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Old 08-10-2007, 11:15   #1
easyand
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I ragazzi dei Quassam che ormai anche la gente non vuole piu...

La gente li scaccia: andate via, non vogliamo prenderci le bombe israeliane per voi

GAZA
Due ragazzi aspettano all'ombra di un capanno di legno sulla spiaggia di Sudania a Gaza City, si guardano intorno, controllano il cellulare, l'orologio. Jeans, Lacoste, sandali. Sembrano amici che osservano il mare, lo stesso di Tel Aviv, invece scrutano le ciminiere della città «nemica» di Askhelon: «Stanotte puntiamo la periferia industriale, da qui sono nove chilometri. Il razzo è come quello di Zekim, ce la può fare». Quello di Zekim è il Qassam che l'11 settembre scorso ha colpito la base israeliana di Zekim, nel Negev occidentale, ferendo 69 militari. L'hanno lanciato loro, nomi di battaglia Abu Sohaib e Abu Mohammad, ventun'anni a testa al servizio della Jihad Islamica e dei Comitati di Resistenza Popolare, gli irriducibili di Gaza. Da allora sono supericercati. Cambiano letto ogni notte, usano auto diverse, camminano: sono scampati a un paio di raid. Dead men walking. Ma i coetanei, figli della prima Intifada mai usciti da Gaza, li considerano eroi e tengono la foto della «cometa» di Zekin sul telefonino.

Il primo appuntamento è alle 14, un incontro rinviato una decina di volte per «ragioni di sicurezza». Sudania è una buona «location»: «Il dirigibile israeliano che controlla Gaza non c'inquadra». Abu Sohaib, barba corta e acne adolescente, spiega la giornata, la sua giornata standard: scegliere l'obiettivo, raccogliere l'esplosivo, sparare. Non ha un lavoro. Prima di Zekim aveva più tempo libero, sedeva sul muretto davanti casa, seguiva le partite del Manchester, maneggiava granate come quella che gli ha portato via tre dita della mano destra: «Vorrei essere nato a Roma ma sono nato sotto l'occupazione. Combattere è un dovere, possiamo trattare con gli israeliani la tregua, la hudna. Ma alla lunga o noi o loro. Ognuno fa quel può e dà quel che ha. Io so costruire razzi e ho solo la vita da dare al mio popolo». Non si cura di domandare al suo popolo se voglia davvero la vita di un ragazzo sull'altare della guerra. Secondo un sondaggio della Near East Consulting il 72% dei gaziani è pronto alla pace con Israele.

Abu Mohammed, diploma da idraulico e la moglie diciottenne sposata tre mesi fa, disegna su un foglio «la traiettoria di stanotte», un Qassam II di seconda generazione, più potente e capace di uccidere, l'incubo della città israeliana di Sderot. Una Pajero Mitsubishi grigia inchioda a pochi metri, Abu Mohammad e Abu Sohaib scattano in piedi ma gli sportelli della jeep si aprono e li inghiottono. Sono uomini della Forza Esecutiva, la polizia di Hamas: controllano la moralità della spiaggia. Prima che i due esibiscano le credenziali della Jihad Islamica e dei Comitati di Resistenza li manganellano sui sedili posteriori. Sono «patrioti», ma la compagnia di una donna poteva costargli il carcere duro. Gli agenti li lasciano andare e loro si allontanano senza voltarsi.

Il secondo appuntamento è alle 17 al campo profughi di Jabaliya. Abu Sohaib, che ha chiamato da un cellulare diverso da quello del mattino, s'infila in macchina. Qualche isolato più avanti sale Abu Yussef, 20 anni, studente di geografia, «pazzo per i film d'azione americani». Abu Mohammad aspetta in «officina», uno stanzone all'ultimo piano di una palazzina scalcinata davanti alla moschea, con le coperte sforacchiate di proiettili sulle finestre senza vetri. In terra una materasso e un piatto di ciambelle. Cinque ragazzi, i «chimici», assemblano il Quassam. «Bastano 2000 schekel, 400 euro, per il materiale e poi è un lavoro di poche ore», spiega Abu Iyad, 21 anni, leader dei Comitati di Resistenza, mostrando il tubo detto al maschnun, il pazzo, perché talvolta torna indietro, due metri di lunghezza e 15 centimetri di larghezza, gli alettoni posteriori e la testata. Lui fa il muratore e versa il 2% dello stipendio «alla causa»: i disoccupati vengono «rimborsati» con un cinquantina di dollari al mese. La pentola con il nitrato di potassio e lo zucchero, il composto esplosivo, riposa sul fornello spento. Arriva l'inquilino del primo piano con un bimbo di cinque anni per mano. Danno un'occhiata in giro e tornano a guardare la tv. Il terzo appuntamento è alle 23 a Beit Lahiya, il paese delle fragole, la meta dopo tanti contrordini, Sudania, Deir al-Balah, Beit Hanoun. In giro ci sono solo i murabitin col passamontagna nero, le teste di cuoio delle Brigate Izz al-Din al Qassam pronte a un'eventuale incursione israeliana. Tassativo a questo punto togliere la batteria del cellulare: il telefono è un target. I «chimici» arrivano su una Subaru con i vetri neri e il razzo a bordo. L'ultima tappa è nel retrobottega di una carrozzeria per il tnt, 5 chili di esplosivo.

«Andiamo all'università» dice Abu Sohaib. Da un auto all'altra si comunica con la ricetrasmittente. Dalla torretta accanto all'università al Quds hanno colpito Zekim. Abu Mohammed e gli altri posizionano il Qassam su un piano inclinato. Le macchine sono parcheggiate lontano. Abu Nidal, 19 anni, licenza media e il sogno di «andare a New York perché sono geloso della vita degli altri ventenni», è l'artificiere. E' l'una e mezza. Dalla palazzina di fronte si affaccia una donna velata e urla. In pochi minuti il quartiere è in strada guidato da Ahmed, 55 anni, due stampelle e una sola gamba: «Andatevene, ho già perso un piede per colpa vostra. Voi sparate e fuggite e gli israeliani tirano addosso a noi. Andatevene». Volano schiaffi. Padri contro figli: Ahmed che fino al 2000 lavorava come operaio a Tel Aviv e i suoi figli che fotografano il Qassam e conoscono solo israeliani in divisa e privazioni, il desiderio della Playstation più che una preghiera alla moschea al Aqsa di Gerusalemme. All'inizio pare vincere l'età. «Merda», borbotta Abu Sohaib: senza popolo la sua lotta popolare è nichilismo dostoevskjiano. La notte copre la vergogna. Poi un boato potentissimo, un lampo, l'operaio Ahmed lancia le stampelle contro la notte. I figli hanno evitato il suo giudizio e si sono spostati qualche metro più in là. All'alba la radio israeliana riferisce che il razzo, fortunatamente, è finito nei campi senza fare vittime. Abu Sohaib e gli altri si rimettono al lavoro.

La Stampa

FRANCESCA PACI
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