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#1 |
Bannato
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Tutti i numeri della ricerca, luci e ombre del sistema italiano
http://www.molecularlab.it/news/view.asp?n=5738
Il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha realizzato un agile data book, dal titolo ‘Scienza e tecnologia in cifre. Statistiche sulla ricerca e sull'innovazione’, che raccoglie i principali indicatori relativi all’impegno italiano e internazionale in ricerca e sviluppo (R&S): risorse finanziarie ed umane, pubblicazioni, brevetti, import-export, high-tech, innovazione, ricadute a livello economico e produttivo. “Il sistema scientifico italiano soffre ancora per l’insufficiente livello di stanziamenti”, sostiene Secondo Rolfo, direttore dell’Istituto di ricerca sull’impresa e lo sviluppo (Ceris) del Cnr di Torino: 15.252 milioni di euro complessivi tra comparto pubblico e imprese (dati 2004) pari all’1,1 % del Prodotto interno lordo. Una cifra che colloca l’Italia al nono posto tra i paesi Ocse, Cina e Israele: al primo posto della graduatoria compaiono gli Stati Uniti con 312,5 miliardi di dollari Usa (a parità di potere di acquisto), seguono con 118 il Giappone e la Cina con 94, Germania (59,2) Francia (38,9) e Regno Unito (32,2), Corea (28,3), Canada (20,8). Nel 2004 si segnala comunque un aumento rispetto al 2003 dell’1,2 per cento, dopo una generale diminuzione negli anni novanta. L’1,1% come rapporto R&S/Pil assegna all’Italia l’ultimo posto nei Paesi Ocse, Cina e Israele, a pari merito con la Spagna: nella graduatoria, Israele è al primo posto con il 4,4%, la Svezia investe il 4,0%, la Finlandia il 3,5%, il Giappone 3,2%, la Svizzera e la Corea il 2,9%. Gli altri paesi oscillano tra il 2,7% degli Stati Uniti e l’1,2% dell’Irlanda. Sia come valore assoluto, sia come incidenza percentuale, le risorse finanziarie impegnate nelle attività di R&S collocano insomma l’Italia nella fascia medio-bassa dei paesi industrializzati, molto lontano dal 3% del Pil proposto a Lisbona come obiettivo della politica comunitaria tesa a fare dell’Unione la prima economia al mondo basata sulla conoscenza. La spesa complessiva per R&S intra-muros, cioè svolta da imprese private, istituzioni pubbliche e istituzioni non profit al proprio interno, con proprio personale e con proprie attrezzature, nel 2004, è sostenuta per il 47,8 % dalle imprese (7.293 milioni di euro) e per il 32,8 % dalle università (5.004 milioni di euro). Più contenuto il peso delle altre istituzioni pubbliche e del non profit, rispettivamente con il 17,8% e l’1,5% per cento. In Italia la spesa delle imprese in ricerca rappresenta lo 0,53% del Pil, dunque circa la metà dello sforzo complessivo nel comparto. Ma si posiziona molto distante da quella delle imprese degli altri paesi Ocse, Cina e Israele. Sempre in rapporto percentuale al Pil è Israele con il 3,25 a occupare la prima posizione; seguono Svezia e Finlandia rispettivamente con 2.93 e 2,42. Prima di noi Germania con l’1,75, Danimarca (1,69), Austria (1,51) e Francia (1,34), ma anche Cina (0,82), Irlanda (0,78) e Spagna (0,58). A livello locale, osservando i dati sulla spesa, al primo posto compare il Nord-ovest con il 36,9 % della spesa complessiva, seguito dal Centro (26,6%), dal Nord-est e dal Mezzogiorno (rispettivamente 18,3% e 18,2 %). L’investimento in R&S delle imprese è concentrato per più della metà (54,9 %) nel Nord-ovest. Le differenze territoriali si attenuano considerando la spesa per ricerca sostenuta dagli altri settori: il 57,3 per cento dell’attività di ricerca delle istituzioni pubbliche si svolge infatti nell’Italia centrale (in particolare nel Lazio) e il 30,7 per cento di quella universitaria nel Mezzogiorno. Nel 2004, il personale italiano impegnato in attività di ricerca è pari a 164.026 unità a tempo pieno, di cui 72.012 ricercatori, con un aumento dell’1,4 % rispetto all’anno precedente. Confrontando questi numeri con quelli internazionali vediamo gli Stati Uniti al primo posto con circa 1.335 migliaia di ricercatori (in equivalente tempo pieno) e, tra i paesi europei, la Germania con 270,7 mila: cioè quattro volte l’Italia. Paesi di dimensioni molto ridotte, in