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Old 07-12-2004, 11:42   #41
FastFreddy
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Intanto il sor Azeglio si è aggiudicato la fornitura di autobus alla città di Pechino...........
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La mia config: Asus Z170 Pro gaming, Intel i5 6600k @4.5Ghz, cooler master 212x, corsair vengeance 8Gb ddr4 2133, SSD sandisk ultra II 480Gb, Gainward GTX960 4Gb, Soundblaster Z, DVD-RW, ali Corsair CX750M, Case Thermaltake Suppressor F31
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Old 07-12-2004, 12:36   #42
dantes76
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Originariamente inviato da mrmic
E' un semplice aggiornamento dei nostri rapporti bilatrali con la Cina. Ma ricalca i passi dei maggiori paesi mondiali, almeno in termini commerciali. Moralmente discutibile, finanziaramente vantaggioso.
Tutti stanno firmando contratti con la Cina, dall'America Latina ai paesi centro-africani e maghrebini, arabi ed europei. TUTTI.

Concordo con subvertigo, vi piace il WTO? Eccovi serviti

edit, dimenticavo: vediamo se tra qualche mese non si prendono la fiat
appena finisce il risanamento..la fiat non va in cina..forse ce ..lla gm e dietro l angolo..

cmq il prodotto non si conserva con i dazi..

negli anni 80 gli usa erano indietro in due campi fondamentalmente elettronica e auto

e addirittura ci stava chi metteva a dispsizione un auto jap e una mazza per ogni mazzata data, si dava una tot cifra per i disoccupati delle grandi tre (gm ford chrysler)
li non hanno usato dazi o altro ma sino fatti il mazzo..
se l economia italiana cerca riparo nei dazi e alla frutta...
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Old 07-12-2004, 12:47   #43
-kurgan-
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magari dovremmo fucilare chi fa proteste sindacali, come si fa in cina.. così si tengono i prezzi dei prodotti bassi.
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Old 07-12-2004, 12:50   #44
dantes76
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Originariamente inviato da subvertigo
sono d'accordo con te... che nella maggioranza dei casi i dazi hanno portato solo svantaggi.
Però questi dazi avrebbero un significato etico... I cinesi con i livelli di povertà e di sfruttamento del lavoro che hanno, possono permettersi di fare dei prezzi bassissimi sul mercato mondiale.
Ora noi con il nostro stato sociale, con il sistema di garanzie che dall'800 hanno i nostri lavoratori che dobbiamo fare?
Smantellare tutto il Welfare per rispondere in termini di costi e competitività oppure trovare soluzioni alternative (tipo dazi "etici" o qualcosaltro).
Non sono un economista quindi non ho una ricetta, ma so che inseguire la competitività cercando di smantellare il welfare e il benessere raggiunto dalla nostra civiltà è la strada scorretta. IMHO
be nessuno in particolare io..cerca lo smatellamento del welfare..
ma se la fiat chiude e lo stesso di niente allora invece di dazi

si cerca per legge di obbigare un certo tipo di ricerca alle grosse industrie perche se le aziende vogliono solamente e non danno..non si fa molta strada
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Old 07-12-2004, 12:53   #45
dantes76
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Originariamente inviato da -kurgan-
magari dovremmo fucilare chi fa proteste sindacali, come si fa in cina.. così si tengono i prezzi dei prodotti bassi.
kurgan e inutile che ribadisci con poco...


se le aziende non fanno il loro dovere migliaglia di dipendenti saranno in strada...
se le aziende sono costrette in una certa maniera allora sara lo stesso
ci vuole equilibrismo...


