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[KITEGEN] Aquiloni energetici
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Aquiloni energetici
di Giuseppe Caravita
Dal prossimo settembre a Berzano S. Pietro, in provincia di Asti, spunterà dalla campagna un lungo stelo alto 25 metri, e sotto una strana cupola trasparente. Lo stelo, o stem, sorreggerà un grande aquilone a forma allungata, analogo a un parapendio, ma di alcune decine di metri quadrati. Due potenti ventilatori lo innalzeranno in cielo, fino a 200 metri. «Ma ne basteranno 80 perchè l’aquilone cominci a galleggiare nel vento per poi salire fino a 800 metri. E intanto lo stelo ne governerà le funi, facendogli compiere un volo calibrato. Con una portanza, in salita, che farà girare alternatori anche da 3 megawatt. Poi, raggiunti gli 800 metri, basterà tirare una sola fune per mettere l’aquilone in scivolata d’ala (come se fosse una bandiera), quindi ritirare velocemente le funi quasi senza dispendio di energia, tornare a 400 metri, rimetterlo in portanza e ripetere la risalita oscillante, con connessa produzione di energia elettrica dai venti di alta quota. Il tutto per 5mila ore medie annue stimate, ben di più di una torre eolica normale». Una sorta di "yo-yo" energetico, un saliscendi continuo, ma altamente controllato.
Questa, per sommi capi, è la descrizione che Massimo Ippolito, fondatore della Sequoia Automation di Chieri, fa della sua prima creatura, il Kitegen-stem. Ovvero il primo prototipo al mondo di centrale elettrica da energia eolica di alta quota, oggi in fase di produzione nei suoi componenti e che dovrebbe cominciare a operare in autunno nel «laboratorio a cielo aperto», di Berzano, con l’aiuto del comune astigiano, «fino a farne un centro dimostrativo, di ricerca e di formazione su questa grande risorsa naturale che è il vento di alta quota».
Per Ippolito e il suo team è un passo avanti fondamentale, dopo oltre cinque anni di ricerche, sperimentazioni sul campo, errori e correzioni attuate insieme a varie università, in primis il Politecnico di Torino. «Oggi abbiamo il progetto completo in produzione, ma quanti aquiloni abbiamo esplosi negli anni scorsi! Un numero indecente». Eppure l’idea base del Kitegen si è dimostrata valida. «Siamo partiti dai nostri sensori, accelerometri tridimensionali, montati su aerei ultraleggeri. Li produciamo da una decina d’anni, e riusciamo a controllarne il volo, a più di mille mentri d’altezza, con pochi metri di errore. E allora ci chiedemmo: perchè non provare con l’ala di un aquilone, capace di sfruttare, almeno in teoria, i 3600 terawatt del sistema eolico terrestre? Una risorsa naturale di due ordini di grandezza superiore ai 15 terawatt che oggi l’umanità produce».
Il vento di alta quota è però una brutta bestia. «A mille e più metri di quota tutto può muoversi a potenze quadratiche. Una raffica significa avere a disposizione non più di venti o trenta millisecondi per reagire con il controllo computerizzato dell’aquilone. E non li avevamo, con i sistemi tradizionali. Per questo spaccavamo i kite». La soluzione è lo stelo, una gigantesca canna da pesca flessibile «in alluminio con interno a nido d’ape, in polimeri speciali o in vetroresina riempita - ne proveremo tre tipi». Lo stelo, come la canna, forma un leggero angolo con le funi tese, «e ci garantisce quei pochi metri angolari di margine elastico in grado di assorbire l’inizio delle raffiche, per poi consentire al sistema di reagire e rielaborare il profilo di volo». Come prendere all’amo un tonno, la canna si flette e dà il tempo per dare o tirare la lenza.
Il Kitegen è infatti un sistema robotico estremamente sofisticato. «I sensori montati sull’aquilone comunicano al computer di controllo i dati reali in quota. Il sistema parte con un modello grossolano basato sui dati meteorologici, ma in una decina di minuti si aggiusta e si ottimizza». E il braccio governa le traiettorie ottimali, e la salita e discesa dello Yo-yo energetico.