termini di popolazione, rispetto all’Italia, come Svezia, Finlandia e Paesi Bassi, hanno circa la metà dei nostri ricercatori. Questo rilevante investimento di risorse umane, ma anche finanziarie, nella R&S colloca questi paesi tra i primi posti per spesa e numero di ricercatori rispetto agli occupati. Prendendo in esame il personale di ricerca in rapporto alla forza lavoro, poi, il nostro paese si trova in penultima posizione (0,673%, cioè poco più di “mezzo” ricercatore ogni 1.000 unità di forza lavoro) tra i paesi Ocse ed è seguito solo dalla Cina (0,150), lontanissimo da Finlandia (primo posto con 2,229), Svezia (1,623) Danimarca (1,481) e Giappone (1,349). La distribuzione territoriale del personale addetto alla R&S mette in luce la maggiore concentrazione di addetti nelle regioni del Nord-ovest (32,1%), seguite da quelle del Centro (28,0%) e nel Mezzogiorno (20,6%). A livello di singole regioni, il 18,3% del personale addetto alla R&S si trova nel Lazio; seguono la Lombardia (17,9%) e il Piemonte (11,1%). A fronte dell’aumento del personale registrato a livello nazionale nel 2004, il Piemonte, la Lombardia, il Lazio, le Marche e la Sardegna perdono addetti. “I dati sulle pubblicazioni su riviste scientifiche ottenute da ricercatori italiani testimoniano una produttività della ricerca pubblica a livelli confortanti e in crescita nel tempo”, sostiene il direttore del Ceris. La percentuale di citazioni di articoli scientifici di ricercatori italiani nelle pubblicazioni scientifiche è notevolmente aumentata fra il 1992 e il 2003: si è passati da 2,04% al 3,01% sul totale mondiale delle citazioni. Meglio di Spagna, Paesi Bassi, Svezia, Canada, Cina e Svizzera. Un indicatore particolarmente significativo dei risultati della ricerca (molto vicino all’applicazione pratica) è costituito dai brevetti. In questo campo il nostro Paese (“un popolo d’inventori”) non occupa le prime posizioni. Prendendo in esame il totale dei brevetti domandati (presso l’European Patent Office e il Japanese Patent Office) o rilasciati (dal United States Patent and Trademark Office), l’Italia copre l’1,56% del totale, dietro a Stati Uniti (37,56%), Giappone (25,85%), Germania (13,82%), Francia (4,54%), Regno Unito (3,76%), Paesi Bassi (1,94%), Svizzera (1,72%), Corea (1,60%). Altro indicatore che evidenzia il livello scientifico-tecnologico di un paese è lo scambio di tecnologia, rappresentato da brevetti, invenzioni, licenze, know how, marchi da fabbrica, servizi con contenuto tecnologico (come assistenza tecnica, formazione del personale, servizi di ricerca e sviluppo, ecc…). La cronica situazione deficitaria della bilancia dei pagamenti della tecnologia dell’Italia è migliorata: rispetto alla spesa per R&S il saldo dei pagamenti è passato da -6,35% del 1992 a -1,10% del 2004. Sempre preponderante è l’esborso per acquisto di diritti di sfruttamento di brevetti, ma aumentano notevolmente gli incassi per servizi con contenuto tecnologico, di ricerca e sviluppo (più che raddoppiati nel periodo 1995-2005). “Il nostro è un paese”, conclude Rolfo, “che pur mostrando particolari successi sia imprenditoriali sia settoriali, in generale manifesta un livello scientifico-tecnologico del ‘sistema paese’non esaltante. Lo conferma un indicatore come le esportazioni delle industrie manifatturiere ad alta tecnologia in rapporto al totale delle esportazioni delle industrie manifatturiere”. Fra i paesi Ocse, per prima troviamo l’Irlanda con oltre la metà (51,6%) dei manufatti esportati ad alta tecnologia. Seguono Ungheria (30,0%), Stati Uniti (28,5%), Giappone (26,5%), e poi Regno Unito, Paesi Bassi, Francia e molti altri. L’Italia esporta solo l’8,6% di manufatti ad alta tecnologia, sopravanzata da Repubblica ceca (13,5%), Slovenia (10,9%), Grecia ((9,8%), Spagna (9,3%). Bisogna rifletterci VERAMENTE stavolta, o prima o poi paghiamo REALMENTE le conseguenze. |
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#2 |
Senior Member
Iscritto dal: Oct 2000
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La questione dei soldi è solo un minimo aspetto della vicenda, se non un alibi nella maggior parte dei casi in cui si parla dello stato pietoso della ricerca in Italia.
