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31-12-2005, 18:51 | #1 |
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femminismo, non è mai morto
18.12.2005
«Il femminismo non è mai morto» Intervista a Dacia Maraini a cura di Maria Serena Palier Roma Il 29 novembre scorso, alla Camera del Lavoro, a Milano, sotto questa insegna si è svolta un’assemblea di donne di quelle che non si vedevano da un pezzo: tema, la campagna contro la legge 194 sull’aborto e la pillola Ru486. Negli stessi giorni, a Roma, donne in picchetto davanti alle Camere protestavano contro gli obbrobriosi accenti del dibattito sulle quote rosa. Fin qui, due eventi che nascono in un modo e spontaneamente crescono e si trasformano in qualcos’altro. Poi un vero appuntamento: il 14 gennaio a Milano per la manifestazione nazionale. E, da qui a quel secondo sabato dell’anno nuovo, una scaletta di incontri preparatori: www.usciamodalsilenzio.org, il sito d’informazione, segnala quelli dei giorni scorsi a Palermo, Bergamo, Vigevano, Mestre, Ferrara, Genova. Ieri a Milano, Bologna, Roma, Firenze, l’Aquila. Da domani a Natale a Ravenna, Varese, Mantova, Pistoia, Torino. Tra i meriti di questo governo annovereremo in futuro anche quello di aver rimesso le donne in movimento? Di aver ridato coraggio all’opinione pubblica femminile? L’attivismo di questi giorni ha qualcosa del fenomeno naturale: come se in una pozza d’acqua silente, stagna, all’improvviso esplodesse un geyser. Perché quanto tempo è - dieci anni? di più? - che non appariva con tanta nitidezza l’obiettivo per cui armarsi d’uno striscione e portarlo per strada. Dacia Maraini è una scrittrice che nell’ultima quindicina d’anni ha raggiunto un successo amplissimo con romanzi come Bagheria o l’ultimo, Colomba. Siccome il movimento neofemminista degli anni Settanta un peccato - grave - l’ha commesso: ha consegnato scarsa o nulla memoria storica di sé, le più giovani possono non sapere che Dacia Maraini è stata anche una colonna, a Roma, di quel movimento. Mentre lei stessa poco pubblicizza l’alacre attività «sul territorio» (si sarebbe detto un tempo) - incontri in scuole, centri culturali, ecc...- con cui accompagna il proprio lavoro di romanziera. Sembra che si torni in piazza. A lei, Dacia Maraini, in questi anni il movimento delle donne era sembrato morto? «È tramontata l’ideologia, è finita l’utopia. La presenza attiva no, quella non è mai finita. Io vedo dappertutto luoghi dove le donne si incontrano, tra professioniste come tra lettrici, vedo in molte città centri di accoglienza per donne vittime di maltrattamenti e abusi. Anzi, sotto questo aspetto - l’agire, il rimboccarsi le maniche - secondo me questo è un mondo più vivo oggi di dieci anni fa. A Caserta, per esempio, ho conosciuto un gruppo simpaticissimo di suore agostiniane che raccolgono prostitute minorenni e, nella loro “Casa Ruth”, le avviano a una vita libera». Suore, ma donne, insomma, che lavorano su un fronte specifico, lo sfruttamento sessuale. E, a quello che capisco, in un’ottica di libertà, non di «redenzione». Trent’anni dopo questo sarebbe uno dei luoghi inaspettati dove il femminismo agisce. Però di grandi eventi collettivi e pubblici non se ne vedono da quella che sembra un’eternità. Se dovesse spiegare a una ragazza, oggi, cosa significava andare in piazza a decine di migliaia, quale esempio le verrebbe in mente? «A Napoli, nel '73 o '74, ci fu un corteo nazionale enorme, organizzato e caldissimo, sul tema del riconoscimento del lavoro casalingo. Era, ed è, un lavoro tra quattro mura, invisibile, non considerato, lì diventava oggetto di una richiesta politica. Oppure mi ricordo tutt’altro tipo di avvenimento, a Riccione, un incontro nazionale dei gruppi di autocoscienza: in quel caso si parlava del rapporto tra noi e le altre, di invidualità e collettività. Ricordo benissimo la data, il 2 novembre 1975. Perché mi telefonarono, mi dissero che era morto Pasolini, io feci i bagagli e tornai a Roma». Questa legislatura tra le molte vittime che ha sulla coscienza ha la scomparsa di quel lavoro femminile trasversale tra esponenti di schieramenti opposti, che precedenza aveva prodotto leggi a favore delle donne. La riforma del diritto di famiglia, la 194, la legge sulla violenza sessuale per esempio. Una scomparsa che ha pesato come un macigno sulla questione delle quote rosa. «Sì, mi sembra che l’ultima volta che in Parlamento si siano viste le deputate protestare insieme sia stato in occasione di quella sentenza pazzesca che riteneva connivente una ragazza stuprata perché indossava jeans troppo difficili da strappare con la violenza...» È l’argomento della “vis grata puellae” che non muore mai. Noi ci ricordiamo di averlo sentito usare dall’ex