«Vogliamo dimostrare che il kitegen-stem, con 5mila ore di volo annue per vent’anni, ripaga settanta volte se stesso in termini di energia e lavoro necessario a produrlo». Ovvero venti volte una torre eolica tradizionale, o quanto frutta in termini energetici un giacimento petrolifero affiorante, di quelli dei tempi d’oro della corsa all’oro nero. E che oggi, quasi, non esistono più.
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Intervista a Massimo Ippolito, fondatore di Sequoia Automation e inventore del Kitegen
Mio padre mi ripeteva, già vent’anni fa, che avrei visto la fine del petrolio. E, come disse Einstein, per risolvere un problema non va bene la stessa mentalità che l’ha provocato. Per questo dopo vent’anni di lavoro nell’elettronica, e nei sistemi elettrici e di automazione, mi sono messo a pensare diversamente. A una risorsa enorme, il vento d’alta quota.
Solo come potenziale il vento d’alta quota è oltre 100 volte il consumo di energia del pianeta?
E’ diverso. Come risorsa è 3600 terawatt, contro circa 16 prodotti nel mondo. Quindi in ogni istante l’energia totale disponibile dal regime stazionario dell’atmosfera è di 270 volte il fabbisogno energetico umano.
Questa energia è costituita dai venti geostrofici, ovvero le masse d’aria spostate dalle forze di Coriolis. Prima c’è il ciclo termico, con l’aria che sale all’equatore e poi precipita ai poli. Ma qui si innestano le forze di Coriolis, che deviano i flussi, da un continuo vento da sud verso Nord in un sistema di venti che seguono la superficie della terra. Le celle di circolazione atmosferica si legano assieme, e formano il regime stazionario dell’atmosfera. In totale 3600 terawatt, contro 14 consumati oggi, in recessione, e una capacità complessiva di 16. Anche ammettendo, con lo sviluppo globale dei prossimi decenni di aggiungerne dieci, il potenziale resta di un ordine di grandezza superiore ai fabbisogni globali.
In più. Questo regime stazionario viene rinnovato dal sole solo con 800 terawatt. Dal punto di vista fisico è interessante, ma da quello tecnico interessano i 3600 terawatt. Faccio un esempio, per capirci: supponiamo di avere una vasca da bagno con 3600 terawatt, alimentata da un rubinetto di 800 terawatt e uno scarico da altrettanti 800 terawatt. Ho un incendio da spegnere e cosa faccio? Metto il secchio sotto lo scarico, aspetto che si riempia, oppure lo riempio con l’acqua della vasca e vado subito a spegnere l’incendio?
Con questi 3600 terawatt poi siamo più liberi di mettere i generatori dove vogliamo. Di amministrare la risorsa, e di gestirla al meglio. Ce n’è talmente tanta che può essere usata come vogliamo.
Una sorta di Happy problem, che potremo tranquillamente affrontare nei prossimi 20-30 anni. L’importante è la stima dell’Eroei, ovvero dell’energia che dobbiamo spendere per ricavarne altra rinnovabile. E in quale misura. Oggi questo è il problema a lungo termine un po’ di tutte le fonti, sia fossili, nucleari che anche rinnovabili. E oggi l’Eroei delle fonti fossili sta scendendo, mentre quello delle fonti alternative resta piuttosto basso. Questo implica che il mondo verrà condannato a un relativo impoverimento, dovrà produrre sempre più energia solo per produrre l’energia necessaria alla sopravvivenza della civiltà umana….
Esatto. Io sono un figlio d’arte. Mio padre era il responsabile dell’impatto ambientale della Fiat. Ed era lontano parente di Felice Ippolito. Per me, fin da bambino, lui era un mito. Sono un nuclearista convinto, ma realista. Nel senso che so che non c’è più uranio sufficiente. Da bambino presi un dieci, pur essendo una scarpa a scrivere, in un tema sull’energia nucleare. La maestra dovette portare il mio tema alla facoltà di fisica perché non ci capiva niente.
