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Old 08-04-2006, 20:37   #1
RedSky
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PRODI - The Darkside

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Prodi e IRI. De Mita, divenuto segretario della DC nel maggio 1982, inaugura il suo ingresso nell’establishment laico e progressista, ai primi di luglio, nell'attico romano di Carlo De Benedetti.

Il padrone di Repubblica e de L’Espresso, in quell'occasione, fece incontrare De Mita con Scalfari, Spadolini (allora Presidente del Consiglio), Ottone, Carli, Ossola, Ruffolo e Maccanico, segretario generale del Quirinale.

Da quell’incontro nasce l’imposizione di Prodi alla presidenza dell’IRI. Scelta dovuta per contrastare il PSI di Craxi che, con la vittoria elettorale e l'insediamento a Palazzo Chigi, aveva fatto saltare il «patto» tra DC e PCI sulla spartizione del potere. Infatti, stante la presenza dell'Italia nella NATO e il sistema economico del Paese, il Partito comunista non poteva entrare, purtroppo, nel governo. Per sopperire a questa «incongruenza politica» le istituzioni del Paese erano state configurate in maniera tale da permettere ai comunisti di far sentire il loro peso, pur non permettendo l'alternanza tra maggioranza e opposizione alla guida dello Stato.

Il Partito socialista di Craxi, visceralmente anticomunista, aveva spezzato questa catena ed ecco, quindi la nomina di Prodi alla presidenza dell’IRI, per riaffermare la presenza di una sinistra cattolica e socialista filo-comunista.

Prodi per sette anni diresse l’IRI, sfruttandolo anche per far assegnare commesse da parte di aziende del gruppo a favore di Nomisma, la sua società bolognese di consulenza. Prodi uscì indenne dai processi perché le aziende erano società per azioni di diritto privato e quindi i dirigenti non erano qualificati come pubblici ufficiali. Mani Pulite cambierà anche questo, per cui le società controllate da enti pubblici sarebbero state considerate tutte operanti nell'interesse pubblico, con le relative conseguenze per gli amministratori.

Al termine dei sette anni, Prodi lasciò la Presidenza dell’ente, dopo aver «lottizzato come un democristiano». 170 nomine, delle quali, ben 93 (il 54,7 per cento) assegnate a esponenti democristiani «di sinistra».

Giocando sulle parole e sull’interpretazione dello statuto dell’Ente, Prodi vantò utili inverosimili (12 miliardi e 400 milioni nel 1985). La Corte dei Conti, magistratura di sorveglianza, chiarì le menzogne: «Il complessivo risultato di gestione dell’Istituto per il 1985, cui concorrono... sia il saldo del conto profitti e perdite sia gli utili e le perdite di natura patrimoniale, corrisponde a una perdita di 980,2 miliardi, che si raffronta a quella di 2.737 miliardi consuntivata nel 1984». La Corte, inoltre, segnalava che le perdite nette nel 1985 erano assommate a 1.203 miliardi contro i 2.347 miliardi del 1984. Nei sette anni di gestione Prodi, il netto patrimoniale dell’IRI si dimezzò, passando da 3.959 a 2.102 miliardi: la spiegazione è semplice, si era mangiato il capitale ed aveva regalato Alfa Romeo a Fiat dalla quale prese grosse somme di denaro in tangenti e commesse per la Nomisma.

La conferma di tutto questo si trova nell’indebitamento dell’Istituto, salito dal 1982 al 1989 da 7.349 a 20.873 miliardi (+184 per cento), e quello del gruppo IRI da 34.948 a 45.672 (+30 per cento).

Lo stesso D’Alema, intervistato da Biagi in televisione, affermò che Prodi, da lui scelto per guidare la coalizione contro Berlusconi, era un «uomo competente» perché quando lasciò l’IRI nel 1989 il bilancio dava un «più 981 miliardi». Fu facile confutare queste affermazioni, facendogli notare che la cifra reale, tenendo contro delle perdite siderurgiche transitate soltanto nel conto patrimoniale, era di «meno» 2.416 miliardi. Il buco reale non fu mai contestato dai diretti interessati.

