La disinformazione sui social? Non è parzialità ma frutto di comportamenti compulsivi

La disinformazione sui social? Non è parzialità ma frutto di comportamenti compulsivi

Uno studio accademico mostra come la condivisione di contenuti e articoli fuorvianti sui social network sia l'esito di comportamenti compulsivi più che l'espressione di faziosità

di pubblicata il , alle 15:31 nel canale Web
 

Il problema della disinformazione diffusa tramite i social network è sempre esistito, ma ha assunto contorni più significativi negli anni recenti, in special modo con l'abbattersi della pandemia COVID-19. La maggior presenza, forzata, online delle persone, unita allo smarrimento emotivo e alle incognite di ciò che stava accadendo, ha spinto maggiormente il pubblico a cercare informazioni sul web, con tutte le conseguenze del caso a cui abbiamo avuto modo di assistere negli anni passati.

Nel caso specifico della pandemia, la disinformazione si è concretizzata con la condivisione di indicazioni imprecise e del tutto fuorvianti sull'efficacia delle mascherine, sulla sicurezza dei vaccini e su suggerimenti improbabili, se non proprio pericolosi, per contrastare il contagio o i sintomi della patologia. Nonostante tutto, però, la disinformazione sui social media continua ad essere un problema attuale, e difficile da contrastare con gli strumenti di moderazione a disposizione dei servizi social.

All'inizio del 2021 un gruppo di ricercatori del MIT in collaborazione con gli atenei University of Exeter Business School e University of Regina aveva condotto uno studio, pubblicato su Nature, tramite il quale era stato possibile evidenziare come le persone, nonostante ritenessero importante condividere solamente contenuti accurati, alla prova dei fatti non riuscissero a fare ciò poiché la loro attenzione si soffermava, in maniera inconscia, su aspetti diversi dall'accuratezza. In questo aspetto un ruolo fondamentale era giocato proprio dall'esperienza d'uso delle piattaforme social, ove il feedback istantaneo generato dalla condivisione portava gli utenti a mettere l'accuratezza in secondo piano per badare maggiormente alla gratificazione personale.

Emerge ora uno studio più recente, condotto nei mesi passati da una collaborazione tra ricercatori dell'Università di Yale e dell'Università della California del Sud, che sembra identificare un comportamento ancor più preoccupante. La condivisione di articoli avviene a prescindere dalla loro accuratezza o meno: si tratterebbe infatti di una semplice abitudine o, peggio, di un comportamento meccanico quasi involontario.

I ricercatori hanno confezionato un fasullo post Facebook, con un titolo e una grafica relativi ad un articolo, mostrandola ad un campione studio al quale è stato chiesto di decidere se condividerlo. Gli articoli sono stati divisi in maniera equa tra accurati e fuorvianti. Complessivamente gli articoli accurati sono stati condivisi ad un tasso più elevato (il 32% delle volte contro il 5% degli articoli fuorvianti). Tuttavia i ricercatori hanno riscontrato come un sottogruppo di soggetti, quelli più "dipendenti" da Facebook, hanno condiviso articoli accurati e articoli fuorvianti in maniera abbastanza equivalente. Questo gruppo è stato anche quello che ha mostrato maggiori tassi di condivisione, e il risultato è che il 15% dei partecipanti si è reso responsabile di quasi il 40% delle condivisioni di articoli fuorvianti.

Secondo i ricercatori i risultati dello studio indicano che la condivisione di informazioni errate o imprecise non è necessariamente un sintomo di faziosità, ma un problema di una parte degli utenti che cliccano semplicemente su "condividi" come comportamento inconsciamente abitudinario. Per verificare questa ipotesi i ricercatori hanno organizzato un esperimento che costringesse le persone a riflettere, chiedendo prima ai partecipanti di valutare l'accuratezza di un titolo e poi eventualmente condividerlo. In questo caso gli utenti "dipendenti" hanno ridotto la condivisione di titoli fuorvianti, ma hanno comunque condiviso un quarto dei contenuti totali, mentre gli utenti meno abituali hanno mostrato una minor inclinazione a condividere qualcosa di falso.

I ricercatori hanno a questo punto ripetuto l'esperimento, con una importante variazione: hanno usato titoli accurati, ma coerenti o contrari all'orientamento politico dichiarato dai partecipanti allo studio. L'esito è stato simile: gli utenti saltuari hanno condiviso titoli politicamente affini ad un ritmo sette volte superiore rispetto ai titoli "contrari" mentre gli utenti abituali di social network hanno condiviso ad un ritmo maggiore ma in maniera abbastanza indistinta tra titoli affini e titoli contrari rispetto al loro orientamento politico.

