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UGANDA – Farmaci antiretrovirali verranno forniti gratuitamente a studenti e membri del personale infetti dal virus Hiv nell’università di Makerere. Grazie a un accordo con il ministero della Salute, verranno distribuite pastiglie di Coartem ai malati di malaria. L’università è un centro di terapia antiretrovirale ed effettua gratuitamente anche i test hiv.
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#82 |
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GHANA – Circa 1500 abitanti nel distretto di Kwaku hanno ricevuto cure oculistiche gratuite nell’ambito di un’iniziativa annuale di collaborazione tra i presbiteri di Foot Hill, nel Sud Carolina (Usa), e di Kwaku. Sono state effettuate oltre 40 operazioni della cataratta e sono stati donati circa 1000 occhiali da vista o da lettura.
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#83 |
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AFRICA 25/7/2006 4.39
OMS LANCIA ALLARME SU FALSI MEDICINALI ANTI-MALARIA Un finto medicinale anti-malarico che per anni ha ucciso un alto numero di persone in Asia sta iniziando a fare la sua comparsa anche in Africa: a lanciare l’allarme è un esperto dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), Kevin Palmer, consigliere per la malaria nel sud est asiatico. In un’intervista Palmer ha spiegato che dal 2001 l’Oms ha consigliato di utilizzare medicinali a base di Artesunate, un derivato semisintetico della Artemisinina estratto da erbe cinesi, che con un trattamento di 3 – 4 giorni permette di debellare la malattia. Ma dal 2001 il mercato asiatico (Cambogia, Laos, Vietnam e Myanmar) è stato inondato anche da imitazioni dei veri medicinali prodotti dalla malavita e che si sono dimostrati letali per i pazienti. Secondo le informazioni in circolazione, il finto medicinale, così come quello vero, proviene dalla zona di Guilin, nel sud ovest della Cina. “La gente muore. Siamo pieni di rapporti che dimostrano come quando la gente prende questo finto medicinale muore. È omicidio” ha detto Palmer, sottolineando come il medicinale contraffatto sia praticamente identico all’originale. “Sta cominciando a fare la sua comparsa anche in Africa. Siamo molto preoccupati, nel continente c’è un mercato massiccio di medicinali contro la malaria e abbiamo paura di trovarci di fronte al dilagare di nuove morti causate da queste finte medicine” ha aggiunto il funzionario dell’Oms, precisando che le autorità sanitarie internazionali stanno lavorando insieme all’Interpol e alla polizia cinese per contrastare il fenomeno, ma senza aver ottenuto per ora grandi progressi. “Chiusa una fabbrica, ne apre una nuova. Stiamo parlando di un affare da milioni di dollari” ha aggiunto Palmer. Secondo le stime dell’Oms la malaria uccide ogni anno da 1 a 3 milioni di persone, e il 90% delle vittime si trova in Africa. A vantaggio della possibile diffusione del finto medicinale anti-malarico sul mercato africano contribuirebbe anche la grande differenza di prezzo: se il medicinale originale viene venduto a 2 dollari circa la confezione (contenente 8 compresse), quello finto costa solo 0,40 centesimi di dollaro.
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ANGOLA 25/7/2006 10.38
EPIDEMIA COLERA SI ESTENDE A NUOVA PROVINCIA I primi casi di colera sono stati confermati anche nella provincia meridionale di Kuando Kubango, finora risparmiata dal contagio; lo riferisce l’ufficio di Luanda dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), nel suo bollettino di aggiornamento, precisando che si tratta di 48 pazienti di cui 6 deceduti. Il bilancio complessivo dell’epidemia, una delle più gravi dell’Africa, è di 50.768 malati e 2.089 morti dal 13 febbraio scorso, quando si confermò il primo caso nel quartiere di Boa Vista a Luanda, uno dei più poveri della città. Con Kuando Kubango, sono 15 su 18 le province nazionali colpite. Il tasso di mortalità, secondo l’ultimo aggiornamento, è del 3,2% , livello a cui si è attestato da diverse settimane. Le zone maggiormente colpite continuano ad essere la provincia di Luanda, con 23.351 contagi e 302 morti; mentre il maggior numero di vittime, 517, è stato registrato nella provincia di Benguela (su 8401 contagi). Le altre zone più colpite sono Malanje, Luanda Norte, Kwanza Sul e Kwanza Norte.
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#85 |
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AFRICA – Un invito ad abbassare i costi degli anti-retrovirali e aumentare gli sforzi per creare nuovi farmaci contro l'immunodeficienza acquisita (Sida/Aids)soprattutto per bambini è stato rivolto dal segretario generale dell’Onu Kofi Annan ai dirigenti di nove società farmaceutiche internazionali.
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#86 |
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ZAMBIA 25/7/2006 7.29
SIDA/AIDS, PER INVIATO ONU LUSAKA È UN ESEMPIO DA SEGUIRE Un plauso allo Zambia per avere avviato la distribuzione gratuita delle medicine antiretrovirali e l’invito ad altri paesi africani a seguire l’esempio di Lusaka , sono stati espressi dall’inviato speciale di Kofi Annan in materia di Sida/Aids, Stephen Lewis, giunto ieri nel paese. Apprezzando i grandi sforzi dello Zambia per combattere l’epidemia - riferisce le sue parole all’arrivo la testata on line africana ‘Adnnet’ - il rappresentante dell’Onu ha chiesto ai governanti di assicurarsi che le risorse risparmiate dalla cancellazione del debito estero siano effettivamente usate per programmi sociali, inclusi quelli per la lotta alla malattia. Lewis ha avuto invece parole di biasimo per la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale (Fmi) che non fanno abbastanza per aiutare l’Africa in questa battaglia. Ha infine sollecitato il Fmi ad alleggerire le condizioni di prestito, alcune delle quali troppo sfavorevoli ai paesi debitori.
