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ecco a proposito un lungo intervento di Cappato... non condivido tutto quello che ha scritto ma lo trovo interessante
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http://www.radicali.it/
LIBERO SOFTWARE IN LIBERO STATO (l’Opinione)
# Articolo estratto da pag. 3 de l’Opinione, del 24 marzo 2004
Il no dei Radicali al regime delle corporazioni e dei sindacati eredi di quello fascista
Al Partito radicale, il più antico partito italiano, siamo convinti che in Italia esista un regime di corporazioni, partiti e sindacati che ostacolano la libertà individuale e negano i diritti civili e politici dei cittadini, primo tra tutti il diritto alla conoscenza.
Un esempio emblematico è quello della cultura ufficiale. L'oligopolio delle case editrici italiane ha infatti prodotto enciclopedie e libri di testo che tramandano - verrebbe da dire per sempre, per gli archivi, per la memoria del futuro - una storia che è falsa, nella quale l'identità dei radicali, di quelli che hanno legalizzato attraverso referendum e disobbedienze civili l'aborto, il divorzio, l'obiezione di coscienza al servizio militare, il cambio di sesso, diventa la storia di un gruppo di « venduti » e di marginali, oppure semplicemente scompare.
Vi chiederete che cosa c'entri questo con il software libero? Bene: mi è capitato di trovare una sola enciclopedia che fa eccezione, e che ha realizzato ad esempio un ritratto non deformante di Marco Pannella, che è, insieme a Emma Bonino, leader del Partito radicale. Si tratta, per l'appunto, di una enciclopedia "open source"; un'enciclopedia "libera", o, se preferite, una enciclopedia "volontaria", cioè un'enciclopedia le cui voci sono redatte da anonimi contributori non retribuiti, passate successivamente al vaglio di un comitato di redazione prima di essere pubblicate. Questa enciclopedia, che si chiama Wikipedia, ha già oggi più contatti online del sito dell'enciclopedia britannica!
Sono partito dall'esempio dell'enciclopedia per dire che per una persona come me, priva di professionalità tecniche, le tecnologie, tanto le nuove come le vecchie, non hanno un valore di per sé, né positivo né negativo, ma hanno un valore rispetto alla loro possibilità di aumentare o restringere gli spazi di libertà e conoscenza. In questo senso l'espressione "libre", "free" o "open", indica non tanto una condizione "tecnologica", ma un approccio, un metodo nella diffusione e condivisione del sapere.
Da almeno vent'anni, eserciti di sociologi, filosofi e consulenti aziendali fanno fortuna smerciando previsioni sull'affermazione della società della conoscenza, dei beni immateriali, del "know-how". Io credo che il mondo del software libero ci abbia dato la chiave per comprendere in che cosa questa società della conoscenza possa implicare maggiori opportunità per ciascuno. Non si tratta di un risultato scontato: in un'economia e in una società basata su beni immateriali ci sono possibilità di iniquità e divario analogo rispetto a quanto accade in un'economia basata su beni materiali.
La logica, la filosofia "libre", applicata al software, o all'enciclopedia, o alla biologia, o alla lingua, può rivoluzionare società sclerotizzate, e lo può fare - al contrario delle ideologie fasciste, comuniste, giacobine, totalitarie e di ogni altro rivoluzionismo illiberale - attraverso la valorizzione della libertà di scelta individuale, invece che attraverso l'imposizione di scelte centralizzate e pianificate.
Da un punto di vista economico questo accade perché l'impostazione "libre" consente di sottrarre i beni immateriali dal vincolo di bene economico il cui costo marginale di produzione, cioè il costo di un'unità aggiuntiva, è sempre superiore a zero, e il cui prezzo per unità aggiuntiva è sempre superiore a zero. Se infatti il prezzo e il costo di una macchina è 1, il prezzo e il costo di due macchine sarà più di uno. Il software proprietario si sottrae alla prima regola (il costo marginale di produzione è zero) ma non alla seconda (il prezzo di una licenza di software proprietario è uno, il prezzo di due è più di uno). Per il software che sia liberamente disponibile su Internet, invece, anche il prezzo, oltre al costo marginale tende a zero.
Per quanto il fattore economico sia un fattore importante, non è il più importante. L'elemento rivoluzionario nella metodologia "libre", che infatti non significa gratuito e non sempre è gratuito, sta nella possibilità di utilizzare il prodotto e di manipolarlo, aprirlo, comprenderlo, migliorarlo, modificarlo, controllarlo come più ci piace. E qui torniamo a un altro "mantra" della consulenza aziendale: il passaggio da un'economia della competizione a una della collaborazione, da soggetti piramidali a soggetti "a rete", dove i confini tra l'esterno e l'interno di un soggetto, ad esempio di una azienda, sono sempre più sfumati.
Il metodo "libre" rende, anche da un punto di vista operativo e tecnologico, questi concetti una realtà più concreta. I sistemi della galassia Gnu/Linux ad esempio, pur non essendo tutti gratuiti o del tutto gratuiti, sono tutti il prodotto, la sovrapposizione, di una serie infinita di contributi il più delle volte volontari, dei quali diventa difficile persino ripercorrere la genesi (e infatti soltanto giudici e avvocati dei brevetti si cimentano in questa impresa). Una varietà dei sistemi operativi può, paradossalmente, anche proteggerci dai virus, che proliferano in ambienti standardizzati.