presidente Leone, in Senato, nel dibattito sulla legge sulla violenza sessuale. Ecco, lei crede che da donne dovremmo periodicamente fare un’operazione di setaccio e accertare quanto di prestorico riaffiora nel sentire comune? «Quello è un argomento di una misoginia orribile. Io non ho mai sentito dire, di uno cui abbiano rubato il portafoglio, che era consenziente. Invece ho letto che le compagne di scuola di una delle due ragazzine vittime del brano a Lanciano, il caso di cronaca dei giorni scorsi, commentavano ‘se l’è voluta, girava con l’ombelico di fuori’... Purtroppo sono quindicenni fuori da ogni memoria storica». La tv ha aiutato in questi anni a cancellarla? «Sì. Mostra donne che devono parlare solo col linguaggio del corpo, un linguaggio di seduzione volgare, livellato. Se vai da Vespa e ti atteggi in quel modo puoi, poi, dire pure un tuo parere, ma il linguaggio che passa è l’altro, la parola diventa inefficace». Se ha un sogno, qual è? Cosa vorrebbe che succedesse da qui al 14 gennaio, e quel giorno, e dopo? «Spero che quel giorno ci siano tante donne. Che le ragazze che considerano, per fortuna, i loro diritti intangibili, comincino a riflettere sul fatto che vanno difesi. Che le altre che ancora non sanno niente riflettano sulla propria autonomia sessuale e la propria libertà. Che nasca un movimento collettivo, con degli ideali, capace di mettere insieme passato e futuro». (L'Unità)
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01-01-2006, 17:13 | #2 | |
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Il femminismo è ed è sempre stato molto altro rispetto ai luoghi comuni che hai concentrato nelle quattro righe sopra, e soprattutto non ha mai mirato a distruggere alcun sistema genetico, ma piuttosto una situazione di ingiustizia sociale perpetrata per secoli, a discapito delle donne, sulla base di ruoli costruiti in base a caratteristiche fisiologiche loro proprie (il parto, in particolar modo), in virtù della costituzione di una nuova teoria della giustizia che comprendesse quei soggetti fino a poco prima esclusi. Il movimento delle donne segue la Rivoluzione francese, ma anche la dichiarazione d’indipendenza e la Costituzione federale degli appena costituiti Stati Uniti d’America, non a caso; ed è un fenomeno complesso, temporalmente e spazialmente condizionato, a tal punto che, da tempo, chi si occupa del fenomeno parla di “femminismi” per rendere ragione della varietà delle posizioni assunte. E non poteva essere altrimenti visto che le donne non sono una “categoria”; alcuni teorici comunitaristi e neocomunitaristi nord americani hanno provato a considerare i gruppi sociali come attore principale delle loro teorie, quindi anche “le donne”, ma senza successo, poiché è stato già messo in luce a quali pericolose conseguenze si arriva partendo da questo assunto. Chiediamoci perché non può esistere, e se esistesse non potrebbe durare, un partito politico delle donne (o degli uomini) come categoria sociale. Detto questo, io ritengo grave che in generale i più (anche le donne) per opportunità o ignoranza identifichino e riducano il femminismo a quello radicale degli anni ’70, che è chiaramente il più scomodo ancorché minoritario, senza peraltro ben comprenderlo. Sottolineo, infatti, che il femminismo radicale non esaurisce il fenomeno femminista, tutt’altro, ma ne costituisce l’ala più estrema, e che, a differenza di tante altre punte estreme (ad es. la direzione presa dal movimento dei diritti civili negli anni ’60, quando Martin Luther King si è accostato alle posizioni radicali di Malcom X), si è attenuato nel giro di qualche anno senza episodi rilevanti di violenza predeterminata. Sul femminismo come corrente storica in generale ci sarebbe molto da dire, in primo luogo riguardo agli obiettivi; sul femminismo degli anni ’70 in particolare bisognerebbe capire come si è esplicato e, cosa più importante, per quale motivo è nato dopo e non con il ’68. Nozioni indispensabili se si vuole affrontare il dibattito in modo serio e senza storpiature. Riguardo all’articolo in topic: io non impazzisco per la Maraini “romanziera”, ma ha detto due cose che condivido: 1) il neofemminismo degli anni ’70 non ha lasciato memoria storica (quindi figuriamoci quello venuto prima) e su questo ha fatto una buona analisi M. Cacace in “Femminismo e generazioni”, 2004; 2) questo è dovuto soprattutto alla diffusione della televisione, capace di penetrare fino al midollo nelle menti ormai atrofizzate delle persone, e al messaggio e ai modelli di cui è portatrice. E a questo proposito, visto che la stessa Maraini lo cita nell’articolo, suggerisco di rileggere la sempre attuale analisi di Pasolini su progresso e sviluppo. Infine, è vero che il