Come accennavamo più sopra, gli esiti di una condivisione (il mi piace e le eventuali ricondivisioni) rappresentano una specie di "ricompensa" psicologica per gli utenti di social media. Questo meccanismo di ricompensa spinge gli utenti a condividere contenuti con maggior frequenza, perché ciò aumenta anche la probabilità di ricevere la ricompensa e sentirsi appagati, alimentando l'ego e la percezione di essere rilevanti per gli altri.

Partendo da questa considerazione i ricercatori hanno quindi provato a cambiare il meccanismo di ricompensa. I partecipanti allo studio sono stati sottoposti ad un periodo di "formazione" durante il quale dovevano condividere titoli accurati o titoli fuorvianti a seconda del gruppo a cui erano stati assegnati, ricevendo punti per le condivisioni effettuate in accordo con la consegna. Dopo questo periodo è stata lasciata ai partecipanti la libertà di condividere articoli come preferivano.

Ecco quindi un altro riscontro: chi è stato addestrato per condividere disinformazione ha poi condiviso articoli fuorvianti con la stessa frequenza con cui ha condiviso articoli accurati. Ma chi è stato addestrato per condividere contenuti accurati ha in seguito condiviso questo tipo di articoli con una frequenza tre volte superiore rispetto ai contenuti di disinformazione, anche in assenza di una ricompensa a farlo.

Prima della fase di addestramento ai partecipanti è stato sottoposto un questionario, dal quale è emerso come i "condivisori seriali" erano più propensi ad indicare che il loro scopo era quello di attirare l'attenzione di altri utenti, dando meno importanza alla valutazione dell'attendibilità e veridicità del contenuto condiviso. Il periodo di formazione ha quindi in qualche modo "resettato" le priorità dei partecipanti, i quali hanno continuato a condividere contenuti accurati anche se non vi era più alcuna ricompensa per farlo.

Gli esiti degli esperimenti condotti dai ricercatori sembrano quindi indicare almeno un aspetto positivo: la condivisione di disinformazione non pare essere mossa da intenzionalità, nemmeno quando è affine alle idee e visioni di chi materialmente la condivide. Quello che però risalta è il fatto che le meccaniche proprie del coinvolgimento nei social media spingono verso un'abitudine alla condivisione che assume tratti compulsivi e ciò è aggravato dal fatto che le società che offrono social media sono ovviamente interessate a creare utenti abitudinari e dipendenti. 

Un piccolo cambiamento dei meccanismi di coinvolgimento e "ricompensa" da parte dei colossi del social media potrebbe avere conseguenze importanti e positive sulla riduzione della condivisione di contenuti fuorvianti. Ma, per qualche ragione, Facebook, Twitter e compagnia non sembrano interessati.

14 Commenti
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barzokk24 Gennaio 2023, 16:35 #1
Qundi quando scrivono che le auto elettriche sono a zero emissioni,
non è disinformazione, fake, balle pietose, o green washing,
ma solo comportamento compulsivo ?
SpyroTSK24 Gennaio 2023, 16:57 #2
Originariamente inviato da: barzokk
Qundi quando scrivono che le auto elettriche sono a zero emissioni,
non è disinformazione, fake, balle pietose, o green washing,
ma solo comportamento compulsivo ?


Certo, anche i terrapiattisti che fanno "segui" o "iscriviti al gruppo dei Terrappiattisti Italia" è comportamento compulsivo.

Ma questi ricercatori vengono pure pagati per le minchiate che dicono?

La gente condivide non perchè il contenuto è importante ma pensano che le cose importanti siano i like e i followers fottendosene dei contenuti che condividono, l'esempio lampante sono quei video del cazzo "Hei scusa scusa, che stipendio prendi per permetterti quest'auto?", la barzellette viste settordici volte, tutte uguali con personaggi diversi oppure i video tipo: "CI HO MESSO DEL TEMPO PER VEDERE QUESTO..." e vedi solo un video del cazzo dove non c'è niente se non un treno che passa.
Gnubbolo24 Gennaio 2023, 17:27 #3
ok analizziamo le fake news..

Brasile morte miliardi di cittadini per Covid 19, il governo colpevole.
DATI REALI:
Confirmed cases 36,730,913
Active cases 155,437
Recovered 31,414,937
Deaths 696,324
Fatality rate 1.9%


Canada il libdem Trudeau premiato col premio Medicstein per gli straordinari risultati ottenuti nel contenimento del Covid 19

Confirmed cases 4,508,264 (as of December 31, 2022)
Deaths 49,566
Fatality rate 1.10%
[SIZE="4"]Fatality rate 1.10%[/SIZE]
[SIZE="7"]Fatality rate 1.10%[/SIZE]

il Brasile è un paese del "secondo" mondo, non ha certamente una organizzazione medica paragonabile al proporzionalmente più ricco Canada e lì non leggo Fataly rate 0.1%, 0.5% o valori straordinari da gridare al miracolo. eppure la stampa è diretta completamente contro il nemico comune sorvolando sui disastri dei propri amici.

possiamo dire ancora ANDATE A QUEL PAESE o mi prelevano da casa in stile La Vita degli Altri ?
das24 Gennaio 2023, 17:28 #4
Originariamente inviato da: barzokk
Qundi quando scrivono che le auto elettriche sono a zero emissioni,
non è disinformazione, fake, balle pietose, o green washing,
ma solo comportamento compulsivo ?