La vera abilità di Prodi stava nel riuscire a prendere soldi dallo Stato a costo zero. La conferma ci viene da un articolo di Paolo Cirino Pomicino (sul «Giornale» a firma «Geronimo»), nel quale rileva che dei 28.500 miliardi erogati dallo Stato a titolo di fondo di dotazione dalla data di nascita dell’IRI, Prodi ne ottenne ben 17.500!

La falsità politica di Prodi verrà alla luce il 17 luglio del 1998, quando nella qualità di Presidente del Consiglio affermò alla Camera che, con la Prima Repubblica, l’Italia non sarebbe mai potuta entrare in Europa.

Feroce la risposta, quattro giorni dopo di De Mita: «È singolare che un ex ministro democristiano, un uomo che per sette anni ha diretto il più grande ente economico italiano per conto della DC, faccia la storia della Democrazia Cristiana con una grossolanità che è solo il riscontro di un limite di intelligenza».

Questo è l’uomo che ha portato l’Italia in Europa, senza aver preparato il Paese al cambio di moneta, affermando che il Paese era pronto. In realtà, il passaggio all’Euro ha messo in ginocchio il Paese.

Questo è l’uomo che si propone come alternativa di Berlusconi alle prossime politiche del 2006.
dal emule "Romano prodi, ladrone impunito"

Romano Romano...

EDIT:

per chi volesse approfondire
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Ultima modifica di RedSky : 08-04-2006 alle 21:30. Motivo: più appropriato ad approndimenti di varia natura
RedSky è offline  
Old 08-04-2006, 20:45   #2
svarionman
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Originariamente inviato da RedSky
dal emule "Romano prodi, ladrone impunito"
....

La vera abilità di Prodi stava nel riuscire a prendere soldi dallo Stato a costo zero. La conferma ci viene da un articolo di Paolo Cirino Pomicino (sul «Giornale» a firma «Geronimo»), nel quale rileva che dei 28.500 miliardi erogati dallo Stato a titolo di fondo di dotazione dalla data di nascita dell’IRI, Prodi ne ottenne ben 17.500!
.....

Romano Romano...

EDIT:

per chi volesse approfondire

...non entro nel merito perchè non conosco la vicenda, ma se ho capito bene l'articolo dice che Prodi si sarebbe intascato 17.500 miliardi di lire?
...francamente mi pare un'esagerazione e non credo abbia tutti quei soldi
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Attenzione: il messaggio potrebbe essere ironico... gli amici (s)comodi di Topolino
"L’uso della libertà minaccia da tutte le parti i poteri tradizionali, le autorità costituite...Il popolo è minorenne. La città è malata. Ad altri spetta il compito di curare e di educare. A noi il dovere di reprimere. La repressione è il nostro vaccino! Repressione è civiltà!”
svarionman è offline  
Old 08-04-2006, 20:45   #3
misterx
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ce nè per tutti i gusti qui
misterx è offline  
Old 08-04-2006, 20:53   #4
VegetaSSJ5
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Originariamente inviato da svarionman
...non entro nel merito perchè non conosco la vicenda, ma se ho capito bene l'articolo dice che Prodi si sarebbe intascato 17.500 miliardi di lire?
...francamente mi pare un'esagerazione e non credo abbia tutti quei soldi
ma certo! solo berlusconi può rubare 7 miliardi di euro, vero?
VegetaSSJ5 è offline  
Old 08-04-2006, 20:56   #5
RedSky
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Originariamente inviato da VegetaSSJ5
ma certo! solo berlusconi può rubare 7 miliardi di euro, vero?
questo non giustifica le azioni di Prodi
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Old 08-04-2006, 20:56   #6
xenom
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ancoraaaa ma basta lol, è la TERZA volta che vedo un topic su prodi + IRI

guarda caso SEMPRE e SOLO quella... vai a vedere Silvio quante ne ha fatte
xenom è offline  
Old 08-04-2006, 20:57   #7
Lucio Virzì
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Fonti? Link? E il documento? Cosa è la X Legio?!?!
Guarda, fosse anche vero (e non lo è) tutto quello che è scritto, è immondizia, senza fonti, link e origine del documento.

