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		SOMALIA   9/6/2006   18.01  	 
		
	
		
		
		
		
			NUOVA SPARATORIA A BAIDOA – 2 Sarebbe di nove morti e un numero ancora imprecisato di feriti il bilancio della sparatoria avvenuta stamani a Baidoa, la sede temporanea delle nuove istituzioni somale, dove oggi si sono affrontati gli uomini della scorta del presidente Abdullahi Yusuf e alcuni miliziani locali. La MISNA lo ha appreso da fonti giornalistiche locali, le quali hanno precisato che le tensioni sono esplose stamani quando un gruppo di uomini armati appartenenti a uno dei clan che controlla (anche a livello ‘amministrativo’) una zona della città ha predisposto un posto di blocco non distante dal luogo in cui si trova il quartier generale del presidente somalo. Secondo una prima ricostruzione, la sparatoria è iniziata quando gli armati che controllavano il posto di blocco si sono rifiutati di smantellarlo come richiesto dalle autorità governative. Proprio ieri il governo aveva deciso di aiutare le autorità amministrative della regione di Bay e Bakol, dove si trova Baidoa, a liberarsi dei numerosi posti di blocco illegali presenti lungo tutte le principali vie di collegamento della zona. Questi check point, e le relative ‘gabelle’, negli ultimi 15 anni hanno costituito una delle principali entrate dei signori della guerra che si sono spartiti autorità e territorio in Somalia. Nel complicato scenario somalo, però, è bene sottolineare che l’intensa sparatoria di oggi ha visto contrapporsi da un lato gli uomini del presidente, come lui originari del Somaliland (nel nord del paese), e dall’altro miliziani legati al clan Raharwein, il più potente importante della regione sud occidentale di Bay e Bakol. 
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		SOMALIA   10/6/2006   10.24  	 
		
	
		
		
		
		
			WASHINGTON PROPONE ‘GRUPPO DI CONTATTO’ INTERNAZIONALE Il governo statunitense ha proposto di tenere, la prossima settimana, un convegno internazionale dedicato agli ultimi sviluppi registrati in Somalia. Lo ha annunciato un portavoce del dipartimento di Stato, precisadno che l’obiettivo del “gruppo di contatto", che dovrebbe essere costituito durante l'incontro, "sarà quello di promuovere un’azione concertata e un coordinata per sostenere le istituzioni federali di transizione della Somalia”. Gli Stati Uniti, nelle scorse settimane, erano stati fortemente criticati da molti governi africani, ma anche dalle diplomazie occidentali (Italia, Inghilterra, Norvegia in testa), per aver appoggiato economicamente la sedicente Alleanza contro il terrorismo messa in piedi dai signori della guerra di Mogadiscio per cacciare le Corti Islamiche (accusate di legami col terrorismo internazionale) dalla città. Così facendo, hanno ripetuto per giorni i critici di Washington, gli Usa non solo hanno favorito la vittoria delle Corti, ma soprattutto hanno rischiato di indebolire e di compromettere il governo di transizione somalo su cui invece avevano i principali mediatori internazionali, primi fra tutti Onu, Unione Africana, Unione Europea. Secondo i piani di Washington, il “Gruppo di Contatto”, di cui ancora non si conoscono i membri, dovrebbe tenere riunioni periodiche per decidere un’azione comune 
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		SOMALIA   10/6/2006   14.52  	 
		
	
		
		
		
		
			NUOVE APERTURE A MOGADISCIO, STALLO A JOWHAR E TENSIONE A BAIDOA “Non abbiamo intenzione di monopolizzare questo paese, il nostro principale obiettivo è quello di portare la pace tra le comunità”: lo ha detto il presidente delle Corti Islamiche, Sheik Sharif Skeikh Ahmed, nel corso di una conferenza stampa tenuta questa mattina a Mogadiscio durante la quale ha ribadito - come la MISNA ha appreso da fonti giornalistiche locali presenti all’incontro - le aperture nei confronti della comunità internazionale e la disponibilità al dialogo e al confronto con tutte le forze (somale e non) interessate al benessere della Somalia. “Non vogliamo rappresentare una minaccia per nessun paese e per nessun individuo” ha ribadito ancora il capo delle Corti Islamiche, che, successivamente, rispondendo a una domanda sulle preoccupazioni statunitensi di una ‘deriva talebana’ in Somalia ha imputato le paure Usa alla “scarsa o cattiva informazione sulle vicende somale”. “Non vogliamo combattere, abbiamo dato la possibilità ai notabili (anziani, intellettuali e uomini di fede) dei clan d’appartenenza di persuaderli a raggiungere un accordo e arrendersi pacificamente” ha detto poi Sharif, rispondendo ad alcuni giornalisti che lo hanno interrogato sul destino prossimo di Jowhar, la città a una novantina di chilometri da Mogadiscio dove si sono rifugiati i signori della guerra fuggiti dalla capitale la scorsa settimana e dove circa un migliaio di miliziani appartenenti ai due schieramenti sono impegnati da giorni in una serie di riposizionamenti militari strategici intorno alla città. “I timori principali adesso vengono da Baidoa” dice alla MISNA una fonte diplomatica occidentale, precisando che l’episodio di ieri (la sparatoria in cui sono morte almeno 12 persone, secondo l’ultimo bilancio diffuso dai media locali) rischia di degenerare in violenti scontri tra gli uomini del clan Majerteen (lo stesso a cui appartiene il presidente e gli uomini della sua scorta che ieri hanno aperto il fuoco contro gli armati locali che gestivano un posto di blocco illegale) e quelli del clan Rahwein, che storicamente controlla la regione di Bay, in cui si trova Baidoa. Esponenti di primo piano dei due clan stanno negoziando da ieri un accordo per risolvere la disputa senza tornare a sparare. In città intanto da oggi sarebbe massiccia la presenza di soldati ‘governativi’ (ufficialmente si parla di 300, ma qualcuno riporta addirittura 1500 uomini), incaricati di smantellare i posti di blocco illegali utilizzati dai ‘signorotti’ locali per raccogliere soldi da popolazione e commercianti. Secondo la ricostruzione più attendibile, la sparatoria di ieri sarebbe esplosa proprio nel corso della rimozione di uno di questi ‘barrage’. 
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		SOMALIA   10/6/2006   16.31  	 
		
	
		
		
		
