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Old 28-02-2009, 11:35   #1
whistler
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Messaggi: 1194
Striscia la giustizia

dato che ci sono persone che si stracciano le vesti per difendere il presidentissimo sul caso silvio - saccà,posto quest articolo di marco travaglio sul caso.
mi raccomando invece di parlare del caso dergiversate su marco travaglio Komunista giornalista fazioso, che prende i soldi con i libri


La richiesta di archiviazione per le telefonate Berlusconi-Saccà inaugura un nuovo genere giurisprudenziale: la giustizia creativa. Secondo i pm napoletani che avviarono l’indagine, se il politico più ricco e potente d’Italia chiede al direttore di Raifiction di sistemare 5 ragazze «per sollevare il morale al Capo» a spese degli abbonati e aggiunge «poi ti ricambierò dall’altra parte quando sarai un libero imprenditore. M’impegno a darti grande sostegno», è corruzione. Basta ascoltare la telefonata per trovare l’atto illecito (far lavorare gente che non lavorerebbe senza raccomandazione) e la «promessa di denaro o altra utilità» in cambio, cioè i due ingredienti tipici della corruzione. Quanto basterebbe, in un paese normale con due imputati normali e una giustizia normale, per affidare la faccenda al giudizio di un tribunale. Ma, per i pm romani che hanno ereditato l’inchiesta per competenza, «non vi è certezza del do ut des», al massimo di un po’ di «malcostume». E poi Saccà non è un incaricato di pubblico servizio (al servizio pubblico radiotelevisivo non crede più nessuno). E soprattutto i due piccioncini hanno un rapporto talmente «stretto e asimmetrico» che «Berlusconi non ha alcuna necessità di garantire indebite utilità per avere favori da Saccà». Cioè: Berlusconi è il padrone dell’Italia, dunque della Rai, dunque di Saccà, dunque non può pagare tangenti: è lui stesso una tangente (resta da capire perché allora garantisse «utilità» nella telefonata a Saccà: forse scherzava). E così il conflitto d’interessi, anziché un’aggravante, diventa un alibi. Giustizia è fatta.
__________________
whistler è offline   Rispondi citando il messaggio o parte di esso
Old 28-02-2009, 11:39   #2
sander4
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L'Avatar di sander4
 
Iscritto dal: Jun 2005
Messaggi: 367
http://espresso.repubblica.it/dettag...093&ref=hpstr2

E ora chi lo va a dire ad Agostino Saccà? Per archiviare il procedimento contro il presidente del consiglio e l'ex manager di Rai Fiction, la Procura di Roma è stata costretta a smentire le affermazioni, la filosofia e la stessa ragione di vita del suo indagato. Uno dei pilastri sul quale poggia l'atto che chiede il proscioglimento per Berlusconi e per il manager Rai è infatti la mancanza della qualifica di "incaricato di pubblico servizio" per Saccà (l'altra è la mancanza della prova dello scambio, del do ut des, tra il manager e il premier). Per i pm di Roma Saccà non può essere corrotto, né da Berlusconi né da altri, perché la fiction Rai, il suo regno incontrastato fino al dicembre scorso, non è vero servizio pubblico. Esattamente il contrario di quello che il manager diceva in ogni conferenza stampa o intervista. Quando c'era da presentare l'ennesima soap sull'anoressia o sul a mafia, quando c'erano da difendere gli investimenti miliardari per produrre serie dalla durata sterminata, il manager Rai ha sempre detto con orgoglio: «Questo è il servizio pubblico». Siamo noi, spiegava Saccà ai giornalisti, che abbiamo raccontato agli italiani il romanzo popolare del '900. Siamo noi che abbiamo affrontato le vicende spinose della Seconda guerra mondiale e la storia dei Corleonesi. Saccà rivendicava con fierezza il suo ruolo di civil servant. Proprio quello che i pm romani gli hanno tolto per salvare lui e il premier.

PUBBLICO O PRIVATO?
Se la Rai con i suoi sceneggiati facesse servizio pubblico, Saccà sarebbe un incaricato di pubblico servizio soggetto (in caso) ai reati di corruzione e concussione. Per questa ragione i pm per prosciogliere Berlusconi e Saccà sono costretti a "degradare" la sua attività culturale. Per i pm romani solo la fase della trasmissione rientra nel servizio pubblico, non quella della produzione dei contenuti. Saccà quindi è un semplice manager "privato". Alle sue eventuali malefatte si applicano le blande norme riservate ai dirigenti di Mediaset, non quelle rigide che disciplinano l'attività dei capi dei ministeri dell'Anas o dell'Enel. Saccà, dicono i pm, può fare quello che vuole quando sceglie le attrici pagate con il canone degli italiani. Può privilegiare le protette del Cavaliere e sacrificare quelle considerate dagli altri più brave. Non c'è nessun problema. In fondo nessun pm contesterebbe un simile comportamento a Piersilvio Berlusconi e ora, se la giurisprudenza elaborata a Roma prenderà piede, nessuno potrà contestarlo non solo a Saccà ma anche a Fabrizio Del Noce (Rai uno) o Giancarlo Leone (Rai cinema) e così via. Per tenere fuori Berlusconi e Saccà dal ginepraio nel quale si erano cacciati con le loro incaute conversazioni, la Procura di Roma ha fatto davvero i salti mortali. Le cinque paginette dell'archiviazione prontamente distribuite ai cronisti (dovrebbero essere segrete, ma evidentemente a Roma il segreto non tutela le indagini bensì gli indagati eccellenti) cancellano le massime della Cassazione e numerosi pronunciamenti di altri magistrati.


A partire dalla sentenza della Suprema Corte del 1996 sul caso Baudo-Lambertucci-Venier. Quando i presentatori televisivi furono accusati di concussione per i compensi extra richiesti agli sponsor per i loro show, si difesero negando la loro qualifica di incaricati di pubblico servizio. Ma, prima i pm poi i giudici e infine la Cassazione, stabilirono il principio in base al quale al di là della qualifica privata della società Rai e al di là del contratto privato delle star, rileva il fatto che in ballo ci sono soldi pubblici. Una massima che valeva quando si sottraevano risorse pubblicitarie alla Rai facendo la cresta sugli sponsor e a maggior ragione dovrebbe valere oggi con Saccà che - a differenza di Baudo e amici - non maneggia denari privati ma pubblici.

La procura di Napoli, forte di questo precedente, ma consapevole della delicatezza della questione, aveva blindato sul punto l'indagine chiedendo addirittura un parere a un luminare del diritto costituzionale, Michela Manetti, professore ordinario a Siena. La professoressa, al termine di un lungo studio della legislazione vigente, aveva concluso che Saccà è un incaricato di pubblico servizio. Da quello che è dato leggere nelle pagine distribuite ai cronisti, la Procura di Roma non ha degnato il parere nemmeno di un cenno.
(26 febbraio 2009)



Sono sicuro che questi giudici non saranno chiamati comunisti, chissà perchè.

Ultima modifica di sander4 : 28-02-2009 alle 11:43.
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