LuVi
Lucio Virzì è offline  
Old 08-04-2006, 21:00   #8
svarionman
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Originariamente inviato da VegetaSSJ5
ma certo! solo berlusconi può rubare 7 miliardi di euro, vero?
...non ho mai detto questo ma se ti guardi le classifiche degli uomini più ricchi, il berlusca è sempre tra i primi coi suoi millemila miliardi, Prodi mi sa che sta verso il fondo con pochi milioni, e 17.500 miliardi di lire son mica bruscolini, hai voglia a farli sparire nel nulla.
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Old 08-04-2006, 21:02   #9
prio
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Indicare la fonte del testo, please.
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Tutto rigorosamente IMHO
Per i messaggi contrassegnati da *: IMHO un par di balle!
Salva un albero, uccidi un castoro.
prio è offline  
Old 08-04-2006, 21:12   #10
kintaro oe
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vabbe, basta google, e mettere le parole geronimo, il giornale, prodi, ed esce il mondo intero.....
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kintaro oe è offline  
Old 08-04-2006, 21:16   #11
RedSky
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Originariamente inviato da prio
Indicare la fonte del testo, please.
è indicato sotto al quote del primo post, l'ho trovato lì.
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Old 08-04-2006, 21:20   #12
RedSky
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a chi interessa approfondire, cerchi su google escono anche approdondimenti su caso Moro, Cirio, SME, etc..:

http://www.fattisentire.net/modules....ticle&sid=1727

http://it.wikipedia.org/wiki/Prodi
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Old 08-04-2006, 21:21   #13
Lorekon
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mi pare un pò fuori tempo massimo come frescaccia

rilassati, tra 48 ore sarà tutto finito
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"Le masse sono abbagliate più facilmente da una grande bugia che da una piccola". (Adolf Hitler)
"Se sei bello ti tirano le pietre, se sei brutto ti tirano le pietre. se sei al duomo ti tirano il duomo". (cit. un mio amico )
Lorekon è offline  
Old 08-04-2006, 21:22   #14
Mailandre
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Vi dice niente "Mario Tedeschi" ????? Ecco il personaggio...

http://www.mariotedeschi.it/

Ecco ,...la fonte di tale "stralcio" di fondo....VECCHIO DI 2 ANNI :

http://www.mariotedeschi.it/dal_nuov...gna_votare.htm

ciao
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Bye......
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Mailandre è offline  
Old 08-04-2006, 21:24   #15
RedSky
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Originariamente inviato da Lorekon
mi pare un pò fuori tempo massimo come frescaccia

rilassati, tra 48 ore sarà tutto finito
se non ti interessa l'argomento aria

Quote:
L’Iri del Professore, diario di un disastro
di Giancarlo Perna
Prodi è chiamato da De Mita a risanare l’Istituto nel 1982 ma in 7 anni brucia 41mila miliardi di lire