		
			ONU STUDIA POSSIBILE INTERVENTO UMANITARIO Una serie di incontri ad alto livello si sono svolti ieri a Nairobi tra il rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la Somalia, Francois Lonseny Fall, e gli esponenti del mondo diplomatico e umanitario per coordinare un piano di aiuti per la popolazione di Mogadiscio. La MISNA lo ha appreso da fonti giornalistiche locali, le quali precisano che già ieri Fall ha incontrato i principali ambasciatori di Nairobi e altri esponenti di spicco della comunità internazionale che si trovano nella capitale keniana, dove ieri si trovava anche il governatore di Mogadiscio, che ha fatto ai presenti un quadro dettagliato della situazione della città e dei bisogni da un punto di vista sanitario e umanitario della popolazione, uscita all’inizio di questa settimana dai più intensi combattimenti mai registrati in Somalia dal 1991. La ‘Guerra di Mogadiscio’ - come sono stati subito ribattezzati gli scontri tra i miliziani delle cosiddette Corti Islamiche e quelli della sedicente Alleanza contro il terrorismo - è iniziata il 18 febbraio scorso e nei 4 mesi successivi ha causato almeno 350 morti e oltre 1550 feriti, ma soprattutto ha devastato interi quartieri della città teatro di combattimenti intensi e lanci di artiglieria pesante. Fall oggi si trova in Somaliland, la regione auto-proclamatasi autonoma nel nord della Somalia, insieme a Eric La roche, il responsabile dell’ufficio locale dell’Ocha, l’agenzia per il coordinamento degli affari umanitari dell’Onu, per discutere delle modalità con cui far pervenire gli aiuti alle popolazioni civili delle zone interessate dagli scontri dei mesi scorsi. La prossima settimana l’inviato speciale dell’Onu è atteso di fronte al Consiglio di Sicurezza del Palazzo di vetro per riferire della situazione somala. Nei giorni scorsi, un appello urgente alla comunità internazionale per la consegna di aiuti e l’assistenza umanitaria agli abitanti di Mogadiscio era stato lanciato dal primo ministro del governo di transizione somalo Ali Mohamed Gedi che ha ricordato come siano migliaia le persone che hanno subito i contraccolpi degli intensi combattimenti avvenuti negli ultimi 4 mesi per le strade della capitale somala. 
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		Al Qaeda ora ha uno Stato a sua immagine e somiglianza 
		
	
		
		
		
		
			Somalia, l’emirato islamico minaccia il mondo È il primo Stato “controllato” da Bin Laden. Ora l’Occidente teme un effetto domino [Fatti Sentire] A lungo è sembrata una previsione fantasiosa, impossibile, ci siamo illusi che si trattasse solo di una minaccia ideologica, di nessuna concreta realizzazione, invece ha visto la luce una bozza di Emirato islamico, a Mogadiscio. Uno Stato guidato dagli adepti di Osama Bin Laden, meglio noto come lo sceicco della morte, l’imprendibile, l’onnipresente. Così si rafforza la figura del “leggendario artefice” della riscossa islamica, naturalmente contro i “crociati”. È il momento che l’Occidente metta da parte gli egoismi di casa, come i veti di fermare l’Iran alla conquista dell’atomica, perché la difesa dell’economia dei singoli Stati potrebbe portare – e non in troppo tempo – al risveglio della nostra civiltà alle prese con la tragedia. E non c’è un Goffredo di Buglione a guidarci. Non tutta la Somalia è caduta nelle grinfie delle Corti islamiche, ma il cedimento dell’Alleanza «per la ricostruzione della pace e contro il terrorismo», formatasi con l’appoggio degli Usa, è ormai cosa fatta. I “signori della guerra” non sono stati in grado di bloccare quel movimento nato da malintese priorità durante la lotta armata tra somali e etiopi, questi ultimi cristiani ma anche comunisti, e quindi nemici “naturali” degli americani. Una guerra considerata di rango tribale e quindi dimenticata, fin quando la stampa occidentale si è “svegliata”, stranita, alla notizia della caduta di Mogadiscio nelle mani dei seguaci di Bin Laden. E il gioco geo-politico si ripete con quel balletto di alleanze che gli Usa giocano in molti parti del mondo. Come per l’Afghanistan è successo ora per la Somalia, dove i “signori della guerra” hanno goduto appunto di appoggi americani per combattere il terrorismo di cui loro stessi verosimilmente erano fautori. Si pensa che siano stati proprio loro a organizzare le prime Corti islamiche. Per la verità, eco di malefatte era balzati già lo scorso anno agli onori della cronaca: è del settembre 2005 l’ultima grande campagna di stampa contro i pirati somali che continuano a sequestrare navi cariche di aiuti umanitari. Una piaga vecchia di una quindicina di anni, non opera di liberi “fratelli della costa”, ma di terroristi affiliati ad Al Qaeda, insensibili anche alle grandi disgrazie come lo tsunami. Lo scontro tra Somalia ed Etiopia risale al 1977, ma è dal 1991 che la Somalia è sconvolta da una feroce guerra civile. Da un lato un governo debole, retto ad interim da Ali Ghedi, che deve far fronte agli interessi dei “signori della guerra”, in lotta tra loro per il controllo dei traffici, dei porti e degli aeroporti; dall’altro la popolazione che vive nella miseria più nera, dopo che l’Onu, nel 2005, ha sospeso ogni attività umanitaria, anche perché impaurita dall’azione di Al Qaeda nel Corno d’Africa. L’Unione islamica ha quindi preso il controllo della situazione, mentre non è chiaro se i terroristi siano del tutto indipendenti dai “signori della guerra”. Certo la leadership è nelle mani militari di Hassan Ashi Aeru, addestrato nei campi di Bin Laden in Afghanistan e autore dell’oltraggio al cimitero italiano del gennaio 2005 (le tombe furono rase al suolo per destinarne il terreno a campo di addestramento), mentre l’imam è Sharif Shek Ahmed, capo spirituale e quindi guida politica dell’Unione delle corti. In questo quadro l’annuncio che Mogadiscio, capitale di uno Stato che non esiste, è caduta in mano al fondamentalismo islamico era cosa da prevedere. Anche perché era noto che i “signori della guerra” avevano, nei giorni scorsi, affannosamente cercato l’aiuto degli Usa e degli stessi etiopi. Nessuno si nasconde che la battaglia di questi mesi - al di là di ogni valenza “ideologica” – sia stata combattuta principalmente per il controllo delle infrastrutture, come lo scalo marittimo e quelli aeroportuali che per tre lustri hanno consentito traffici illeciti di ogni tipo e notevoli guadagni alle bande armate che li hanno controllati, sia per fini terroristici che per pirateria vera e propria. Gli ultimi quattro mesi sono stati un vero massacro e ora toccherà alle organizzazioni umanitarie salvare orfani e vedove, sempre che i fondamentalisti diano il permesso di intervenire. Era da febbraio che si erano intensificati gli scontri tra le truppe legate ai tribunali coranici e la sedicente Alleanza, lasciando sul campo oltre 400 morti e più di 1.500 feriti, come sempre in gran parte civili. Le Corti, che hanno comunque rassicurato le rappresentanze commerciali occidentali presenti a Mogadiscio che ci saranno «pace e sicurezza», hanno già istituzionalizzato la Sharia. Mentre il premier cerca di salvare la testa: nelle stesse ore in cui è stata militarmente sconfitta l’Alleanza anti-terrorismo, il governo ha annunciato la rimozione di quattro ministri di Mogadiscio. Una presa di distanza dai corrotti che non incanta nessuno e tantomeno attenua la cruda realtà: Al Qaeda ora ha uno Stato a sua immagine e somiglianza. E potrebbe essere l’avvio di quel grande disegno di conquista del mondo da parte della piovra islamica che è negli incubi dell’Occidente e nei sogni di Bin Laden. di Emiddio Pietraforte 
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		SOMALIA   12/6/2006   12.19  	 
		