Loro confermarono tutto. E presi dieci. Sono un meccatronico per formazione. Invece che continuare il Politecnico mio padre fu d’accordo a lasciarmi fare uno stage, alla Polielettronica di Ferrara. Fu la mia fortuna. Trovai molti maestri, progettisti meccanici e elettronici. E alla fine ero l’unico allievo, davvero interessato, di questi grandi maestri. Che alla fine hanno fatto diventare la Polielettronica una delle aziende più fiorenti di quegli anni. Il signor Poli era il secondo 740 italiano, per tasse pagate. Loro sono sempre stati sulle macchine per fotolaboratorio. E lì ho potuto vedere i primi microprocessori della storia. Da là è nata un’attività indipendente. Svolgendo attività di assistenza tecnica, ho riparato migliaia di macchine complesse. Poi divenni abbastanza famoso nel settore perché riparavo in un paio d’ore macchine elettroniche mentre altri ci mettevano settimane…Poi mi sono messo a progettare e produrre sistemi elettrici e di automazione….
Ma l’idea dell’aquilone da dove proviene?
Parte da storie un po’ militaresche. Nel senso che la Sequoia Automation, nel corso del suo sviluppo, ha realizzato un accelerometro triassiale con intelligenza a bordo, fino al punto di calcolare le trasformate di Fourier a bordo. E lo produciamo da circa dieci anni.
Questo oggetto è stato applicato su aerei ultraleggeri, di vario tipo. E il passo per metterlo sugli aquiloni è stato quindi piuttosto breve. Una piattaforma inerziale con 12 gradi di libertà. Perché abbiamo sia la posizione che la velocità, sei più sei. Con un metodo di over-sampling che riduce il rumore, ovvero l’imprecisione di misura. Il nostro sistema così può essere applicato su una macchina utensile per misurare tutta la catena cinematica di lavorazioni con precisioni di lettura dell’ordine dei nanometri.
Quindi abbiamo l’organo di misura che ha la risoluzione per validare righe ottiche di una macchina utensile e farla lavorare con precisioni di micron. Ovviamente la precisione di un sistema di misura deve essere almeno di un ordine di grandezza superiore al sistema da misurare.
Il problema degli accelerometri è la precisione continua. Gli errori degli accelerometri si accumulano nel tempo. Il punto è che il sistema di integrazione si deve resettare periodicamente con un punto di riferimento assoluto, come un magnetometro (bussola) in modo da correggere gli errori. E noi abbiamo integrato tutto questo nel nostro sistema. E questo al netto, nel caso degli aerei, del Gps.
In un certo senso, sull’aquilone, avete quindi incominciato dalla fine, dal sensore che va sull’ala per isurare la sua posizione in ciascun istante…
Avendolo messo sugli ultraleggeri abbiamo capito che potevamo controllare qualsiasi ala volante. Se tu guardi lo schema a blocchi di un controllo numerico di una macchina utensile devi avere l’organo di misura della posizione attuale che dice al controllo alcuni dati, posizione, velocità…A sua volta il controllo dice al servodrive di comandare i motori. Questo comando torna indietro come feedback di controllo. Il feedback si chiude a tre livelli, diciamo di forza e accelerazione, velocità e posizioni. Sono tre feedback che si chiudono assieme. Quando abbiamo capito che per controllare il volo dell’aquilone avevamo il servodrive e l’attuazione dei motori, ci mancava solo lo strumento di misura, che è appunto l’accelerometro montato sull’ala. Ho lavorato per molti anni come responsabile della ricerca della Fidia, una cosiddetta multinazionale “tascabile” delle macchine utensili avanzate. Che fa controlli anche a cinque assi. E di automazione ne capisco un poco.
Torniamo all’eroei. Se guardiamo complessivamente allo scenario energetico attuale vediamo che quello dei fossili cala, l’eolico tradizionale sembra fermo, e il fotovoltaico appare ancora piuttosto basso. Con una ricerca sulle nanostrutture che potrebbe essere anche molto lenta. Dove sta la soluzione, almeno per i prossimi anni?
