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Operazioni contro LRA tra Sudan e Uganda: 40 miliziani uccisi
Operazioni contro LRA tra Sudan e Uganda: 40 miliziani uccisi
Inviato da Ottavio Pirelli martedì, 06 settembre 2005 17:28 Nuova operazione dell'esercito ugandese tra il nord del paese e il sud del Sudan: 40 combattenti del Lord's Resistance Army (LRA) sono stati uccisi, mentre cinque bambini ostaggio dei ribelli (e futuri baby-combattenti) sono stati liberati. Gli interventi militari degli ultimi giorni, secondo le informazioni rese dall'agenzia Misna, hanno impegnato i militari sia sul terreno, sia per aria con incursioni dei mezzi dell'aviazione. Le zone interessate dagli scontri sono state quelle in prossimita della frontiera: Atiki e Kadomera, oltre ai distretti di Pader e Acholibur. I risultati della controffensiva del governo di Kampala contro i ribelli arrivano in un momento di forte impegno anche del Sudan nel tentativo di contrastare le milizie di Joseph Kony. Secondo quanto riferito dalla Xinhua, domenica scorsa il governo sudanese ha rinnovato ufficialmente il proprio impegno al fianco del Sudan People's Liberation Movement e delle autorità ugandesi per porre fine una volta per tutte alla presenza dei combattenti del LRA lungo il confine tra i due stati. (O.P.) (WarNews.it)
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Sudan, varato il Governo
Inviato da Beatrice Giunta mercoledì, 21 settembre 2005 23:11 Il Presidente del Sudan Omar al-Bashir ha annunciato la formazione di un nuovo Governo di unità nazionale come parte di un processo di pace firmato con gli ex ribelli meridionali, in accordo con i termini del CPA (Comprehensive Peace Agreement) siglato fra il Governo e l’SPLM/A. C’è stato un ritardo iniziale per un litigio su chi avrebbe diretto il portafoglio dell’energia, soprattutto per il controllo della vitale industria del petrolio, rimasta nelle mani del partito del Presidente. Il più grande disappunto per i sud Sudanesi, secondo la BBC, è proprio che non sia stato loro assegnato il ministero per l’energia e l’industria mineraria, che include appunto il settore del petrolio. Secondo i termini dell’accordo, il reddito del petrolio sarà diviso al 50% con il nord, ma la maggior parte delle riserve sono al sud. Dei 29 Ministeri, 16 rimangono nelle fila del settentrionale National Congress Party al potere, 9 vanno all’SPLM ed i gruppi più piccoli hanno il resto. Il Ministro degli Esteri, Lam Akol, proviene dall’SPLM. La nuova National Assembly temporanea del Sudan ha tenuto la sua prima sessione il 31 Agosto. L’accordo, che è cominciato con un periodo di transito di sei anni, mette in dettaglio, secondo quanto riferito dall’IRIN, i protocolli sul potere legislativo condiviso e le risorse naturali. Il sud Sudan voterà per decidere se rimanere politicamente unito al nord o separarsi da esso dopo il periodo di transizione. Secondo gli osservatori, la formazione di un’unità di Governo è un’altra pietra miliare nell’implementazione del CPA che ha terminato 21 anni di conflitti fra nord e sud del Paese. Il sesto round dei colloqui di pace di Abuja tra il Governo ed i due principali gruppi ribelli – l’SLM/A ed il JEM (Justice and Equality Movement) del 15 settembre sono ripresi tra reciproche recriminazioni. Lunedì scorso darfournews ha riportato la notizia del colloquio tra il Segretario generale dell’ONU Kofi Annan con il Ministro degli Esteri Sudanese Mustafa Osman Ismail, nel quale hanno discusso della crisi in Darfur e del processo di pace nel sud Sudan. Il CPA non ha effetto sull’LRA Il CPA non ha avuto gli effetti sperati riguardo le insurrezioni dei ribelli nel vicino nord Uganda, ha riferito l’HRW (Human Rights Watch) secondo l’angolapress. Jemera Rone, ricercatrice dell’est Africa dell’HWR, ha riferito che i recenti attacchi da parte dell’LRA che combattono per rovesciare il Presidente ugandese Yoweri Museveni e dominano il Paese “secondo i dieci comandamenti”, dimostrano che le milizie sono ancora molto attive. Il gruppo ribelle ha ucciso sabato scorso 14 persone, soprattutto donne e bambini, in un’imboscata ad uno scuolabus nel sud Sudan, secondo quanto riportato dall’AFP; l'attacco è avvenuto a Loka, una piccola città fra Juba e Yei. Il Vice Presidente del Sudan Salva Kiir, che è a capo dell’ SPLM, ha avvertito lo scorso mese di volere che le forze dell’LRA non attacchino il sud Sudan. Proseguono i combattimenti Intanto, in Darfur sia i ribelli sia le milizie pro-governative hanno lanciato attacchi negli ultimi giorni dopo mesi di relativa calma. Un vasto attacco di ritorsione da parte delle tribù nomadi armate contro l’SLM/A, secondo l’IRIN, nella roccaforte dei ribelli nelle montagne di Marra nello stato del sud Darfur è stato sferrato per l’apparente ritorsione dopo il furto di 3000 cammelli ed ha provocato più di 40 morti nel Darfur, hanno detto fonti locali. Secondo una fonte all’interno della comunità nomade, i combattimenti sono andati avanti per circa quattro o cinque ore. L’attacco è stato una risposta al raid del 25 agosto al villaggio di Malam, a 50 km dalla capitale del sud Darfur Nyala, durante la quale i ribelli rapirono bambini appartenenti ai nomadi arabi che vivono nell’area. Secondo l’AMIS (African Union Mission in Sudan) i ribelli avrebbero rubato più di 2000 cammelli ed ucciso 3 civili e 3 soldati del Governo. I ribelli dichiarano di essersi impadroniti dei cammelli poiché avevano invaso i loro campi ed i nomadi si rifiutarono di portarli via. La missione ONU in Sudan ha raccomandato una limitazione da tutte le parti, dopo un incremento nei combattimenti a seguito della ripresa dei colloqui di pace la scorsa settimana. Persino le agenzie di aiuto ed i convogli umanitari sono dei bersagli: quest’anno, secondo l’UN News Service, sono stati uccisi quattro conducenti del WFP (UN World Food Program). Il Governo sudanese ha incolpato i ribelli di aver interrotto il cessate il fuoco e dice che le milizie sono solo dei banditi non controllati da loro. Gli osservatori sul campo hanno avvertito ripetutamente che il Darfur è a rischio di piombare in un perenne stato di illegalità. Civili in attesa di aiuti minacciati e donne vittime di incubi I recenti combattimenti nel Darfur stanno minacciando circa 33.000 civili che stanno ricevendo assistenza umanitaria