Negli anni '80, Eugenio Scalfari si vantava di essere al centro di tutti i giochi e assediato da Eccellenze desiderose del suo consiglio. Non si muove foglia che Scalfari non voglia, era il motto del suo gonfio blasone. Anche la presidenza di Romano Prodi all'Iri è stata, a suo dire, farina del proprio sacco.
L'Istituto zoppicava. C'era bisogno di una svolta. Il segretario della Dc, Ciriaco De Mita, ci rimuginava da giorni finché decise di chiedere lumi a Scalfari che riassume così la vicenda. «Quando De Mita mi disse: “Ovviamente ho in mente Prodi per l'Iri”, io gli risposi: “Ovviamente fai benissimo”. Ma poi mi richiamò e mi disse: “Guarda che Prodi non ci sta”. Allora io telefonai a Prodi e gli dissi: “Tu hai l'obbligo di accettare. Parlate tanto di spirito di servizio e poi...”. E alla fine accettò». La sintesi, efficace, è però vanagloriosa. Mette in luce la maggiore autorità di Scalfari rispetto a De Mita, ma oscura le altre illustri paternità di Prodi alla presidenza Iri.
È l'autunno 1982 e capo del governo è il segretario del Pri, Giovanni Spadolini, primo laico a Palazzo Chigi. Romano ha già fama di essere una «riserva della Repubblica», ossia un uomo disponibile al bisogno. È il ruolo che ricoprirà per un ventennio. Assopito nell'università, ma annodato a Beniamino Andreatta, Prodi era già stato, grazie a lui, ministro per qualche mese nel '78. Si era poi tuffato in Nomisma, lasciando che fosse Nino a programmargli le tappe successive.
Giunta la crisi dell'Iri, Romano era in posizione chiave. La sua forza stava nella proprietà transitiva che, tra gente di Palazzo, significa che se A è amico di B e B amico di C, anche A e C sono amici. Prodi, considerato dc di sinistra, perché tale era Andreatta, già consulente del defunto Aldo Moro, era pure pupillo di De Mita, che di Moro era l'erede. Inoltre Andreatta era l'anima del centro studi Arel, di cui era finanziatore l'ingegner Carlo De Benedetti, il quale era intimo di Scalfari che aveva perciò steso la sua ala su Romano, che di Andreatta era il protegé. Infine il premier, Spadolini, che era compagno di partito di Bruno Visentini, il quale era legato a De Benedetti proprietario della società Olivetti di cui Visentini era presidente, non poteva non vedere di buon occhio Prodi che era nella manica di tanti cari conoscenti.
Ricostruita la filiera, torniamo al racconto di Scalfari per coglierne un particolare: la ritrosia di Romano a accettare l'incarico che De Mita gli offriva. Farsi pregare, minacciare le dimissioni e dimettersi effettivamente, è stata una caratteristica di Prodi. È la qualità fondamentale delle riserve repubblicane, che devono essere a disposizione, ma pronte a sgombrare. Capostipite fu Enrico De Nicola, primo capo dello Stato nel 1948, che rifiutava, accettava, si dimetteva e restò in pole position fino alla morte. Ci imbastì una carriera Giovanni Leone, ci si adeguò da vecchio Amintore Fanfani, rimediando una presidenza del consiglio a 80 anni. Campione vivente di questo «spirito di servizio» è Giuliano Amato. Seguendo la scuola, Romano ha tagliato tutti i traguardi. Le inspiegabili altezze che ha raggiunto, si spiegano così. Ma il meccanismo funzionava finché c'era Andreatta a cavarlo dal cilindro e a riproporlo all'attenzione. Ora che da sei anni deve badarsi da solo, c'è da dubitare che Prodi sia altrettanto pronto a tirarsi indietro. Il pacioso emiliano è cambiato. Ha ormai il potere nel sangue e si vede a occhio che è cresciuto in grinta e cattiveria.
Romano diventa presidente dell'Iri il 24 settembre '82 e resta in carica fino al 2 novembre 1989. La stampa accoglie con favore la sua nomina, compreso questo giornale, e lo seguirà con simpatia per tutto il settennato. Nessuno gli fa le pulci e a fine mandato Prodi proclama di avere restaurato l'Iri. Ne ha venduti pezzi per fare cassa e i bilanci sono accettabili. Quello che lì per lì nessuno dice, ma sarà stradetto dopo, è che a fargli fare buona figura è stato Pantalone. Lo Stato, cioè voi e io, ha versato nei forzieri dell'Iri prodiana tanti di quei soldi da rendere impossibile un giudizio sulla sua conduzione. Romano poteva anche amministrare come una capra, tanto pagava il governo. Sono anni in cui l'Italia sballa i conti e contrae il più stratosferico debito pubblico del pianeta. Il contributo di Prodi al disastro è da Oscar. In sette anni, l'Iri ottiene fondi per 41mila miliardi di lire. Una volta e mezzo di ciò che aveva incamerato dalla fondazione, 1933, all'ingresso del Nostro.
Diverse le iniziative di Prodi che, dispiace dirlo, sono state autentiche cappellate.