Io riconosco un fondo di verità nelle critiche alle tecnologie energetiche alternative, ancora di nicchia. Quali quelle, drastiche, fatte da Franco Battaglia. Benché lui mostri la stessa miopia verso il nucleare, che è e resta una cenerentola. Nessuno, per esempio, sa esattamente il ciclo di vita dei pannelli in tellururo di cadmio. Questo è ancora un punto interrogativo. C’è chi arriva a sostenere che i pannelli fotovoltaici dovrebbero avere un ciclo di vita breve, da cinque anni, per ragioni di marketing e di vendita continua ai clienti. Una follia, sarebbe una strage termodinamica. Useremmo più energia di quella prodotta solo per ragioni commerciali. Il modo giusto invece per affrontare l’innovazione energetica sta nel misurare l’eroei effettivamente ottenibile, e su un ciclo di vita il più lungo possibile. E poi l’eroei lo calcoliamo con il metodo di Jeff Vail, ovvero a regressione infinita, sui veri costi industriali (salari inclusi, istallazione…), oppure, come molti accettano oggi, solo sui materiali necessari a produrre i vari dispositivi o a estrarre le risorse? Adotto in via conservativa il metodo più restrittivo e quindi ricavo dal kitegen un valore di 70, che va moltiplicato per dieci per compararlo con quello comunemente accettato per il fotovoltaico e l’eolico. Se si calcola, spesso, che l’eolico tradizionale ha un Eroei limitato ai materiali di 20-30, quello reale, secondo il metodo di Vail, è solo tre. E trovo quest’ultima metodologia più razionale. Perché si usa il costo industriale.
Quindi, sostieni che se sbagliamo i conti sull’eroei facciamo un errore davvero madornale. Potremmo trovarci a investire su fonti alternative che invece di dare un futuro all’umanità potrebbero generare ulteriori danni, anche catastrofici. Quindi è bene usare qui un principio di precauzione, calcolare tutti i costi incorporati nelle fonti, secondo un metodo di regressione infinita…..
Sì. Un Eroei di 70 è molto simile all’Eroei dell’estrazione del petrolio nei primi anni dello scorso secolo. Mi sono divertito a fare dei diagrammi sulla propagazione sostenibile dei Kitegen. Che è del 360%. Il primo anno facciamo un kitegen-stem e ne traiamo due milioni di euro in termini anche di certificati verdi. Il secondo anno ne possiamo quindi fare tre, poi dieci e così via. Il risultato è 360%, e in autofinanziamento. Io sono il peggiore dei catastrofisti. Perché spesso mi sento in dovere di dire che se non ci aiutate con il kitegen è la catastrofe. E siamo alla ricerca di concorrenti, di gente che ci vinca tecnicamente, da cui imparare.
Ma perché Google non ha investito su di voi?
Perché tutti i brevetti sono nostri e Google chiede contrattualmente la cessione dei diritti a fronte delle risorse offerte. Il vento d’alta quota e’ comunque una fonte originaria a disposizione di tutti, e per Eroei persino in grado di estinguere l’enorme debito pubblico che si sta accumulando, che ci renderà tutti meno liberi. Se gli stati volessero potrebbero persino espropriarci i brevetti sul Kitegen e provarci prima, e magari andare da subito ad altitudini più alte dei soli mille metri ipotizzati da noi. Si farebbe prima ad avviare una transizione energetica e un ripagamento del debito pubblico che altrimenti potrebbe anche durare un secolo. Una moneta dove su una faccia ci puoi mettere quello che vuoi, il simbolo dell’Euro, di George Washington o della bandiera cinese. Ma sull’altra faccia c’è il chilowattora ad alto Eroei. Oggi il petrolio costa in media 45 euro a barile, come costi di estrazione. E ci si tende ad allineare, per forza di cose, all’Eroei peggiore. Parliamo di Google. Saul Griffith, il fondatore di Makani Power era in contatto con me. Ed è andato da Google a farsi dare i soldi per aggirare i nostri brevetti. Ora sta, a mio avviso, perdendo tempo.
Ma esattamente a che punto siete?
