Il coronavirus e la necessità dell'accesso pubblico agli studi scientifici

La recente epidemia di coronavirus riapre il dibattito sulla necessità di accedere liberamente e gratuitamente agli studi scientifici da parte di scienziati e medici, ma anche del pubblico più in generale. C'è chi pubblica studi "piratandoli"
di Riccardo Robecchi pubblicata il 09 Febbraio 2020, alle 12:01 nel canale Scienza e tecnologiaÈ giusto che delle ricerche che possono potenzialmente salvare delle vite siano accessibili solo dietro pagamento? Questo è l'interrogativo morale che si sono posti alcuni archivisti digitali allo scoppio dell'epidemia del coronavirus in Cina. La risposta è stata diretta: no, non è etico. Nonostante sia illegale, il gruppo ha raccolto e reso disponibile sotto forma di archivio una raccolta di oltre 5.000 pubblicazioni scientifiche sulla famiglia dei coronavirus di cui gran parte era disponibile solo dietro pagamento. Un atto di ribellione che arriva dopo anni di dibattito pubblico nel mondo su quanto sia eticamente corretto pagare per l'accesso a studi che possono salvare delle vite umane.
Accesso agli articoli scientifici: è eticamente giusto chiedere di pagare?
La ricerca scientifica non funziona a compartimenti stagni e la condivisione delle idee è da sempre il motore dietro le nuove scoperte, con la collaborazione internazionale tra scienziati che da sempre porta a risultati significativi. Tuttavia, gli scienziati (e in particolare i medici) devono spesso fare i conti con l'impossibilità di accedere liberamente agli studi pubblicati, anche nel caso in cui questi siano stati finanziati con soldi pubblici. Gli editori che pubblicano le principali riviste, infatti, richiedono spesso pagamenti per accedere agli studi.
Questa scelta fa sì che, ad esempio, i medici africani che hanno dovuto fronteggiare l'epidemia di ebola nel 2015 non avessero accesso agli studi pubblicati sul virus. Ciò ha impedito di avere accesso a informazioni vitali per salvare la vita ai pazienti infetti.
La domanda che in molti si pongono è quindi dove si posizioni il giusto equilibrio tra il diritto delle riviste scientifiche di vedere remunerata la propria attività e quello invece di scienziati, medici, professionisti e, più in generale, del pubblico di accedere liberamente e senza costi a documentazione importante per tutelare la salute pubblica.
In particolare emerge quella che appare come una contraddizione: in molti casi gli studi sono svolti grazie a finanziamenti pubblici e, dunque, grazie all'apporto della collettività. Perché, dunque, la collettività non deve poter accedere al frutto degli sforzi di ricerca che ha finanziato? Se la pubblicazione sulle riviste scientifiche più prestigiose dà autorevolezza e peso agli studi, perché comunque questi non vengono resi disponibili gratuitamente in archivi gestiti da istituzioni pubbliche?
La questione non è di facile soluzione e si unisce ad altri dibattiti relativi al libero accesso: ad esempio, in Europa si parla da qualche tempo di rendere obbligatoria la pubblicazione del codice sorgente di software commissionato dalla pubblica amministrazione. La linea di pensiero di chi chiede una maggiore apertura appare logica e non manca di merito, ma l'altra faccia della medaglia è quella degli ingenti costi di controllo degli studi: la revisione ha infatti spesso costi elevati che devono essere compensati con degli introiti.
In un momento in cui l'editoria non gode di buona salute, nemmeno in campo professionale e scientifico, e in cui si rivela sempre più difficile per gli editori ottenere finanziamenti e un equilibrio tra necessità di mercato e qualità, la questione del finanziamento delle pubblicazioni scientifiche non è di secondaria importanza e si scontra direttamente con l'esigenza di maggiore apertura e disponibilità delle informazioni.
