita si giochi tra Piemonte, Veneto, Puglia e Lombardia.


Pat Gelsinger avvia i lavori di costruzione di una Fab in Arizona

La scelta del governo non è delle più facili, sia perché verosimilmente è "tirato per la giacchetta" da più parti sia perché decidere dove far sorgere una fabbrica di tali dimensioni non è agevole per ragioni ambientali (risorse idriche e non solo, anche se Intel ha varato un piano green ambizioso), di infrastrutture di collegamento e di politica di crescita del Paese. Sì, perché decidere di far sorgere l'impianto nel già avanzato nord oppure nel più arretrato (economicamente) sud non è la stessa cosa. L'impatto è differente e ci sono da tenere in considerazione le richieste di Intel. Probabilmente siamo ancora al "tira e molla" tra governo, Intel e regioni. L'importante non è tanto capire dove si farà lo stabilimento, ma che si faccia, sperando che sia il principio di un insediamento stabile e duraturo.

L'altro elemento da tenere presente è quello dei sussidi. Aprire una fabbrica per la produzione di chip e farla funzionare è un'operazione titanica e da sempre necessita di condizioni particolarmente favorevoli. La grande crescita di Taiwan, Corea del Sud e Cina sul fronte produttivo si deve proprio agli ingenti sussidi e alle condizioni di favore (costo del lavoro, dell'energia, ecc.) garantite dai rispettivi governi a TSMC, Samsung e le altre realtà: se l'Europa desidera tornare a giocare un ruolo nel comparto dei semiconduttori non può esimersi dal creare lo stesso habitat per le aziende del settore. Lo stesso possiamo dirlo dell'Italia ma, come scritto prima, il nostro Paese non è messo nelle migliori condizioni finanziarie per garantire - senza batterie ciglio - ciò che Intel verosimilmente chiede. Da qui, forse, il prolungamento delle trattive.

Impianto di back-end, cosa significa?

Ma arriviamo al possibile contenuto tecnologico della fabbrica di Intel in Italia. L'azienda parla di un "impianto all'avanguardia dedicato alla fase di back-end del processo di fabbricazione dei chip", il che può voler dire molte cose. Intel ci ha spiegato che per back-end si parla di tutta quella fase che parte una volta che sono stati ottenuti i processori sul wafer di silicio. Non è una fase secondaria nella realizzazione di un prodotto.

"Un computer esegue il cosiddetto test di ordinamento dei wafer per verificare che i chip funzionino secondo le specifiche di progettazione. Dopo la fabbricazione, è il momento del packaging. Il wafer viene tagliato in singoli pezzi denominati die. Il die è racchiuso tra uno strato inferiore e uno di distribuzione del calore per formare un processore completo".

 

Con package s'intende quindi quel substrato verde che crea le connessioni elettriche e meccaniche per consentire l'interazione del processore con il resto del sistema. Quando si parla di package o "packaging", i non addetti ai lavori pensano si tratti di inscatolare i processori e spedirli in ogni parte del mondo. Sbagliato. Con quello che potremmo definire "confezionamento" non s'intende l'operazione di mettere i chip nelle rispettive confezioni, con buona pace delle cartiere nostrane, ma di realizzare fattivamente il prodotto finito. Sono richiesti macchinari ad altissima precisione e camere bianche sterili.

Chi vuole approfondire le tecnologie legate al package che Intel usa e userà nei prossimi anni può fare riferimento a questo articolo tecnico. Per amor di brevità, di seguito semplificheremo il tema parlandone in maniera generale, senza entrare troppo nel tecnico.

Le innovazioni di Intel passeranno dal "back-end"

L'impianto che potrebbe sorgere in Italia, anche se Intel non si è spinta così nel dettaglio nella sua descrizione, potrebbe diventare il fulcro della sua strategia europea perché potrebbe essere uno stabilimento unico nel suo genere. Almeno in prospettiva, se Intel dovesse usare l'impianto italiano secondo la "nostra visione".

In Europa Intel realizza chip in Irlanda e con le due fabbriche in Germania amplierà la sua capacità produttiva. Nella strategia del colosso statunitense per i prossimi anni c'è però il passaggio da quella che viene definita "architettura monolitica" all'unione di più chip (in gergo si parla di chiplet o tile) su un unico substrato. Dentro questo substrato corrono le interconnessioni tra gli stessi chip e tutto ciò che attiene all'alimentazione e al collegamento alla piattaforma.