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#3 |
Senior Member
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Città: spero ancora per poco in italia
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ci butteranno fuori dall' euro
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#4 |
Senior Member
Iscritto dal: Dec 2003
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In compenso la review di chimica piu' citata al mondo e' di un italiano (Il professor Tomasi, dell'universita' di Pisa)
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#5 |
Senior Member
Iscritto dal: Sep 2003
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#6 |
Senior Member
Iscritto dal: Dec 2003
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"Quantum Mechanical Continuum Solvation Models", il riferimento bibliografico e'
Chem. Rev. 2005, 105, 2999-3093 E' una review che descrive i principali modelli quantomeccanici per trattare l'interazione di una specie con un solvente o un intorno molecolare, trattando quest'ultimo come se fosse un mezzo continuo polarizzabile di cui e' noto il tensore di permittivita' dielettrica. Il gruppo del prof. Tomasi, in particolare, ha sviluppato un modello detto IEF-PCM, particolarmente efficiente ed affidabile.
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#7 | |
Moderatrice
Iscritto dal: Nov 2001
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#8 | |
Senior Member
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#9 | |
Bannato
Iscritto dal: Aug 2001
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![]() ![]() ![]() In pratica è una di quelle ricerche molto belle teoricamente ma che industrialmente (dico a livello di chimica industriale) valgono meno di un pezzo di BASIC scritto da un bambino di 10 anni (io ![]() |
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#10 | |
Moderatrice
Iscritto dal: Nov 2001
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Ringrazia di essere tu a spiegare a me...quando capita il contrario ti lamenti sempre del fatto che le mie spiegazioni non sarebbero accurate quanto le tue.
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![]() Comunque se il bambino sei tu il pezzo di basic non è inutile, è una sacra reliquia. ![]() ![]() ![]()
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#11 |
Moderatrice
Iscritto dal: Nov 2001
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Tutto ciò, dando per scontato che ognuno sappia/ricordi cosa sia (a) un tensore, (b) la permittività elettrica, (c) che la permittività elettrica sia in generale un tensore.
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How you have fallen from heaven, O star of the morning, son of the dawn! You have been cut down to the earth, You who have weakened the nations! (Isaiah 14:12) Ultima modifica di ChristinaAemiliana : 30-11-2007 alle 18:59. |
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#12 | |
Senior Member
Iscritto dal: Sep 2003
Città: spero ancora per poco in italia
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#13 |
Senior Member
Iscritto dal: Apr 2005
Città: Napoli
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Beh, abbiamo scoperto che un nostro articolo è stato citato su una review sulla sclerosi multipla del 2006 su Lancet... Ma ci sono 144 reference in quella review... Infatti da quello che ha scritto non ha letto molto attentamente non solo l'articolo, ma forse neache l'abstract...