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#87 |
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AFRICA 29/7/2006 6.02
MALARIA: UN MILIONE DI MORTI L’ANNO E GRAVI RIPERCUSSIONI ECONOMICHE “La malaria causa più danni in Africa che in qualsiasi altra regione”: lo indica un rapporto diffuso dal Forum economico mondiale (Wef), secondo cui nel 2004 oltre il 54% dei casi di malaria al mondo e circa il 90% di quelli fatali si sono verificati in Africa e ogni anno il continente subsahariano perde circa lo 0,6% del suo prodotto interno lordo a causa della malattia. In Africa si calcola che siano tra 350 e 500 milioni i casi di malaria e che ogni anno muoia per la malattia un milione di persone. Provocata dalla zanzara anofele, l’infezione causa il 9% delle morti di bambini sotto i cinque anni. Oltre al dramma umano, il rapporto ‘Affari e malaria: una minaccia dimenticata’ mette in luce le ripercussioni negative sull’economia del continente: su 8.000 dirigenti di aziende africane intervistati, il 72% ha affermato che sradicare la malaria promuoverebbe efficienza e produttività; il 39% ha detto che la malattia ha “ effetti gravi sui loro affari”. Il rapporto invita in particolare i dirigenti ad “assumere un ruolo più attivo nella lotta alla malaria, a partire dai posti di lavoro”. Nel passare in rassegna varie misure anti-malaria, lo studio rivela che il solo uso di reti trattate con l’insetticida ha sinora aiutato a ridurre la mortalità infantile del 18% nell’Africa subsahariana. Il Forum economico mondiale (Wef) è un’istituzione privata con sede a Ginevra costituita dalle 1000 imprese private più grandi del mondo.
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#88 |
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Povertà e mancanza di accesso ai farmaci: un mix fatale
Cronache di morti annunciate Il mercato della salute condanna a morte milioni di persone. Tra speculazioni e indifferenza. La tubercolosi in Bangladesh, la malaria in R. D. Congo, la malattia del sonno in Camerun, la lebbra in Cina, il morbo di Chagas in America Latina… Solo alcuni esempi. Nel mondo, e specialmente i Paesi in via di sviluppo, ogni giorno muoiono 35 mila persone di malattie che ignoriamo o che releghiamo, nel nostro immaginario, a epoche passate. Come i due miliardi di persone, un terzo della popolazione mondiale, affetto da tubercolosi, o i 500 milioni che contraggono ogni anno la malaria. Per non parlare dell’Aids, di cui si parla un po’ di più ma non si fa abbastanza, specialmente là dove la pandemia è dilagante e devastante: neanche a dirlo, l’Africa, con i suoi 25 milioni di malati su 40 milioni al mondo. C’è un filo rosso di sofferenza che attraversa le regioni più povere della Terra e accomuna milioni, talvolta miliardi di persone. Le più fragili e indifese. Perché le più povere e senza voce. Ma c’è anche un filo rosso di responsabilità inevase o tradite, che ci toccano molto più da vicino: quelle dei governi, delle istanze internazionali, delle industrie farmaceutiche o dell’Organizzazione mondiale del commercio, che hanno trasformato il diritto alla salute in un enorme business globale, che esclude chi non «interessa». Dimmi che Pil hai, ti dirò se puoi curarti. «Qui in R.D. Congo, come in molti altri Paesi poveri - protesta Chiara Castellani dal suo ospedale di Kimbau -, in molte strutture dello Stato anche i malati di malattia del sonno, tubercolosi, lebbra e molte altre malattie banali continuano di fatto a pagare per dei trattamenti dovrebbero essere forniti gratuitamente: questo perché le strutture sanitarie pubbliche non godono di alcuna sovvenzione, salvo salari risibili, e sono pertanto costrette a tirare avanti con l’“autofinanziamento” e la “partecipazione economica del malato al suo trattamento”. Eufemismi, che in un Paese povero come il Congo, e in una regione poverissima come il Bandundu, significano che chi non ha i soldi per curarsi non ha diritto ad alcuna assistenza, può solo crepare, per di più disseminando il contagio ai suoi familiari e condannandoli a un’identica morte». Sono migliaia i casi che Chiara si è trovata ad affrontare: donne, uomini e bambini per cui non ha potuto fare niente o che è riuscita miracolosamente a salvare. I suoi racconti parlano del ragazzino morto penosamente di rabbia, di cui ufficialmente si nega l’esistenza nel Paese, o di uomini deformi a causa della poliomelite, debellata solo sulla carta. Parlano di donne che muoiono di parto o dei suoi ragazzi di Kimbau, che a trent’anni, sono quasi tutti infettati dalla tubercolosi, o dei bambini che, ogni tre o quattro anni vengono falciati da epidemie di morbillo. «Malattie gravi ma curabili o prevenibili - incalza la Castellani - divengono inevitabilmente causa di morte o di invalidità permanente, e si diffondono senza controllo. Eppure sono considerate malattie rare o praticamente debellate in Occidente, che però continuano a fare migliaia di vittime in Africa e nei Paese in via di sviluppo. Dove per colpa del diritto negato al farmaco divengono causa di morti inutili e stupide». Chiara, come molti di coloro che operano in campo sanitario nel Sud del mondo, invoca giustizia e solidarietà. E avverte, questo disinteresse e colpevole abbandono può rivelarsi un boomerang: «Quando malattie controllabili si diffondono senza controllo, prima o poi ritorneranno a interessare anche i Paesi ricchi, e non solo perché un immigrato le riporta in Europa. Il terrore di Ebola o della Sars hanno avuto un denominatore comune: lo sfascio della salute pubblica nei Paesi poveri, che impedisce la sorveglianza epidemiologica, perché qui un solo morto non fa numero e morire è ancora troppo facile». Questo grido d’allarme non può cadere nel vuoto. Quelle denunciate dalla Castellani sono situazioni alle quali ci siamo in qualche modo abituati. Peggio: rassegnati. Ma non è possibile chiudere gli occhi su uno scandalo di tali proporzioni. C’è un Nord del mondo dove si va verso la creazione di medicinali «su misura di paziente», riformulati e adattati sulla base delle caratteristiche dei malati, e un Sud dove manca pressoché totalmente la sanità di base, quella che, con semplici vaccinazioni e una struttura essenziale di assistenza, permetterebbe di prevenire o contenere le patologie più diffuse. In molti contesti, malattie in sé curabili continuano a uccidere milioni di persone, che potrebbero «semplicemente» non ammalarsi se solo vivessero in condizioni dignitose, con un’alimentazione adeguata e un minimo di igiene. E invece queste patologie