Ora la macchina esiste, è in officina. Bastano 1,36 chilowattora per mandare a 200 metri un aquilone. Qui a Chieri comincia a galleggiare a 80 metri. Da lì in poi lo possiamo portare a 800 metri e poi cominciare il ciclo energetico da 400 a 800 metri e viceversa. Con un milione di euro a megawatt, costa poco. Abbiamo fatto gli accelerometri, il controllo e la macchina ha già funzionato in ambiente di simulazione, fin dal 2005. Con questo percorso top-down. Ora la novità è il progetto completo di costruzione, che è stato presentato a un Comune piemontese.
E poi c’è questa autorizzazione dei militari dell’aeronautica per poter operare in sicurezza fino a mille metri. Lo Stem lo mettiamo a Berzano S. Pietro, in provincia di Asti. Con un braccio alto 25 metri. Qui contiamo di fare un’attività di sperimentazione, di educazione, di affinamento. Un centro di dimostrazione e informazione sulle energie rinnovabili, per il Comune.
Poi con il sistema standardizzato tutta questa parte inferiore semisferica può andare sottoterra.
E l’autorizzazione diventa simile a quella di un lampione.
In fase di rilascio l’energia viene prodotta dagli argani, in fase di recupero l’aquilone si allinea e non si spreca se non pochissima energia.
(Si veda il video).
E’ una scivolata d’ala. Il problema è che quando scivola tende ad avvitarsi e l’accelerometro lo controlla. Possiamo quindi riportarlo in traenza e fargli compiere dei cerchi per riallineare le funi, che comunque possono avvitarsi su se stesse anche dieci volte senza alcun problema. Questo non ci preoccupa.
Ma se vi capita un evento di vento incontrollato, una forte raffica di vento?
Noi lo controlliamo attentamente, il kite comunque vola a una velocità di 60 metri al secondo. E fenomeni naturali che superino i 60-
80 metri al secondo sono abbastanza rari. Le raffiche sono assolutamente previste. Sono quelle che hanno messo in croce i nostri primi tentativi. Abbiamo esploso un numero indecente di aquiloni. Tutto viaggia a potenze al quadrato in caso di raffiche. Di colpo il kite accelera, raggiunge velocità altissime, la potenza va in progressione esponenziale al settimo grado. Incontrollabile.
A quel punto abbiamo capito che avevamo bisogno di tempi di reazione dell’ordine dei 20-30 millisecondi. Negli organi meccanici, e non li avevamo. Con grossi tamburi di alleggerimento e di ricarica delle funi il transiente di accelerazione avrebbe richiesto gigawatt di potenza immediata.
Oggi abbiamo un diagramma di tutta la catena cinematica, la forza si esercita per una parte sul kite, poi sulla fune e sul braccio. E lo stem non è altro che una grossa canna da pesca flessibile. Uno stelo. Una canna da pesca che lascia 4-
5 metri di ricchezza di fune. In cima allo stem c’è una puleggia che mantiene l’angolo elastico.
Ovvero fa un angolo con la fune tirata, per circa 4-
5 metri che, se per caso arriva il colpo di vento, ci dà quel margine di risposta necessario a gestire i millisecondi necessari alla risposta. Più altri presidi elastici presenti nella macchine che ci consentono di contenere il colpo di vento. Quindi le forze che deve sopportare il kitegen non sono dettate dai venti, ma decise da noi. Siamo noi che decidiamo che il kitegen deve sopportare queste forze. Ed è la manna dal cielo. Noi possiamo dimensionare il kitegen non sulle forze del vento ma in funzione della sua produzione energetica. Se cioè deve produrre 3 o più megawatt.
Ed è questa la vera differenza con le torri eoliche. Queste ultime fanno un braccio di ferro con le forze della natura. Se andiamo a vedere il coefficiente di drag di una torre eolica ci accorgiamo che il problema è proprio la torre. Le palette infatti non offrono resistenza. Sono neutrali, in caso di vento eccessivo. Ma la torre è lì. Noi stiamo contando il numero di torri eoliche che stano cadendo, perché in atmosfera abbiamo più energia del previsto. E abbiamo sempre più energia rispetto alle serie statistiche dei sessant’anni prima.
Questo significa che le torri fanno sempre più fatica. E non durano più vent’anni, anche se cercano di farle per questa durata. Ma questo anche significa che l’Eroei tende a diminuire. E bisogna mettere sempre più acciaio.
