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Il cinema piange la morte di Ingmar Bergman e Michel Serrault
La Svezia piange, il cinema in lutto: è morto il grande Ingmar Bergman
Poche parole, dell'agenzia svedese TT. La sorella di Ingmar Bergman ha fatto sapere che il fratello è morto. Se ne va un grande del cinema mondiale. Il regista svedese Ingmar Bergman è morto. Lo ha ha annunciato l'agenzia svedese TT citando la sorella del cineasta Eva. Una vita dedicata al cinema, quella del grande regista nord europeo. UN MAESTRO. Insieme a quelli di Chaplin, Ford, Kurosawa, Fellini e pochi altri, il nome di Ingmar Bergman è uno di quelli che si accosta per antonomasia al Cinema con la C maiuscola, anche se da circa dieci anni il maestro svedese aveva abbandonato il grande schermo per il teatro e, in misura minore, la tv. Dopo "Fanny e Alexander" (1985), cinque ore per la tv ridotte a tre per il cinema e con il quale ha vinto il suo terzo Oscar, Bergman si era ritirato nella sua casa di Karlaplan, in una delle zone più eleganti di Stoccolma, dove leggeva e scriveva per il teatro, con la sola eccezione della sceneggiatura di "Con le migliori intenzioni" diretto da Bille August e vincitore della Palma d' oro a Cannes. LA CARRIERA. L' esordio nel cinema, dopo un' importante esperienza teatrale come regista al Teatro Reale dell' Opera di Stoccolma, avviene con la sceneggiatura di "Spasimo" di Alf Sjoberg (1944). Dell' anno successivo è la sua prima regia, "Crisi". I film dei primi dieci anni di attività, da "Crisi" a "Sorrisi di una notte d' estate" (1955), benché in parte già anticipatori dei temi che lo renderanno celebre (la memoria famigliare, l angoscia, la morte, i valori religiosi, i fallimenti esistenziali), sono caratterizzati da una vena malinconica e melodrammatica. FILMOGRAFIA. Si tratta di "Nave per l' India", "Musica nelle tenebre", entrambi del 1947, "Prigione" (1948), "Estate d' amore" (1950), "Una vampata d' amore" (1953), "Una lezione d'amore" (1954), "Sogni di donna" (1954), fino a "Sorrisi di una notte d' estate". Il primo capolavoro è "Il settimo sigillo" (1956), cui segue "Il posto delle fragole" (1957, tra i più premiati del regista) e "Il volto" (1958). Dopo "La fontana della vergine" (1959, primo Oscar), inizia la trilogia su uno dei temi a lui più cari, quello dell'incomunicabilità: a "Come in uno specchio" (1961, secondo Oscar) seguono "Luci d' inverno" (1962) e "Il silenzio" (1963). Dopo film che alternano sperimentalismo e realismo ("Persona", del 1966 o "La vergogna", del 1968) è la volta di un altro capolavoro riconosciuto internazionalmente, "Sussurri e grida" (1972), cui segue "Scene da un matrimonio" (1973), realizzato per la tv e poi adattato per il cinema. Nel 1974 realizza il sogno di adattare per il cinema "Il flauto magico" e, dopo un poco convincente "L' uovo del serpente" (1977), è la volta del riuscito duetto famigliare "Sinfonia d' autunno" (1978). Prima di "Fanny e Alexander" ha realizzato ancora un film a sfondo psicanalitico: "Un mondo di marionette" (1980). Al Festival di Cannes ha vinto un premio alla regia nel 1958 per "Alle soglie della vita". Ha scritto una discussa autobiografia, "Lanterna magica". 30/07/2007 10:52 (Unione Sarda) -------------------- Il popolare attore francese è morto ieri a 79 anni dopo una lunga malattia In oltre 50 anni di carriera aveva girato 135 film con registi come Sautet e Chabrol Il cinema perde Michel Serrault indimenticabile Zaza nel Vizietto In Italia era conosciuto per il ruolo di amante di Tognazzi ne "La cage aux folles" del 1978 di SILVIA FUMAROLA Michel Serrault in una scena del "Vizietto", girato nel 1978 con Ugo Tognazzi ROMA - Se ne va un grande del cinema francese, che ha legato al suo nome a registi come Sautet e Chabrol. Michel Serrault, impagabile protagonista di tante commedie di successo, è morto ieri a 79 anni, dopo una lunga malattia. Serrault era stato ricoverato per alcune settimane all'ospedale americano di Neuilly per recarsi a fine giugno nella sua casa di Honfleur. Una lunga carriera cinematografica, con 135 film e tre Cesar, ne hanno fatto uno degli attori francesi più popolari con grandi prove sia nel registro drammatico che in quello comico in particolare nella sua interpretazione di uno dei due omosessuali de "La cage aux folles"("Il vizietto") diretto da Eduard Molinaro girato nel 1978 con Ugo Tognazzi. In oltre cinquanta anni di carriera, ha dato prova di sapersi trasformare come nessuno, diretto da registi come Clouzot, Chabrol, Mocky, Lautner, Audiard, Blier e Kassovitz. Per Sautet in "Nelly e Monsieur Arnaud", accanto alla bellissima Emmanuelle Beart, ha interpretato il ruolo di un giudice piegato dalla vita borghese e dagli obblighi. Cristina Comencini, che l'ha diretto in "Buon Natale, buon anno", gli aveva affidato la parte del marito di Virna Lisi, una coppia piccolo borghese che sfuggiva agli obblighi familiari e per cercare un po' d'intimità si rifugiava in alberghi fuori mano. Serrault era nato il 24 gennaio 1928 a Brunoy nell'Essonne in una famiglia modesta e molto religiosa, il padre per tirare avanti faceva due lavori, di giorno il rappresentante