continuano a radicarsi e a proliferare sulla povertà, la malnutrizione, la mancanza di accesso alla sanità di base e ai farmaci, lo sfruttamento e la guerra… E, spessissimo, sull’indifferenza. Persino un evento gioioso come la gravidanza e il parto, in molte zone d’Africa, e non solo, ancora oggi è sinonimo di trauma e di rischi altissimi, quando non addirittura di morte. Le responsabilità più profonde di questo scandalo vanno cercate ancor più alla radice. Perché esse riflettono le sperequazioni economiche e di tenore di vita che separa Paesi ricchi e poveri. Sono il risultato di scelte politiche internazionali, come i famigerati piani di aggiustamento strutturale, che hanno condotto a drastici tagli alla sanità nei Paesi in via di sviluppo imposti per far quadrare i bilanci. Ma anche di politiche nazionali irresponsabili di governi corrotti che continuano a investire più sulla difesa che sulla sanità di base. O che proprio non hanno nulla da investire. Un caso emblematico è quello della Liberia a fine anni Novanta, che aveva a disposizione per la salute 2,5 milioni di dollari, mentre alcune grosse organizzazioni internazionali che operavano sul suo territorio potevano disporre di budget ben più consistenti: Medicins du monde con 1 milione di dollari, Save the Children con 5 milioni e ancor di più Medici senza frontiere. Ma chiamate in causa sono anche le multinazionali farmaceutiche e i molti soggetti che campano sul «mercato della salute», che non a caso continua a mantenere sotto la tutela dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) le politiche di controllo dei brevetti. Eppure, all’incontro dell’Omc di Doha, nel novembre del 2001, tutti i Paesi si erano dichiarati concordi sul fatto che la logica del profitto non potesse prevalere sulla salute. «I fatti dimostrano esattamente il contrario - incalza la Castellani - visto che sono sempre di più le persone nel mondo private di adeguata assistenza perché non possono pagarsi il diritto a curarsi. Diritto sempre più costoso, dal momento che quello della salute oggi è un business come tanti altri e i farmaci sono considerati alla stregua di una merce qualsiasi». Alla fine degli anni Novanta il fatturato mondiale dell’industria farmaceutica era di 380 miliardi di euro, superiore al prodotto intero lordo dei Paesi dell’Africa subsahariana, pari a 300 miliardi di euro. Quanto al mercato dei farmaci, quello africano equivale all’1 per cento di quello mondiale. Oltretutto, qui si nuore di malattie che non riguardano più il Nord e dunque anche la ricerca farmaceutica si orienta verso altri prodotti. I Paesi in via di sviluppo non «interessano» e, dunque, neppure le loro malattie. Tra il 1986 e il 2001 i fondi per la ricerca biomedica sono aumentati da 30 miliardi di dollari a 106 miliardi, ma non si sono registrati reali progressi nella creazione di nuovi strumenti contro le malattie dei più poveri. Sei tipi di malattie - cardiovascolari, sistema nervoso centrale, patologie metaboliche, infettive, respiratorie e muscolari - assorbono l’85 per cento del mercato dei farmaci. Viceversa, delle 1.393 nuove medicine approvate tra il 1975 ed il 1999, solo 13 (l’1 per cento) erano destinate alle malattie tropicali ed alla tubercolosi, che affliggono «solo» l’11 per cento dei pazienti mondiali. Oltretutto, quelli più poveri, che non possono pagarsi le medicine. Non si tratta dunque di un problema di ricerca in se stessa, ma di un grave squilibrio che caratterizza l’attuale modello di sviluppo dei farmaci. Si fa ricerca, infatti, se l’investimento sarà adeguatamente redditizio. Ovvero, l’interesse scientifico - e ancor più l’interesse per la persona (e per il malato) - non corrispondono spesso all’interesse economico e commerciale. Un tentativo di spezzare questo circolo vizioso è stato fatto durante l’ultimo incontro del G7 a fine novembre 2005. È stata, infatti, approvata una proposta italiana che dovrebbe incentivare la ricerca e la produzione di vaccini, a fronte di una promessa di acquisto dei futuri farmaci, da parte dei Sette Grandi, di circa un miliardo di dollari. Un’iniziativa lodevole, a patto che non si trasformi in un nuovo grande business solo per le Multinazionali farmaceutiche. Multinazionali, che, pur trascurando il mercato dei malati poveri e non redditizi, non si sono invece fatte molti scrupoli nell’«usarli» come «cavie» per sperimentazioni senza controllo. Ogni anno vengono effettuati circa centomila test clinici al mondo, il 10 per cento dei quali nei Paesi in via di sviluppo, l’uno per cento in Africa. In molti casi, questi test vengono eseguiti senza un’adeguata informazione dei volontari, con un controllo terapeutico insufficiente e dunque in violazione sia dei codici etici che degli standard di sicurezza del paziente. Test di questo genere su un farmaco antiretrovirale contro l’Aids sono stati sospesi in Nigeria, Camerun e Cambogia. Ma continuano altrove. Per contro, quasi nulla o pochissimo si sta facendo in termini di ricerca e test sulla farmacopea tradizionale, le cui potenzialità e la cui efficacia potrebbero essere utilmente valorizzate. Invece, gli africani che non possono permettersi i costosi farmaci occidentali devono accontentarsi di quelli che trovano sulle bancarelle del mercato o lungo le strade, insieme alle merci più variegate. Si tratta spesso di farmaci illegali che, nella migliore delle ipotesi, contengono una quantità insufficiente di principi attivi o sono composte semplicemente di polvere di gesso. Dunque, non servono a nulla quando non sono addirittura tossici o pericolosi. Questo mercato parallelo a basso costo e accessibile a tutti - speculare a quello costosissimo e inarrivabile delle multinazionali farmaceutiche - si sta, a sua volta, sviluppando in maniera rapidissima e preoccupante. In Kenya, solo per fare un esempio, tra il 20 e il 30 per cento delle medicine che circolano nel Paese sono contraffatte o di contrabbando. Con grave danno della case farmaceutiche locali, ma soprattutto della gente che li utilizza. Esempi positivi vengono, invece, da Uganda e Sudafrica, dove sono stati aboliti i ticket sui farmaci per la popolazione più povera. Secondo un team di medici del British Medica Journal «Labolizione del ticket sui farmaci in venti Paesi africani potrebbe salvare la vita a 233 mila bambini, cioè ridurre del 6,3 per cento il tasso di mortalità sotto i cinque anni». Potrebbe essere un primo passo, assolutamente insufficiente e non certamente l’unico, per non dimenticare chi muore di malattie dimenticate.