da tre Organizzazioni non governative Internazionali, il cui staff è stato ritirato, secondo quanto riportato dall ‘UN News Service. La situazione è ancora più seria nella città di Shareya secondo l’UNMIS (UN Mission in Sudan); qui più di 50 combattenti del Sudan Liberation Army hanno lanciato un attacco a sorpresa lunedì scorso. Il WFP avrebbe bisogno di 40 milioni di dollari per poter continuare le distribuzioni di cibo nella Regione. La missione ha anche riportato che la situazione di sicurezza nel campo di Kalma, che ospita gli sfollati interni, si sta deteriorando sempre di più, soprattutto per gli attacchi contro le donne sole. L’UNICEF ha dichiarato in un rapporto all’inizio di settembre che gli assalti sessuali da parte delle milizie arabe Janjaweed sulla gente del Darfur non solo procurano ferite fisiche, ma soprattutto traumi psicologici, compresi impulsi suicidi ed incubi da parte delle donne e giovanissime ragazze, con conseguenze anche su mariti e padri. Secondo le testimonianze le violenze avvengono soprattutto fuori dai campi degli sfollati, mentre sono in cerca di cibo e legna. Per queste donne ovviamente le conseguenze psicologiche sono vergogna e depressione, in conseguenza delle gravidanze e delle malattie trasmesse sessualmente. I mariti si prendono cura dei figli delle loro mogli dopo la violenza da parte delle milizie, ma sono sempre bambini Janjaweed, un grosso problema in futuro nelle loro comunità. Beatrice Giunta (WarNews.it)
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LRA in Congo: l’Uganda minaccia l’invasione
Inviato da Ottavio Pirelli mercoledì, 05 ottobre 2005 20:29 Si complica con il passare dei giorni la vicenda dei 400 ribelli ugandesi nascosti tra le foreste del Congo orientale dalla metà di settembre. L'esercito di Kampala ammassa truppe lungo la frontiera, minacciando apertamente di intervenire, mentre da Kinshasa le autorità fanno sapere di non voler tollerare alcuna invasione straniera. E intanto nel Nord Kivu la scoperta di alcune fosse comuni riporta alla luce un passato di violenze ed orrori. La paura di una nuova invasione Erano fuggiti dal sud del Sudan circa due settimane fa, i miliziani del LRA che ora rischiano di far salire la tensione tra Uganda e Congo. Capeggiati dal vice-comandante Vincent Otti, si sono stabiliti nei territori del Garamba National Park, da dove, per ora, fanno sapere di non voler andar via. Neppure la scadenza di un ultimatum lanciato dal governo ad inizio novembre e indirizzato a tutti i ribelli presenti in Congo ha convinto gli uomini di Joseph Kony a fare marcia indietro. D'altra parte, le richieste delle autorità ugandesi in merito ai propri nemici giurati sono quanto mani chiare: disarmare e neutralizzare i miliziani. Kampala punta determinata al risultato, e rincara la dose denunciando l'incapacità di Congo e Onu nel mettere fine alla presenza di gruppi armati nell'est del paese. "Sponsors of terrorism", li definisce il Presidente Museveni, in base a quanto riportato nei giorni scorsi dalla Reuters, aggiungendo che la situazione attuale non è più accettabile e che le foreste congolesi si sono trasformate ormai in altrettante basi per terroristi. Il Capo dello Stato ugandese ha anche minacciato apertamente un intervento diretto dei propri soldati contro i ribelli presenti nel paese confinante, se neppure il MONUC (Missione Onu in Congo) sarà in grado di spingerli alla resa. Sono due i mesi di tempo che Museveni si è detto disposto ad aspettare per la realizzazione del piano di disarmo che la scorsa settimana il vicepresidente congolese Azarias Ruberwa ha dichiarato all'Irin di aver messo a punto insieme con i propri capi militari. A ciò si aggiunga che diverse fonti riferiscono delle attività militari dell'esercito di Kampala lungo il confine. Soldati, attrezzature e mezzi corazzati sarebbero stati già posizionati lungo il confine. Venerdì scorso, intanto, è giunta la risposta altrettanto decisa, anche se apparentemente indiretta, del governo di Kinshasa alle parole del Presidente ugandese: nessuna invasione straniera verrà tollerata. Un avvertimento rivolto a tutti gli stati confinanti, ma che ha come destinatario principale, in questo difficile frangente diplomatico, proprio l'Uganda. Un'ulteriore prova di ciò è giunta nella giornata di ieri, quando l'ambasciatore presso le Nazioni Unite Ileka Atoki ha chiesto - riferisce l'agenzia Misna - alla Presidenza del Consiglio di Sicurezza di attuare una serie di azioni contro il governo ugandese in risposta alle minacce espresse da Museveni durante la scorsa settimana. In particolare, Atoki ha chiesto un embargo sulle armi, che Sam Kutesa, Ministro degli esteri ugandese, si è affrettato a definire "ridicolo". Polemiche a parte, le autorità congolesi vogliono anche dimostrare di potersi occupare direttamente della questione LRA. E le notizie delle ultime ore sembrano confermare queste intenzioni. Circa 300 soldati, secondo i resoconti del network BBC, sono stati trasportati con elicotteri delle Nazioni unite nella zona di Aba. Altri 200 sono arrivati via terra, andando ad aggiungersi a quelli già presenti e in attesa di almeno altri 500 uomini che saranno dislocati prima della fine della settimana. Fosse comuni in Nord Kivu Mentre tra Congo e Uganda si gioca una partita politica e diplomatica dall'esito incerto, un passato, neppure tanto lontano, di orrore e violenza riemerge dalle profondità della terra. Tre fosse comuni sono state scoperte a Rutshuru, località a 50 km da Goma nel Nord Kivu. Un enorme mucchio di ossa e di teschi è tutto ciò che rimane di un numero imprecisato di Hutu, congolesi e ruandesi, che - riferisce la BBC - l'esercito del Ruanda ha massacrato nelle operazioni lanciate sul territorio del vicino Congo dopo il genocidio del 1994. Ad accusare il paese confinante sono non solo le parole di ufficiali dell'esercito congolese, ma anche quelle di un portavoce delle Nazioni Unite che ha definito credibile quella che è l'unica ipotesi avanzata finora. A questo sospetto, da più parti quindi ritenuto fondato, si unisce ora il timore che molte altre fosse possano essere scoperte nella zona. Ottavio Pirelli (WarNews.it)
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Comunque è impressionante come ogni conflitto in Africa sia cancellato dai mezzi d'informazione...