PS: prendi lo stabilimento di termini imerese : uno stabilimento che da lavoro a molta gente
ma uno stabilimento nato non per esigenze industriali ..ma politiche e sara destinato alla chiusura..
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Old 07-12-2004, 13:01   #46
-kurgan-
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io sono assolutamente convinto che senza dazi, ad "armi pari" con le aziende cinesi possiamo solo perdere.
non abbiamo mezza possibilità contro uno stato di un miliardo di persone che non hanno neanche i minimi diritti sociali e sindacali.. per questo, e solo per questo, si possono permettere prezzi bassi.
non sono affatto meglio di noi, solo hanno costi di produzione nettamente inferiori usando gli operai come carne sacrificabile.
l'europa unita pratica dazi sull'agricoltura, e la nostra agricoltura così sopravvive.. in molte altre cose ci difendiamo così. Togliere le frontiere con certi paesi, oltre che moralmente inaccettabile, è un suicidio.
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Old 07-12-2004, 13:04   #47
dantes76
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Originariamente inviato da -kurgan-
io sono assolutamente convinto che senza dazi, ad "armi pari" con le aziende cinesi possiamo solo perdere.
non abbiamo mezza possibilità contro uno stato di un miliardo di persone che non hanno neanche i minimi diritti sociali e sindacali.. per questo, e solo per questo, si possono permettere prezzi bassi.
non sono affatto meglio di noi, solo hanno costi di produzione nettamente inferiori usando gli operai come carne sacrificabile.
l'europa unita pratica dazi sull'agricoltura, e la nostra agricoltura così sopravvive.. in molte altre cose ci difendiamo così. Togliere le frontiere con certi paesi, oltre che moralmente inaccettabile, è un suicidio.
ma se l olivetti,se telit, se la fiat, ..se la breda,...se iveco..se alitalia..
se gilera piaggio
sono in queste condizioni, non e colpa delle nazione estere...
con i dazi si dopano le aziende perche credono di avere il controllo del mercato..ma e solo fittizio

i dazi ,,le sovvenzione e pioggia e non specifiche sono dannose per l economia..

non sono le aziende estere
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Old 07-12-2004, 13:09   #48
-kurgan-
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in base a quanto ho studiato di economia e alle mie idee non concordo affatto.
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Old 07-12-2004, 13:12   #49
Freeride
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Originariamente inviato da subvertigo
Il fatto è pero che non è possibile introdurli perchè siamo secondo me "iguaiati" in un sistema economico neoliberista e globalizzato che ce lo impedisce. E da qui una critica generale a tutto il sistema: - Non possiamo prendere decisioni autonome - tutto è deciso da vaghi organismi sovranazionali (wto, ecc.) governati non si sa bene da chi.
Errato, ci sono direttive europee che parlano di dazi, e prima di arrivare con le pezze al culo sarebbe meglio darci una occhiata:
http://www.mincomes.it/circ_dm/circ2003/reg427_03.pdf
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Old 07-12-2004, 13:13   #50
dantes76
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Un’industria intellettuale e creativa
(06/12/2004)

Cresce la proprietà intellettuale in Italia. Sebbene l’industria nazionale sia gli ultimi posti per numero di brevetti, in alcuni settori la fa da padrona. Dati alla mano, il Bel paese, riguardo al numero dei brevetti pubblicati dall’Ufficio Europeo Brevetti (Epo) tra il 2001-2003 è risultato ultimo in classifica con solo il 3,1% dei brevetti, a fronte del 39,7% degli Usa e il 22,6% della Germania. Tuttavia nel settore della meccanica, l’Italia detiene il primato per numero di brevetti per macchinari, strumenti, attrezzature o metodi per costruire o riparare calzature (il 50% delle domande proviene dall’Italia, che “batte” così Stati Uniti e Germania). E non solo: nel settore della nautica, è leader nel varo di imbarcazioni, salvataggio in acqua, attrezzatura per lavorare sott’acqua, mezzi per recuperare oggetti sotto l’acqua (il 31% delle domande è italiano, contro il 21% degli Usa ed il 17% della Gran Bretagna). ...

nei motori e meccanica per navi (siamo penultimi dietro Usa, Germania, Giappone e Francia) e nella strumentazione elettronica-radio trasmittenti (siamo ultimi nella classifica che vede primeggiare gli Stati Uniti

ecco perche e un dramma la competizione altro che dazi
lo stato deve entrare nell azionario dei maggiori gruppi e non fare le aziende famiglie: che se uno ha un figlio lo mette e a dirigire anche se e un encefalo...


aggiungo i dati eurostat:

Per quanto riguarda l’Italia, i dati sono davvero poco incoraggianti: nel 2000 il nostro paese ha dedicato alla ricerca e allo sviluppo l'1,07% del proprio Pil, risorse sensibilmente inferiori rispetto alla media europea dell'1,98%. Nella graduatoria Ue l'Italia è al terzultimo posto, davanti solo alla Grecia (0,67%) e alla Spagna (0,94%). Ad investire poco sono soprattutto le imprese (0,56% del Pil contro una media Ue di 1,30% nel 2001), mentre la spesa pubblica (0,22%) è stata di poco inferiore alla media Ue (0,25%).