	
		
		
		
		
			TENSIONE ALTISSIMA A JOWHAR, CORTI SOSPENDONO COLLOQUI CON GOVERNO Intensi movimenti di truppe sono in corso nei pressi di Balad, una trentina di chilometri a nord di Mogadiscio, dove da almeno 24 ore continuano a convergere ingenti rinforzi inviati dalle milizie delle Corti Islamiche. La MISNA lo ha appreso da fonti locali concordanti, secondo cui ampi riposizionamenti e rafforzamenti delle linee difensive sono in corso anche a Jowhar - 90 chilometri a nord di Mogadiscio - la città di 30.000 abitanti in cui si sono arroccati i signori della guerra della sedicente Alleanza contro il terrorismo fuggiti da Mogadiscio dopo la sconfitta subita dalle Corti. “Circolano insistentemente voci di un attacco contro Jowhar da parte delle milizie delle Corti islamiche entro 24 ore, ma molti ritengono che l’offensiva potrebbe iniziare già in serata” dice alla MISNA una fonte del parlamento somalo contatta a Baidoa. Secondo fonti locali, politiche e giornalistiche, una mediazione sarebbe ancora in corso per trovare una soluzione negoziata al controllo di Jowhar, ma secondo alcune indiscrezioni, le Corti non gradirebbero la presenza nella cittadina a nord di Mogadiscio di una delegazione del governo etiope arrivata nel fine settimana. Fonti diplomatiche occidentali avevano già detto alla MISNA nei giorni scorsi che l’Etiopia è impegnata a combattere una sorta di guerra per procura in territorio somalo, contro alcuni gruppi di ribelli etiopi dell’etnia Oromo che pare abbiano combattuto nei mesi scorsi tra le file delle Corti Islamiche. Intanto la tensione è tornata a salire anche nella zona nord di Mogadiscio, dove si trova ancora uno dei principali signori della guerra dell’Alleanza contro il terrorismo, Muse Sudi Yalahow. Secondo fonti del Comitato internazionale della Croce Rossa contattate dalla MISNA, gli uomini di Muse SudI avrebbero lasciato nella notte tra sabato e domenica l’ospedale di Keysaney (una delle principali strutture ospedaliere di Mogadiscio), che avevano occupato qualche giorno fa trasformandolo nella loro base, nonostante le forti critiche e le condanne che l’episodio aveva suscitato a livello internazionale. Gli uomini di Muse Sudi, tuttavia, avrebbero costituito un accampamento sempre nello stesso quartiere di Mogadiscio e si teme che, se la mediazione in corso dovesse fallire, possano riaccendersi combattimenti anche in questa parte della città. Nel resto di Mogadiscio, intanto, la vita ha cominciato a riprendere i ritmi normali e molti esercizi commerciali hanno riaperto i battenti, spesso chiusi negli ultimi 4 mesi, quando i miliziani delle Corti e quelli dell’Alleanza contro il terrorismo si sono combattuti nei quartieri della città, provocando almeno 350 morti e oltre 1500 feriti. Sul fronte politico, però, va registrata la sospensione dei colloqui tra una delegazione del governo e i vertici delle Corti Islamiche. Il dialogo è stato annunciato dal presidente delle Corti Sheikh Sharif Sheikh Ahmed dopo che ieri il Parlamento - che come le altre istituzioni di transizione somale ha sede a Baidoa (250 chilometri a ovest di Mogadiscio) - ha avviato la discussione di una proposta governativa per chiedere l’invio in Somalia di una missione militare internazionale. “Anche per le Corti Islamiche, il problema non è tanto la presenza di una forza militare straniera in Somalia – spiega un diplomatico occidentale che chiede di restare anonimo – quanto i paesi che dovranno comporre questa forza. Come accaduto in passato le Corti, ma non solo loro, non vogliono che l’Etiopia faccia parte di un’eventuale missione di peacekeeping”. Poco dopo la loro nascita, ormai quasi due anni fa, le stesse istituzioni somale si divisero a metà proprio sulla questione della presenza di alcuni paesi africani nella missione in Somalia. 
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		ETIOPIA   12/6/2006   10.32  	 
		
	
		
		
		
		
			GAMBELLA: COPRIFUOCO IN CITTÀ DOPO MISTERIOSA IMBOSCATA Sono ancora incerte le cause che hanno portato ieri all’imposizione di un coprifuoco notturno nella città di Gambella, in una delle zone più povere dell’Etiopia sud occidentale. Secondo le informazioni diffuse dall’associazione Aegis Trust, un’organizzazione non governativa inglese che si occupa di prevenzione del genocidio, la misura sarebbe stata decisa dalle autorità locali dopo una presunta imboscata tesa ieri sera a un autobus nei pressi di Gambella. L’attacco, su cui ancora non sono state trovate conferme, avrebbe, il condizionale è d’obbligo, causato la morte di almeno una trentina di persone, almeno secondo i bilanci in circolazione in città. Il coprifuoco, imposto poco dopo l’attacco, è stato accompagnato anche dall’interruzione di acqua ed energia elettrica. Truppe dell’esercito etiope e alcune milizie vicine al governo sarebbero state dispiegate in maniera massiccia per le strade della città da ieri sera. Restano ancora ignoti i responsabili e i motivi dell’imboscata, che fonti locali temono possa ricollegarsi alle tensioni tra le popolazioni Anuak e i Nuer. A Gambella - che si trova in un’area remota ma ricca di oro e dove sono in corso esplorazioni petrolifere - tra la fine del 2003 e i primi mesi del 2004 gli scontri tra gli Anuak e i rivali Nuer denegenarono in gravi violenze; la zona è abitata anche dai cosiddetti ‘highlander’ (gli abitanti degli altipiani) e da decine di migliaia di profughi provenienti dal vicino Sudan. Secondo l’Organizzazione mondiale contro la tortura, in totale nella stessa area furono oltre 1.130 i morti dal dicembre 2003 al marzo 2004. 
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		SOMALIA   13/6/2006   13.22  	 
		