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0 A.D. React OS La vita è troppo bella per rovinarsela per i piccoli problemi quotidiani... IL MIO PROFILO SOUNDCLOUD! ![]() ![]() ![]() |
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#14 | |
Senior Member
Iscritto dal: Dec 2003
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Tutt'altro: e' una ricerca che, introducendo la possibilita' di trattare il solvente da un punto di vista teorica, avvicina il mondo della chimica teorica pura a quello della chimica sperimentale tramite computer. Essere in grado di predirre il risultato di una sintesi a priori, senza bisogno di fare anni di esperimenti e' un risultato che anche industrialmente e' rivoluzionario: la chimica teorica e' ancora agli inizi da questo punto di vista (anche perche' la potenza di calcolo disponibile e' quella che e'...) ma il futuro vorrebbe essere questo. Il modello discusso nella review che ho citato e' un modello che, tramite un'approssimazione, permette di descrivere in modo semplice un sistema grande (virtualmente infinito, in confronto alle dimensioni di una molecola!) in modo semplice e poco dispendioso. In pratica l'idea e' di studiare la solvatazione in questo modo: ci si concentra sulla molecola della quale si vogliono calcolare le proprieta' desiderate e si considera che essa sia cricondata da uno spazio minimo vuoto, descritto da un "buco" rispetto ad un mezzo continuo "pieno". Tale cavita', che ovviamente rispecchia la simmetria della molecola ed e' costruita seguendo alcuni modelli piuttosto avanzati, rappresenta l'interfaccia fra soluto e solvente, o - a seconda del sistema preso in analisi, tanto per fare un altro esempio - molecola e altre molecole di un cristallo. Il modello IEF-PCM prevede di descrivere il sistema complessivo prendendo in esame solo la superficie e la molecola stessa, con grande risparmio da un punto di vista computazionale. Scendere in dettagli e' fuori dalla mia portata (ancora per qualche anno ![]()
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#15 | |
Bannato
Iscritto dal: Aug 2001
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![]() I parametri industriali sono innanzitutto la fattibilità/riscontro su breve lasso temporale (facciamo 1,2 anni) e il contenimento dei costi (in questo caso quelli di simulazione), altrimenti i fondi mica arrivano ![]() |
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#16 | |
Senior Member
Iscritto dal: Dec 2003
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![]() I parametri della grande industria (oltre che del mondo accademico) possono essere anche a lungo termine: per le idrogenazioni catalitiche enantioselettive un'importantissima casa farmaceutica americana finanzio' un gruppo di ricercatori investendo milioni e milioni di dollari per una buona quindicina d'anni... fra 10 anni, quando la potenza di calcolo sara' sufficiente per iniziare a parlare di simulazioni su sistemi grossi (molecole come farmaci, ad esempio) in modo quantitativo non solo sulle proprieta' statiche ma anche per quel che riguarda la reattivita' il panorama cambiera' sostanzialmente. Ed e' gia' cambiato radicalmente negli ultimi 10!
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#17 | |
Bannato
Iscritto dal: Aug 2001
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#18 |
Senior Member
Iscritto dal: Dec 2003
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Anch'io: se cosi' non fosse probabilmente fra 10 anni faro' il clochard...
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#19 | ||
Member
Iscritto dal: Oct 2001
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Quote:
![]() Potresti spiegarti meglio? La "questioni dei soldi" è, a mio avviso, fondamentale... se si vuole che la ricerca in Italia sia competitiva a livello internazionale, bisogna mettere mano al portafoglio e anche in maniera MOLTO sostanziosa. Possiamo essere poi d'accordo sul fatto che ci siano anche altri problemi e che questi soldi sarebbe bene che vengano distribuiti non a pioggia (come putroppo accade spesso in Italia) ma in maniera mirata... però non capisco proprio la pretesa di voler vedere dei risultati senza aver investito su qualcosa. Cmq dal rapporto emergono cose interessanti: Quote:
Ovviamente la musica cambia sul lato brevetti e trasferimento tecnologico.. ma lì entra in gioco anche la controparte industriale che in Italia putroppo è quella che è... |
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#20 | |
Senior Member
Iscritto dal: Oct 2000
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Quote:
Chi ha esperienza all'interno di una università, sa che l'importante, la cosa fondamentale, è NON produrre risultati. Sì perchè in un sistema dove si premia chi non fa nulla, un soggetto che lavor mette in cattiva luce tutti gli altri e il sistema stesso, e per questo è ostracizzato. Ora, dato che questa è la norma del sistema universitario italiano su cui si basa la ricerca, capirai che dare più soldi alla ricerca significa che quell'1% del personale che lavora veramente avrà in effetti modo di produrre qualcosa di più, ma il 99% del personale avrà semplicemente più soldi per il suo "harem" senza che questo porti a nessun prodotto sostanziale in più.
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