Per quanto riguarda i prodotti di alta tecnologia, l'Europa si conferma un importatore netto, in particolare dagli Usa, con un deficit della bilancia commerciale pari a 23 miliardi di euro nel 2001. L'Italia, con un saldo negativo di nove miliardi di euro e', insieme alla Spagna, tra i paesi con il bilancio più negativo. Anche nel settore dei brevetti l'Ue fa segnare un ritardo rispetto ai suoi principali concorrenti internazionali: nel 2001 l'Ufficio europeo dei brevetti (Epo) ha ricevuto più' richieste dagli Usa che dagli stessi paesi europei (15.839 contro 11.928). Tra gli stati membri, quelli che brevettano di più sono la Germania (41,9% del totale di richieste nel 2001), la Francia (14,1%), la Gran Bretagna (13,1%) e l'Italia (7,1%).

strano che se faccia un gran parlare di dazi quando il prob sta da un altra parte

http://europa.eu.int/italia/index.js...nt.175458.html
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Ultima modifica di dantes76 : 07-12-2004 alle 13:20.
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Old 07-12-2004, 13:14   #51
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in base a quanto ho studiato di economia e alle mie idee non concordo affatto.
capisco le tue difficolta..

ma i fatti sono li... da olivetti alla fiat...
byezzzz
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Old 07-12-2004, 13:20   #52
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Originariamente inviato da dantes76
capisco le tue difficolta..

ma i fatti sono li... da olivetti alla fiat...
byezzzz
non capisco quali difficoltà io debba avere

di lasseiz faire si parlava un bel pò di anni fa, non ebbe questo gran successo
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Old 07-12-2004, 13:26   #53
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Originariamente inviato da -kurgan-
non capisco quali difficoltà io debba avere

di lasseiz faire si parlava un bel pò di anni fa, non ebbe questo gran successo
intendi..laissez faire
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Old 07-12-2004, 13:32   #54
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dante, mi spieghi come potrebbe incidere nelle sorti del mondo la quantità di denaro speso dall'italia nella ricerca?
non pensi che si dovrebbe ampliare il discorso a livello europeo?
i dazi ci hanno difeso finora, perchè le cose dovrebbero cambiare in futuro?

aprire il mercato totalmente alla cina mi sembra ancora una cretinata, scusami.. non vedo nessun vantaggio concreto nel fare una cosa simile.
per quanto l'italia possa investire da sola in ricerca, non sarà mai sufficiente a smuovere di un millimetro l'industria cinese.
in futuro ci sarà un'inevitabile guerra commerciale tra la cina e l'occidente, e noi siamo già sconfitti in partenza, qualsiasi cosa venga fatta. Ha per me molto senso cercare di isolare la cina a livello mondiale il piu' possibile, non certo favorirla.

porti esempi di olivetti, fiat, ecc. aziende che non hanno nulla in comune tra loro. In italia 3 quarti delle imprese sono piccole, con meno di 10 dipendenti.. come potrebbero sopravvivere ad una cina senza dazi? investendo in ricerca? mi sembra un discorso un pò campato in aria e slegato dalla realtà.
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Old 07-12-2004, 13:35   #55
dantes76
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Originariamente inviato da -kurgan-
dante, mi spieghi come potrebbe incidere nelle sorti del mondo la quantità di denaro speso dall'italia nella ricerca?
non pensi che si dovrebbe ampliare il discorso a livello europeo?
i dazi ci hanno difeso finora, perchè le cose dovrebbero cambiare in futuro?

aprire il mercato totalmente alla cina mi sembra ancora una cretinata, scusami.. non vedo nessun vantaggio concreto nel fare una cosa simile.
per quanto l'italia possa investire da sola in ricerca, non sarà mai sufficiente a smuovere di un millimetro l'industria cinese.
in futuro ci sarà un'inevitabile guerra commerciale tra la cina e l'occidente, e noi siamo già sconfitti in partenza, qualsiasi cosa venga fatta. Ha per me molto senso cercare di isolare la cina a livello mondiale il piu' possibile, non certo favorirla.

porti esempi di olivetti, fiat, ecc. aziende che non hanno nulla in comune tra loro. In italia 3 quarti delle imprese sono piccole, con meno di 10 dipendenti.. come potrebbero sopravvivere ad una cina senza dazi? investendo in ricerca? mi sembra un discorso un pò campato in aria e slegato dalla realtà.