e la sera maschera in teatro. Michel a 14 anni entra in seminario tentando di far coabitare le sue passioni: "far ridere e occuparmi di Dio". Durerà poco, sceglie l'universo dello spettacolo, ma non ha mai abbandonato la fede. Da ragazzo canta in un coro in Chiesa, la sua è una vita da romanzo. Destinato al seminario, appunto, rinuncia perché s'innamora di una ragazza incontrata nel metrò. La passione per la recitazione lo porta a frequentare il Centre du Spectacle per un paio d'anni. Prova a entrare in Conservatorio, senza riuscirci. Finita la guerra, nel 1946 firma il primo contratto per una tournée teatrale in Germania. Ma sarà il cinema il suo futuro. Ha un aspetto anonimo, non ha la presenza di Noiret, il fascino di Trintignant, lo sguardo di Piccoli, ma è un grande attore versatile, perfetto per la commedia e per regalare ai personaggi, al di là dell'apparenza, una vena malinconica segreta. Renzo Martinelli lo chiama nel 2001 per "Vajont", il film che ricostruisce la tragedia del 1963. Serrault interpretava Semenza, uno degli ingegneri che danno l'ok per costruire il bacino artificiale. Amava l'Italia, e il pubblico italiano ricambiava l'affetto: per tutti era rimasto Albin, detto Zaza, l'amante di Tognazzi nel "Vizietto", di cui girò anche il seguito. (30 luglio 2007) (Repubblica)
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#2 |
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Stiamo perdendo il Cinema..un pezzo alla volta.
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#3 |
Senior Member
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ed è normale, il vero Cinema di qualità è quello di un paio di decenni fa e andando indietro, tranne rarissimi esempi odierni
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#4 |
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peccato.
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Se buttassimo in un cestino tutto ciò che in Italia non funziona cosa rimarrebbe? Il cestino. |
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#5 |
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esprimo il mio dispiacere.
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Good afternoon, gentlemen, I'm a H.A.L. computer. |
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#6 |
Senior Member
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Cavaliere: Io voglio sapere. Non credere. Non supporre. Voglio sapere. Voglio che Dio mi tenda la mano, che mi sveli il suo volto, mi parli. Lo chiamo nelle tenebre, ma a volte è come se non esistesse.
Morte: Forse non esiste Cavaliere: Allora la vita è un assurdo errore. Nessuno può vivere con la Morte davanti agli occhi sapendo che tutto è nulla. Il settimo sigillo Uno dei film piu' belli di sempre... |
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#7 |
Senior Member
Iscritto dal: Oct 2001
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Il Giornale critica Bergman e più in generale il cinema d'autore europeo
--------------------------------------- Capolavori? Soltanto pizze d’autore di Redazione - martedì 31 luglio 2007, 07:00 C’è da sbellicarsi in anteprima pensando a quanto uscirà oggi sui giornali dalle penne sublimi dei critici più illustri. Ingmar Bergman? Autore immenso, genio inarrivabile, maestro dei maestri e giù con le esaltazioni prefabbricate. Roba da far passare i politici per dilettanti dell’ipocrisia. Chissà se qualcuno dei venerabili recensori avrà trovato il coraggio di ammetterlo: con i film di Bergman nel buio della sala mi sono fatto le più lunghe dormite della mia carriera cinematografica. Ah, i micidiali, interminabili silenzi di Persona; la saga infinita di Fanny e Alexander tra merletti, trine e sbadigli; gli strazianti, in ogni senso, sguardi di Sinfonia d’autunno. E che dire di quei capolavori rimasti indelebili nella memoria dello spettatore? Impossibile scordare Il settimo sigillo, il volto trasfigurato di Max von Sydow, interprete perfetto per mastro Bergman: l’ultima volta che ha sorriso dev’essere stato all’asilo. Il posto delle fragole, un’altra celebre pizza d’autore, le lacrime che fece scorrere a fiumi nei cinema, specie a chi dopo la prima mezz’ora non era riuscito a farsi rimborsare il biglietto. Ecco, forse è proprio questa la straordinaria grandezza di Bergman: saper trasferire le atroci sofferenze dei suoi personaggi dallo schermo alla platea. Adesso mentre tutta la nomenklatura piange a dirotto, il popolino bue s’interroga perplesso: perché le meravigliose opere dell’ultimo re di Svezia non vengono mai teletrasmesse prima delle tre di notte? Grazie al cielo, i cinefili possono ancora consolarsi. Gli restano i Rivette, i Wenders, i Godard, i von Trier, i Van Sant, i Moretti e tanti altri tromboni più o meno in erba. E soprattutto l’indistruttibile vegliardo portoghese Manuel de Oliveira, che è pronto a sfornare un altro film. L’importante è non smettere mai di annoiarsi. ----------------------------- manco l'hanno firmato con nome e cognome, ma almeno avere il coraggio delle proprie opinioni, visto il tono personale ("mi sono fatto fatto le più lunghe dormite della mia carriera cinematografica") ?