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"Questo forum non è un fottuto cellulare quindi scrivi in italiano, grazie." (by Hire) ![]() Le mie foto su Panoramio - Google Earth |
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Mandato di cattura per i leader dell’LRA
Inviato da Beatrice Giunta domenica, 09 ottobre 2005 21:51 L’ICC (International Criminal Court) ha emesso mandati di cattura per cinque dei membri più alti in grado dell’ LRA (Lord’s Resistance Army), incluso il leader del gruppo, Joseph Kony. La dichiarazione dei mandati è stata data dal Ministro della Difesa Ugandese Amama Mbabazi - riferisce l’IRIN - il quale ha dicharato alla stampa che l’indagine dell’ICC è completa, e che, oltre a Kony, c’è un mandato anche per Vincent Otti, numero due dell’ LRA. Mbabazi, ha riportato l’International on line, ha detto che il mondo intero ricercherà Kony e che ora il Sudan, che ovviamente sa dove si trova, dovrebbe arrestarlo, secondo quanto riportato. La notizia dei mandati è stata rivelata per primo da William Swing, un inviato ONU nella DRC (Democratic Republic of Congo) giovedì scorso e, secondo quanto riferito dalla BBC, non c’è stata alcuna parola dall’ICC stessa. Sempre giovedì, secondo il Daily Monitor, il Ministro degli Esteri Sam Kutesa ed il Ministro di Stato per la Giustizia e gli Affari Costituzionali Adolph Mwesige hanno confermato questi sviluppi. I mandati sono i primi ad essere stati emessi dalla nuova corte all’AIA, il primo tribunale globale permanente istituito per giudicare individui per genocidio, crimini di guerra e abusi sistematici contro i diritti umani. Questi mandati sono arrivati proprio nel momento in cui il Presidente Museveni ha minacciato di mandare militari nell’est del Congo per un inseguimento dei ribelli dell’LRA. I mandati sono stati accolti dall’ HRW (Human Right Watch) come uno sviluppo storico e Richard Dicker, Direttore del Programma di Giustizia Internazionale, ha detto che ciò bolla gli accusati come criminali di guerra da una corte internazionale. Dicker ha anche aggiunto che spera che la corte indaghi sull’esercito ugandese, anch’esso accusato di abusi contro civili durante la guerra con i ribelli. Mbabazi ha detto ai reporter che i Governi del Sudan e del DRC hanno agito separatamente per i mandati di arresto dei cinque uomini. La decisione dell’ICC ha attirato critiche da alcuni leader nel nord dell’Uganda, che hanno sostenuto a lungo che l’implicazione della Corte nel conflitto stava impedendo gli sforzi di pace in corso guidati dall’ex Ministro dell’Uganda Betty Bigombe. La Corte Criminale Internazionale L’ICC ha indagato dal 2004 sui crimini di guerra commessi nei 19 anni di conflitto tra l’LRA ed il Governo nel nord dell’Uganda. L’indagine riguarda i crimini commessi dal luglio 2002, quando la corte è stata istituita, ed ha come obiettivo coloro che avevano le responsabilità più pesanti per i crimini commessi nel conflitto. Questa indagine è partita su richiesta del Presidente Museveni nel dicembre 2003. Nel dicembre del 2004 fu raggiunto un accordo tra l’ICC e l’Interpol (International Criminal Police) per arrestare coloro che erano sospettati di crimini di guerra. Mbabazi ha dichiarato di voler cooperare con la corte e di voler richiamare il pubblico per cooperare anch’esso nell’arresto di qualsiasi di questi individui nominati. L’ICC non ha proprie forze militari o di polizia per applicare i mandati di cattura e deve quindi contare sull’esercito ugandese e sull’aiuto degli stati vicini. Mbabazi ha detto che uno degli accusati è stato ucciso dalle truppe ugandesi il 30 settembre scorso durante un’incursione dell’LRA nella regione orientale di Teso. Attacco dei ribelli nella DRC Vincent Otti è ancora nella DRC a 90 Km da Aba, nel nord est del Paese, e, secondo il Daily Monitor, avrebbe guidato 400 ribelli fino al Parco Nazionale Garamba nella DRC; questi ribelli sono stati respinti attraverso il confine secondo la dichiarazione di un portavoce dell’esercito congolese a Kinshasa riportata venerdì scorso dall’IRIN. L’esercito congolese ha detto di aver dispiegato 3.000 militari nell’area negli ultimi giorni. L’arcivescovo John Odama ha detto all’IRIN la scorsa settimana dalla città di Gulu, a 380 Km a nord di Kampala, di aver effettuato un tour nei campi intorno al distretto di Kitgum e la gente gli ha riferito che l’LRA è lì, ma i ribelli sono calmi. Lunedì della settimana scorsa un gruppo dell’LRA ha effettuato un’imboscata ad un pick-up nel distretto di Kitgum a 450 Km da Kampala, uccidendo cinque persone e ferendone almeno altre due. Un consulente umanitario dell’ONU ha detto che i ribelli hanno bruciato circa 30/40 rifugi di paglia e foglie prima di fuggire e muoversi a nord verso il confine con il Sudan. Secondo l’IRIN un leader locale nel distretto orientale di Katakwi ha detto che gli occupanti del campo di Angica, che ospita circa 600 persone, sono fuggite per paura che i ribelli potessero sferrare altri attacchi. Amnistia e processo di pace Alcuni ugandesi temevano che con una mossa del genere si potessero creare rallentamenti al processo di pace, ma il Ministro Ugandese degli Affari Interni Ruhakana Rugunda li ha tranquillizzati dichiarando che gli sforzi per una risoluzione pacifica proseguiranno a prescindere dall’emissione di questi mandati di cattura. Negli ultimi cinque anni l'amnistia ha permesso ai combattenti ribelli di arrendersi senza paura delle conseguenze. Justice Onega, capo della commissione di amnistia, ha dichiarato che con questi mandati sarà più difficoltoso convincerli ad uscire allo scoperto, in quanto potrebbero pensare che questa è solo una propaganda per stanarli ed emettere mandati di cattura in seguito. Mbabazi ha detto che il Governo è rimasto impegnato nel processo di pace e nell’amnistia data dal Governo a qualsiasi ribelle che denunci le ribellioni. Comunque, ha aggiunto, coloro che sono stati accusati dall’ICC “non saranno trattati come prima dell’accusa. Il Governo tratterà gli altri (ribelli che non sono stati accusati) come persone con cui possiamo avere conversazioni e che possono trarre beneficio dall’amnistia. Possiamo