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#89 |
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Malati invisibili, un’umanità a perdere
Una denuncia forte contro la mercificazione dell’individuo in nome di interessi privati. L’appello di venti Premi Nobel. Nicoletta Dentico è una vita che si batte per la salute dei dimenticati. Prima come direttore esecutivo di Medici senza frontiere (Msf), ora come rappresentante italiana della Campagna per l’accesso ai farmaci essenziali. «Oggi - denuncia con fermezza - la titolarità del diritto alla salute oggi dipende dal luogo in cui si è nati, e dal potere di acquisto di cui si dispone». Insomma, se non hai soldi non ti curi. Vale per il più povero dei malati di qualche sperduto villaggio africano, ma vale anche per un sistema globale della sanità, che consente l’accesso ai farmaci e ai servizi sanitari solo a chi può permetterselo. Quello della salute è diventato un business come qualsiasi altro? In effetti, credo che la guerra silenziosa e micidiale contro l’«umanità a perdere», cioè quella fetta di popolazione mondiale che sta fuori dal mercato, che in molte forme si combatte attraverso l’arma dell’apartheid sanitario sia una delle tragedie più insidiose per l’inizio di questo nuovo millennio. Oggi la salute definisce un territorio nel quale senza scrupolo ci si muove nella direzione della mercificazione dell’individuo, dei bisogni, dei diritti, spesso in nome di interessi privati. Il sogno della salute per tutti entro l’anno 2000, annunciato ad Alma Ata nel 1978 nel segno dell’audace speranza di una vita migliore per tutti, ha avuto vita davvero breve. È andato tristemente a frantumarsi a partire dagli anni Ottanta, quando l’avvio delle politiche neoliberiste volute da Banca Mondiale e Fondo monetario internazionale ha imposto ricette economiche capestro sulle voci di spesa sociale degli stati. Le conseguenti politiche di privatizzazione della salute, che hanno avuto un impatto devastante nei Paesi a basso reddito, hanno permesso la riduzione del ruolo dei governi, ed oggi sono le multinazionali - non solo quelle del farmaco - che dettano legge sulle politiche sanitarie nel mondo. La salute è un affare, che gode decisamente di buona salute, se si leggono i dati finanziari annuali. Il mercato farmaceutico mondiale ammontava a 518 miliardi di dollari nel 2004. Eppure tra i cosiddetti Obiettivi del millennio c’è anche quello di ridurre la mortalità infantile e migliorare la salute materna, oltre a combattere Aids, tubercolosi e malaria. A che punto siamo? Da un lato la politica globale sullo sviluppo è passata dall’obiettivo dello sradicamento della povertà alla nuova strategia del dimezzamento delle persone in condizioni di «estrema povertà» entro il 2015, quasi che il mancato accesso ai beni fondamentali per miliardi di persone fosse un dato inevitabile della storia. Si tratta di una pillola francamente indigeribile. La ricchezza mondiale ha superato la cifra dei 33.000 miliardi di dollari, mentre le stime più recenti in relazione alla copertura finanziaria dei servizi sociali di base - presentate al G8 di Evian nel 2003 - parlano di 70 miliardi di dollari di investimenti annuali per dieci anni. Se poi andiamo a vedere nello specifico gli Obiettivi del millennio, tutti sanno che particolarmente a rischio sono proprio quelli sulla salute, anche perché le sfide sanitarie incombono con indicatori di crescita sempre più preoccupanti - vedasi il virus dell’Aids - e con sempre maggiore virulenza. Basti pensare alla minaccia dell’influenza aviaria, che ha lasciato tutto il mondo con il fiato sospeso. Ciononostante, la politica dei brevetti continua ad essere saldamente sotto il controllo dell’Organizzazione mondiale del commercio invece che appannaggio dell’Organizzazione mondiale della salute… Peggio. Tutta la partita della salute sembra essere arbitrata da un’organizzazione a vocazione commerciale come l’Omc, a discapito della sola organizzazione al mondo che ha il mandato istituzionale di occuparsi della salute della popolazione del pianeta. È un vero peccato che l’Oms abbia passivamente accettato nei decenni scorsi questa usurpazione di ruolo. Solo adesso, e con estrema fatica, sta tentando di riguadagnare il terreno perduto. Non è detto che le lobby forti che imperversano all’interno dell’Oms - soprattutto quelle farmaceutiche, appoggiate a potenti governi - permettano all’agenzia dell’Onu questo recupero della propria centralità, peraltro del tutto auspicabile. La case farmaceutiche si difendono, dicendo che per fare ricerca sono necessari i proventi dei brevetti. Ma è proprio vero che la ricerca sui farmaci è in crisi per mancanza di fondi? La protezione dei brevetti è considerata ormai un dogma, e la chiave di volta intangibile di tutto l’edificio della moderna farmacia. Essi garantiscono privilegi monopolistici alle case farmaceutiche. Secondo l’accordo sulla proprietà intellettuale (Trips) siglato in seno all’Omc, la protezione brevettuale dura vent’anni, ed in nome di questo regime di monopolio le aziende possono fissare autonomamente le regole dei prezzi e della produzione dei farmaci. Qui si ergono le prime fondamentali barriere all’accesso. I prezzi crescono indebitamente, anche per i pazienti del Nord. Inoltre, la ricerca viene inesorabilmente orientata verso le malattie legate agli stili di vita del mondo ricco, piuttosto che ai bisogni di una parte crescente della popolazione impoverita del Sud del mondo. L’innovazione medica segue le spinte del profitto, non più i bisogni della gente. I brevetti sono una potente arma di ricatto che le case farmaceutiche utilizzano nei confronti dei governi e dei cittadini consumatori. La loro argomentazione è chiara: senza brevetti, niente profitti. Senza profitti, niente ricerca e sviluppo. Vale la pena però di guardare con attenzione alle cifre di bilancio delle aziende, perché da qui emerge un’altra storia. Ovvero che, mentre i loro profitti aumentano a ritmi vertiginosi, la quantità di denaro spesa per il marketing e la pubblicità è nettamente superiore a quella per la ricerca: nel 2001 la Merck ha investito il 13 per cento degli utili in marketing, il 5 per cento in ricerca. Nello stesso anno la Pfizer ha speso il 35 per cento del capitale in marketing, l’11 per cento in ricerca. Globalmente, l’industria farmaceutica ha dedicato al marketing il 27 per cento dei fondi disponibili, e l’11 per cento nelle attività di laboratorio. Che cosa fare a livello più generale per promuovere politiche sanitarie più giuste ed eque che non «dimentichino» ampie fasce della popolazione mondiale e non trascurino molte malattie che restano drammaticamente