Arriviamo al punto che ritengo il punto politico. Se il software libero, così come la enciclopedia libera, la genetica libera (di quei ricercatori che ritengono più importante mettere a disposizione i propri risultati invece che proteggerli con un brevetto) hanno questi vantaggi, perché spendere del tempo a parlarne in una conferenza come questa? Se davvero la collaborazione e condivisione della conoscenza porta benefici più grandi della semplice estensione ai beni immateriali dei metodi di scambio applicati ai beni materiali, perché non lasciamo che le cose facciano il loro corso, e che ciascuno decida da solo su ciò che gli è utile, su ciò che preferisce? Dopotutto, ciascuno preferisce copiare invece che comprare, o anche solo poter adattare invece che dover adattarsi. Ciascuno preferisce "libre" a "non libre", e quando si sceglie "non libre", allora vuol dire che il "non libre" offre contropartite - in termine di servizi, garanzie, affidabilità, standard - che valutiamo di più di quella libertà, soprattutto quando non abbiamo le competenze per modificare alcunché.
Personalmente, sono totalmente contro l'applicazione al software libero di logiche assistenzialiste e stataliste che si addicono (si fa per dire) a settori destinati alla scomparsa e non certo a settori innovativi, così come sono contro ad impedire che un soggetto cerchi una remunerazione per i suoi investimenti, anche in beni immateriali.
Nonostante ciò, ritengo vi siano tre elementi rispetto ai quali l'intervento pubblico è importante, non tanto per la "promozione" del software libero, ma per l'eliminazione di barriere antieconomiche e antiliberali al suo sviluppo.
1) Esistono monopoli economici da limitare, e forse questo è l'aspetto meno preoccupante, in quanto esistono gli strumenti per farlo.
1) Esistono monopoli giuridici da limitare, dei quali il brevetto è la forma più insidiosa. Il Parlamento europeo ha fortunatamente modificato una proposta della Commissione, ancora in discussione che aprirebbe la strada alla brevettazione del software in Europa (già surrettiziamente introdotta dall'ufficio europeo dei brevetti). Brevettare il software equivale a brevettare le idee, ad impedire che in due posti diversi del mondo due persone realizzino la stessa idea in modi diversi, ad ingrassare le burocrazie pubbliche e private (gli uffici legali delle grandi aziende che gestiscono il portafolio brevetti) contro la diffusione dell'innovazione.
3) Esistono, infine, funzioni pubbliche da garantire (e-democracy), non solo nella democraticità e legalità del risultato, ma anche del processo. L'amministrazione pubblica non è obbligata a scegliere sistemi "liberi", ma è obbligata a scegliere sistemi controllabili da ciascun cittadino (basta pensare ad esempio all'importanza di verificare la correttezza di un sistema di voto elettronico o di voto telematico), che possano il più possibile beneficiare anche dei suggerimenti e delle intergrazioni di ciascun cittadino. È evidente che, a parità di altre condizioni, un sistema aperto diventa preferibile per l'investimento pubblico.
Per concludere, voglio tornare da dove sono partito, cioè alla generalizzazione del metodo libre ad altro che al software. Più saremo in grado di liberarci di monopoli, proibizionismi, protezionismi, corporazioni e caste, più il metodo libre, della condivisione degli obiettivi, del lavoro e dei risultati di quel lavoro, si estenderà a varie attività umane: esistono già film "open source", ricettari gastronomici, agenzie pubblicitarie o agenzie investigative, progetti di ricerca, media.
Dovranno esistere sempre di più anche istituzioni "open", partiti politici "open", dove il cittadino, il militante, possa disporre degli stessi strumenti di conoscenza e di iniziativa dei dirigenti, dove il confine tra "dentro" e "fuori" l'organizzazione sia un confine determinato ogni istante dalle libere scelte di ciascuno.
E' però bene non farsi illusioni: le nostre leggi e le nostre istituzioni spesso operano per conservare rendite di posizione più che per innovare, e possono anche chiudersi ulteriormente. Da un punto di vista tecnologico, non solo può ridursi lo spazio "libre", ma rischia concretamente di aumentare lo spazio della censura, della sorveglianza e del controllo.
Molto spesso la nostra attenzione si concentra sugli Stati uniti, perchè è il più grande mercato del mondo e perché il Governo è particolarmente interventista in materia di brevetti di diritto d'autore. Non dobbiamo però dimenticare che ci sono decine di Paesi dove gli individui vivono sotto costante controllo governativo, spesso organizzato militarmente.
La fase finale del summit mondiale dell'informazione dell'ONU si terrà, nel 2005, a Tunisi. In Tunisia, come in gran parte del mondo, le tecnologie digitali sono uno strumento nelle mani innanzitutto di élites tecnocratiche del regime. Ho lanciato un testo, firmato da 95 eurodeputati di tutti e 15 i Paesi membri e di 8 gruppi politici diversi, per fare di quell'appuntamento un'occasione positiva chiedendo la liberazione, ad esempio, dei cyberdissidenti arrestati. Se il mondo "libre", in senso tecnologico o in senso politico, non penserà un poco anche alle libertà degli altri, finirà per perdere anche la propria, e non ci sarà software che potrà impedirlo.
Marco CAPPATO
mcappato@europarl.eu.int
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