femminismo come fenomeno di azione sociale si è notevolmente attenuato con la fine degli anni ’70, ma non è mai morta, anzi è più viva che mai, la volontà di creare una società giusta che non prescinda dalle donne, e dal diritto di queste di autodeterminarsi nei vari ambiti del sistema sociale alla pari degli uomini, che poi è l'obiettivo di fondo di tutti i femminismi. (cfr. ad es. anche se è un po' datato: Justice, Gender and the Family ,1989, di Susan M. Okin). Per quel che mi riguarda poi - ma io non sono una femminista, per cui quel che faccio io in fin dei conti è irrilevante – l’attenzione è da tempo spostata sulle donne che abitano nei paesi in via di sviluppo e neoemergenti, perché in alcuni di essi a rischio sono i diritti umani, quelli fondamentali di ogni individuo; se non vengono fatti salvi questi, non ha senso nemmeno parlare di pari opportunità (che non esistono e non esisteranno mai, checché se ne dica, ma questo è un altro discorso). ciao
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01-01-2006, 20:32 | #3 | |
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C’è un errore di fondo: io non sono intervenuta per confutare le tue legittime opinioni personali, e ancor meno per iniziare un contraddittorio sul femminismo e la storia delle donne – se non altro perché quasi nessuno qui dentro potrebbe seguirmi, almeno credo - ma per correggere equivoci ed errori su fatti e processi storici (oggettivi e documentati), che molti uomini e molte donne non conoscono e tendono anzi a distorcere, filtrandoli con sensazioni, emozioni, auspici personali (soggettivi e non pertinenti). Io credo che su fatti concreti, e non su pregiudizi e verità parziali, vadano formulate opinioni se vogliono avere pretesa di validità. Se poi come ambito citi addirittura “il mondo”, mi pare che siate tu e la tua signora a non conoscere bene lo stato delle cose: è piuttosto noto, se non altro dai rapporti annuali di varie organizzazioni che si battono per i diritti umani, che la condizione delle donne non è proprio rosea in diversi posti fuori dall’occidente. In certe culture il peso e il ruolo della donna è molto inferiore a quello degli uomini, con conseguente assegnazione di funzioni subordinate a quest’ultimo; di fatto la presenza della donna nella vita pubblica è minima, tranne alcune eccezioni, ad es. Benazir Bhutto in Pakistan (ma era la figlia dell’ex leader molto amato dalla popolazione, e questo è stato significativo). Senza dubbio un aumentato livello d’istruzione farà molto: ma quale istruzione e a quali donne? L’istruzione occidentale a immigrate in occidente? Il problema è molto complesso: per queste la formula potrà funzionare (ma metterei anche un condizionale per prudenza, i retaggi culturali sono difficili da cancellare persino dopo generazioni), se si è d’accordo a non adottare il fallimentare modello del multiculturalismo che di fatto porta alla ghettizzazione, e quindi al riprodursi all’interno della comunità delle medesime strutture e delle medesime gerarchie della cultura d’origine. Ma nei paesi d’origine come si può agire? Sarà possibile l’emancipazione per le donne in stati ad es. come le due teocrazie Arabia Saudita (sunnita) e Iran (sciita), dove la condizione d’inferiorità della donna è parte integrante della cultura-religione? A me pare inevitabile un processo di secolarizzazione, che è di reinterpretazione della shari’ah, e quindi in questo senso di disgregazione di una cultura. Per non parlare delle differenze tra islamismo sciita e sunnita. Beninteso: sono tutte domande che mi pongo queste, non pretendo risposta, ammesso ce ne sia una sola. Quanto all’appeal sessuale, sbagli: la critica che fai è anche il concetto di fondo che la Maraini esprime nell’articolo, e non solo suo per la verità; tieni presente che la critica principale che la quasi totalità delle teoriche femministe fa a molte donne (soprattutto dello spettacolo) dell’epoca post-moderna è proprio questa: la mercificazione, la svendita del proprio corpo dopo che ci sono voluti due secoli per riappropriarsene. E a proposito di questo la Maraini ha parlato di "mancata memoria storica" per le nuove generazioni di donne, che non sono certo definibili femministe, e che spesso ignorano che la libertà di cui stanno godendo, e spesso svilendo e degradando, è stata pagata profumatamente dalle generazioni precedenti. Per concludere: dici bene nel considerare le donne pari agli uomini seppur le une diverse dagli altri: ed è proprio questo il fine ultimo del femminismo, non la supremazia della donna sull’uomo, tanto ingiusto quanto la supremazia dell'uomo sulla donna, che poi, di fatto, è stato il fine della cultura maschilista e sessista che storicamente ci ha preceduto. Vorrei