E poi quando arriva un colpo di vento la torre crolla. Solo la torre eolica danese, più bilanciata, ha qualche chance in più.
Lo stem è invece flessibile e leggero. Sono in corso di produzione tre prototipi. Uno in alluminio con nido d’ape interno; un altro in vetroresina riempito con espansi; il terzo polimerico.
Ora li stiamo producendo in officina, poi monteremo i pezzi e cominceremo le prove.
E’ come dire: provate a pensare di aver preso un tonno o un pesce spada con un canna da pesca. Se quest’ultima è rigida si spacca, se invece è flessibile vi dà gioco per allungare e poi ritirare la lenza…..
Esatto. Il mulinello non aveva il tempo per liberare nel tempo breve del colpo di vento. Poi c’è l’elasticità delle funi in polimeri, quindici volte più resistente dell’acciaio a parità di peso. E il sistema interno di trazione e rilascio. Con un puleggia e un sistema di capestani modulari, relativamente piccoli, che ripartiscono la potenza senza scaldare e affaticare le funi.
Questo dell’elasticità necessaria è solo uno dei due problemi che ci ha dannato per anni. Quando il kite ha raggiunto i mille metri noi dobbiamo tornare indietro. E di quanto? Di una quantità di altezza graduata sul vento, scelta momento per momento. Se il vento di bassa quota è nullo staremo in quota, altrimenti faremo riavvolgimenti più lunghi. Molto veloci, in scivolata d’ala, a 20-
25 metri al secondo. Mentre lo svolgimento è a 4-
5 metri al secondo. E quando riavvolge consuma 50 kilowatt, quasi due ordini di grandezza sotto l’avvolgimento a 3 megawatt.
Tira il cavo nudo, in pratica….
La macchina è modulare, basta aggiungere alternatori. Possiamo partire da 500 kilowatt e arriveremo a 3 megawatt.
Con il camioncino e l’argano del nostro primo kite sperimentale a Chieri, dove abbiamo la sede, abbiamo misurato che bisogna salire a 120-
150 metri per prendere il vento. Quando l’aquilone comincia a salire si generano due effetti: la velocità del vento cresce con la costante di Hamilton e la potenza cresce con il cubo dell’altitudine ma, allo stesso tempo, l’aria è più rarefatta, e la crescita di potenza reale è al quadrato. Però l’ala con la diminuzione della densità dell’aria aumenta la sua velocità di volo, esattamente come i jet che volano a migliaia di metri. Aumentando la velocità di volo l’ala fa crescere la forza sulle funi al quadrato. Il combinato tra le due forze mi porta alla quarta potenza. Quindi è una manna dal cielo andare in quota più alta. Più alto è il kite e più facile da manovrare. Il peso delle funi è del tutto irrilevante. Lo abbiamo rilevato con le prove sia a 300 metri , poi a mille e quindi a 1500 metri . La cosa è assolutamente monotonica. E la facilità di governo dell’aquilone aumenta in corrispondenza. Lui vola, quindi è come se spazzolasse lo spazio aereo continuamente, come se fossero scansioni di un raster dello spazio aereo. La torre eolica ha solo un ettaro di fronte vento da sfruttare. Mentre il Kitegen ne ha un chilometro. Quindi sottraiamo meno vento di una torre, che lo riduce da dieci a quattro metri al secondo. Il Kitegen invece riduce il vento da 10 a 9 metri al secondo. Il che significa che il Kitegen va bene anche con venti deboli, già a 2 metri al secondo comincia a volare, a 4 metri al secondo diviene produttivo e i 4 metri al secondo sono quasi sempre disponibili.