continuare ad incoraggiare Bigombe nei suoi sforzi per parlare di pace con l’LRA” ha detto Mbabazi, e se Kony tornasse in Uganda dal sud Sudan – dove si pensa che sia - l’esercito ugandese lo arresterebbe nel proprio territorio. Analisti hanno accusato degli elementi nell’esercito sudanese di approvvigionare Kony ed i suoi combattenti, ma Khartoum nega il suo sostegno all’LRA. Comunque, se il Governo ugandese desse il permesso dal Sudan, potrebbero inseguirlo attraverso la frontiera. Il Comandante dell’Esercito ugandese, il Ten. Gen. Aronda Nyakairima, si trovava recentemente in Sudan per richiedere il permesso per i militari ugandesi di attraversare la “linea rossa”, oltre la quale non è possibile inseguire i ribelli. Ritorno rifugiati rwandesi dall’Uganda Intanto, la scorsa settimana, circa 171 rifugiati rwandesi, la maggior parte dei quali donne e bambini fuggiti dal loro Paese durante il genocidio del 1994 e solo una parte dei 15.000 che hanno vissuto lì negli ultimi undici anni, sono rientrati dalla vicina Uganda secondo quanto dichiarato all’IRIN mercoledì scorso da un ufficiale dell’ UNHCR, l’ agenzia ONU per i Rifugiati. I rimanenti si trovano principalmente nei tre villaggi di Nakivale, Oruchinga and Kyaka. Questo è il primo rimpatrio volontario dall’Uganda da marzo, grazie ad un accordo tripartito tra Rwanda, Uganda ed UNHCR. Beatrice Giunta (warnews.it)
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Un fine settimana di sangue e paura in Darfur
Sudan Inviato da Ottavio Pirelli lunedì, 10 ottobre 2005 00:46 Fine settimana di sangue e paura per le forze di peacekeeping dell'Unione Africana (AU). Sabato, l'uccisione di tre soldati nigeriani e di due contractors della forza di pace. Ieri, il rapimento di un numero ancora imprecisato di uomini da parte di miliziani dissidenti del Justice and Equality Movement (JEM). Questo il terribile bilancio che preoccupa i vertici della missione in Sudan. Domenica, il rapimento E' stato un portavoce dell'AU a diffondere nella serata di domenica la notizia - ripresa tra gli altri anche dal network BBC - del rapimento di almeno 18 uomini tra osservatori militari e forze di sicurezza della missione di pace in Darfur, cui c'è da aggiungere un inviato americano e una rappresentanza del Jem. Cifra imprecisa, visto che la stessa AU è stata, dopo qualche ora, costretta a rettificare le informazioni rese: in base ad un nuovo conteggio, sarebbero almeno 40 i rapiti. Gli autori dell'azione sono, con ogni probabilità, i membri di una fazione minoritaria dello stesso Jem, uno dei due gruppi ribelli attivi nella zona. I vertici ufficiali del Movimento, in Nigeria per i colloqui di pace di Abuja, si sono affrettati a dichiarare che la presunta mente del rapimento, Mohammed Saleh, sarebbe stato messo alla porta dal gruppo da più di sei mesi. In ogni modo, molti degli prigionieri sono stati già liberati nelle vicinanze della città di Tina, lungo il confine con il Chad. Rimane, però, imprecisato il numero di persone ancora nelle mani dei rapitori. L'agenzia Reuters riferisce che, secondo Noureddine Mezni, portavoce dell'Unione, i rilasciati sarebbero 16. Un numero che non viene però ancora dato per certo neppure dall'ambasciata americana, che non è stata in grado di fornire ulteriori particolari sulla vicenda. L'ipotesi che i rapitori siano dissidenti del Jem, invece, sembra avvalorarsi con il passare delle ore. Sabato, l'uccisione di cinque uomini Una vera e propria imboscata nella giornata di sabato ha causato le prime vittime tra le fila delle forze di pace da quando ha avuto inizio la missione di pace in Sudan. Il primo atto di violenza contro il personale dell'Unione Africana ha avuto luogo nello stato del South Darfur, dove tre soldati e due contractors sono morti sul colpo, altri due colpiti in maniera più o meno grave, in seguito ad un attacco da parte di sconosciuti. Non sono ancora chiari tutti i dettagli dell'imboscata. Il governo di Khartoum - riferisce la Reuters - ha fatto immediatamente sapere di non poter indicare i colpevoli, ma di poter confermare l'intenzione di proteggere le truppe dell'Unione presenti in Sudan. Un richiamo alle responsabilità del governo sono giunte da Xavier Solanas, commissario agli esteri dell'Unione europea, il quale ha invitato le autorità a sostenere e proteggere la forza di pace. Parole che hanno uno strano sapore, soprattutto se si pensa alle accuse - di cui riferisce la BBC - che la scorsa settimana l'AU ha rivolto a Khartoum, accusando il governo di continuare a sostenere i guerriglieri Janjaweed in Darfur. Nonostante ciò, in alcune dichiarazioni, riprese dalla Reuters, l'AU avrebbe affermato che tra gli aggressori sarebbero stati riconosciuti guerriglieri del Sudan Liberation Army (SLA). Anche in questo caso, però, non è stato possibile confermare con certezza l'identità degli assalitori. La preoccupazione per l'escalation di violenza I vertici della missione di pace in Sudan hanno riferito alla stampa della loro preoccupazione per il moltiplicarsi dei casi di violenza negli stati che compongono la regione del Darfur. Il fatto che i peacekeepers possano essere visti non come forza di pace, ma sempre di più come nemico da combattere e uccidere, rappresenta una grave involuzione della situazione, già grave, in cui versa la regione. Inoltre, gli stessi colloqui di Abuja stanno risentendo dei fatti di sangue che sempre più di frequente si ripetono nelle ultime settimane, frenando il già difficile percorso diplomatico intrapreso da tutte le parti in causa per porre fine al conflitto. Ottavio Pirelli (warnews.it)
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Gli affari dei trafficanti israeliani in Darfur e Uganda