che fosse chiaro, infatti, che femminismo e maschilismo non sono due facce opposte della stessa medaglia, non sono i due volti di un giano bifronte legati da una dualità continua. Nient’affatto. Il maschilismo nei suoi obiettivi di fondo ha mirato a teorizzare una giustizia da cui sono escluse le donne; viceversa, il femminismo nei suoi obiettivi di fondo ha mirato a costituire una giustizia che comprendesse anche le donne, riscattandole da un assoggettamento socialmente giustificato con riferimento al genere, dove queste potessero avere i medesimi diritti degli uomini, salvaguardando in toto le differenze tra i due sessi. Aggiungo che sul concetto di differenza, e su ciò che da questo concetto deriva, si è incentrata tutta la riflessione delle donne nel corso del '900. E a questo punto consiglio di approfondire l’argomento con riferimento al secolo scorso: qualche impavido potrebbe rimanere piacevolmente sorpreso.
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02-01-2006, 11:38 | #4 | |
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02-01-2006, 11:40 | #5 |
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le donne sono perfettamente in grado di fare tutto quello che fanno gli uomini (ad eccezzione di certe cose )
discorso diverso è per gli uomini. Certe cose proprio non riescono agli uomini (anche al di fuori di quelle cose ). E non si capisce perchè. In fondo il ferro da stiro non è un mostro a tre etste, e garantisco che una lavatrice non ah mai mangiato nessuno Il femminismo è fallito, o meglio, è stato interpretato male. Le veline che mostrano le loro grazie in tivvì, non sono antifemministe, non distruggono quello che le femministe hanno tentato di conquistare (a volte riuscendoci e a volte no). Le femministe hanno conquistato la libertà di scegliere. "Semplicemente" questo.
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Mi chiedete perchè non posso prendere sul serio questa Europa? Perchè il grado di sviluppo e maturità dei cocomeri va determinato in modo congruo e l'indice rifrattometrico della polpa, misurato al centro della polpa, nella sezione massima normale dell'asse deve essere uguale o superiore all'8° brix. |
02-01-2006, 11:44 | #6 | |
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e' piu' facile vedere un uomo stirare che una donna in fonderia Ciaozzz
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02-01-2006, 11:55 | #7 | |
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E non è che per trovare questa discriminazione bisogna spingersi fino alle fonderie. Basta mettere il naso in un ITIS. Mia sorella si è sentita dire da un professore che lei non andrà in laboratorio perchè le donne possono entrare solo in un laoratorio d'ecnomia domestica E dire che è l'allieva, nella classe, con i migliori voti nella sua materia °_° (e non lo fa per compassione, ci sono altre ragazze e non vanno bene come lei)
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Mi chiedete perchè non posso prendere sul serio questa Europa? Perchè il grado di sviluppo e maturità dei cocomeri va determinato in modo congruo e l'indice rifrattometrico della polpa, misurato al centro della polpa, nella sezione massima normale dell'asse deve essere uguale o superiore all'8° brix. Ultima modifica di Ileana : 02-01-2006 alle 11:58. |
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02-01-2006, 12:09 | #8 | |
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02-01-2006, 12:17 | #9 | |
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Mi chiedete perchè non posso prendere sul serio questa Europa? Perchè il grado di sviluppo e maturità dei cocomeri va determinato in modo congruo e l'indice rifrattometrico della polpa, misurato al centro della polpa, nella sezione massima normale dell'asse deve essere uguale o superiore all'8° brix. |
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02-01-2006, 12:18 | #10 | |
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e' che fisicamente non avete la forza di un uomo.. semplice... bisogna anche riconoscere i propri limiti. se un uomo riesce a sollevare 50kg , mediamente , una donna non ce la fa..itis o non itis... Ciaozzz
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02-01-2006, 12:27 | #11 | |
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Ma una donna se vuole fare quello che fa un uomo ha tutte le carte per farlo. Anche dal punto di vista fisico (Se non portato agli estremi, su un piano atletico). Ed è dimostrato dal fatto che ci sono donne che svolgono le stesse mansioni degli uomini. E comunque una donna normale non riesce a tirare su 50kg, è vero, ma ad esempio, ha una soglia del dolore (fisico e psicologico) che l'uomo vede da lontano, con un binocolo.