??? mi togli una curiosita:

hai studiato economia? dove?

prima parli di dazi..parli che se una cosa la fanno tutti non e giusto che la facciamo pure noi?

me spiega cosa cambia per l economia mondiale se l italia mette dazi? il mondo si ferma?

la ricerca e'''''' la base delle aziende : un azienda che ha un centro ricerche degno di questo nome : non teme confronti anzi impone i suoi ritmi


PS: il laissez faire in italia ha fallito(il suo fine) del tutto
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Ultima modifica di dantes76 : 07-12-2004 alle 13:38.
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Old 07-12-2004, 13:41   #56
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se l'europa e gli usa mettono i dazi, è questo che sto cercando di spiegarti da inizio topic.
l'italia da sola non conta niente a livello mondiale, non ha mai contato neanche niente.. forse all'epoca di cesare aveva altra importanza.

Quote:
la ricerca e'''''' la base delle aziende : un azienda che ha un centro ricerche degno di questo nome : non teme confronti anzi impone i suoi ritmi
ma che centro ricerche.. ma dai. Un'azienda con 10 dipendenti non si può assolutamente permettere di fare ricerca a livello di una multinazionale.
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Old 07-12-2004, 13:47   #57
dantes76
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Originariamente inviato da -kurgan-
se l'europa e gli usa mettono i dazi, è questo che sto cercando di spiegarti da inizio topic.
l'italia da sola non conta niente a livello mondiale, non ha mai contato neanche niente.. forse all'epoca di cesare aveva altra importanza.



ma che centro ricerche.. ma dai. Un'azienda con 10 dipendenti non si può assolutamente permettere di fare ricerca a livello di una multinazionale.
be io non parlo delle aziende con meno di dieci dipendenti( ci sarebbe da fare un trattato perche la maggioranza delle aziende in italia sia di statura minuscula)
parlo dei pochi gruppi industriali di massa...

dopo dei dazi fatti dall ue implicherebbero una risposta dall altra parte,,,

non voglio immaginare ile ripercursioni sull economie dei paesi piu deboli(italia spagna grecia)
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Old 07-12-2004, 13:51   #58
dantes76
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Ecco a chi serve la ricerca:*

Negli ultimi tre anni, il Paese è cresciuto più lentamente
nonostante il "genio italico". Si investe nel "low-tech"
Poca ricerca, niente brevetti
così l'Italia esce dal futuro
di MAURIZIO RICCI

Volete guidare l'auto del futuro? E' giapponese o, forse, americana. Volete un miracoloso ritrovato della nuova medicina, che ripari il vostro Dna? Il rimedio è svizzero, inglese, americano, magari belga. Credete nel futuro dell'infinitamente piccolo e vi incuriosisce un nanomotore, grande quanto una molecola, capace di alzare pesi e di lavorare in squadra con altre nanomacchine? Vi può capitare di leggere l'annuncio della scoperta in italiano, ma, per vederla realizzata, meglio guardare alla California. A casa nostra, facciamo, invece, raffinati vasi di plastica o scarpe con i buchi per non far sudare i piedi. Roba buona, a volte geniale, che spesso si vende benissimo, ma che si copia in un baleno o che dura sul mercato solo finché la sorregge l'ispirazione. Low-tech, come si dice, perché di nuovo, che gli altri devono imparare, c'è poco. Ovvero, per usare il gergo degli economisti, il contrario di quei settori di alta tecnologia, "a forte processo di apprendimento - spiega Mario Pianta, docente di Economia dell'Innovazione a Urbino - che assicurano rendimenti crescenti e balzi di produttività". E che sono, nel mondo di oggi, dove la parola d'ordine del futuro è "knowledge economy", economia della conoscenza, la ricetta che rende (e fa restare) ricchi.

Una recente ricerca di una società inglese di consulenza, la Robert Huggins Associates, annuncia che, nei prossimi anni, in tutte le regioni italiane (nessuna esclusa, neanche la Lombardia e il Nord Est) il reddito pro capite perderà terreno rispetto alla media europea: anche chi oggi sta sopra quella media, vedrà ridursi il suo vantaggio. Se i dati daranno ragione alla Huggins, sarà il sigillo dell'inesorabile scivolare dell'Italia nella serie B dell'economia planetaria.