Se per esempio pubblichi il seguente link:
https://www.nature.com/articles/s41591-021-01408-4

Automaticamente é bollato come disinformazione complottista, anche se viene da Nature.
Se rilanci un articolo che dice il contrario va sempre bene, anche se proviene da una rivista di gossip.

In altri termini disinformazione é quella che non piace al potere, vera o falsa che sia
barzokk24 Gennaio 2023, 18:01 #5
Originariamente inviato da: Gnubbolo
ok analizziamo le fake news..
...
possiamo dire ancora ANDATE A QUEL PAESE o mi prelevano da casa in stile La Vita degli Altri ?


Originariamente inviato da: das
Se per esempio pubblichi il seguente link:
https://www.nature.com/articles/s41591-021-01408-4

Bè però, vedendo il mio post e i vostri, in effetti è un comportamento compulsivo o quasi.
Cioè tu leggi "disinformazione" e nel tuo cervello parte il meccanismo con cui colleghi "disinformazione" a qualche tema che ti solletica particolarmente.
Io del COVID e del vaggino ormai mi sono rotto i coioni, ma ieri leggevo il green-washing di IKEA con le auto elettriche, e mi è partito il meccanismo

Originariamente inviato da: das
In altri termini disinformazione é quella che non piace al potere, vera o falsa che sia

Evidente
Strano invece che non siano già arrivati a contraddirti quelli del comporamento compulsivo opposto, che come parli di vaggino ti dicono NOVAX
Gnubbolo24 Gennaio 2023, 18:28 #6
l'argomento è strettamente correlato a quello di ieri su Wikipedia.
il problema è proprio nel lettore, nel fatto che cerca di estrapolare informazione da dati raw senza essere pilotato dai pappagalli.
allora colui che cerca info è il malato, il tizio compulsivo, lo si etichetta e domani verrà rieducato coi farmaci. è compulsivo, giustamente è malato.. per i più gravi Stalin consigliava una cura nei campi di lavoro.
Chelidon24 Gennaio 2023, 19:03 #7
Originariamente inviato da: barzokk
Qundi quando scrivono che le auto elettriche sono a zero emissioni, non è disinformazione, fake, balle pietose, o green washing,
ma solo comportamento compulsivo ?

Sì ma infatti si nota anche qui dentro chi ripete semplicemente un'opinione tanto per ribadirla e chi invece condivide pubblicazioni, fonti e studi su cui si è documentato prima di fare una certa scelta e nota solo una sconfinata superficialità sull'argomento.
Infatti chi poi replica a quello che si fa notare, neanche guarda i grafici o legge le fonti, solo continua a ripetere il mantra perché fa prima che a ragionarci sopra un attimo.
Opteranium24 Gennaio 2023, 20:38 #8
Originariamente inviato da: das
Se per esempio pubblichi il seguente link:
https://www.nature.com/articles/s41591-021-01408-4

Automaticamente é bollato come disinformazione complottista, anche se viene da Nature.
Se rilanci un articolo che dice il contrario va sempre bene, anche se proviene da una rivista di gossip.

In altri termini disinformazione é quella che non piace al potere, vera o falsa che sia

esattamente cosa vorresti dimostrare con quel link? A me sembra che confermi il fatto che i vaccini sono sicuri, UN caso di porpora trombocitopenica ogni [U]100.000[/U] vaccinati, nessun rischio aumentato di eventi tromboembolici/emorragici per il vaccino pfizer e solo lievemente aumentato per l'astrazeneca.
Tutto questo a fronte degli enormi benefici in termini di protezione dal rischio di infezione.
fl@sh24 Gennaio 2023, 22:44 #9
Per fortuna più di qualcuno si è svegliato ed ha perfettamente compreso il modo in cui è stato soggiogato dai media che hanno creato il "pensiero unico dominante", che ha fatto a pezzi la nostra democrazia.
La cosa bella è che ormai, per chi ha capito il meccanismo, è estremamente facile leggere e individuare le continue manipolazioni a cui siamo continuamente sottoposti.
piv3z25 Gennaio 2023, 08:35 #10
Non è vero!

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