Amos Golan è un “falco” israeliano. È stato vicecomandante della Duvdevan (“ciliegia”), un’unità speciale antiterrorismo dell’esercito di Tel Aviv, i cui membri agiscono, in incognito, per arrestare o uccidere gli appartenenti alle organizzazioni terroristiche palestinesi. Oggi è conosciuto per aver fondato e presieduto una ditta israelo-statunitense, la Corner Shot Technology, che progetta e costruisce armi. Nel dicembre 2004, Golan è salito alla ribalta delle cronache per una vicenda legata a un presunto traffico di armi. Tutto ha inizio quando le autorità giordane arrestano due (secondo alcune fonti, tre) cittadini israeliani, con l’accusa di avere venduto armi e munizioni a gruppi ribelli del Darfur. Fonti giordane affermano che a capo del gruppo, cui appartengono gli arrestati, vi sarebbero Golan e un altro trafficante israeliano, Shimon Naor, ma non viene spiccato alcun mandato di cattura nei confronti dei due. Le persone detenute in Giordania, comunque, confessano di essere in contatto con importanti personalità israeliane, tra cui il figlio di Danny Yatom, ex capo del Mossad. Avrebbero aggiunto, poi, che un gruppo di ribelli del Darfur si sarebbe addestrato in Israele. La faccenda viene presto dimenticata dai media, anche perché le autorità israeliane e giordane si rifiutano perfino di confermare i pochi dettagli emersi. Del resto, i servizi di intelligence di Tel Aviv e Amman hanno avviato da anni uno stretto rapporto, e i panni sporchi preferiscono lavarseli in casa. C’è, però, un aspetto singolare nell’intera vicenda: la notizia sul presunto traffico di armi da Israele verso il Darfur è apparsa proprio quando nella regione sudanese stavano giungendo aiuti umanitari israeliani per i profughi. Qualcuno ha così ipotizzato che quelle “voci” sarebbero state fatte circolare per inquinare e disinformare, gettando una luce sinistra sull’azione umanitaria. Mig per Museveni L’episodio accaduto in Giordania, comunque, ha tolto il velo di mistero che copre, normalmente, le attività di alcuni trafficanti di armi in Africa. Golan, per esempio, oltre alla Corner Shot Technology, presiede la Silver Shadow Advanced Security System, una compagnia che offre addestramento alle forze di sicurezza di tutto il mondo, ed è descritto, dal quotidiano Ha’aretz, come “molto attivo nel vendere armi in Africa”, specie in Uganda. In questo paese, Golan e la Silver Shadow che è legata al fratello del presidente Museveni, Salim Saleh hanno importato armi provenienti dall’Europa orientale: dai carri armati T55 ai caccia Mig21. Una parte di questi armamenti era, però, in cattive condizioni e, dunque, inutilizzabile. Ma i Mig21 sono stati rimessi in sesto e aggiornati in Israele. Un’ironia della storia, se si pensa che gli israeliani avevano distrutto al suolo proprio i Mig di Idi Amin nel raid di Entebbe del luglio 1976. Alcune fonti di intelligence hanno confermato a Nigrizia che una quindicina di esperti di sicurezza israeliani stanno attualmente operando in Uganda. Fanno da supervisori a un corso di sei mesi frequentato da un centinaio di agenti dei servizi segreti ugandesi. L’addestramento è cominciato il 13 febbraio al campo militare di Kaweweta, nel centro del paese. Questi esperti sono stati assunti da Golan, attraverso la Silver Shadow. Non è la prima volta che l’Uganda si serve dei servizi del “falco” israeliano. Già lo scorso anno, elementi della Silver Shadow addestrarono, per tre mesi, agenti delle squadre speciali di polizia e dei servizi interni di sicurezza. Golan continua a vantare ottimi collegamenti con l’establishment di Tel Aviv, al punto che l’attuale capo del Mossad, Meir Dagan, ha lavorato per la sua società. Interessi Shimon Naor, l’altro “uomo d’affari” coinvolto nel traffico d’armi verso il Darfur, è un ex ufficiale, di origine rumena, della marina israeliana, diventato mediatore internazionale di armi, con tanto di autorizzazione del ministero della difesa israeliano. Nel 1999, le autorità rumene lo arrestarono: l’accusa era di aver venduto armi non autorizzate a Nigeria, Eritrea e all’Unita angolana, violando l’embargo delle Nazioni Unite. Naor ottenne la libertà su cauzione, riuscendo, poi, a riparare in Israele. In Romania fu condannato a 7 anni di carcere. Tecnicamente, quindi, è un ricercato internazionale, anche se continua, come niente fosse, i suoi commerci di armi, destando lo stupore della stessa stampa israeliana. Questa vicenda è interessante per vari motivi. Primo: il ministero della difesa israeliano si è rifiutato di collaborare con l’Onu nel fornire documentazione sulle società controllate da Naor. Secondo: per i suoi traffici, Naor si serviva di falsi end-user certificates rilasciati dal Togo. Terzo: il vecchio presidente togolese, Gnassingbé Eyadéma, buon amico del capo dell’Unita, Jonas Savimbi, è morto sull’aereo che lo stava portando non a Parigi, come si è detto in un primo momento, ma in Israele, nel tentativo di curare la sua grave malattia. Fonti di Nigrizia confermano che trafficanti israeliani sono presenti in Togo e che Eyadéma preferiva curarsi nella terra di David. Da quanto detto s’intuisce come gli affari dei trafficanti di armi siano, almeno in parte, inseriti in un disegno strategico, volto a fare dell’Africa un retrovia del conflitto mediorientale. Il rapporto tra Uganda e Israele, ad esempio, risale agli anni ’60. Gli attuali piloti ugandesi di aerei ed elicotteri da combattimento sono stati addestrati in Israele, mentre, alla fine degli anni ’90, 120 istruttori israeliani hanno addestrato l’unità di protezione presidenziale di Museveni nell’uso dell’artiglieria e dei mezzi corazzati. In effetti, Etiopia, Eritrea, Uganda e Kenya sono i principali paesi oggetto dell’attenzione di Israele in Africa orientale. A questa lista, di recente, si sono aggiunti Gibuti e, probabilmente, Somaliland. Se si pensa che questi paesi, tra l’altro, controllano direttamente o indirettamente le sorgenti del Nilo e la riva africana del Mar Rosso, si capisce il loro valore strategico agli occhi di Israele. Infine, non è un mistero che, in un passato anche recente, i servizi israeliani hanno appoggiato i ribelli sudanesi dell’Esercito di liberazione del popolo sudanese (Spla). Danny Yatom, ex capo delle spie israeliane, il cui figlio è stato coinvolto in una vicenda non chiarita di traffico d’armi. Sotto: il primo ministro israeliano Ariel Sharon con il capo del Mossad, Meir Dagan. Luca Mainoldi Fonte: Nigrizia Ripreso da: Criticamente.it (www.canisciolti.info)
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Uganda:capo ribelli lRA in fuga nel Congo?