	
		
		
		
		
			TRA POLITICA E DIPLOMAZIA SITUAZIONE ANCORA CONFUSA Nuovi movimenti di truppe legate alle cosiddette Corti Islamiche sarebbero in corso stamattina verso Jowhar, la città a circa 90 chilometri a nord di Mogadiscio in cui hanno trovato riparo i 'signori della guerra' fuggiti dopo la sconfitta subita nella capitale. La MISNA lo ha appreso da fonti locali, le quali hanno precisato che non è ancora chiaro se si tratti di semplici riposizionamenti, come i molti avvenuti nei giorni scorsi, o se invece ci si stia preparando a un nuovo attacco. In realtà un'offensiva su Jowhar era stata data per “imminente e sicura” già ieri, ma le intricate mediazioni claniche affidate agli anziani avrebbero ottenuto altro tempo. Negoziati, incontri, faccia a faccia e colloqui sono in corso anche a Mogadiscio e a Baidoa, dove oggi il parlamento dovrebbe riprendere la discussione su un pacchetto di provvedimenti relativi alla sicurezza che prevede, tra le altre cose, il dispiegamento in Somalia di una forza militare internazionale per lo più composta da paesi dell’Africa orientale. Il dibattito parlamentare era stato congelato ieri dai deputati dopo che le Corti Islamiche (disturbate dalla possibilità che in questa forza venissero inserite anche truppe etiopi) hanno minacciato la sospensione dei colloqui con la delegazione governativa sulla gestione di Mogadiscio. Le attività di negoziato fervono anche fuori dai confini somali. A Nairobi oggi è attesa una riunione dei ministri degli Esteri dell’Africa orientale per discutere degli sviluppi somali e, secondo le indiscrezioni, valutare una pacchetto di sanzioni regionali (si parla di congelamento di fondi e interdizione ai viaggi) contro i 'signori della guerra' coinvolti nei combattimenti di Mogadiscio. Da Washington, invece, ieri è stato annunciato che la prima riunione del cosiddetto 'Gruppo di Contatto' si terrà giovedì e che finora hanno dato la propria adesione i governi di Svezia, Norvegia, Inghilterra, Italia e Tanzania. Nel difficile compito di mediare nell’intricatissima vicenda somala, nelle ultime 48 ore si sono inseriti anche Yemen e Sudan. Il primo paese, attraverso il suo ambasciatore in Somalia, si è detto pronto a ospitare un vertice tra il governo somalo e l’Unione delle Corti Islamiche, mentre - secondo la stampa sudanese - Khartoum sarebbe pronta a giocare un ruolo di mediazione tra le Corti (accusate di collegamenti col terrorismo internazionale) e gli Stati Uniti, ritenuti i principali finanziatori della cosiddetta Alleanza contro il terrorismo messa in piedi dai signori della guerra di Mogadiscio. 
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		ETIOPIA   13/6/2006   10.05  	 
		
	
		
		
		
		
			VIOLENZE NEL SUD E NUOVI PARTICOLARI SU IMBOSCATA A GAMBELLA Oltre 100 persone, alcune fonti parlano addirittura di 150, sarebbero morte negli ultimi 10 giorni in una serie di scontri e violenze avvenute nel sud dell’Etiopia tra due comunità che si contendono il possesso di alcuni terreni. Lo riferiscono fonti giornalistiche internazionali citando le amministrazioni locali dell’area di Borena, 400 chilometri circa a sud della capitale. Le violenze avrebbero coinvolto le comunità Borena e quelle dei Guji, al quale per un aggiustamento giurisdizionale sono stati trasferiti recentemente alcuni terreni appartenenti ai primi. Fonti umanitarie hanno confermato le violenze, pur non essendo state in grado di fornire cifre esatte sul numero delle vittime o su quello degli sfollati che alcuni riferiscono essere già migliaia. Nessuna conferma per ora dal governo o dalla polizia etiope. Conferme, invece, sono arrivate nelle ultime ore alle notizie relative a un’imboscata compiuta domenica notte nella zona di Gambella, una delle più povere dell’Etiopia sud-occidentale. Secondo fonti giornalistiche internazionali, un gruppo di uomini in divisa avrebbe aperto il fuoco contro un autobus che collega la capitale Addis Abeba con Gambella (700 chilometri. a sud ovest), nei pressi del villaggio di Bonga. Secondo le stesse fonti almeno 14 persone sarebbero morte in questo attacco, che, in base alla lettura ufficiale, dovrebbe essere solo un atto di banditismo. Altre fonti - che ieri avevano riferito di almeno 30 persone morte nell’attacco e dell’imposizione del coprifuoco a Gambella - temono che l’imboscata sia da ricollegare alle tensioni tra le popolazioni Anuak e i Nuer. A Gambella - che si trova in un’area remota ma ricca di oro e dove sono in corso esplorazioni petrolifere - tra la fine del 2003 e i primi mesi del 2004 gli scontri tra gli Anuak e i rivali Nuer denegenarono in gravi violenze; la zona è abitata anche dai cosiddetti ‘highlander’ (gli abitanti degli altipiani) e da decine di migliaia di profughi provenienti dal vicino Sudan. Secondo l’Organizzazione mondiale contro la tortura, in totale nella stessa area furono oltre 1.130 i morti dal dicembre 2003 al marzo 2004. 
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		SOMALIA   13/6/2006   22.23  	 
		
	
		
		
		
		
			JOWHAR, CORTI ISLAMICHE CONQUISTANO ANCHE ULTIMA ROCCAFORTE WARLORDS I miliziani delle Corti islamiche avrebbero ottenuto il controllo di Jowhar, la cittadina a circa 90 chilometri da Mogadiscio dove nei giorni scorsi si erano rifugiati i ‘signori della guerra’ sconfitti nella capitale: la MISNA lo ha appreso in serata da fonti locali. Stando alle prime frammentarie informazioni, per ora non vi sarebbe stato il temuto scontro tra le due fazioni armate. Sembra che i ‘warlords’ – tra loro anche Mohamed Dere, membro dell’ormai sconfitta ‘Alleanza anti-terrorismo’ e uomo-forte di Jowhar – si sarebbero ritirati dalla città. Le fonti contattate dalla MISNA sul posto non sono in grado di indicare, per ora, dove si siano ritirati i ‘signori della guerra’. Stamani fonti locali avevano segnalato nuovi movimenti delle bande armate legate alle cosiddette Corti Islamiche. Già ieri era stata data per imminente un'offensiva su Jowhar, poi apparentemente rinviata forse in seguito alle mediazioni tra i clan affidate ad anziani e capi tradizionali locali. In assenza di altri elementi, al momento è confermato che i ‘signori della guerra’ si sono ritirati da Jowhar anche se resta difficile prevedere un’eventuale loro reazione o un tentativo di riconquistare la città. 
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		SOMALIA   14/6/2006   8.39  	 
		