comuni, attuali e letali? A quali livelli si dovrebbe intervenire? Tutti possono e devono intervenire, anche perché il problema ha raggiunto dimensioni veramente preoccupanti. C’è uno squilibrio fatale tra Nord e Sud del mondo, tra ricchi e poveri. È fatale perché uccide milioni di persone ogni anno, ma non deve essere accettato fatalisticamente, perché rappresenta il risultato di politiche patologiche che hanno delegato la questione del diritto alla salute. È davvero come se i nostri governi avessero a loro volta contratto la malattia del sonno, disimpegnandosi progressivamente sul fronte del diritto alla salute, che è sancito in 109 costituzioni, e rientra tra i doveri fondamentali di ogni amministrazione. Per questo un gruppo di ong ed enti di ricerca hanno lanciato a giugno un appello internazionale, sottoscritto da venti Premi Nobel e da oltre 2.500 scienziati ed accademici, per risvegliare i governi da questa patologica letargia. Intendiamo portarlo all’assemblea dell’Oms il prossimo maggio, convinti come siamo che questa agenzia possa giocare un ruolo centrale nella ri-definizione delle politiche globali sulla salute, nei diversi ambiti. Come nasce e con quale scopo la Campagna per l’accesso ai farmaci essenziali? L’iniziativa dei farmaci per le malattie dimenticate (Drugs for Neglected Diseases Iniziative, Dndi) è stata la promotrice di un appello insieme a Medici Senza Frontiere, Oxfam ed altri istituti pubblici di ricerca del Sud del mondo (www.researchappeal.org). È nata nel 2003 dall’esperienza della Campagna per i farmaci essenziali e sotto la spinta di Msf si è costituita come un consorzio che unisce enti pubblici di ricerca del Sud del mondo - in Kenya, Malaysia, Brasile, India - realtà come l’Istituto Pasteur e Medici Senza Frontiere, più il programma di ricerca sulle malattie tropicali dell’Oms. L’obiettivo è quello di mettere a punto un modello innovativo ed efficace per attivare la ricerca sulle malattie dimenticate - prime fra tutte, in questa fase, la malattia del sonno, la leishmaniosi, il morbo di Chagas e la malaria - coinvolgendo i Paesi endemici e gli operatori sanitari locali. Dndi vuole occuparsi dei pazienti più trascurati, per offrire loro scienza di buona qualità ed alla fine farmaci che siano adeguati ai contenti in cui si trovano i pazienti, farmaci, sicuri, nuovi ed efficaci a combattere le malattie. È una sfida positiva per dimostrare che un’altra ricerca è non solo possibile, ma anche necessaria, se vogliamo rispondere ai bisogni delle persone, a prescindere dal loro potere d’acquisto. Dndi sa di non essere la soluzione del problema, ma punta a smuovere il mondo scientifico, e soprattutto quello politico, affinché assuma la necessaria leadership sulla salute, e faccia di questa un settore strategico, nell’interesse pubblico. Le malattie non hanno frontiere. È sicuramente arrivato il momento di comprendere che la gestione dei bisogni dell’umanità, in ambito della salute, deve andare ben oltre la pura filantropia. Ci vogliono politiche indirizzate ai diritti. Ne va della stessa sostenibilità della famiglia umana.
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In Africa Subsahariana una mamma su 16 non sopravvive al parto
Vite sospese Ogni minuto una donna muore per complicazioni legate alla nascita di un figlio. L'esperinza dell'ospedale di Ikonda C’è un luogo sulle montagne del sud della Tanzania, dove la nascita di un figlio, uno tra gli eventi più importanti e intensi nella vita di una donna, troppo spesso si trasforma in una drammatica danza con la morte. A Ikonda, villaggetto arroccato a duemila metri sulle Livingston Mountains, mettere al mondo un bambino può essere ancora oggi la peggiore delle esperienze. Per la mamma e per il piccolo, che rischiano di non sopravvivere; per la famiglia tutta, costretta ad affrontare un lutto nel giorno che dovrebbe essere il più bello. Purtroppo non è una situazione limitata a questo angolo di Africa povero e isolato. Nel mondo, infatti, e specialmente nei Paesi in via di sviluppo, ogni minuto una donna muore per complicazioni legate alla gravidanza o al parto. Emorragie, infezioni, eclampsia, aborti clandestini... Il campionario dell’angoscia è quanto mai vasto e doloroso. E costituisce uno tra gli steccati più alti che separano i Paesi ricchi da quelli che arrancano lungo la difficile via dello sviluppo. Secondo le statistiche dell’Organizzazione mondiale della sanità, Unicef e Fondo per la popolazione delle Nazioni Unite, una donna che vive nel Nord del mondo ha una probabilità su 2.800 di morire di parto. Nell’Africa sub-sahariana il rapporto è di una su 16. Percentuali drammatiche si registrano anche in Afghanistan e in India. Il dato totale parla di oltre 510 mila donne che ogni anno perdono la vita nel tentativo di darla. All’Ikonda Hospital, la struttura sanitaria realizzata dai missionari della Consolata, e diretta da un religioso italiano, padre Alessandro Nava, ne sanno qualcosa. Quando è stato costruito, oltre quarant’anni fa, l’obiettivo era proprio quello di migliorare le condizioni igienico-sanitarie della zona, per ridurre innanzitutto la mortalità infantile allora elevatissima e assistere le puerpere. «Ora la situazione è decisamente migliorata - dice il missionario - ma c’è ancora molto lavoro da fare». «In questa regione la mortalità legata alla gravidanza e al parto è ancora molto alta», conferma suor Egle Casiraghi. Missionaria della Consolata pure lei, e infermiera come le tre consorelle con cui lavora in ospedale, racconta della sua trentennale esperienza in Tanzania e di questa regione, dove è arrivata nel 2002, e dove ha ritrovato un dramma che pensava di essersi lasciata alle spalle. Quello di tante donne che continuano a morire di parto. «In questa zona - spiega mentre si aggira nel reparto maternità - la popolazione è molto bassa di statura e le donne spesso manifestano deformazioni delle ossa del bacino, a causa dei pesi che trasportano sulla testa fin da giovanissime. Questo rende i parti particolarmente problematici». Nell’ospedale, l’incidenza dei cesarei è molto alta. Il personale locale tende a ricorrervi per ridurre i rischi, ma dopo un paio di nascite sono costretti a chiudere le tube, perché un ulteriore parto metterebbe di nuovo a rischio la vita delle donne. «Da quando sono arrivata qui - continua la missionaria - l’incidenza dei cesarei si è notevolmente ridotta, perché abbiamo cominciato a raggiungere le donne nei villaggi e a fare formazione; le visitiamo e le invitiamo a presentarsi all’ospedale per tempo». Per questo, poco distante, hanno costruito una grande casa, ribattezzata Nuru, che significa «luce» in kiswahili. Serve ad