UGANDA 5/11/2005 10.49
CAPO RIBELLI LRA IN FUGA NELL’EX-ZAIRE? Il fondatore e comandante dei ribelli dell’Esercito di resistenza del signore (Lord’s resistance army, Lra) Joseph Kony avrebbe attraversato il confine con la Repubblica democratica del Congo proveniente dalla regione sudanese del West Nile. Lo scrive oggi il ‘New Vision’, quotidiano filogovernativo di Kampala, citando fonti militari e di intelligence nel nord Uganda. Le notizie sulla presenza di Kony – che da 18 anni guida una ribellione accusata di crimini e violenze contro i civili nel nord Uganda ma che ha le sue basi nel Sud Sudan – sarebbero tuttavia ancora da confermare. Un portavoce militare ugandese ha detto che Kony ha cercato di raggiungere l’ex-Zaire per sfuggire a un’operazione lanciata dall’esercito di Kampala, che è autorizzato a entrare in Sudan. Alla fine di settembre era stata segnalata la presenza in Congo del suo vice, Vincent Otti, insieme a circa 3-400 ribelli; il gruppo è però sparito quando i caschi blu della locale missione dell’Onu (Monuc) e le forze governative hanno cercato di disarmarli. Nei giorni scorsi, circa 150 soldati della Monuc sono stati inviati nella zona di Aru, nell’estremo nord-est, per individuare i ribelli dello Lra che potrebbero ancora trovarsi in quella zona.
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AFRICA 5/11/2005 7.43
CONSIGLIO SICUREZZA ONU IN MISSIONE NEI GRANDI LAGHI PER RIBADIRE LA PACE Inizia oggi da Kinshasa, capitale della Repubblica democratica del Congo, la ‘trasferta’ di sei giorni di una delegazione del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite nella regione dei Grandi Laghi. “Con questa missione vogliamo sottolineare l’importanza che per l’Onu rivestono i processi di pace in corso in Congo e Burundi e ribadire questo nostro impegno di fronte a tutti i protagonisti dei singoli paesi e dell’intera regione” ha detto il Consiglio in una nota diffusa prima del viaggio. Dopo Kinshasa, la delegazione del massimo organo decisionale Onu nei Grandi Laghi si recherà a Mbuji Mayi (nel sud est del Congo) e poi in Burundi, Uganda, Rwanda e Tanzania. “La pace nei grandi Laghi non è mai stata così vicina, grazie agli sforzi fatti dai paesi della regione per risolvere le differenze attraverso il dialogo pacifico e le consultazioni” scrivono ancora i 15 paesi del Consiglio. Descrivendo la transizione politica del Burundi “un segnale incoraggiante per l’intera regione”, il Consiglio ricorda che i risultati positivi ottenuti finora “rischiano di essere minacciati se la transizione in Congo non verrà completata entro il termine del 30 giugno prossimo” la data in cui si dovranno tenere le prime elezioni democratiche della storia della Repubblica democratica del Congo. “Andremo in Congo con un solo messaggio: le elezioni dovranno seguire il calendario di transizione fissato” ha detto l’ambasciatore francese Jean Marc de La Sabliere, che guida la delegazione del Consiglio. I Grandi Laghi costituiscono una delle aree più instabili del continente a causa delle guerre dell’ultimo decennio; una svolta decisiva nei rapporti tra le nazioni di questa zona dell’Africa è attesa dal grande vertice della regione previsto nei prossimi giorni e durante il quale dovrebbero essere sottoscritti importanti accordi su pace, sicurezza e difesa tra 11 governi della regione.
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Operazione antiguerriglia in Congo: 34 miliziani uccisi
Congo R.D. Inviato da Ottavio Pirelli 5 novembre 2005 18:34 Un'operazione antiguerriglia è stata condotta durante la notte di lunedì dalle truppe dell'esercito congolese nel villaggio di Burondo nello stato del Nord Kivu. Obiettivo del raid la liberazione di quattro funzionari elettorali trattenuti con la forza dalle milizie di etnia Mayi-Mayi. Nel corso dei combattimenti ingaggiati dai soldati governativi, 34 ribelli hanno perso la vita, mentre i rapiti sono stati tratti tutti in salvo. I quattro funzionari, tra i quali anche una donna, erano stati rapiti - riferisce l' IRIN - il 23 ottobre scorso, mentre erano impegnati nelle fasi di registrazione dei votanti della regione. Insieme al personale, in quell'occasione, i guerriglieri avevano portato via con sé documenti e attrezzature che non sono stati ritrovati. Un fatto che non pregiudica il lavoro già svolto, visto che giornalmente i dati raccolti venivano trasmessi ad un vicino centro elettorale. Verso le elezioni tra mille difficoltà Episodi di violenza come questo, soprattutto nel Nord-est del paese, sono ormai la regola per il Congo. I passi da effettuare necessariamente per poter giungere all'appuntamento elettorale sono resi ancora più difficili da un territorio vasto e poco controllabile. Nelle foreste delle zone orientali del paese vivono migliaia di ribelli appartenenti a gruppi e gruppuscoli, che di tanto in tanto fanno sentire la loro presenza. Una denuncia sottoscritta dalla società civile di Bukavu, fatta pervenire oggi all'agenzia Misna, getta nuove ombre sul precario equilibrio di tutta la regione. Le notizie sulla situazione da guerra permanente si aggiungono a quelle, non confermate dalle autorità, sulle diserzioni di militari regolari, passati sempre più numerosi negli ultimi mesi agli ordini del generale dissidente Mutebusi. Il quartier generale della missione ONU a Bunia La caccia ai guerriglieri all'interno di questa costellazione di sigle non è affare semplice da affrontare, eppure la sicurezza di vaste regioni del Congo dipende dal rapido debellamento della guerriglia da parte di esercito e Missione ONU in Congo (MONUC). Non meraviglia quindi la recente intensificazione delle operazioni militari congiunte contro i miliziani, che nei giorni scorsi, secondo fonti di stampa internazionali, hanno portato all'individuazione e distruzione di cinque campi militari allestiti nel Parco Nazionale di Virunga. L'attacco, cui hanno partecipato in tutto 2500 uomini tra peacekeepers e soldati congolesi, è stato la diretta conseguenza della fine di un ultimatum lanciato nelle scorse settimane ai ribelli delle Forces Démocratiques pour la Libération du Rwanda (FDLR) e di varie altre formazioni Mayi-Mayi. Tra le fila di questi ultimi in pochi giorni l'operazione ha portato alla resa di almeno 120 uomini, messi alle strette dalle perlustrazioni minuziose dei soldati. Si tratta per il MONUC anche di un successo nella lotta per il ripristino della sicurezza in Congo, che arriva in coincidenza con la votazione all'unanimità della risoluzione delle Nazioni Unite che estende il mandato della missione fino al 30 settembre 2006, periodo entro il quale si spera che avranno luogo le tanto attese elezioni. Il problema LRA Alla permanenza di gruppi armati nel paese, si aggiunge la vicenda dello sconfinamento di alcune migliaia di ribelli del Lord's Resistance Army (LRA) nel Parco Nazionale di Garamba. Una presenza che ha deteriorato di molto i rapporti del paese africano con il vicino Uganda, che da anni combatte Kony e i suoi miliziani. A tal proposito, mercoledì i vertici del Monuc hanno fatto sapere - riferisce sempre l'IRIN - della ferma volontà delle forze di pace di respingere gli intrusi fuori dai confini dello stato. Un primo contingente di 150 soldati, appunto, dovrebbe essere presto dispiegato nel villaggio di Aba, nelle vicinanze del parco. Questa mossa del MONUC, oltre al suo rilievo militare, è un'esplicita risposta alla proposta dell'Uganda di far intervenire i propri soldati sul territorio dello stato confinante. Una richiesta subito respinta dalle autorità di Kinshasa, che da mesi temono che la presenza del LRA possa fornire una scusa agli ugandesi per un' occupazione miltare nell'est del paese. Ottavio Pirelli (Ultimo aggiornamento domenica, 06 novembre 2005 08:40 )