	
		
		
		
		
			IMPOSTE SANZIONI REGIONALI CONTRO ‘SIGNORI DELLA GUERRA’ Divieto di viaggio e congelamento dei beni personali dei ‘warlords’ somali – sconfitti di recente a Mogadiscio dalla Corti islamiche dopo mesi di sanguinose battaglie – sono stati imposti oggi dall’Autorità inter-governativa per lo sviluppo (Igad) che riunisce 7 paesi dell’Africa orientale. Lo si è appreso da fonti diplomatiche a Nairobi, al termine di un incontro con la partecipazione dei ministri degli Esteri dell’Igad; l’organismo ha deciso di “applicare le stesse sanzioni contro tutti i warlords già decise dal Kenya, compreso il bando agli spostamenti e il blocco dei conti” si legge in comunicato. Nei giorni scorsi le autorità di Nairobi – dove molti ‘signori della guerra’ erano di casa, spesso in grandi alberghi anche per gestire vari traffici illeciti – avevo interdetto ai signori della guerra di Mogadiscio l’ingresso nel paese. Secondo fonti locali, i warlords – che si erano riuniti nella sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ sostenuta in modo indiretto anche dagli Usa – hanno forti interessi nei paesi della regione, dove ora però non potranno più operare. “Non permetteremo loro di usare le nostre banche, i nostri aeroporti né di portare i loro figli qui a scuola da noi” ha detto il ministro degli Esteri del Kenya Raphael Tuju. Fino a qualche mese fa, per esempio, dal Kenya partivano quotidianamente voli con carichi di ‘qat’, l’erba leggermente allucinogena destinata al mercato locale somalo, interamente controllato da gruppi armati locali e, a Mogadiscio, dai warlords. I ministri dell’Africa orientale – oltre a Kenya, anche Uganda, Etiopia, Eritrea, Sudan, Gibuti - hanno inoltre annunciato un’amnistia per coloro che si arrenderanno e accetteranno il dialogo con il governo di transizione somalo, finora troppo debole per controllare Mogadiscio. I miliziani delle Corti islamiche hanno ottenuto il controllo della capitale dopo una battaglia che in oltre tre mesi ha provocato più di 350 vittime, in gran parte civili, circa 1.500 feriti e migliaia di sfollati. Ieri in tarda serata la MISNA ha appreso che le milizie dell’Unione dei tribunali islamici avrebbero preso anche la cittadina di Jowhar, circa 90 chilometri a nord di Mogadiscio, dove si erano in precedenza ritirati i warlords, che ora sarebbero in fuga in una direzione ancora imprecisata. 
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		ETIOPIA   14/6/2006   13.15  	 
		
	
		
		
		
		
			ONU SOSPENDE ATTIVITÀ UMANITARIA NEL SUD PER SCONTRI Le agenzie umanitarie delle Nazioni Unite attive in Etiopia meridionale hanno sospeso le proprie attività. Lo riferisce una nota diffusa oggi dall’ufficio per il coordinamento degli affari umanitari dell’Onu, Ocha, precisando che la sospensione o la forte limitazione delle attività, a seconda delle zone, è stata decisa a causa dei “violenti scontri tribali in corso da giorni nelle zone del sud dell'Etiopia”. Oltre 100 persone, alcune fonti parlano addirittura di 150, sarebbero morte negli ultimi 10 giorni in una serie di scontri e violenze avvenute nel sud dell’Etiopia tra due comunità che si contendono il possesso di alcuni terreni. Secondo le poche informazioni disponibili, le violenze, in corso nell’area di Borena (400 chilometri circa a sud della capitale) coinvolgerebbero le comunità Borena e quelle dei Guji, al quale per un aggiustamento giurisdizionale sono stati trasferiti recentemente alcuni terreni appartenenti ai primi. 
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		SOMALIA   14/6/2006   19.21 	 
		
	
		
		
		
		
			JOWHAR CONTROLLATA DA CORTI ISLAMICHE, PARLAMENTO CHIEDE TRUPPE STRANIERE Con 125 voti a favore e 40 contrari, il Parlamento somalo di transizione ha approvato oggi dopo tre giorni di dibattito una mozione del governo che chiede il dispiegamento di truppe straniere in Somalia, mentre la città di Jowhar – circa 90 chilometri da Mogadiscio – è da alcune ore sotto il controllo delle Corti islamiche, che nei giorni scorsi avevano sconfitto la sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ dei warlords della capitale. La MISNA lo ha appreso da fonti giornalistiche locali. Le milizie islamiche – che da alcune ore controllano l’abitato – hanno imposto il coprifuoco a partire dalle 20 ora locale. Sheik Sharif Sheik Ahmed, il capo dell’Unione delle Corti islamiche, ha parlato davanti ad alcune centinaia di persone radunate nel locale stadio di calcio, affermando che “la gente di Jowhar è stata liberata dai warlords che hanno tiranneggiato a lungo”. Secondo un’emittente radiofonica locale, almeno una dozzina di persone – in gran parte combattenti – sarebbero rimaste uccise e altre 20 ferite negli scontri di oggi all’esterno della città tra le Corti e i ‘signori della guerra’, che già ieri sera avevano iniziato ad abbandonare Jowhar, dove avevano cercato riparo dopo essere stati sconfitti a Mogadiscio all’inizio del mese. Il documento approvato oggi dal Parlamento prevede anche la presenza di truppe dai paesi confinanti, tra cui l’Etiopia: già nel 2005 questo punto aveva provocato una profonda lacerazione tra i deputati e anche nelle ultime settimane ha alimentato tensioni. Le Corti islamiche si erano dichiarate contrarie alla presenza di soldati stranieri: il loro capo avrebbe però negato di voler attaccare la città di Baidoa in caso di una decisione del Parlamento favorevole a un contingente internazionale. 
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		SOMALIA   15/6/2006   7.11 		 
		
	
		
		
		