Qualsiasi economista, ormai, predice che, per sola forza d'inerzia, i numeri della crescita economica di giganti come la Cina, l'India, il Brasile, ci spintoneranno, più prima che poi, fuori dal G7, i Sette Grandi, il club dei ricchi del mondo. Ma già oggi siamo fuori da qualsiasi G7 della ricerca e dell'innovazione: la Cina, nel 2002, ha speso 60 miliardi di dollari per la ricerca. Solo Usa e Giappone hanno speso di più.
L'India ne ha investiti 19 miliardi ed è fra i primi dieci al mondo. L'Italia, che pure ha un prodotto nazionale più grande dell'una e dell'altra, ha speso per la ricerca 10 miliardi di dollari, meno dell'anno prima. Il problema è che, fra questa classifica e annunci come quelli della Robert Huggins, c'è un rapporto e anche stretto. La serie B, come qualsiasi appassionato di calcio, ormai esperto di Borsa e di plusvalenze di bilancio, sa benissimo, non è solo un problema di prestigio, ma un colpo di scure sulle prospettive di incassi e di investimenti.

Da tre anni, l'economia italiana è in panne. Francia e Germania, come non si stancano di ripetere i ministri del governo Berlusconi, non stanno meglio: la crisi apertasi con gli attentati dell'11 settembre 2001 vale per tutti. Ma c'è una differenza. Fra il 2000 e il 2004, la Germania, nonostante la crisi, ha aumentato le esportazioni del 15 per cento. La Francia del 12 per cento. In Italia sono diminuite del 7 per cento. Perché tanta sensibilità alla congiuntura? Proviamo a guardare le statistiche dall'altro lato. I settori più dinamici del commercio mondiale, negli ultimi dieci anni sono stati: farmaceutica, elettronica di consumo, computer, macchinari elettrici, strumenti di precisione, aerei. Insieme, costituiscono ormai un quarto di tutto l'interscambio. Sono i beni che le statistiche definiscono high-tech, tranne i macchinari elettrici, che rientrano nei beni a media tecnologia e sono anche gli unici in cui l'Italia abbia una presenza significativa.

Nei beni ad alta tecnologia, la quota italiana del commercio mondiale si era già ridotta di un quarto fra il 1996 e il 2000, dal 2,20 all'1,64 per cento. Ormai ce la battiamo con la Spagna. Fra la trentina di paesi dell'Ocse, l'organizzazione dei paesi industrializzati, solo Polonia, Grecia e Turchia stanno peggio. Sono questi, ormai, lontani da qualsiasi zona Champions o Uefa, confinati nella parte bassa della classifica, i nostri avversari. Francia e Germania contano nell'economia globale dell'alta tecnologia per il doppio di noi, la Gran Bretagna per il triplo.
La stessa Ocse produce ogni anno una sorta di pagellone della scienza e della tecnologia, che classifica i paesi industrializzati secondo 200 diversi indicatori. Nella stragrande maggioranza, i risultati ci inchiodano nella zona retrocessione. Il primo indicatore, ad esempio, misura gli "investimenti in sapere", dove i ricercatori Ocse sommano la spesa per la ricerca, la spesa per l'istruzione superiore, la spesa per il software. Fra il 1992 e il 2000, gli anni in cui è esplosa la "knowledge economy", il tasso di aumento di questi investimenti, che ne sono il motore fondamentale, è stato in Italia il più basso di tutto il mondo sviluppato. Peraltro, l'unica cosa che è davvero aumentata è la spesa per software: le altre due voci - ricerca e istruzione - sono, di fatto, diminuite. Anche la Republica Slovacca investe in sapere una quota maggiore dell'Italia del prodotto nazionale. Portogallo, Polonia, Messico e Grecia partono più indietro di noi, ma i loro investimenti in conoscenza aumentano dell'8 per cento l'anno, i nostri dell'1,8 per cento. E' solo questione di tempo, perché ci raggiungano.