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SUDAN 12/11/2005 5.20
MONITO DEL VICE-PRESIDENTE SUD SUDAN A RIBELLI LRA (Misna)“Non vogliamo tornare in guerra; ne abbiamo vista abbastanza e vogliamo che i ribelli ugandesi lascino il Sud Sudan e accettino il processo di pace; o li spingeremo fuori noi”: parlando a Juba, lo ha detto Riak Machar, vice-presidente del sud Sudan e ‘numero due' dell’Esercito/Movimento di liberazione del Sudan (Spla-m). Secondo Machar, un gruppo di ribelli del sedicente Esercito di resistenza del signore (Lord Resistance army, Lra) si troverebbe attualmente a Nimule, alla frontiera con l’Uganda, dove domenica scorsa avrebbe sferrato un attacco a un convoglio umanitario costato la vita a due sminatori dell’organizzazione non governativa svizzera ‘Swiss Foundation for Mine Action’ (Fsd). “Abbiamo dislocato le nostre unità della zona e auspichiamo che (i ribelli) prestino attenzione al nostro monito, altrimenti agiremo” ha concluso Machar. Anche l'Onu e gli operatori umanitari attivi in sud Sudan vedono nello Lra la “principale minaccia” al processo di pace e alla rinascita dei territori meridionali sudanesi.
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#12 |
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REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 12/11/2005 11.42
MISSIONE ONU, “NESSUNA TRACCIA DI RIBELLI UGANDESI” “Per il momento non ci sono prove tangibili che confermino la presenza di ribelli ugandesi in territorio congolese”: così il colonnello Thierry Provendier, portavoce militare della Missione delle Nazioni Unite in Repubblica democratica del Congo (Monuc) ha sintetizzato l’esito della missione di verifica speciale inviata nei giorni scorsi nel nord est della Repubblica congolese per verificare se nella zona di Aba (vicino al Parco nazionale Garamba, nella Provincia Orientale) vi fossero ancora gli elementi dell’Esercito di resistenza del signore (Lra) che avevano fatto la loro comparsa a settembre. La missione, composta da 150 ‘caschi blu’, era stata inviata ad Aba per chiarire una volta per tutte se i ribelli del Lra fossero ancora in Congo (come continua a sostenere il governo ugandese) o se avessero già lasciato il paese per fare ritorno in Sud Sudan (come sostiene invece Kinshasa). Nei giorni scorsi il governo uagndese ha addirittura rilanciato, sostenendo che in territorio congolese si troverebbe nientedimeno che il fondatore e capo indiscusso del Lra, Joseph Kony. Un’ipotesi seccamente smentita dal portavoce del presidente, che ha definito la notizia diffusa da Kampala un “pretesto” adottato dall’Uganda per far deragliare il processo di transizione in ex-Zaire e attirare l’attenzione della comunità internazionale. (Misna)
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SUDAN - Sarà completato entro il gennaio 2006 il dispiegamento dei 10.000 caschi blu che comporranno la missione Onu in Sudan (unmic) che avrà lo scopo principale di aiutare le autorità nazionali nella ricostruzione del Sud Sudan, devastato da un conflitto durato oltre vent’anni. Attualmente, l’Unmis può contare su 3822 uomini (il 40% dell’intera forza), incluso un piccolo contingente italiano incaricato della sicurezza del quartier generale della missione a Khartoum.
REP.DEM. DEL CONGO - Un uomo e sua moglie sono stati uccisi durante la notte a Kinshasa nel quartiere di Limete; secondo le prime informazioni, l’episodio sembra rientrare nel crescente clima di criminalità e insicurezza che attanaglia la capitale.(misna)
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#15 |
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KAMPALA: ARRESTATO CAPO OPPOSIZIONE
(Misna)È stato accusato di essere un esponente di primo piano dell’Esercito di redenzione del popolo (People’s redemption army), il nuovo gruppo ribelle ugandese che avrebbe le sue basi nell’est del confinante Congo, Kiiza Besigye, il capo dell’opposizione arrestato oggi poco dopo le 14:00 (le 12:00 in Italia) a Kampala dove era rientrato solo 3 settimane fa, dopo un esilio durato 4 anni. Fonti della MISNA nella capitale ugandese, riferiscono che le tensioni e i disordini intorno al commissariato centrale di Kampala, dove Besigye è stato trasportato, non accennano a diminuire. La polizia sta utilizzando i gas lacrimogeni per allontanare la folla di sostenitori del Forum per il cambiamento democratico (Fdc), il partito d’opposizione guidato proprio da Besigye, radunata all’esterno della struttura per chiedere il rilascio del proprio beniamino. Secondo le informazioni raccolte, i tentativi degli agenti di sicurezza di allontanare i manifestanti vengono annullati dalle centinaia di persone che continuano ad affluire nella zona del commissariato man mano che la notizia si diffonde in città. Tensioni sarebbero in corso anche a Rukungiri, la provincia di origine di Besigye che si trova ne sud-ovest del paese a ridosso del confine tra Rwanda e la Repubblica democratica del Congo. “La situazione è molto tesa e c’è il serio rischio che finisca fuori controllo, anche a causa dei proclami che influenti esponenti dell’opposizione stanno lanciando alle radio locali, gettando solo benzina sul fuoco” prosegue l’intervistato. Secondo la legge ugandese, Besigye può essere trattenuto in stato di fermo per un massimo di 48 ore, scaduto questo termine le accuse devono essere formalizzate di fronte un giudice. Besigye, che ha trascorso gli ultimi 4 anni in Sudafrica, dove è fuggito temendo per la sua vita dopo avere perso le elezioni del 2001 (vinte dall’attuale capo di Stato Yoweri Museveni), è rientrato in patria per partecipare alla prossima competizione presidenziale. Appena atterrato in Uganda l’oppositore (che fu anche medico personale di Museveni) smentì fermamente le voci di suoi presunti legami con l’‘Esercito di redenzione del popolo’. Pur avendo sostenuto a lungo che Besigye era libero di rimpatriare, il governo di Kampala da tempo lo accusa di coinvolgimento in attività criminali e ne ha prospettava l’arresto.