		
			PRESA JOWHAR, "AMMESSE" SULLA CARTA LE TRUPPE STRANIERE...E POI? Dopo la notizia che il parlamento di transizione è favorevole al dispiegamento di truppe straniere in Somalia, successiva agli ultimi scontri di ieri alla periferia di Jowhar - ex capitale temporanea e quindi uno dei fulcri della complicata e interminabile crisi somala - complesse consultazioni sarebbero in corso tra protagonisti della confusa politica somala a Mogadiscio, Baidoa e nella stessa Jowhar; sarebbero perciò in molti a credere, o almeno a sperare, che una vera svolta nelle vicende somale degli ultimi mesi possa arrivare oggi al termine della prima riunione del Gruppo di Contatto proposta da Washington dopo quella che alcuni ritengono una cocente sconfitta diplomatica subita con la cacciata dell’Alleanza contro il terrorismo da Mogadiscio. All'incontro dovrebbero partecipare i principali protagonisti internazionali delle complesse mediazioni che hanno portato alla nascita del nuovo governo. Secondo voci rimbalzate da New York, dove si dovrebbe tenere l’incontro, potrebbe arrivare un pieno e maggiore sostegno sia da un punto di vista economico che militare al governo del presidente Abdullahi Yusuf, soprattutto dopo il voto del parlamento sull'ingresso di truppe straniere. Ma torniamo a Jowhar, 90 chilometri a nord di Mogadiscio. E agli eventi di ieri. I combattimenti si sono svolti tra uomini delle Corti Islamiche, che ormai controllano la città, e manipoli dei ' signori della guerra' giunti nella cittadina la settimana scorsa dopo essere stati sconfitti a Mogadiscio; fonti della MISNA contattate a Jowhar hanno precisato che difficilmente sarà possibile un bilancio preciso delle vittime e che gli scontri sarebbero cominciati in maniera “fortuita", visto che il grosso delle forze dei 'signori della guerra' aveva già lasciato l'abitato dirigendosi verso la regione centrale del Galgudud. Secondo informazioni raccolte sul posto dalla fonte della MISNA, una ‘pattuglia’ inviata dagli ex-occupanti per verificare i posizionamenti degli uomini delle Corti avrebbe incrociato uomini dell’altro campo. Le permanenti incertezze su quello che è effettivamente accaduto, incluso il numero delle vittime, è ulteriore testimonianza, se mai ce ne fosse stato bisogno, dell'indecifrabile condizione di caos e d'anarchia in cui la Somalia vive da tre lustri, senza che se ne riesca a vedere ancora davvero la fine. Secondo fonti anonime dell’agenzia italiana ‘Ansa’ - che cita informatori vicini al primo ministro del governo federale Ali Gedi - la presa di Jowhar, con modalità di fatto concordate, era stata annunciata dalle Corti al governo di transizione somalo (che ha sede per ora a Baidoa non essendo mai riuscito a insediarsi, come avrebbe voluto, a Mogadiscio). Gli accordi prevederebbero che le Corti islamiche mantengano il controllo militare di Jowhar , mentre le competenze amministrative e politiche dovrebbero essere garantite da una sorta di alleanza dei clan locali, pacificamente riuniti a Jowhar. Ma la presa di Jowhar sembra aver seminato molti dubbi. “Tra la gente c’è chi comincia a vedere le operazioni delle Corti Islamiche come una vera e propria campagna di conquista del territorio. Questa nuova chiave rischia di riportare il confronto su un piano clanico e tribale che rimescolerebbe ulteriormente le carte" dice alla MISNA un diplomatico occidentale (che ha chiesto di restare anonimo) sottolineando un altro aspetto: la presa di Jowhar rischierebbe di coinvolgere maggiormente la confinante Etiopia, già sostenitrice convinta dei signori della guerra e impegnata in una sorta di conflitto per procura in territorio somalo contro i ribelli etiopi del fronte Oromo militarmente schierati, secondo alcune fonti, a fianco delle Corti. Finora le Corti, nonostante toni a volte radicali non particolarmente graditi ai somali, erano state ben viste dalla popolazione stufa di 15 anni di vessazioni dei 'signori della guerra'. Molti osservatori rilevano anche che, da un punto di vista strettamente strategico, con Mogadiscio e Jowhar le Corti si sono ormai garantite gran parte del controllo del Sud della Somalia; mancherebbe solo Baidoa, attuale sede del governo di transizione. A Mogadiscio già corrono voci di possibili attacchi anche a Baidoa, “imminenti” secondo altre e più allarmistiche fonti... Voci e paure che nelle scorse ore hanno spinto il capo delle Corti Islamiche, Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, a smentire come "pura propaganda", parlando ai microfoni di alcune emittenti radiofoniche locali, l'ipotesi di attacchi. Eppure circolano informazioni su movimenti di truppe e riposizionamenti in corso da alcuni giorni anche nella zona di Baidoa. Se da un lato gli uomini del presidente Abdullahi Yusuf, dopo le scaramucce dei giorni scorsi con elementi del clan Raharwein (il più potente importante della regione sud occidentale di Bay e Bakol) si sarebbero ormai posizionati nei punti strategici della città (incluso l’aeroporto), alcuni gruppi armati locali (Raharwein) si sarebbero accordati con elementi delle Corti e insieme si troverebbero non lontano dalla capitale temporanea della Somalia e più precisamente nella zona di Lega. Alle Corti, che non hanno subito reagito alle ultime notizie e avrebbero in corso contatti con gli Stati Uniti, l'idea delle truppe straniere non è mai piaciuta. Mentre è soprattutto la popolazione civile inerme a soffrire le conseguenze negative di un conflitto dalle molte facce - locali ma anche lontane - verrà davvero oggi da New York un 'indicazione chiara per una svolta della crisi? O è da Baidoa che giungeranno notizie di ulteriori, non proprio tranquillizzanti sviluppi? 
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		SOMALIA   15/6/2006   18.49  	 
		
	
		
		
		
		
			CAPO CORTI ISLAMICHE A MISNA: “NON PRENDEREMO BAIDOA” “Non abbiamo intenzione di muoverci verso Baidoa ma ci fermeremo nelle località conquistate finora, in attesa che venga ritirata la richiesta di truppe straniere in Somalia”, approvata ieri dal Parlamento di transizione: lo ha detto alla MISNA Sheikh Sherif Sheikh Ahmed, presidente dell’Unione delle Corti Islamiche di Mogadiscio, escludendo di voler conquistare anche la città nel sud della Somalia dove hanno sede le istituzioni di transizione. Sheikh Ahmed ha anche confermato che oggi le sue milizie hanno preso il controllo della località di Baladwyne, circa 300 chilometri a nord di Mogadiscio, non lontano dal confine con l’Etiopia. “Siamo pronti a discutere con il governo e aspettiamo proposte. Come primo atto però il presidente deve annullare la richiesta di truppe straniere, perché la sicurezza nel nostro paese deve essere affidata ai somali” ha detto ancora alla MISNA il capo delle Corti islamiche, che ha affermato di parlare da Jowhar, la località a circa 90 chilometri da Mogadiscio conquistata ieri dai suoi uomini dopo la fuga dei ‘signori della guerra’. Per ora le milizie islamiche “si impegnano innanzitutto a garantire sicurezza nelle zone sotto il nostro controllo” ha aggiunto Sheikh Ahmed. “I nostri sostenitori chiedono protezione e sicurezza: noi le garantiremo e nel momento in cui sarà finalmente tornata la calma l’ultima parola su chi deve guidare il paese spetterà al popolo somalo” ha concluso il capo delle milizie islamiche, che nei giorni scorsi avevano sconfitto dopo tre mesi di battaglia a Mogadiscio la sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ dei signori della guerra, cacciati anche da Jowhar. [EB] 
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		SOMALIA   16/6/2006   8.41  	 
		