La prima, 1985, è lo sciagurato tentativo di semiregalare all'amico De Benedetti la Sme, ovvero i Panettoni di Stato. La società raggruppa aziende private fallite e prese in carico dall'Iri, come Motta, Alemagna, Star, Cirio. Prodi, di testa sua, concorda con la Buitoni di De Benedetti un prezzo di acquisto di 497,5 miliardi pagabili in vari anni. La somma è irrisoria: 930 lire per azione, contro le 1.290 della quotazione in borsa. In più, nelle casse della Sme ci sono 80 miliardi liquidi che finirebbero quatti quatti nelle tasche dell'Ingegnere compratore. Si imbufalisce Bettino Craxi, presidente del Consiglio, e richiama all'ordine Clelio Darida, ministro delle PpSs. Darida annulla il patto Prodi-De Benedetti e indice una gara al miglior offerente. Un gruppo di imprenditori, Berlusconi, Barilla e altri, è disposto a pagare di più. L'Ingegnere prende cappello e ricorre al Tribunale, che gli dà torto. Seguono appelli, cause e controcause, fino ai nostri giorni, con la sorpresina finale del Cavaliere, accusato di corruzione di giudici e tutto il bla bla. La lizza sfuma e nessuno compra. Anni dopo, tra il '93 e il '96, la holding è venduta a spizzichi, pelati qua, panettoni là, e il ricavo è sublime: 2.200 miliardi. Quasi cinque volte il prezzo fissato da Prodi: prova provata che lui coi numeri è in guerra.
Prima dell'accordo con l'Ingegnere, Romano aveva rifiutato una proposta di acquisto della Sme da parte della multinazionale Hainz. Latore, il ministro liberale dell'Industria, Renato Altissimo, al quale replicò: «La Sme non si tocca. È la cassaforte dell'Iri». Quando seppe che invece vendeva la cassaforte a Carlo De Benedetti, Altissimo telefonò arrabbiato a Prodi: «Perché a Carlo sì e a me hai detto no?». «Tu mica ce l'hai il taglietto sul pisello!», rispose Prodi con fine allusione alle origini ebraiche dell'Ingegnere. Il dialogo è negli atti di un processo.
L'anno dopo, 1986, ne combina un'altra. Inalberando per le auto lo stesso nazionalismo cipigliosamente rimproverato a Antonio Fazio per le banche, vende l'Alfa Romeo alla Fiat. A discapito della Ford che offriva di più, in soldi e certezze. Agli Agnelli, coi quali ha un antico rapporto di cui parleremo, fa sconti mostruosi e rateazioni da capogiro. «Hanno avuto l'Alfa per un boccone di pane», è il giudizio unanime dell'epoca. In cambio, promettevano rilancio e occupazione. Si sa come andata. Le Alfa in circolazione sono meno delle Torpedo e le maestranze residue sono sotto tutela del Wwf. Ora capite perché Cesare Romiti, che orchestrò l'affare, sia oggi tra i fan di Romano. Vale pure per l'Agnelli adottivo, Luca Cordero di Montezemolo, che esprime la gratitudine della famiglia con impallinamenti diuturni del Cav.
L'operazione è stata anche una sconfitta dell'economista Prodi. Incamerando l'Alfa, Fiat ha avuto il monopolio dell'auto italiana e si è impigrita. A furia di Panda, si è semplificata la vita, si sono ringalluzziti i giapponesi e Mirafiori è finito nella Caienna. E il Professore, che ha aiutato Fiat a farsi male, ha tradito Adamo Smith e il libero mercato che predica un giorno sì e l'altro pure.
Quando Prodi arriva all'Iri, la siderurgia è in grave crisi. Il problema è di tutto l'Occidente che produce troppo rispetto al bisogno e troppo caro rispetto agli arrembanti asiatici. L'Iri ha la palla al piede della Finsider che deve ridurre personale e produzione. Questione delicata che Romano vuole seguire di persona. Ha un'idea da duca rinascimentale. Nomina alla Finsider un presidente, Lorenzo Roasio, e un amministratore delegato, Sergio Magliola, dando a entrambi identici poteri. Costringe i due a litigare per le competenze e a ricorrere a lui per l'arbitraggio. Così, il Machiavelli di Scandiano ottiene l'auspicata ultima parola e avvia la Finsider, demotivata e depressa, all'ultima dimora.
Nell'89, disarcionato il protettore De Mita da Palazzo Chigi, Prodi è costretto a lasciare l'Iri al fiduciario andreottiano, Franco Nobili. Poco male. C'è da lavorare sodo su Nomisma il cui lustro è stato appannato dalla sentenza micidiale del giudice Casavola. Romano si getta in un'opera triennale di rilucidatura mentre cominciano, a macchia, come la peste, gli arresti di Tangentopoli. Nobili è catturato il 12 maggio '93. Carlo Azeglio Ciampi, presidente del Consiglio, telefona personalmente a Prodi per pregarlo di riprendersi l'Iri. Romano tergiversa, chiede tempo e inforca la bicicletta (Bianchi, le sue sono tutte rigorosamente di questa marca) per meditare in pace. In sella riflette meglio che sulle diverse poltrone che ha di volta in volta occupato, all'Iri, al governo, nell'Ue. Per ore, è introvabile, mentre la moglie Flavia argina Ciampi che continua a tempestare di telefonate. Al rientro, con le endorfine alle stelle, Romano dice sì. Il 15 maggio, inizia la presidenza bis. La caratterizza con le privatizzazioni, la nuova moda. Vende le due banche Iri, Comit e Credit, ai piccoli risparmiatori per creare, moda nella moda, un democratico «azionariato diffuso». Il vecchio Cuccia di Mediobanca, che voleva invece il «nocciolo duro» di un gruppo scelto di azionisti, gli toglie il saluto. La vittoria di Prodi è breve. Cuccia prende presto il controllo delle due banche senza neanche versare le enormi somme che aveva promesso all'Iri per ottenere il «nocciolo». Ennesima botta per l'Istituto.
A togliere Prodi dall'imbarazzo, pensa Berlusconi vincendo le elezioni del '94. Non volendo conviverci, Romano proclama: «Non sono uomo per tutte le stagioni» e si dimette. L'Iri per un po' è salva.
(4. continua)
fonte ilgiornale n. 83 del 08-04-06 pagina 6
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Old 08-04-2006, 21:29   #16
RedSky
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questa è una chicca:

Quote:
Quer pasticciaccio brutto de via Veneto

di Biagio Marzo



Va dato atto che Prodi, nominato di nuovo presidente dell’Iri, il 15 maggio del ’93, voleva chiudere, una volta per tutte, la partita dello Stato pasticcere, produttore pomodori, ristoratore e proprietario di supermercati, ma non poté concludere l’intero processo di privatizzazione a causa delle sue dimissioni dall’Iri e toccò, di fatto, al suo successore, Michele Tedeschi, continuare l’opera di vendita fino a porre la parola fine.
Sennonché, la privatizzazione di alcuni settori della Sme, come visto, furono una sorta di calvario, ma il bello, anzi il brutto, doveva ancora venire. Se la vicenda CBD ebbe, come detto, dei risvolti sotto alcuni aspetti sconvolgenti, l’Italgel, viceversa, - secondo sempre il sito dell’Unione europea che porta all’home page del presidente Romano Prodi-, dopo un decollo giudiziario anch’esso preoccupante, ebbe un atterraggio, come dire, morbido con la richiesta di archiviazione dell’inchiesta, da parte del pm Maria Monteleone. Ma andiamo con ordine. Perché, in questa affaire, ad avviso dei periti della procura di Salerno, non mancarono i colpi di scena.
Nel 1996, il presidente dell’Iri, Romano Prodi, e il consiglio di amministrazione vennero indagati in seguito a una interrogazione parlamentare del Msi, Franco Servello, secondo cui il vertice di via Veneto avrebbero favorito la multinazionale Nestlé in occasione della privatizzazione dell’Italgel. Il pm Monteleone chiedeva l’archiviazione dell’inchiesta, nel gennaio ’99, visto che l’iter seguito risultava corretto. Secondo la perizia dello studio Castaldo, incaricato dalla Procura di Salerno, invece di cedere l’Italgel alla Nestelè per 703 miliardi di lire, l’Istituto avrebbe potuta venderla alla Gran Metropolitan che aveva offerto 850 miliardi di lire, ossia ben 146 miliardi in più della Nestelè. A parere dell’Iri, la Nestlè, pur con una offerta più bassa, dava maggiori e precise garanzie rispetto alla Gran Metropolitan. Vale la pena a questo punto avvalersi di due fonti: innanzitutto quella dei periti della procura di Salerno, poi quella dell’inchiesta di Gian Marco Chioggi de Il Giornale.
L’Iri inviò a Londra alla società Wessen Parrella(la cui consulenza costò all’Istituto di via Veneto ben 6 milioni di dollari) le buste contenenti l’offerte di acquisto dell’Italgel. Fin qui nulla quaestio. Dopodiché, inizia una procedura, come dire, sui generis. Il responsabile della società londinese si recava a Roma per informare il notaio dell’Iri che per ragioni di pura riservatezza non venissero rese pubbliche le offerte dei diversi compratori in gara. Ragion per cui, un solo plico sigillato, contenete le lettere dei concorrenti, arrivava al tavolo del consiglio di amministrazione dell’Iri, il cui compito era quello di aprire le buste e aggiudicare al concorrente, con il prezzo più alto, l’Italgel. E qui, a detta dei periti, scoppia un piccolo giallo, o, meglio per usare le loro medesime parole, “la fanta apertura”, visto che sarebbero state fin dall’inizio “violate le più elementari norme sia di gara che professionali”. Di certo, non ci vuole l’indovino Tiresia per svelare l’accaduto: più persone avevano saputo, in anteprima assoluta, quello che per legge si non si sarebbe dovuto sapere, ossia l’offerte dei singoli concorrenti. C’è di più. Secondo i periti, nel momento in cui si svolgeva il cda dell’Iri per l’aggiudicazione della gara Italgel, si intende alla Nestelè, il medesimo organo esecutivo dell’Istituto di ricostruzione industriale contattò la Pasfin, (società di consulenza che a suo tempo aveva fatto una stima patrimoniale sull’Italgel del valore di 750 miliardi), “per chiedere di rivedere la sua valutazione”. Dio solo lo sa, come abbia fatto la Pasfin a cambiare le carte in tavola e sottrarre, con un colpo solo, ben 70 miliardi ai 750 miliardi di lire certificati in precedenza. Come dire, l’Italgel, senza leggere e scrivere, veniva deprezzata e dalla vecchia valutazione di 750 miliardi di lire passava alla nuova di 680 miliardi. Scrive Chiocci sulla base dei documenti dei periti salernitani:” La Pasfin ha consentito all’Iri di favorire l’aggiudicazione della pseudo gara, a trattativa privata, alla Nestelè in palese violazione del bando di gara, delle normative Cipe e degli interessi del patrimonio italiano, con un danno di 146 miliardi su quanto era possibile invece ricavare dalla Gran Metropolitan che aveva offerto 850 miliardi contro i 703 che poi bastarono alla Nestelè per portarsi a casa l’Italgel”.