accogliere una quarantina di puerpere o anche di più, alcune delle quali arrivano da molto lontano. Suor Egle si aggira soddisfatta in mezzo a tanti pancioni, come se quei bimbi in arrivo fossero anche un po’ suoi. Organizza corsi di formazione per preparare le future madri al parto e a prendersi cura successivamente dei figli. Dispensa consigli e tenerezza. Suor Egle è orgogliosa degli oltre mille bambini che sono nati nella sua maternità lo scorso anno, ma non nasconde i problemi e le difficoltà. Povertà e mancanza di educazione, oltre a retaggi culturali e tradizionali, continuano a mettere a rischio la salute delle madri. Come quella della giovane alla sua prima gravidanza che, il giorno prima del parto, è praticamente fuggita dal reparto per far nascere il figlio nel bosco, assistita dalla madre. «Forse avrà pensato di non potersi permettere il piccolo contributo economico che chiediamo - azzarda suor Egle -. Per fortuna l’abbiamo ritrovata quasi subito e abbiamo potuto salvare lei e il bambino». Le è andata bene, ma per molte madri, anche dopo il parto, la situazione rischia di mettersi al peggio. Nel mondo, sono dieci milioni, infatti, le donne che soffrono di malattie, lesioni e infezioni post-parto, dovute, in molti casi, alle gravidanze precoci di mogli poco più che bambine. Secondo le Nazioni Unite, nella sola Nigeria, tra le 400 mila e le 800 mila donne sono affette da fistole ostetriche, prevenibili con un parto cesareo o curabili con un’operazione da 250 euro. Ma in contesti problematici come quelli di molti Paesi africani, dove i sistemi sanitari sono allo sfascio, sono poche le pazienti che possano permettersi queste operazioni, e ancora meno le strutture e i medici in grado di eseguirle. Kees Waaldijk, un medico olandese che da oltre vent’ anni lavora presso l’ospedale nigeriano di Babbar Ruga, ha raccontato recentemente al New York Times di aver insegnato a effettuare questi interventi a più di trecento chirurghi locali; molti di loro, tuttavia, una volta imparato il mestiere, hanno preferito trasferirsi in Paesi del Nord del mondo, da cui provengono molte richieste di personale sanitario, in cambio, ovviamente, di retribuzioni che i governi poveri non possono neanche lontanamente permettersi. Nessuno, dunque, si illude che anche quello della riduzione di tre quarti della mortalità materna, entro il 2015 - uno dei cosiddetti Obiettivi del millennio stabiliti dalle Nazioni Unite - possa essere ragionevolmente raggiunto. Un grave ipoteca sul diritto alla vita, oltre che alla salute.
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#91 |
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ANGOLA 31/7/2006 16.05
COLERA: EPIDEMIA, OLTRE 51.000 CASI E 2.100 VITTIME Sono 2.118 le vittime e 51.321 i casi di contagio provocati dall’epidemia di colera in corso dallo scorso febbraio in Angola. La MISNA lo ha appreso dall’ultimo bollettino diffuso oggi dall’ufficio angolano dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), in cui si precisa che nelle ultime 24 ore si sono registrati ‘solo’ 55 casi di contagio e nessun decesso. Continua ad essere confuso l’andamento di questa epidemia, più volte data vicina alla sua conclusione e che invece ha poi fatto registrare nuovi casi. Guardando ai dati relativi all’ultima settimana, ad esempio, si scopre che a fronte di un numero di casi in diminuzione rispetto a quella precedente - 517 (conteggiati nella settimana che va dal 23 al 30 luglio) rispetto ai 589 dei 7 giorni precedenti – si è registrato un numero di decessi superiore (26 contro 23), facendo così salire al 5,3% il tasso di mortalità dell’epidemia per quanto riguarda la settimana presa in esame. Nella nota dell’Oms si conferma inoltre l’estensione dell’epidemia (iniziata 13 febbraio scorso nel quartiere di Boa Vista della capitale Luanda) a una nuova provincia, quella di Kuando Kubango, dove il bilancio è adesso fermo a 111 casi e 10 morti. Le zone maggiormente colpite restano comunque la provincia di Luanda, con 23396 contagi e 302 morti; mentre il maggior numero di vittime, 518, è stato registrato nella provincia di Benguela (su 8424 contagi). Le altre zone colpite duramente dall’epidemia sono Uige, Luanda Norte, Kwanza Sul e Kwanza Norte.
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#92 |
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NIGERIA - Altri 15 milioni di euro sono stati stanziati per rafforzare un programma di vaccinazione antipolio e contro altre malattie infantili. Il programma è una partnership quinquennale avviata nel 2002 tra l’Unione Europea, che mette a disposizione i fondi, e la Commissione nazionale per la pianificazione di Abuja. I finanziamenti serviranno a rendere più efficace l’attività di vaccinazione in sei Stati nigeriani: Abia, Cross River, Gombe, Kebbi, Osun e Plateu.
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#93 |
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ANGOLA 8/8/2006 12.49
COLERA, RALLENTA MA NON SI FERMA L’EPIDEMIA Dopo 31 settimane dal primo caso di colera registrato a Luanda, l’epidemia in Angola, una delle più gravi dell’Africa, non può ancora dirsi del tutto risolta. Sono saliti a 2.156 le vittime e 51.700 i contagi in 14 delle 18 province angolane, secondo l’ultimo bollettino giunto alla MISNA dall’ufficio di Luanda dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Nella nota si precisa che nelle ultime 24 ore sono stati registrati 55 nuovi pazienti e 1 morto. Sarebbero 18, secondo la nota, le vittime del colera nell’ultima settimana, riportando il tasso di mortalità al di sotto del 2%. Ma confrontando i dati contenuti nel precedente rapporto, inviato il 31 luglio (con 2118 vittime registrate), il numero dei morti sembrerebbe invece essere stato di 38 negli ultimi sette giorni. Contato dalla MISNA presso l’ufficio dell’Oms a Luanda, il dr. Eusebio, che si occupa dell’aggiornamento dei dati, ha spiegato che la differenza è dovuta ad un aggiornamento con i decessi avvenuti nelle settimane precedenti e non segnalati, se non negli ultimi giorni; il medico sottolinea la difficoltà nel conteggio soprattutto per i decessi che avvengono nelle abitazioni e non negli ospedali. Dopo essere stata più volte dichiarata vicina alla conclusione, l’epidemia continua ad avere un andamento altalenante di difficile comprensione. Le zone maggiormente colpite restano comunque la provincia di Luanda e Benguela, resta seria la situazione nella provincia di Uige dove si registra il maggior numero di nuovi contagiati negli ultimi giorni. Nella provincia di Kuando Kubando, l’ultima ad essere stata raggiunta dall’epidemia due settimane fa, i malati sono 131 e le vittime 12.