Gli studi sui coronavirus disponibili gratis: la "pirateria buona"
"È illegale, ma è un imperativo morale". Queste le parole con cui shrine, un utente di Reddit che ha contribuito alla creazione dell'archivio di studi sui coronavirus, commenta il suo gesto. Alla base della scelta di rendere disponibili gratuitamente gli studi la scoperta che una pubblicazione recente era accessibile solo dietro il pagamento di circa 40$. Insieme a un gruppo di altre persone ha pensato dunque di cercare lo studio su Sci-Hub, una sorta di "Pirate Bay degli studi scientifici", dove ha recuperato circa 5.200 studi sulla famiglia dei coronavirus pubblicati tra il 1968 e il 2020. Questi virus sono dietro non solo l'epidemia attualmente in corso, ma anche dietro malattie come SARS, MERS e la normale influenza.
Alcuni editori come Elsevier, Wiley e Springer Nature hanno annunciato di aver rimosso i propri paywall per accedere agli studi sui coronavirus alla fine di gennaio. Questa mossa è da apprezzare, tuttavia è lecito domandarsi quanto l'accesso a tali risorse in una fase precedente dell'epidemia avrebbe potuto mutare le sorti della stessa.
L'intento dietro la creazione di questo archivio di studi è buono, ma non risolve il problema. Un intervento da parte dei legislatori nel mondo è necesario per risolvere la questione alla radice. Quante vite si è disposti a rischiare per mantenere gli studi dietro il muro dei pagamenti?
28 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infoma quello era un pedopornoterrosatanista, che si opponeva alle anime belle e brave a stelle e strisce
non lo sai che gli unici cattivi sono cinesi e russi?
nella news sullo spionaggio di massa mi sono dovuto sorbire il pippone di uno che mi accusava di antiamericanismo, solo perchè ho fatto notare che solo gli USA hanno accesso ad una percentuale tale di infrastruttura di internet, da poter realizzare campagne di spionaggio online globali
ovviamente l'amico chiosava con le solite panzane sulla Siria, i forni di Assad, ecc... insomma le solite falsità sparate dalle centrali della propaganda NATO
Hai letto l'articolo? C'è scritto, tra l'altro che «in Europa si parla da qualche tempo di rendere obbligatoria la pubblicazione del codice sorgente di software commissionato dalla pubblica amministrazione».
Lo stesso discorso vale per la ricerca scientifica: gran parte è finanziata dal pubblico. Per esempio, la sola UE ha finanziato con 80 miliardi di euro la ricerca dal 2014 al 2020; in Italia la maggior parte della ricerca è finanziata dalle università e dal CNR.
Stai dicendo che i costi abnormi (per esempio, l'abbonamento a Lancet costa 255€, ma per essere aggiornati bisogna abbonarsi a parecchie decine di riviste) per abbonarsi a una rivista scientifica sono giustificati dal lavoro organizzativo fatto? Perché il grosso del costo è nella ricerca, non nella pubblicazione.
Quindi, il pubblico paga per la ricerca e poi paga per poter vederne i risultati.
Ti faccio fare una risata. Oggi il Parlamento UE ha stanziato 10 milioni di euro per la ricerca del vaccino su questo virus della polmonite.
Io dico che con quei 10 milioni ce la fanno a comprare le mascherine per i ricercatori
Le ricerche richiedono soldi, ma qui si deve pagare per leggerne la pubblicazione.
In ogni caso la ricerca è finanziata dalle istituzioni.
Gli editori prendono i risultati delle ricerche, le fanno controllare da altri ricercatori (no, non pagano neanche questi) e si fanno pagare per permettere alle istituzioni per accedere ai risultati delle ricerche.
Controllare un articolo, e soprattutto farlo controllare da esperti non coinvolti nella sua stesura, direttamente o indirettamente, e' quasi altrettanto importante che scriverlo, per renderlo autorevole e di qualita'.
Uhm, si è parlato di Lancet, e proprio il suo editore la pensa un tantino diversamente, almeno in quanto a risultati effettivi.
https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(15)60696-1/fulltext
Probabilmente, oggi, a prevalere sono altri interessi.
Pare ormai abbastanza evidente come il meccanismo che descrivi non funzioni, e sia niente più che una speranza.
Ad esempio dici che la gente "paga" per pubblicare e quindi non pubblica scemenze.
Io dico invece che avere la possibilità di vedere qualcosa pubblicato porta molti altri vantaggi, e quindi si è portati anche a pubblicare roba indegna.
Non so dire se la soluzione sia la gratuità, più accesso a dati e studi usati per le pubblicazioni stesse, o altro ancora.
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