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#21 | |
Senior Member
Iscritto dal: Feb 2002
Città: Este (PD)
Messaggi: 2908
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Quote:
In entrambi i casi è giusto che il responsabile debba pagarne le conseguenze. Saluti.
__________________
<<La Verità non richiede fede.>> |
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#22 | |
Senior Member
Iscritto dal: Feb 2002
Città: Este (PD)
Messaggi: 2908
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Quote:
I suoi ovviamente per evitare di ritrovarselo fatto a fette dai vicini genitori della vittima e parenti vari si sono trasferiti. Io se avessi un figlio così lo strozzo con le mie mani e maledirei quella volta che scopando ho ingravidato la mia consorte altro che difenderlo ad oltranza come hanno fatto i suoi genitori. Saluti.
__________________
<<La Verità non richiede fede.>> |
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#23 |
Senior Member
Iscritto dal: Jun 2003
Città: latina
Messaggi: 2363
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riporto l'articolo del link:
Chiede la grazia per il padre: "non mi ha mai violentata" Tratto da La Repubblica del 12 settembre 2000 Chiede la grazia per il padre "Non mi ha mai violentata" Milano, l'uomo detenuto per 2 anni è latitante. Condanna definitiva. MILANO (c.s.) - "Da otto anni chiedo aiuto a tutti: chiedo che mi ascoltino e che mi credano, ma pochi mi ascoltano e nessuno mi crede. Ho accusato mio padre, ma mio padre è innocente; l'ho accusato di violenza, ma ho inventato tutto. Signor presidente, solo lei può aiutarmi: dia la grazia a mio padre, ripari a questa ingiustizia". Alessandra ha 24 anni, ad aprile suo padre è stato condannato dalla Cassazione a otto anni di carcere per stupro. Alla base delle accuse ci sono le parole di Alessandra che lei stessa, fin dalle indagini preliminari, ha ritrattato. Ma sette processi, dai risultati alterni, si sono infine conclusi con una sentenza di condanna. Alessandra ha così deciso di percorrere l'ultima strada e ha chiesto a Carlo Azeglio Ciampi la grazia per suo padre. Luigi La Marca, il suo avvocato, ha trasmesso l'istanza alla presidenza della Repubblica alla fine di agosto. Piero Forno, il Pm milanese che per primo interrogò Alessandra - quando lei aveva 16 anni - dice soltanto: "Il processo è stato fatto, la sentenza è definitiva". Si difende da un'accusa che la ragazza gli rivolge, quella di aver indagato senza averne la competenza territoriale: "Alcuni episodi che la ragazza riferiva si erano verificati nel Milanese. Solo in un secondo momento sono emersi fatti più gravi commessi in Valtellina e la competenza è passata alla magistratura di Sondrio". Il padre di Alessandra è stato in carcere preventivo per due anni ed ora è latitante. Vera Slepoj, psicoterapeuta, commenta: "Noi vediamo il bambino come un essere "puro" che non può che dire la verità, invece, suo malgrado, può dar vita a forme elaborate di costruzione di false verità". Alessandra chiede la grazia per il papà che accusò di violenza sessuale. Chiede clemenza, ora che ha 24 anni, per quell'errore che fece da adolescente, quando, quindicenne, vogliosa di attenzioni, disse di essere stata stuprata dal papà. Un'accusa terribile, che portò l'uomo di fronte al tribunale ad affrontare un lungo processo conclusosi con una condanna infamante e a otto anni di galera. Lui, per sfuggire alle sbarre, ora è scappato, latitante. Lei, che ha smentito la sua stessa accusa già otto anni fa, tenta ora l'ultimo chance: la grazia. Alessandra dice che suo padre è innocente. Per questo ha chiesto al presidente Ciampi la grazia, giurando e spergiurando che quelle accuse erano false, che lei inventò tutto e che l'uomo non c'entra niente. "Questa - dice oggi - è l'altra faccia della pedofilia. Non sempre le vittime sono i bambini". Ha 24 anni Alessandra, studentessa al quarto anno di giurisprudenza a Milano. Da otto lotta per dimostrare, senza riuscirci, l'innocenza del genitore. Ora si aggrappa all'ultima speranza e chiede al presidente della Repubblica di graziare il padre per un errore giudiziario di cui lei stessa dice di essere la causa assieme a medici, investigatori e soprattutto giudici. Accanto alla sua firma ci sono quelle della madre e di una sorella, sulla domanda di grazia fatta arrivare a Ciampi qualche giorno fa (ma accompagnata da parere negativo della procura generale). Dopo due anni di custodia cautelare, il padre, Giovanni, è fuggito: ora è un latitante colpito da condanna definitiva a 8 anni, dopo 7 processi e nonostante la ritrattazione della figlia già nelle indagini preliminari. "Continuo a domandarmi - scrive la ragazza a Ciampi - perchè mai ho inventato una storia così orribile. Ho trovato