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#94 |
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LESOTHO - Un esercito di orfani - per l’esattezza circa 180.000 - e 320.000 contagiati con il virus dell’immunodeficienza umana (viu/hvi) o da relativa sindrome conclamata (sida/aids): sono dati resi noti da uno speciale della Radio pubblica nazionale. Nel paese, montagnosa enclave del Sudafrica, la disoccupazione è intorno al 45% della popolazione attiva e metà dei due milioni di abitanti vive sotto la soglia di povertà. “Quando gli orfani vengono a scuola per la prima volta, dobbiamo spendere i primi due mesi di lezioni a fornire loro assistenza psicologica, poiché appena proviamo a parlare con loro scoppiano in lacrime” ha detto alla radio un insegnante. “Il governo sta facendo tutto quello che può, ma la pandemia ci sta sopraffacendo” ha spiegato ha detto un altro funzionario pubblico
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#95 |
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ZANZIBAR
(MISNA) Sette bambini sono morti e almeno altri 400 sono rimasti infettati da una nuova recrudescenza dell’epidemia di colera che ha colpito negli ultimi mesi lo stato semi-autonomo di Zanzibar, federato con la Tanzania. Dallo scorso marzo sono già 47 le persone che hanno perso la vita a causa del contagio, secondo fonti statali, con gravi conseguenze soprattutto per il turismo. Una precedente epidemia, nel 1997, uccise 124 persone.
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#96 |
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Clinton urges Africa to step up AIDS tests
By Frank Phiri LILONGWE, (Worldnews July 14) - Bill Clinton on Friday urged African governments to encourage people to take voluntary AIDS tests, saying it was the only way that newly available drugs would have an impact on the epidemic. "People living with HIV and AIDS can live a normal life if they go for testing to know their status. We'll bring the medicine and it does not matter at what cost but how many lives will be saved and changed," Clinton said. AIDS kills 10 people in Malawi per hour, and at least one million of the small southern African country's total population of 12 million is infected, according to official statistics. Clinton's foundation has been working to make cheaper anti-retroviral (ARV) AIDS drugs available in Africa, and he has in the past voiced support for mandatory HIV/AIDS tests in countries with high infection rates. Mandatory testing remains controversial, with some activists fearing it could expose infected people to stigma particularly in countries where treatment is not readily available. Clinton's visit to Malawi was to unveil new projects undertaken by the Clinton-Hunter Foundation Development Initiative, which aims to address poverty and the HIV/AIDS pandemic. Clinton commended Malawi -- one of Africa's poorest and least developed nations -- for its anti-poverty agenda. "You have set the right priorities. We have come here to build a partnership with poor people to help them help themselves. I promise you that together we'll keep the score," he said. The CHDI has set aside an initial $100 million for Malawi and Rwanda. The first projects under the Clinton-Hunter initiative will invest in education, health, infrastructure, agriculture, and enterpreneurial support. "This is a private sector initiative by two individuals who are touched by poverty in Malawi and are committed to assist in alleviating in," Malawi President Bingu wa Mutharika said at Friday's ceremony. Tom Hunter, a Scottish philanthropist and retail magnate has staked $100 million on the initiative. He is ranked by Forbes Magazine as the 548th richest person in the world.
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#97 |
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African, Canadian Grandmothers Share Wisdom, Tears at International AIDS Conference in Toronto
By Joe De Capua (voanews 13 August 2006) Nearly 300 grandmothers from sub-Saharan Africa and Canada shared wisdom and tears Sunday at the 16th International AIDS Conference in Toronto. The three-day gathering of the Grandmothers to Grandmothers Campaign culminated with a march and rally. And the African grannies celebrated with song and dance. One of the grandmothers participating in the 16th International AIDS Conference in Toronto Nearly 300 grandmothers from sub-Saharan Africa and Canada shared wisdom and tears Sunday at the 16th International AIDS Conference in Toronto. The three-day gathering of the Grandmothers to Grandmothers Campaign culminated with a march and rally. And the African grannies celebrated with song and dance. According to the Stephen Lewis Foundation, organizer of the event, there are about 13 million children in sub-Saharan Africa who’ve become orphans as a result of AIDS. It warns that number could climb to nearly 20 million by 2010. Maria Osogo, a grandmother from Kenya, is ready to share her experiences from Toronto. “Yes, after this meeting we’ll go and educate our grandmothers how to take care of their young siblings,” said Maria Osogo. “And educate them and create awareness for them to deal with their young siblings.” Two Canadian grandmothers reflect on what they learned. “They sit down for supper and there is no food. They give thanks to God that they are alive, one woman told me with tears in her eyes. It just breaks your heart. – As mothers and grandmothers there’s just no borders. We’re the same in terms of how we love our children, how we love our grandchildren. And it just puts a very personal face on this whole disaster that’s happening over there.” Alicia Keyes (l) and Stephen Lewis Entertainer Alicia Keyes took part in the Grandmothers to Grandmothers Campaign, helping to lead the march. “I have a grandmother of my own and she is one of the most important women in my life,” said Alicia Keyes. “I love her so much. I tell her I love her so much. I probably drive her crazy. But I can imagine her having to watch her children pass and raise her grandchildren at this time in her life. And it’s very hard. And so I admire you greatly. I support you so much. I encourage you. I love you.” Finally, Stephen Lewis, the UN Special Envoy on AIDS, said the gathering of grandmothers was an extraordinary event. “Everybody understood that what was being fashioned here on the eve of the International AIDS Conference was a movement,” said Stephen Lewis. “I was something that could spread, was something that could move through country after country, so that the African grandmothers would have the sense of solidarity and friendship and support, not just from Canada, but right around the world.” As the joint statement from the grandmothers said, “Our children, like all children, deserve a future. We will not raise our children for the grave.”