Fino a poco tempo fa, e ancora oggi per quanto riguarda la quasi totalità dell'offerta Intel, i cosiddetti microprocessori prevedevano l'integrazione di tutti i componenti in un unico die di silicio: core, controller di memoria, interconnessioni di I/O e altro erano tutte stipate in un solo chip.

Questo tipo di progettazione ha retto per decenni e nessuno ha sentito la necessità di inventarsi altro, ma la miniaturizzazione dei chip sta raggiungendo livelli limite negli ultimi anni - si parla di 2 nanometri (un nanometro è un milionesimo di millimetro) e se non meno -, ovvero dei numeri che stanno facendo insorgere problemi di diversa natura, sia fisici che economici.

In prima istanza è bene ricordare che il principale materiale usato per la produzione dei transistor in questo momento è il silicio. Il silicio ha dei limiti dimensionali e operativi fuori dai quali diventerebbe inusabile per l'elettronica come la conosciamo. Negli anni i "limiti del silicio" sembrano essersi spinti un po' più in là rispetto alle ipotesi del passato, ma ci sono cose che non possono cambiare: per prima cosa, la dimensione dei singoli atomi di silicio è pari a 0,2 nanometri. In secondo luogo, prima di arrivare a quella dimensione il comportamento di un chip in silicio sarebbe comunque difficile da controllare.

Il silicio è diventato il materiale dell'elettronica perché è abbondante, facile da processare, presenta buone proprietà fisiche ed elettriche ed è dotato di capacità isolanti. Allo stesso tempo, la velocità dei chip dipende dalla facilità con cui gli elettroni possono muoversi all'interno del materiale in presenza di un campo elettrico.

Questa condizione, detta mobilità degli elettroni, raggiunge un buon livello nel silicio - anche se altri materiali fanno meglio - ed è solo una parte dell'equazione. C'è anche quella che è detta lacuna, gli spazi vuoti nel reticolo di elettroni che girano attorno al nucleo dopo che gli elettroni sono stati espulsi. La mobilità delle lacune è molto scarsa e questo ostacola il raggiungimento di alte prestazioni.

L'altro problema è che le prestazioni del silicio degradano pesantemente salendo di temperatura. Con miliardi di transistor stipati in chip di pochi millimetri, il calore generato può diventare rapidamente eccessivo, andando a richiedere importanti sistemi di raffreddamento per salvaguardare funzionamento e prestazioni, senza contare l'impennata dei consumi.

Per questo si sta lavorando allo sviluppo di nuovi materiali, nonché sullo sfruttare la fisica quantistica. Insomma, si sta lavorando a una nuova elettronica, differente nel funzionamento. Il punto è che non si tratta di un lavoro che dà risultati dall'oggi al domani e quindi, al fine di trovare il giusto bilanciamento tra prestazioni, consumi, temperature e raffreddamento, è necessario lavorare sulle architetture e sulla progettazione.

Produrre tanti piccoli chip (comunque complessi) per unirli insieme in un'architettura coerente è più semplice ed economico che realizzare un chip da svariate decine di miliardi di transistor che servono alle più disparate funzioni. Nei chip, infatti, i transistor non sono tutti uguali e la loro funzione non è identica: inoltre ci sono componenti dentro un processore che si adattano peggio di altri alla miniaturizzazione, il che impatta su un altro parametro fondamentale dell'industria produttiva: le rese produttive.

Insomma, il futuro prossimo è quello di spezzettare un chip in tante piccole parti per produrli con processi produttivi differenti a seconda degli obiettivi (prestazionali, di costo, ecc.), per poi unirli su quello che è definito package. Il paragone con l'unione di tanti mattoncini come i LEGO viene molto, molto facile.

Questa svolta aprirà anche possibilità per creare prodotti ibridi in termini di funzionalità: pensate ad esempio a una CPU o una GPU con un chip dedicato esclusivamente all'intelligenza artificiale o una GPU in cui le unità ray tracing verranno scorporate in un secondo chip per fornire maggiori prestazioni.

Ne consegue che il ruolo del package sarà fondamentale per i microchip dei prossimi anni e avere un impianto dedicato al back-end nel nostro Paese potrebbe aprire scenari rilevanti per il futuro. Insomma, chi - come da voci di "palazzo" - ha dichiarato "eravamo pronti a comprare una Ferrari, ci ritroviamo a una trattativa per una 500" forse farebbe bene ad aspettare: se l'impianto italiano si occuperà anche di tecnologie come EMIB, Forevos e non solo, potrebbe essere effettivamente una Ferrari. Se il suo fine sarà diverso, non significa però che sarà meno importante.