Con un milione di metri quadrati a disposizione noi dobbiamo prelevare, per fare i 3 megawatt, circa 3 watt per metro quadro. Quindi anche venti poveri o deboli sono sufficienti alla produzione. Perché questo nostro interesse maniacale per i venti deboli? Per risolvere la questione dell’intermittenza. Perché? Da un lato abbiamo verificato sul campo che riusciamo a volare anche con venti fortissimi. Tanto il kite va fuori dalla finestra di potenza, si mette ai bordi e lavora benissimo anche con venti estremamente violenti. Dall’altro abbiamo imparato a governarlo in modo ottimale. Con un vento a 60 metri al secondo il kite sta praticamente fermo, assorbe la potenza e sale linearmente. Con 40 metri al secondo fa delle piccole oscillazioni, raggiunge volando una velocità (e un vento apparente) di 60 metri al secondo e trae potenza. Con 20 metri al secondo le oscillazioni saranno più ampie, quindi il vento apparente resterà più o meno uguale.
C’è quindi un software di governo che, sulla base delle forze sensorialmente rilevate, genera un programma di volo ottimale.
Facciamo, in tempo reale, la modellizzazione a elementi finiti dello spazio in cui vola il Kitegen. In modo da essere anche predittivi. Per decidere le zone, l’altitudine, il movimento, se il vento sta ruotando. Il modello si aggiorna continuamente. Parte con i dati di vento fornitici dalle fonti meteorologiche. Ma è solo una prima sgrossatura. Poi il kite, volando all’interno della massa d’aria reale, aggiusta il modello. E per ogni attraversamento dello spazio aereo noi iniziamo a interpolare sui dati grossolani quelli sensoriali reali in modo tale che il modello diventa sempre più preciso. Raggiungiamo una buona precisione, tanto per dire, in non più di dieci minuti.
E in questo modo riusciamo a regolare le traiettorie e i percorsi per essere stabili. Per massimizzare le ore di produzione effettiva. Che vogliamo costante. Sulla letteratura scientifica si arriva a stimare, per questo tipo di macchine, una potenza teorica massima di 25 megawatt. Ma sono ricerche estreme. Noi non abbiamo dichiarato mai più dei 3 megawatt. Perché ciò che a noi davvero interessa è la continuità di funzionamento, e la stabilità produttiva del sistema. Non i picchi. Con una potenza garantita di 3 megawatt per 5-6mila ora anno ce n’è da vendere, con una macchina da un milione di euro che dura almeno vent’anni.
E poi a 25 megawatt avremmo forze sulla fune di un mega-newton, e non c’è materiale che possa reggerlo, un muro ancora insormontabile. A 3 megawatt invece è del tutto gestibile.
In Italia in quali condizioni reali pensate di trovarvi a operare?
Questo prototipo impiegherà almeno un paio d’anni per andare a punto. Realisticamente. Ma comincerà a lavorare da settembre. Iniziamo con il mobile-gen, collaudando le ali e il controllo. Però ho un problema. I fornitori qualificati di alcune tra le numerose componenti del prototipo rischiano la bancarotta. Hanno la gente in cassa integrazione. Sono spaventato, specie sul lato dei componenti più sofisticati, quali l’elettronica. La tenuta della filiera industriale oggi sembra infatti essere il nostro maggiore problema.
Avete avuto finanziamenti e sostegni pubblici?
Sulla carta abbiamo acquisito, grazie a vari bandi e programmi di ricerca, crediti per diverse decine di milioni di euro. Verso lo Stato italiano. Ma ad oggi non abbiamo visto un euro. Abbiamo dedicato soldi e molto tempo per partecipare al Pnr della Moratti, a Industria 2015, ai FIT (fondo rotativo per l’innovazione tecnologica). Soldi sprecati, tempo, attenzione. All’atto pratico niente. Pur essendo assegnatari, sulla Gazzetta Ufficiale. Stiamo ancora aspettando, da anni, che la politica colga l’importanza del progetto e rimuova gli ostacoli. Ci finanziamo con l’Europa. Quelli funzionano. E un po’ di seed capital, vendendo piccole quote dell’azienda. Una bellissima iniziativa è Wind operation worldwide (Wow), un’associazione di piccoli investitori che aiutano i progetti alternativi. Ha sede a Livorno e sta avendo un buon successo.
Quali fondi europei?