	
		
		
		
		
			PRIMA RIUNIONE “GRUPPO DI CONTATTO”: NESSUNA "SVOLTA" APPARENTE PER LA CRISI Necessità di un miglior dialogo multilaterale con le istituzioni federali transitorie e con altre forze presenti nel paese: lo chiede il comunicato conclusivo emesso al termine della prima riunione del cosiddetto “Gruppo di Contatto” per la Somalia svoltasi a New York in una sede diplomatica della Norvegia. Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, che non ha mai condiviso il comportamento americano in Somalia – soprattutto l’appoggio ai cosiddetti “signori della guerra” – ha espresso approvazione per l’incontro. “Tenteremo di costruire sulle relazioni positive gia esistenti con le parti somale e di incoraggiare un dialogo che includa tutti e tenda alla riconciliazione in base alla la ‘Carta federale transitoria" si aggiunge nella nota del Gruppo costituito da Tanzania, Unione Europea, Norvegia, Svezia, Italia e Stati Uniti; Unione Africana e Onu erano presenti come osservatori. Al principio del mese, i ‘signori della guerra’, sostenuti da Washington anche attraverso l’attività dei servizi segreti, sono stati espulsi da Mogadiscio dalle “Corti Islamiche” che l’altro ieri hanno preso anche la città di Jowhar. Gli Stati Uniti insistono che le Corti includono elementi di ‘al-Qaeda’ ed ora , attraverso il Gruppo, starebbero cercando un nuovo posizionamento politico coinvolgendo altri paesi. Non sembra che la riunione di ieri abbia costituito la svolta da alcuni auspicata. Nel frattempo, dalla Somalia, nessuna signifiativa novità se si esclude la dichiarazione di ieri del capo della Corti Islamiche che, parlando in arabo con l'aiuto di un traduttore, ha detto alla MISNA di non avere alcuna intenzione di "prendere" anche la città di Baidoa. Sembrano finora prive di fondamento anche altre voci di spostamenti di uomini verso Baladayne, 300 chilometri circa a nord-ovest di Mogadiscio,verso il confine con l'Etiopia. Le Corti Islamiche, lì dove si sono insediate, sembrano esssere state accolte con favore da gran parte della popolazione. 
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		SOMALIA   16/6/2006   18.25  	 
		
	
		
		
		
		
			MOGADISCIO: PROTESTE CONTRO TRUPPE STRANIERE, INCERTEZZA SU SVILUPPI POLITICI Migliaia di sostenitori delle Corti islamiche hanno manifestato oggi a Mogadiscio protestando contro il possibile invio in Somalia di un contingente di pace dei paesi dell’Africa Orientale – in particolare quelli confinanti, come l’Etiopia – richiesto due giorni fa dal governo per sostenere le istituzioni di transizione. Fonti della MISNA nella capitale riferiscono che le dimostrazioni si sono svolte in diversi quartieri della città, ormai da dieci giorni sotto il controllo delle Corti islamiche dopo la sconfitta dei ‘signori della guerra’. Nei cortei non sono mancati slogan anti-americani: gli Usa sono accusati di sostenere l’ormai sconfitta ‘Alleanza anti-terrorismo’ composta da alcuni warlords e uomini d’affari locali; da marzo all’inizio di giugno, i violenti scontri con le milizie islamiche hanno provocato oltre 350 morti e 1.500 feriti a Mogadiscio. Mentre sul terreno resta diffusa la percezione di un sostegno di Washington ai signori della guerra, sui tavoli della diplomazia si registra una prima presa di posizione ufficiale di segno opposto degli Usa. Parlando ieri durante l’incontro del “Gruppo di contatto” per la Somalia, l’assistente alla Segreteria di Stato Jendayi Frazier – citato da agenzie di stampa internazionali – ha risposto a una domanda su un possibile dialogo tra l’amministrazione americana e le Corti islamiche: “Non sappiamo se potremo, per ora non lo escludiamo. Lo sapremo dalle loro azioni”. Secondo l’agenzia ‘Associated Press’, questa dichiarazione potrebbe significare che gli Usa non vedono più le Corti islamiche come quella “minaccia” in precedenza percepita. Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa ieri aveva detto che la stessa Unione delle Corti islamiche – che di fatto sono guidate quasi tutte da esponenti dello stesso sottoclan somalo, gli Habr Gedir (espressione del clan Hawiya) – si erano rivolte agli Stati Uniti con una lettera. Secondo diversi osservatori, all’interno delle Corti vi sarebbero elementi legati al terrorismo internazionale che hanno trovato rifugio in Somalia, dove dal 1991 – dopo la caduta di Siad Barre – non esiste alcuna autorità. Fonti della MISNA a Mogadiscio riferiscono che oggi durante le preghiere del venerdì nelle moschee, è stato chiesto ai fedeli di rispettare l’eventuale presenza di operatori umanitari in città: Mogadiscio è l’unica capitale al mondo dove l’Onu non ha accesso all’assistenza umanitaria; conta circa 250.000 sfollati a causa della lunga guerra civile. Per ora le Corti controllano Mogadiscio, Jowhar (circa 90 chilometri a nord) e probabilmente un’altra località verso il confine con l’Etiopia. Ieri, parlando alla MISNA, il capo dell’Unione delle Corti islamiche Sheikh Sharif Sheik Ahmed si era dichiarato disponibile al dialogo col governo a condizione che venga ritirata la richiesta di invio di truppe straniere. Oggi, un sito di informazione del Puntland – la regione nord-occidentale della Somalia da cui proviene il presidente ad interim Adbullahi Yussuf – scrive che lo stesso presidente e il capo delle Corti avrebbero concordato un incontro per avviare un dialogo diretto, sgombrando il rischio – paventato da alcuni – di un possibile scontro armato tra le Corti islamiche (forti di circa 3.000 combattenti, secondo stime in circolazione) e gli uomini del presidente Yussuf (circa 4-5.000, stando ad alcune fonti). Sembrerebbe che il capo di Stato e il leader delle Corti abbiano accettato una mediazione del presidente dello Yemen, capace già a gennaio di risolvere una forte spaccatura tra governo e una parte del Parlamento. Al di là della giustificazione ‘ideologica’ delle Corti, sul terreno resta la convinzione che l’azione delle milizie islamiche risponda al tentativo del sottoclan Habr Gedir di ottenere il controllo di ampi settori della Somalia meridionale, a partire dalla capitale Mogadiscio e che gli scontri di questi mesi siano stati soprattutto un tentativo di mantenere il controllo sui lucrosi commerci illegali degli ultimi 15 anni. 
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		SOMALIA   17/6/2006   9.15  	 
		