Portare nel nostro Paese un'azienda come Intel potrebbe dare il via a sinergie con università e centri di ricerca. "Intel intende inoltre rafforzare la sua collaborazione con gli istituti di ricerca europei: IMEC in Belgio, l'Università Tecnica di Delft nei Paesi Bassi, CEA-Leti in Francia e i Fraunhofer Institutes in Germania. Intel sta anche costruendo collaborazioni promettenti in Italia con Leonardo, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e CINECA, per esplorare nuove soluzioni avanzate nell'ambito del supercalcolo (HPC), della memoria, dei modelli di programmazione software, di sicurezza e cloud", recitava il comunicato stampa dell'azienda il mese scorso.

In parole povere potrebbero aprirsi maggiori opportunità per i giovani che, concluso il percorso di studio nelle discipline STEM, desiderano trovare un'occupazione senza necessariamente essere costretti a guardare al di fuori dei nostri confini come purtroppo oggi sono troppe volte costretti a fare.

Si poteva ottenere di più?

I ben informati dicono che al MISE, Ministero dello Sviluppo Economico, puntavano a ottenere di più - tanto che il ministro Giorgetti si sarebbe defilato dalla trattativa. Probabilmente si mirava a strappare anche l'investimento che Intel ha deciso di fare in Francia. Nei dintorni di Plateau de Saclay, luogo peraltro ribattezzato la European Silicon Valley perché sede di importanti centri di ricerca, poli universitari e aziende hi-tech (in svariati settori), Intel realizzerà un hub europeo di R&D, creando 1000 nuovi posti di lavoro di alta specializzazione high-tech in azienda, con 450 posti disponibili entro la fine del 2024.

"La Francia diventerà la sede europea di Intel per le competenze di progettazione per il supercalcolo (HPC) e l'intelligenza artificiale (AI)", si legge nella nota stampa. Inoltre, Intel prevede di stabilire il suo principale centro europeo di progettazione di fonderie in Francia, offrendo servizi di progettazione e materiali collaterali di progettazione a partner e clienti del settore francese, europeo e mondiale.

Non sappiamo se l'Italia avesse le carte in regola di attrarre anche questo investimento, ma indubbiamente la Francia le aveva e c'è riuscita. Nell'ottica di un investimento paneuropeo è difficile biasimare Intel per la scelta fatta. D'altronde la Francia non è un attore di secondo piano in Europa, tutt'altro. E altre nazioni, come la Spagna, hanno ottenuto ben di meno dell'Italia.

Intel in Italia, attesa per i dettagli e speriamo sia solo l'inizio

Insomma, anche se lo sport nazionale è quello di dare addosso al governo del momento, la notizia di un investimento di Intel in Italia - qualunque esso sia - non può che essere accolta con gioia, un annuncio come davvero pochi ce ne sono stati negli ultimi 20 anni, se non di più.

In genere siamo soliti vedere le multinazionali scappare dall'Italia, ma quando un colosso di questo calibro vuole mettere radici, non solo non bisogna farsi scappare l'opportunità ma consentirgli di operare al meglio e fare tesoro di quanto appreso nella trattativa per attirare altre realtà. Si poteva ottenere di più? Forse, ma si poteva anche non ottenere niente.


Il sogno: vedere Gelsinger con pala e casco protettivo anche in Italia...

Se il polo italiano diventerà centrale per tutta quella serie di tecnologie che Intel ha in cantiere, allora si tratterà di un investimento con un potenziale persino maggiore. Se invece si limiterà ad aspetti "più semplici" - ma comunque importanti - della realizzazione del prodotto finito, resterà un po' di amaro in bocca ma di certo non ci lamenteremmo davanti a una possibile opportunità di lavoro per i nostri giovani.

Sarebbe davvero un peccato se tra l'Italia e Intel dovesse saltare il tavolo della trattiva: se così fosse, ma non crediamo che a questo punto questo sia uno scenario plausibile, non esiteremmo a prendercela anche noi con il governo in carica, perché treni del genere non passano due volte e sarebbe una bruttissima pubblicità per l'Italia nel mondo.