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AIDS: PIOT, MILIONI DI VITE DIPENDONO DA PREVENZIONE
(ANSA) Milioni di vite dipendono dalla prevenzione contro il virus dell'Aids. Ma la maggior parte di esse, soprattutto coloro che vivono nell'Africa subsahariana e nei Caraibi, non hanno armi per difendersi. ''Dipendono dalla disponibilita' di fondi per la prevenzione dell'Hiv'', ha detto il direttore del programma delle Nazioni Unite per la lotta contro l'Aids (UNAIDS), Peter Piot, aprendo a Toronto il congresso mondiale sull'Aids in uno stadio affollatissimo e dominato, alle spalle del palco, da un grande nodo rosso, simbolo della lotta contro l'Aids. A lanciare l'appello alla prevenzione, mai cosi' forte negli ultimi anni, sono stati anche Bill e Melinda Gates, la cui fondazione nei giorni scorsi ha donato 500 milioni di dollari al Fondo Globale per la lotta contro Aids, tubercolosi e malaria. Si' alla prevenzione, e soprattutto ''e' tempo di affidarla nelle mani delle donne'', hanno detto, accolti da un lunghissimo applauso. Il loro discorso e' stato interrotto due volte con fischi e contestazioni rivolte da gruppi di attivisti prima contro il presidente degli Stati Uniti Bush, per gli scarsi contributi al Fondo Globale, e poi contro il primo ministro canadese, il conservatore Steven Harper, che non e' intervenuto alla cerimonia. ''Svegliati, Steve!'', c'era scritto sulle magliette bianche sollevate dagli attivisti come stendardi. Era invece presente la governatrice generale del Canada, Michaelle Jean. Soltanto con un grande sforzo comune, ha detto, si potra' sperare di sconfiggere un'infezione che in Africa ha privato di almeno un genitore 28 milioni di bambini e che ne ha resi completamente orfani 12 milioni. A uno sforzo collettivo, da ''portare avanti insieme, come fratelli e sorelle'' ha invitato l'attore Richard Gere, da anni impegnato nella lotta contro l'Aids. Con un intervento a sorpresa, poco prima dell'inizio del concerto che ha chiuso la cerimonia, Richard Gere ha esordito gridando ''hallo Africa!''. Capelli bianchi, barba e spilla con il nodo rosso, ha ricordato le cifre impressionanti dell'epidemia, con quasi 40 milioni di sieropositivi nel mondo, 25 milioni di morti, 12 milioni di orfani. ''Sono numeri che aumentano sempre di piu''', ha detto, ''per questo abbiamo bisogno di essere tutti uniti''. Ma c'e' anche tanto ottimismo: per Piot ''e' tempo di grandi opportunita' e grandi speranze, tuttavia e' necessario essere piu' aggressivi e decisi perche' i progressi fatti nella conoscenza della malattia si traducano in risultati concreti. E' un congresso speciale, quello che si apre oggi, ha osservato Piot, ''perche' questo e' un momento molto speciale nella storia della lotta contro l'Aids: per la prima volta cominciamo a vedere dei risultati'', ha aggiunto riferendosi ai programmi di prevenzione e cura recentemente avviati in India e in alcuni Paesi africani. Se in passato la priorita' era gestire la crisi, ha detto ancora, ''adesso si tratta di dare una risposta sostenibile'', con programmi destinati a durare per lunghi periodi. Sono almeno tre le priorita' indicate da Piot: innanzitutto bisogna concentrare gli investimenti per rendere le cure accessibili e la prevenzione efficace; perche' questo avvenga e' necessario ''combattere stigma e discriminazione''; in terzo luogo la lotta all'Aids non deve piu' essere un'emergenza ma un'azione programmata e duratura. ''Adesso abbiamo i mezzi e l'opportunita' per mettere le cure a disposizione di tutti'', ha detto la presidente della International Aids Society, Helene Gayle. La battaglia contro il virus adesso ha bisogno di nuove strategie, e la prima necessita', ha osservato, e' ''fare in modo che scienza e societa' collaborino per raccogliere la nuova sfida''. Anche per il presidente del congresso, Mark Weinberg , la sfida e' rendere le cure accessibili ovunque. Per tutti, quello che si e' appena aperto e' un congresso destinato a lasciare un segno. Come esattamente dieci anni fa il congresso di Vancouver segno' la rivoluzione della triterapia, con la possibilita' di sopravvivere al virus e convivere a lungo con esso, il congresso di Toronto, ha concluso Weinberg, ''lascera' come eredita' la disponibilita' delle cure. Trasformera' in realta' l'accesso ai farmaci e alla prevenzione in ogni angolo del mondo''.
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Orphans are Africa's next AIDS challenge
JOHANNESBURG (Reuters) - More than 15 million children in sub-Saharan Africa will have lost one or both parents to HIV/AIDS by 2010, straining social safety networks as poor countries battle the epidemic, a report said on Monday. The report by the U.N. Children's Fund (UNICEF), UNAIDS and the U.S. President's Emergency Plan for AIDS Relief (PEPFAR) said Africa's AIDS crisis was increasingly taking a toll on the younger generation. "Millions of children affected by AIDS are out of school, growing up alone, vulnerable to poverty, marginalization and discrimination," UNICEF Deputy Executive Director Rima Salah said in a statement on the report, released to coincide with the International AIDS Conference in Toronto. "Children who have lost parents and care-givers are left without their first line of defense." The report said children are often disproportionately affected by HIV/AIDS, which not only robs them of parents but also of education and health care as doctors, nurses and teachers succumb to the epidemic. AIDS is responsible for about 12 million of the 48 million children who have lost one or both parents in sub-Saharan Africa. In Zambia, with a population of about 10 million, there are an estimated one million children needing additional care. INTERNATIONAL AID The report said the rising numbers of children losing parents to HIV/AIDS was making it hard for surviving parents or extended families to step in with assistance, requiring greater help from the international community. "By strengthening critical programs at the local level, the international community can ensure that orphaned and vulnerable children receive the care, support and protection they need," said Kent Hill, assistant administrator of the Bureau for Global Health at USAID, the U.S. aid agency. Children affected by AIDS are at higher risk of missing school, nutritional problems and anxiety, the report said. It added that they are also at higher risk of HIV infection, with girls and young women aged 15-24 particularly vulnerable. The report said that even in countries where the HIV/AIDS epidemic appears to be stabilizing or on the decline, the number of orphans will continue to grow or at least remain high due to the time lag between HIV infection and death. The growing extent of Africa's AIDS orphan crisis requires new interventions at the local, national and international level, the report said. Prolonging the lives of parents, through the provision of AIDS treatments such as anti-retroviral drugs, would be one key step toward improving the situation, as would basic steps such as eliminating school fees, which might keep AIDS orphans in class and improve their future prospects. Another important task is strengthening community organizations to help care for children and fight the stigma of HIV/AIDS, which pushes many affected children to the margins of society at the moment of their greatest need.
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