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02-01-2006, 12:34 | #12 | |
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allora come la mettiamo ? Ciaozzz
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02-01-2006, 12:42 | #13 | |
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Che ci siano uomini che ci riescono è vero. Ma se c'è una donna in casa, sempre questi uomini, col piripicchio che lo fanno. E' questo che non si spiega.
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02-01-2006, 13:19 | #14 | |
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perche' faticare se c'e' una persona fatta apposta per quello ? Ciaozzz
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02-01-2006, 13:48 | #15 |
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Femminismo da un punto di vista sociale e politico, altrimenti la aprivo in Piazzetta questa discussione.
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02-01-2006, 14:07 | #16 | |
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non essere così drastica, i tempi sono cambiati.. i compiti in casa si dividono, basta volerlo. |
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02-01-2006, 14:10 | #17 | |
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02-01-2006, 15:39 | #18 | |
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Nei week-end che passiamo insieme, per dire, i piatti li lava sempre lui. Comunque tornando a parlare seriamente dell'argomento: non ho ben capito lo scopo dell'articolo. Voleva incentrare l'attenzione sul fatto che le donne continuino a cercare di far valere i propri diritti in campo politico e sociale?
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Guarda....una medusa!!! Ultima modifica di Nicky : 02-01-2006 alle 16:10. |
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02-01-2006, 15:59 | #19 | |
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Continui a sottolineare il concetto di pari dignità uomo-donna, ma non è questo il punto. Sottolinei ancora che le donne hanno un diverso compito sociale rispetto agli uomini, ma non è nemmeno questo il punto. Tra l’altro è errato: la diversità della donna sta in altro che nel diverso compito sociale - attenzione alle parole che si usano, il linguaggio è importante - che è invece una costruzione storica che ha portato all’assoggettamento delle donne. Il punto è che, come per tutte le cose, bisognerebbe parlare quando si conosce, non quando non se ne sa molto o nient’affatto. Quello che non ti è chiaro è che femminismo e maschilismo prescindono dalle tue opinioni personali o dalla tua esperienza in merito: non sono due estremi negativi che si combattono partendo da posizioni autonome e indipendenti, in virtù di un’auspicata posizione mediana di uguaglianza che vede i meritevoli, e non le lobbies, avanzare e ottenere - Che ridere: siamo in Italia e si sbandiera il merito davanti alle richieste delle donne, quando ancor prima della costituzione del regno i politici andavano a braccetto con trasformismo e clientelismo. Se ora possiamo legittimamente appellarci alla meritocrazia come criterio per l’avanzamento sociale e professionale per l’individuo, uomo/donna che sia - è questo di cui si parla e che è rilevante in una società sofisticata e complessa come la nostra, non certo chi ha più forza fisica per vincere a braccio di ferro o sollevare 50 kg – le donne lo devono proprio al femminismo, inteso come complesso movimento che ha le sue radici storiche nel 1791 con la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, e che è proseguito nei due secoli successivi. E’ grazie a questo movimento che in occidente si è spostato il baricentro, che prima pendeva marchiatamente dalla parte dell’uomo in riferimento a tutti gli ambiti della vita pubblica, nessuno escluso, e non grazie a forze e processi non meglio identificati. Nel corso di questi due secoli le posizioni sono state tante, spesso discordanti tra loro (com’è normale che sia, visto che le donne sono prima di tutto individui) ma, come ho già detto, l’obiettivo di fondo era il medesimo: uguaglianza di diritti e di possibilità anche per le donne, le quali, non essendo delle incapaci mentali come qualche poveraccio vorrebbe farle passare, non si sono mai sognate di escludere gli uomini da una qualsivoglia teoria della giustizia che avesse la pretesa di definirsi tale. Finché non si riesce ad accettare questa realtà storica, che