Sollevare polemiche davanti a una conquista che nasconde importanti opportunità di crescita come ci dimostra il pluriennale rapporto tra Intel e l'Irlanda, appare fuori luogo, se non bizzarro. Quindi, tutti uniti a tifare perché l'investimento vada in porto. Chi decide di scendere dal carro oggi, però, ci faccia il piacere di non salirci in futuro.

18 Commenti
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WarSide03 Maggio 2022, 18:29 #1
I politicanti italiani dovrebbero solo togliersi il cappello e raccogliere tutto quello che intel generosamente decide di concedere loro.

In italia a livello di poli tecnologici e sinergie uni/impresa siamo anni luce indietro. C'è qualcosina-ina-ina giusto al nord che non è paragonabile a quel che c'è in Germania. E adesso anche la Francia spernacchia l'italia.

Prendessero tutti gli incentivi che danno a caso (reddito di cittadinanza, incentivi sulle auto, bici ed elicotteri elettrici & co) e puntassero tutto su università e ricerca. Sarebbe uno shock, ma magari in 10-20 anni in italia ci sarebbero più posti ad alto reddito, si riuscirebbe a pagare le pensioni e meno persone accetterebbero lavori pagati 2 sesterzi da parte di gente che gioca a fare l'imprenditore.
Jova1803 Maggio 2022, 19:24 #2
Vediamo che succede
LB203 Maggio 2022, 19:27 #3
che palla di articolo
la metà del testo sprecata in dialoghi da bambini e sul packaging quattro parole di cui 3 sulla “visione di hwupgrade”. wow

Shotokhan03 Maggio 2022, 23:06 #4
non ho letto tutto perché l'articolo è un po' palloso e lungo però credo che un problema da tenere conto sia quello delle condizioni di lavoro. Se Intel pensa di venir qui a sottopagarci con l'aiuto del governo allora non è un grande affare.

È pure vero che se investono milioni in Italia poi si può anche giocare sul fatto che debbano pagare gli italiani in modo corretto!

Mi sarebbe piaciuto vedere qualche regione del sud in più tra le papabili, non è possibile che tutto venga concentrato tra Lombardia, Piemonte e Veneto. Unica voce fuori dal coro la Puglia. Quando vedrò la Calabria resterò sorpreso
omerook04 Maggio 2022, 10:08 #5
edit: Il terzo investimento importante riguarda la tanto bistrattata Italia. Si parla di un "potenziale investimento fino a 4,5 miliardi di euro, questa fabbrica potrà creare circa 1500 posti di lavoro in Intel e altri 3500 posti di lavoro fra fornitori e partner".


solita solfa! poi appena il governo chiude i rubinetti alzano i tacchi e se ne vanno a produrre in vietnam lasciando i lavoratori nostrani a manifestare fuori i cancelli.
ovviamente,come sempre, il governo di turno manifesterà tutto il suo dissenso
Vash_8504 Maggio 2022, 10:40 #6
Un paio di settimane fa leggevo un articolo in lingua straniera dove in pratica la mettevano in questo modo: Intel vuole fortemente investire in europa sotto "suggerimento" dello stato (USA) per evitare che l'europa sia "dipendente" dalla cina in quest'ambito e che quindi sia legata per ovvie ragioni agli stati uniti.
Io sto facendo una sintesi becera, ma il succo del discorso era quello...
Effettivamente se la Cina o Taiwan decidesse di aprire una complesso produttivo in Europa cosa succederebbe?
Gli Stati Uniti farebbero fuoco e fiamme o accetterebbero la cosa di buona lena?
elgabro.04 Maggio 2022, 11:29 #7
Non sarebbe ora di creare una Intel europea?
Opteranium04 Maggio 2022, 11:43 #8
articolo logorroico, diciamo che basta sintetizzarlo con due parole: va fatto
egounix04 Maggio 2022, 14:19 #9
ci comprano con 2 soldi

ehhhh c'è da farci un articolo

alle elementari oltre ai falli e ai billi - come visto nel lazio -, insegneranno ai bambini a fare pure il packaging
atoemi04 Maggio 2022, 14:51 #10

Interessante

Bell'articolo, interessante ed esaustivo, senza essere troppo pesante. Speriamo che i nostri politici sappiano prendersi la responsabilità e non si facciano scappare anche questa opportunità. Avevamo ditte come Olivetti, Seleco, Mivar (le prime tre che mi sono venute in mente, in fatto di elettronica). Ora siamo il terzo mondo.

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