Il problema della procura di Perugia non è quello di verificare se sarebbe stato opportuno o meno vendere a pezzi o in blocco il gruppo Sme, semmai se ci fossero stati dei favoritismi nei confronti di alcuni acquirenti a scapito di altri. A onor del vero, fin da tempi del presidente Nobili e del ministro delle Ppss, Carlo Fracanzani, si era convenuto che sarebbe stata più redditizio per lo Stato la vendita spezzatino, ossia la vendita di ogni singola azienda del gruppo alimentare pubblico. Oltretutto, difficilmente sul mercato nazionale e internazionale c’era un unico compratore interessato all’acquisto, per intero della Sme. Solo De Benedetti la voleva tutta per sé, ma sappiamo a quale prezzo.
Le restanti parti della Sme che fine hanno fatto?
Ad esempio, dopo aver comprato per 740 miliardi di lire il gruppo Gs-Autogrill, la cordata Benetton si disfaceva, nel giro di tre anni, dei settori Gs- supermercati che venivano comparati dalla francese Carrefour alla “modica” somma di 5.000 miliardi di lire. Mentre ai Benetton restava la proprietaria di Autogrill, Pavesi, Ristorante Ciao, Motta e Alemagna oltreché di tanti altre aziende e immobili di un valore pari a 1.500 miliardi. A conti fatti, la cordata Benetton avrebbero realizzato oltre 5.000miliardi di lire. Si badi che i conti in tasca ai Benetton sono stati fatti dagli esposti arrivati alla Procura di Perugia via Procura Salerno.
L’affaire Sme ha avuto una eco internazionale, allorquando fu dato per certo Romano Prodi alla presidenza Ue. Il Daily Telegraph si interessò con accanimento, affidando l’inchiesta al giornalista Evans- Prichard. Il giornalista si mise di buzzo buono, come sanno fare soltanto i giornalisti anglosassoni, scovando persino il pelo nell’uovo. Tanto per la cronaca, il giornale inglese non inviò per l’inchiesta una squadra di giornalisti, come si disse artatamente in giro, bensì si servì di un solo inviato.
Che cosa scrisse di tanto sensazionale il Daily Telegraph?
Romano Prodi aveva ricevuto nei primi mesi del 1990, su un conto corrente bancario non conosciuto, versamenti per circa 4 miliardi di lire a favore di una società di consulenza, l’Ase(Analisi e studi economici),- di cui era titolare assieme la moglie Flavia- da parte della multinazionale Unilever e della banca americana Goldman Sachs”.
Sebbene in Italia l’inchiesta del giornale inglese non avesse avuto il clamore sperato, il Corriere della Sera intervistò il direttore del Daily Telegraph, Charles Moore, secondo cui Prodi sulla “questione di soldi” non diede risposte esaurienti. E aggiunse:” E poiché c’è una mancanza di pubblica fiducia, dopo il caso dell’ex presidente della commissione europea Santer e della commissione Cresson, costretti a dare le dinmissioni per lo sacandalo dei favoritismi scoperti da una commissione d’inchiesta, ora dobbiamo essere sicuri che la nuova commissione sia pulita”.
In Italia, il magistrato Ferdinando Imposimato, eletto per tre legislature nelle liste elettorali del Pci – Pds, Giuseppe Pisauro, avvocato penalista, e Sandro Provvisionato, caporedattore al Tg5, si sono interessati delle vicende dell’Alta velocità e della Sme, tanto che hanno scritto un libro interessante sotto più punti di vista: “Corruzione ad Alta Velocità”, di cui ci siamo anche noi serviti per l’inchiesta sulle privatizzazioni. Ironia delle sorte, un libro per pochi lettori, senza recensioni nei grandi organi di stampa. Chi sa perché?
“Non va dimenticato che Prodi – scrivono – è stato, dal gennaio 1992, garante dell’Alta velocità, la più grande opera pubblica mai progettata in Italia, di cui era azionista proprio Goldman Sachs. Ma il punto è un altro. Le consulenze furono pagate a Prodi da Unilever e da Goldman Sachs per l’affare Cirio – Bertolli- De Rica o per un’altra ragione?