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UGANDA 14/11/2005 19.47
KAMPALA: ARRESTATO CAPO OPPOSIZIONE, FORMALIZZATE ACCUSE / 2 Un’incriminazione per tradimento e per uno stupro risalente al 1997 è stata formalizzata oggi nel tribunale di Buganda, a Kampala, contro Kiiza Besigye, il capo dell’opposizione arrestato stamani a tre settimane dal suo rientro in patria dopo quattro anni d’esilio. Lo riferiscono fonti della MISNA nella capitale ugandese, aggiungendo che ora il leader del Forum per il cambiamento democratico (Fdc) rischierebbe la pena di morte e non avrebbe possibilità di essere rilasciato su cauzione. La notizia del suo arresto ha scatenato immediate e violente proteste a Kampala, dove la polizia ha usato gas lacrimogeni per disperdere i sostenitori di Besigye. Secondo fonti locali, le autorità giudiziarie potrebbero trattenerlo in carcere in attesa di giudizio per un anno; il leader dell’opposizione, già sconfitto dall’attuale capo di Stato Yoweri Museveni alle presidenziali del 2001, aveva dichiarato l’intenzione di sfidarlo alle prossime elezioni del 2006. Morris Latigo, vicepresidente del Fdc, ha detto oggi alla radio ‘Kfm’ che il partito di Besigye non intende cambiare candidato e che il leader arrestato oggi va considerato innocente fino ad un'eventuale condanna definitiva. Suleiman Kiggundu, presidente del Fdc, ha definito “un atto barbarico” il provvedimento contro Besigye, che verrà trattenuto nel carcere di massima sicurezza di Luzira e domani dovrebbe apparire di nuovo in tribunale. Già medico personale di Museveni, nel 2001 si era auto-esiliato in Sudafrica dopo aver perso le presidenziali, nel timore di essere perseguitato; Besigye è anche accusato di essere un esponente di primo piano dell’Esercito di redenzione del popolo (People’s redemption army), il nuovo gruppo ribelle ugandese che avrebbe le sue basi nell’est del confinante Congo. Pur avendo sempre respinto le accuse e smentito suoi legami con i ribelli, Besyge – secondo quanto scrive oggi il sito della ‘Bbc’ on line - in alcune interviste in passato avrebbe fatto riferimento a un possibile “ritorno nella foresta” per rovesciare il presidente Museveni. [EB]
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#17 |
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REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO 15/11/2005 4.47
KINSHASA: ARRESTI PER OMICIDIO GIORNALISTA Otto persone sospettate di aver preso parte all’omicidio del giornalista Fanck Kangundu, ucciso insieme alla moglie lo scorso 3 novembre, sono state arrestate dalla polizia nella capitale Kinshasa. Lo si è appreso da fonti di stampa locale. La polizia ha detto che le loro identità – si tratta di quattro civili e quattro militari – verranno rese note quando il caso sarà affidato alla magistratura. Gli arresti sarebbero avvenuti nei giorni scorsi, probabilmente tra mercoledì e venerdì. Kangundu, capo della redazione di politica interna del quotidiano di Kinshasa ‘La Reference Plus’, è stato assassinato insieme alla moglie da alcuni uomini armati; organizzazioni locali per la libertà di stampa e per i diritti umani tendono ad escludere il movente della rapina e hanno chiesto al governo di istituire una commissione di inchiesta indipendente, anche perché il giornalista era anche uno stretto collaboratore di Marie-Anne Lukinana, segretario generale del Partito del popolo per la ricostruzione e la democrazia (Pprd)
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#18 |
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SUDAN 15/11/2005 20.27
SUD SUDAN: VITTIME PER SCONTRI, EVACUATI UFFICI AGENZIA ONU Un numero imprecisato di persone sarebbe rimasto ucciso a causa di scontri a sfondo etnico nella città di Yambio, nella regione dell’Equatoria occidentale, non lontano dal confine con la Repubblica democratica del Congo. Lo hanno riferito operatori dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Gli incidenti erano iniziati ieri pomeriggio, ma sono poi degenerati in violenti combattimenti tra i componenti della comunità Zambe, dominanti nella zona, e i Dinka, la più ampia componente etnica del Sud Sudan. Stando alle testimonianze di alcuni operatori dell’agenzia dell’Onu riferite dall’‘Associated press’, sarebbero state bruciate alcune abitazioni e almeno un ufficio dell’Oms. Negli scontri è stato ucciso anche il responsabile locale di un centro di formazione agricola collegato al ‘Catholic relief service’, l’organismo di assistenza umanitaria della chiesa cattolica negli Stati Uniti. Il Sud Sudan è appena uscito da un conflitto con il governo di Khartoum durato 21 anni e sta attraversando la difficile fase dell’immediato dopo-guerra. La firma della pace a gennaio scorso ha aperto le porte al complesso lavoro di riconciliazione anche tra le diverse componenti etniche del Sud, in particolare i Dinka e i Nuer, secondo gruppo della regione.
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#20 | |
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Certo che poi mi viene da sorridere quando si criticano i nostri telegiornali perchè non riportano certe notizie ma solo gli "scoop" locali. Beh, vedendo le visite che hanno questi thread non è che gli si possa dare molto torto, direi. Oddio, mi ci metto dentro anche io, ma nella maggior parte dei casi non saprei che dire...
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