evidentemente non piace perché cozza con i propri pregiudizi e solleva paure inconsce, non è possibile continuare il discorso. Poi c’è stata, come in ogni movimento, anche un’ala radicale - che è coincisa con una parte del neofemminismo degli anni ’70 - e che mirava al rovesciamento della società precostituita, in linea con i movimenti politici rivoluzionari ed estremi di quegli anni, quindi alla disgregazione del sistema statale così com’era stato costruito dagli uomini per gli uomini. Ma questa, se guardiamo il movimento delle donne nell’arco di due secoli, è stata una parte minoritaria. Minoritaria persino nel contesto degli anni ’70, anche se fece molto scalpore perché nessuno s’immaginava una reazione simile da parte di donne e per questo fu amplificata a dovere dai mass media, già centri di potere. Citi gli episodi della montagnola: "noi col dito facciam senza marito”... Questa posizione radicale è stata insieme provocazione e reazione ad uno status quo - dove, se proprio ci tieni a parlare esplicito, per lungo tempo chi prima di tutto aveva diritto di godere nel rapporto sessuale era l’uomo, che poi godesse anche la donna era irrilevante - quindi da attaccare e contestare; del resto non si chiamavano anni “della contestazione” per tutti i movimenti qualsiasi scopo avessero? Ma cosa è rimasto di tutti i movimenti che si sono formati? Lo slogan centrale del neofemminismo, se si vuole capire il nocciolo della questione, è invece “il personale e politico”, come rivendicazione di un’identità e costruzione del soggetto femminile che sovvertiva i tradizionali confini sfera pubblica e privata. Non te la ricordavi questa? Eppure a Bologna in certe zone la trovo ancora scritta sui muri. E’ grazie a questo concetto che le donne occidentali delle generazioni seguenti possono legittimamente (anche se ancora non del tutto compiutamente) aspirare a ruoli attinenti alla sfera pubblica alla pari degli uomini, dove parità è da intendersi in senso di concrete possibilità di spazio/tempo, non in astratto concetto di meritocrazia che prescinda da ogni contesto. Ancora: chi erano queste femministe degli anni ‘70? Quelle che avevano il doppio ruolo di militanti di partito e femministe, come ad es. Anna Bravo di LC e amica di Sofri? oppure le donne che prendevano parte ai gruppi di “autocoscienza”, cosiddetti? C’è una differenza abissale, visto che le prime lottavano per obiettivi politici, in linea col partito, e per l’aborto, mentre le seconde operavano al di fuori e indipendentemente dalla politica, e proprio per questo erano di qualsiasi schieramento politico e diversissime le une dalle altre; miravano a prendere coscienza del proprio corpo, usando e interrogandosi esplicitamente su termini attinenti alla sfera sessuale, cosa che non era mai avvenuta in passato, pena essere additate come delle poco di buono. Dalle testimonianze di alcune donne emerge proprio una delle difficoltà del movimento in quegli anni furono i contrasti tra le diverse anime del femminismo. A me pare invece che troppo spesso si confonda il femminismo con una parte della sinistra (extraparlamentare, non antiparlamentare come è stato detto: mirava infatti ad entrare in parlamento per rivendicare ed ottenere, non a disgregarlo). Ma il femminismo come movimento delle donne non è “di sinistra”, e personalmente sono anzi preoccupata quando si cerca di far coincidere le due cose: la più grande filosofa politica femminista che io conosca, Susan M. Okin, mai abbastanza compianta, è anglosassone e liberale. E correggendo la teoria della giustizia di Rawls (lei si definisce rawlsiana, infatti) ha tracciato la strada per un nuovo sistema sociale che affonda le radici in una famiglia giusta, nel rispetto delle due identità uomo-donna. Il pubblico è stato indagato, lei si è interrogata sul privato, giungendo a considerazioni e soluzioni d’incredibile levatura.
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02-01-2006, 16:19 | #20 | |
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Il motivo è che i diritti, anziché essere attribuiti alla persona, vengono attribuiti al gruppo, alla comunità, alla “cultura” come struttura sovraordinata. Ti rimando in questo senso al discorso dei comunitaristi. Il creare scuole per appartenenti ad una cultura, perché questa si riproduca in modo del tutto indipendente ed autonomo dalla cultura ospitante, è un suicidio.
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