	
		
		
		
		
			MOGADISCIO, WARLORDS IN FUGA A BORDO DI NAVI USA? Due ‘signori della guerra’ sconfitti nei giorni scorsi dalle Corti islamiche avrebbero lasciato all’alba Mogadiscio a bordo di una nave statunitense ormeggiata non lontano dalle coste della capitale. Lo ha affermato un esponente delle milizie islamiche, Abdulrahman Ali Osman, anche se non ci sono ancora conferme indipendenti. La stessa fonte – citata dall’agenzia ‘Reuters’ - sostiene che si tratti di Bashir Raghe e Muse Sudi Yalahow, due dei promotori della sedicente ‘Alleanza anti-terrorismo’ creata lo scorso 18 febbraio con il sostegno indiretto degli Usa per combattere contro la crescente influenza delle Corti islamiche a Mogadiscio. “Hanno detto che torneranno in pochi giorni, ma tutti pensano che cercheranno asilo” ha detto Ali Osman, aggiungendo che le residenze dei due warlords sarebbero state saccheggiate. Un terzo ‘signore della guerra’ – Omar Mohamed detto Finnish - avrebbe annunciato pubblicamente attraverso una radio locale la sua rinuncia a combattere contro le bande armate legate ai Tribunali islamici. Sudi Yalahow e Finnish hanno ricoperto per oltre un anno la carica di ministri del governo di transizione, ma – oltre a non aver mai partecipato all’esecutivo - sono stati rimossi alla fine di maggio su richiesta del Parlamento, che li ha accusati per i violenti combattimenti di Mogadiscio contro le Corti islamiche, in cui in poche settimane sono state uccise oltre 350 persone e 1.500 ferite. I ‘warlords’ hanno a lungo controllato alcune infrastrutture della capitale, controllando porzioni di Mogadiscio con le proprie milizie ‘personali’, in una città che dalla caduta di Siad Barre nel 1991 ha vissuto nel caos e nell’anarchia. 
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		ETIOPIA   17/6/2006   9.53  	 
		
	
		
		
		
		
			MIGLIAIA DI SFOLLATI NEL SUD DOPO SCONTRI TRA GRUPPI LOCALI Avrebbero provocato oltre 23.000 sfollati gli scontri tra comunità locali per il possesso della terra nel sud dell’Etiopia, dove nei giorni scorsi l’ufficio umanitario dell’Onu ha anche limitato o addirittura sospeso le proprie attività a causa delle violenze. “Le autorità regionali hanno riferito che più di 23.000 persone sono state costrette a fuggire dai propri villaggi negli ultimi 15 giorni” ha riferito Liz Lucas dell’organizzazione internazionale ‘Oxfam’, aggiungendo che anziani e capi tradizionali hanno incontrato responsabili governativi per cercare una soluzione alla controversia. Nei giorni scorsi un numero imprecisato di civili – oltre un centinaio secondo alcune fonti, fino a 150 secondo altre – sono state uccisi in scontri e violenze nell’area di Borena (400 chilometri circa a sud della capitale) tra l’omonima comunità Borena e i Guji, che per un aggiustamento giurisdizionale hanno di recente ottenuto alcuni terreni appartenenti ai primi. 
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		AFRICA   16/6/2006   18.44  	 
		
	
		
		
		
		
			ERITREA-ETIOPIA: REAZIONI DOPO ANNULLAMENTO COLLOQUI SU CONFINI “Emendare la decisione sulla demarcazione per accogliere le richieste dell’Etiopia non è una soluzione, anzi peggiora il problema del rifiuto etiope”: Lea Brilmayer, consigliere legale della presidenza eritrea, ha motivato così la decisione dell’Eritrea di non aderire ai colloqui convocati ieri all’Aja dalla Commissione internazionale incaricata, al termine del conflitto del 1998-2000, di demarcare i circa 1.000 chilometri della frontiera comune con l’Etiopia, mai definita da quando quest’ultima nel 1993 ha ottenuto l’indipendenza da Addis Abeba e oggetto di contesa durante la recente guerra. Dopo il rifiuto dell’Etiopia nell’aprile 2002 della decisione internazionale e in seguito ai numerosi e fallimentari negoziati tra i due paesi – gli ultimi quelli di Londra del 17 e 18 maggio –, la scorsa settimana la Commissione aveva proposto alle due parti di presentare a un consigliere speciale richieste di cambiamenti alla sentenza internazionale che attribuisce la città di Badme all’Eritrea; aveva inoltre suggerito – in caso di mancanza di un ulteriore accordo – l’istituzione di un nuovo comitato dell’Onu e della comunità internazionale. In una lettera indirizzata alla Commissione il governo di Asmara ha chiesto all’Etiopia di “conformarsi” ai precedenti ordini della Commissione, accettando “senza ambiguità” anche la decisione sulla demarcazione dei confini; perciò, si legge ancora, “finché continuerà la presa di posizione etiope, non v’è ragione che si tenga un altro incontro”. Salomon Abebe, portavoce del ministero degli Esteri etiope ha ancora una volta accusato l’Eritrea di “non volere la pace”: “Siamo molto delusi – ha detto -. L’Etiopia era pronta a partecipare all’incontro con vero trasporto, mente aperta e buona volontà… ma è stato cancellato perché il governo eritreo non ha voluto partecipare”. Il consigliere presidenziale eritreo Remane Ghebremeskel ha invece ribadito le accuse agli Stati Uniti: “Con il coinvolgimento degli Usa, gli etiopi stanno cercando di cambiare le regole base. La decisione della commissione non può essere alterata. Non c’è spazio per colloqui. Alterare l’accordo avrebbe conseguenze che vanno oltre la contesa tra Eritrea ed Etiopia: i principi fondamentali della legge internazionale verrebbero messi al rogo”. 
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