Questa è un’altra bella storia. La direzione generale Ue per l’Energia ci vede come il fumo negli occhi. Perché sono quelli che finanziano la fusione nucleare. E me lo hanno detto anche in faccia. Visto che il 60% dei soldi europei vanno al nucleare non vogliono pericolosi concorrenti. Magari finanziano l’idrogeno, o progetti su rinnovabili fantasiose, come il Wave Dragon o il Pelamis, sistemi a onde marine che non avranno mai futuro. Con un investimento milionario ci si ricarica il telefonino. Invece ci ha finanziato la direzione generale sull’Ict e soprattutto, oggi, la Direzione Trasporti Energia e Aeronautica.
Originariamente siete partiti con l’idea di un carosello, ovvero di un cerchio di aquiloni rotante. Quell’idea è stata abbandonata?
Assolutamente no. Lo Stem è solo uno dei bracci dei futuri caroselli. Oggi lavoriamo sugli argani per produrre energia. Ma il carosello produrrà energia non con la forza ma con la velocità di volo dell’ala, che è di 60-
80 metri al secondo. Visto che se si moltiplica velocità per forza ottengo la potenza, nel carosello la velocità è più alta e la forza è più bassa. Nello stem è il contrario.
Ma cosa significa lavorare sulla velocità? Bè, ha una conseguenza importante. Tutto può essere più leggero, le funi più sottili, la struttura meno costosa. A parità di potenza. E quindi il carosello, dal punto di vista dell’Eroei è cinque volte lo Stem. Non ci sono dubbi: la velocità media di srotolamento dello Stem è di 4 metri al secondo, quella del carosello è una rotazione tangenziale a 20 metri l secondo. E questo rapporto si ripercuote sulle forze, ovvero forze cinque volte inferiori a parità di potenza. Essendo una struttura di circa mille metri di diametro gira come un orologio. Come un lento ottovolante, o una giostra.
Ovviamente possiamo anche, a parità di materiale, alzare la potenza specifica di cinque volte. Il sistema dei kite comporta un volo sinusoidale, con agli estremi momenti di transizione veloci che sono una virata e una strambata. Le funi girano costantemente, con un programma di controllo che mantiene ogni Kite in una posizione definita di una decina di metri di raggio. Sembra preciso ma non è così, un controllo di una macchina utensile è almeno venti volte più preciso. Però operiamo nell’aria libera e su un controllo predittivo. Moduliamo l’altezza e la direzione.
Se lo Stem ha un eroei (a costo industriale) di 70 allora il carosello arriverebbe a 350?
Per l’esattezza abbiamo stimato 370, superiore all’Eroei dei primi pozzi di petrolio, a petrolio affiorante. E il kitegen, rubando al vento circa un watt a metro quadro, tende ad abbassare il calore atmosferico. L’energia cinetica sottratta va infatti a togliere attrito agli strati d’aria. L’effetto è minimo, ovviamente, sui piccoli numeri.
Ovvio, se la progressione di costruzione degli stem è lenta gli effetti si vedranno solo tra molti decenni…
Immaginiamo che nessuno ci voglia bene. E che dovremo finanziarci da soli. Installo il primo stem, però ottengo 2 milioni di euro in un anno a regime. Compresi i certificati verdi. Con questi 2 milioni posso installare altre tre macchine, ovvero 9 megawatt istallati. Incasso 6 milioni, metto dieci macchine. E così via. Al 2020 di questo passo farò 3 terawatt in autofinanziamento, pari più del 20% dell’obbiettivo dell’Unione Europea. E la progressione, in autofinanziamento, è calcolata su prezzi dell’energia elettrica abbastanza conservativi. Si provi a immaginare se Obama si accorgerà di noi e, magari, al 2011, ci chiederà una trentina di macchine…basterebbe un piccolo salto e la progressione si innalza.
Uno spazio di kitegen anche per l’offshore?
Uno stem lo puoi ancorare al fondo con un peso morto, lo metti su uno scafo circolare e funziona perfettamente, con costi di un ordine di grandezza inferiori a una torre eolica impiantata sul fondo.
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finalmente un'intervista molto più tecnica, rispetto agli sporadici articoli che si trovano su internet. Se ne può discutere serenamente? La ricerca e la progettazione sembrano in uno stato parecchio avanzato
Ultima modifica di T3d : 22-07-2009 alle 12:30.
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