Quando furono pagate quelle consulenze ed esattamente in che misura? A queste domande mancano ancora delle risposte chiare. Epperciò sarebbe importante sapere se Prodi ha ricevuto soldi da Goldman Sachs o da Unilever prima o dopo l’affare Cirio. Come interessante sarebbe conoscere quando e da chi Prodi ha ricevuto i quasi due miliardi e mezzo a partire dal 1992. Solo risposte precise potranno diradare i dubbi”.
A noi, in verità, non ci interessano tanto le questioni di carattere giudiziario, sarà compito della magistratura indagare o meno, quanto il processo di privatizzazione. Dal punto di vista dello Stato, la privatizzazione della Sme è stata un’operazione economica vantaggiosa o, viceversa, è stata vantaggiosa per alcuni gruppi di interesse?
A tal proposito, il biografo ufficiale di Prodi, Franco Livi, scrive la sua versione secondo cui “intorno alla Sme, la finanziaria alimentare del gruppo Iri, Romano Prodi aveva coltivato, nel 1985, uno dei suoi sogni più belli, quello di una vendita alla Buitoni – Perugina che ponesse fine alla stagione del panettone di Stato e aprisse la via alla costituzione di un gruppo privato capace da pari a pari con grandi nomi dell’industria straniera. Proprio sulla Sme aveva, tuttavia, subito la sua sconfitta più dura, con l’intesa da lui firmata con Carlo De Benedetti ridotta da Bettino Craxi a carta straccia. Otto anni dopo, è proprio la Sme che gli consente di prendersi la rivincita”.
Questo è quanto. La nostra ricostruzione dell’affaire Sme, viceversa, è stata diametralmente l’opposto. Ai lettori l’ardua sentenza.
fonte:
http://66.249.93.104/search?q=cache:...&ct=clnk&cd=43
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Ultima modifica di RedSky : 08-04-2006 alle 21:33.
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Old 08-04-2006, 21:30   #17
Dona*
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ok specificato questo "particolare" dire che possiamo passare oltre... altro?
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Old 08-04-2006, 21:30   #18
prio
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questa è una chicca:
Adesso non farti chiedere un post si ed uno no da dove l'hai presa
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Old 08-04-2006, 21:31   #19
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si appena aggiornato caro.
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Old 08-04-2006, 21:34   #20
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Adesso non farti chiedere un post si ed uno no da dove l'hai presa
non me le invento di certo mon amis.

se ogni fonte che cito può evitare il tuo disturbo, le inserisco ad ogni citazione.
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