La conferma viene da quello che gli inglesi chiamerebbero "votare con i piedi". Dove vanno gli agenti portatori della economia della conoscenza: gli studiosi e i ricercatori, che sono il fattore più globalizzato della "knowledge economy" che, a sua volta, è il settore più globalizzato dell'economia globale? Il numero di laureati stranieri che lavora nelle università italiane è pari all'1 per cento del personale universitario di ricerca, come in Messico e in Corea. I laureati stranieri sono il 33 per cento nelle università di Svizzera, Gran Bretagna e Belgio, il 27 per cento negli Usa, il 18 per cento in Danimarca. La strada, del resto, è indicata per primi dai laureati italiani. Il 3-4 per cento di loro, ogni anno, va a studiare e a lavorare all'estero, dove ha più prospettive di ricerca e di carriera, oltre a stipendi che sono, di solito, il triplo di quello che avrebbero in Italia. La stessa percentuale è dell'1 per cento nel resto d'Europa. Non va meglio nel privato: nell'industria italiana ci sono 3 ricercatori ogni mille addetti In Spagna sono 4, la media europea è 5, in Usa, Giappone e Svezia stiamo fra 9 e 10.

Eppure, l'asfissia della ricerca italiana non è (ancora) compiuta. Se si va a vedere il numero di pubblicazioni scientifiche - ad esempio, ma non solo, in un settore nuovissimo come le nanotecnologie (un nanometro è un milionesimo di millimetro: così si misurano i transistor dei chip nei computer) - l'Italia occupa una posizione rispettabile. Anzi, per blandire l'orgoglio nazionale, se si guarda al numero di citazioni - che misurano la risonanza di una ricerca - la classifica italiana è decisamente buona. I guai cominciano dopo. "E infatti - dice Giancarlo Salviati, che lavora all'Imem, l'Istituto Materiali per Elettronica e Magnetismo del Cnr - ci invitano ai convegni, a tenere relazioni, ci pubblicano. Poi, cominciano i problemi. Io, Salviati, posso essere bravo quanto un collega belga, ma se lui ha la macchina e io no, il progetto va a lui. E le macchine costano: in optometria, una macchina per misurare costa 2 milioni di euro e quella per verificare cosa c'è che non funziona ne costa uno. Dopo di che, c'è solo da sperare che non si rompano. Il risultato è lavorare con roba obsoleta: il mio microscopio elettronico ha la bella età di 18 anni". Nei mesi scorsi, l'università di Bologna ha messo a rumore il mondo scientifico, inventando il nanospider, un aggeggio grande quanto una molecola, con tre gambe e tre anelli, capace di sollevare un peso tre miliardi di volte superiore al suo. L'hanno inventato all'università di Bologna, ma, per realizzarlo in concreto, hanno dovuto rivolgersi ai colleghi dell'università di California.
C'è un modo per misurare questo scollamento fra scoperta e realizzazione: i brevetti. "Da molti anni - dice Luciano Gallino, l'autore de "La scomparsa dell'Italia industriale" - acquistiamo molti più brevetti di quanti ne produciamo. Inoltre, i nostri sono, per lo più, a basso contenuto tecnologico. Solo il 10 per cento può essere definito high-tech. E' una brutta pagella".

Guardiamo più da vicino. "Dieci anni fa - osserva Mario Pianta - la letteratura scientifica italiana era ancora tutta concentrata su fisica, ingegneria, chimica. Invece americani, svedesi, inglesi, francesi, tedeschi, giapponesi si erano già lanciati sulle scienze della vita - biologia, genetica, medicina - che sono il boom di questi anni". Scontiamo ancora questo ritardo: solo il 2 per cento delle pubblicazioni sulle riviste internazionali di biotecnologia è italiano. Giapponesi e inglesi sono al 10 per cento, francesi e tedeschi al 6, gli spagnoli al 2,6 per cento. E anche nei nostri supposti settori forti, "oggi la Corea vale l'Italia per i brevetti nelle tecnologie intermedie, ma è molto più avanti, ad esempio, su elettronica e computer".
Insomma, aggiunge Pianta, "oggi scopriamo di essere arrivati alla stazione con l'accelerato, anziché con l'Eurostar e, così, abbiamo perso la coincidenza. Intanto, però, era arrivata la corriera con i coreani e gli indiani che, quel treno, l'hanno preso".
(1-continua)
(6 maggio 2004)

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liberista fino al midollo, eh?

potremmo andare avanti per secoli

vado a lavoro, nella mia bella multinazionale.
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Originariamente inviato da -kurgan-
liberista fino al midollo, eh?

potremmo andare avanti per secoli

vado a lavoro, nella mia bella multinazionale.
be buon lavoro a piu tardi...

la ricerca non e' liberismo....e solo bene per la propia nazione.... a frappeeeeeeeeeeeO_O

spero che sia italiana la multinazionale...(non credo)
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