molte risposte che però nessuno vuole più ascoltare. Mi vergogno di me stessa. Mio padre è innocente". L'orribile storia - raccontata dalla stessa Alessandra - inizia nell'80, quando la famiglia si trasferisce in Valtellina per aprire un ristorante. Tra alti e bassi, la vita familiare scorre pittosto normalmente, tranne qualche brusca, violenta interruzione: il papà di Alessandra si arrabbia spesso, alza le mani. Nel '91 i genitori mandano Alessandra a vivere a Rho per frequentare la scuola superiore. Lei, che vuole essere sempre al centro dell'attenzione, improvvisamente si sente sola, abbandonata. Soffre il distacco da famiglia e amici. A fine '92 accade quello che diventerà l'evento scatenante dell'intera vicenda: Alessandra viene investita da un'auto mentre è in bicicletta. E' ricoverata per trauma cranico. Tornata a casa la assalgono nausee, mal di testa e crisi di panico. Rientrata in ospedale, una visita psichiatrica accerta "un certo disagio psicologico risalente ad un periodo precedente il trauma e dovuto a conflittualità intrafamiliari". Torna a casa, ma dopo un po' fugge e raggiunge Pavia. Mentre è al cinema, sola, entra in crisi. Viene portata in ospedale e poi in una clinica neurologica dove le vengono somministrati psicofarmaci. Ci resterà quasi due anni in tutto, tra ricadute e 11 tentativi di suicidio. E' allora, scrive a Ciampi, che "cominciai a raccontare di aver subito abusi sessuali da parte di mio padre e di un amico di famiglia", abusi dei quali "ero certa". Si susseguono gli incontri con poliziotti, assistenti sociali e con il pm milanese Pietro Forno che, secondo la ragazza, non avrebbe avuto "alcuna competenza ad indagare". Davanti al giudice, ammette Alessandra, "i contorni di questa vicenda mi apparivano nitidi e ben definiti, nonostante non avessi mai subito nessun tipo di violenza". Quando l'inchiesta passa al pm di Sondrio, la ragazza comincia a dubitare dei suoi ricordi: "mi resi conto che tutto quello che avevo raccontato per mesi" era "assolutamente falso". Comincia il processo, col padre e l'amico che devono rispondere di violenze gravissime, iniziate per l'accusa quando Alessandra aveva 3 anni. Non le credono, neppure quando dice di aver accusato il padre perchè così in ospedale era "posta al centro dell'attenzione", lei che voleva "attirarla in qualunque modo", e che in fin dei conti voleva far pagare al padre i maltrattamenti in famiglia. L'assoluzione arriva in appello, ma la sentenza è annullata nel '95 dalla Cassazione. Il processo, ricominciato in appello, si chiude con la condanna alla quale seguono un nuovo annullamento e una nuova condanna, definitiva, in Cassazione nell'aprile scorso. "Non si può chiedere la revisione - spiega il legale della giovane, l'avvocato Luigi la Marca -. Se avesse ritrattato dopo si sarebbe potuto pensare alla revisione. Ma le sue dichiarazioni sono state già valutate dai giudici". Perchè ha accusato suo padre? "Sono anni che me lo chiedo e forse ora ho trovato la risposta. Cominciamo col dire che amavo essere al centro dell'attenzione, che ho raccontato tutto solo i primi giorni, imbottita di psicofarmaci, e che sono vergine, come ha accertato un ginecologo. La cosa è cominciata senza che me ne rendessi conto. Durante la psicoterapia emerse che mio padre era manesco, violento, insomma una figura cattiva. Emerse che talvolta raccontava barzellette sporche ai clienti del ristorante, oppure che leggeva riviste pornografiche". Ma da qui alle violenze ce ne passa. "Quando dissi che da piccola avevo paura dell'uomo nero, cominciarono i dubbi. Percepii nettamente che, seppure nessuno me lo chiedesse, tutti volevano che dicessi che quella figura, l'uomo nero, era in realtà mio padre. E io lo dissi, una sola volta. Li ho accontentati. Ricordo benissimo il meccanismo che si avviò: andavo dallo psicoterapeuta e ricordando la mia infanzia immaginavo, sì immaginavo, cosa sarebbe potuto accadere se mio padre fosse stato un pedofilo". "Stavo male e ho mentito ora non riesco più a vivere" Alessandra: ero psicolabile, inventavo e mi sentivo al centro dell'attenzione di CINZIA SASSO MILANO - Ha i capelli neri, addolciti da riccioli naturali; è minuta, abbronzata, gli occhi senza neppure un filo di trucco. Alessandra si confessa in una casa di amici, una casa elegante, arredata con mobili di raffinato design, chiede solo che il suo volto non venga ritratto e mentre racconta - dapprima nervosa, le mani che si tormentano l'una con l'altra - ha accanto il suo ragazzo e l'avvocato al quale si è rivolta per tentare quest'ultima carta. Ha 24 anni, è iscritta al quarto anno di giurisprudenza e dice: "Sto studiando per diventare avvocato penalista di modo che un giorno troverò il modo per far riaprire il processo a mio padre e ottenere finalmente giustizia". Ha mandato suo padre in prigione; ha raccontato cose terribili - violenze subite fin dall'età di tre anni, costretta perfino a rapporti con un cane lupo - alle quali i giudici, tanti giudici, hanno creduto; adesso lotta mettendo in gioco di nuovo se stessa per dire al mondo che tutto quello che aveva detto è falso. "Mio padre non è certamente un santo - scrive nella lettera che ha mandato al Presidente della Repubblica - ma non mi ha mai fatto quello che io stessa avevo denunciato". "Tutto è cominciato alla fine del '92, avevo sedici anni. Ero stata investita da una macchina mentre andavo in bicicletta e mi sono ritrovata in ospedale con un trauma cranico". Comincia un periodo bruttissimo: gli esami davano un quadro normale, ma ad Alessandra venne diagnosticato un certo disagio psicologico dovuto a "conflittualità intrafamiliari vissute in modo ancora teatrale e immaturo". Per due anni entra ed esce da cliniche neurologiche, ha delle crisi che vengono placate con dosi massicce di psicofarmaci, tenta più volte il suicidio. Parla molto con i medici e confida di aver subito abusi sessuali da parte del padre e di un amico di famiglia. "Ricordo che per alcuni mesi ero certa di quanto andavo dicendo: raccontai episodi particolari a poliziotti, medici, assistenti sociali, fino al pubblico ministero Pietro Forno. Descrivevo in maniera accurata le violenze di cui mi ritenevo vittima. Non so perché, ma nella mia mente i contorni di questa vicenda mi parevano nitidi e ben definiti nonostante non avessi mai subito nessun tipo di violenza da parte di mio padre. Forse anche le tecniche di interrogatorio hanno avuto un'influenza nel mio ricordare". Negli anni ha cercato una spiegazione. "Dopo le mie dichiarazioni fui subito posta al centro dell'attenzione, mi sentivo particolarmente coccolata; più parlavo, più avevo idee e suggerimenti su nuove cose da inventare e più ne inventavo, più l'attenzione su di me aumentava. Per far pagare a mio padre i maltrattamenti che talvolta aveva usato nei confronti della mamma cominciai ad accusare mio padre. Ecco, l'unica spiegazione che posso dare al mio gesto è che avevo bisogno di essere sempre al centro dell'attenzione e sentivo la necessità di attirarla in qualunque modo". Ma già con il pubblico ministero di Sondrio che eredita l'inchiesta partita a Milano (la famiglia si era trasferita in un paese della Valtellina), dunque già prima del primo processo, Alessandra fa macchina indietro: "Era il luglio del '93, lo ricordo: al Pm dissi che forse non era vero quello che avevo raccontato, che forse quelle cose non erano mai successe.". Ma cominciò la sua guerra contro i mulini a vento: "Io avevo parlato da psicolabile, avevo avuto un crollo, e i medici hanno approfittato del mio stato fisico e mentale. Continuavano a dirmi che non poteva essere che non fosse vero, ripetevano che tutti gli abusati fanno così, che dopo cercano di ritrattare". Già al processo, quando arrivò la prima condanna per il padre, Alessandra in aula si scagliò contro i giudici. Si è messa a urlare "mio padre è innocente", a rincorrere la Corte fino in camera di consiglio tanto che venne allontanata con la forza. Faticosa da dire, ma Alessandra insiste: "Per avere un processo di revisione servono nuove prove, e io dove le trovo? Tutto è già stato giudicato: mi hanno creduto quando ho accusato, non mi hanno creduto quando ho ritrattato. Ho fatto anche una perizia ginecologica, risulta che sono vergine; e agli atti c'è una perizia psichiatrica, voluta dalla corte d'appello, che conclude dicendo che all'epoca delle rivelazioni in ospedale ero certamente malata, di una malattia che comprometteva la mia idoneità a rendere testimonianza". Manifestazioni di isterismo, ha scritto in quella perizia il professor Gianluigi Ponti, che "attualmente sono completamente scomparse". Quella corte d'appello assolse il padre di Alessandra; ma la macchina della giustizia ha continuato a sfornare processi: la Cassazione ha promosso un nuovo giudizio e quello è stato di condanna; poi un altro appello con otto anni di pena, fino alla conferma, dell'aprile scorso. Alessandra giura: "Quello che cerco di affermare da otto anni è assolutamente vero e no, non è dovuto a nessuna pressione esterna". In casa, racconta, non gliela hanno "fatta pagare": la madre e una sorella hanno firmato con lei la richiesta di grazia. "La grazia per mio padre - conclude Alessandra - sarebbe anche una grazia per tutta la mia famiglia. Vorremmo essere riuniti e ricominciare insieme ad alleviare tutto il dolore che abbiamo sofferto". bello vero?e questa e la giustizia italiana giustizia che non sà nemmeno dove stà di casa la responsabilità. |
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