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Guida CDR - SACD/DVD-A links - Pal,Secam, Ntsc - Fonts - Radio online - Jazz -Soul&Funky - siti traduzioni lingue non rispondo a msg privati sui monitor Ultima modifica di Adric : 02-08-2007 alle 05:51. |
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#8 | |
Bannato
Iscritto dal: Jan 2003
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Per quanto in linea di massima non ami il cinema "impegnato" e "d'autore", è davvero di cattivo gusto tirare fuori un articolo del genere adesso. Senza neanche il coraggio di firmarlo... ![]() Il Giornale non si smentisce mai... |
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#9 | |
Senior Member
Iscritto dal: May 2006
Messaggi: 19401
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Eh gia', gran brutta besia l'ignoranza (e in questo caso con annessa maleducazione) un'altra occasione persa per tacere ![]() Chiunque tu sia, torna a guardare i film di Steven Seagal, Jean-Claude Van Damme e Chuck Norris e lascia a parlare di cinema chi ne capisce qualcosa ![]() |
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#10 | |
Junior Member
Iscritto dal: Mar 2004
Messaggi: 5
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"Sono ateo, grazie a Dio" - Luis Bunuel Beati i miti, perché erediteranno la terra (Mt 5,5) In quella che per tutti gli esseri è notte, l'uomo compiutamente signore di sé è sveglio (Bh.-g, II) |
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#11 |
Senior Member
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Messaggi: 16462
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Michel Serrault non e' stato solo un grande attore del cinema (successo raggiunto grazie al film La Cage aux Folles ) ma anche un grandissimo attore di teatro.
Io ho avuto la fortuna di vederlo dal vivo quando ero ragazzino a Parigi nel 1986, durante uno spettacolo teatrale in cui Serrault impersonava la parte di Harpagon nella piece di Moliere L'avare. Che dire, 3 grandi del cinema che ci lasciano quasi in contemporanea. ![]()
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#12 | |
Senior Member
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Molto probabilmente l'autore di quell'articolo non firmato è Massino Bertarelli.
Suo è il seguente articolo apparso oggi sempre sul Giornale in cui viene stroncato anche Antonioni ----------------------------------- n. 183 del 2007-08-04 Ma era pure il Maestro della noia di Massimo Bertarelli Pace all’anima sua, naturalmente. Ma Michelangelo Antonioni, parlandone da vivo, non l’ho mai potuto sopportare. Certo ci sono fior di critici, la maggior parte, che si divertono soltanto quando si annoiano e con Antonioni dunque era uno spasso continuo. C’è chi si compiace, perché fa fino, nel fingere di aver capito tutto, mentre è lo stesso autore a spiegare, ad opera compiuta, che effettivamente, sì insomma, non è tutto chiaro quel che gli è uscito dalla macchina da presa. A lui. Figuriamoci a noi, comuni mortali. E tra costoro, gli spettatori naïf della settima arte, c’è anche qualche recensore di seconda schiera. Come il sottoscritto, che, sarà sicuramente un caso, nel suo poco celebre e ancora meno venduto 100 film da evitare, di capolavori michelangioleschi ne ha inseriti a occhio e croce una decina. Con un voto medio attorno al 3. Il direttore, forzando la mia natura controcorrente, mi chiede un parere serio, e io devo dire, a costo di stupirlo, che i primi film di Antonioni mi erano piaciuti, oserei aggiungere molto. Ma l’allora aspirante Maestro, siamo negli anni Cinquanta, non era ancora stato colto dall’irreversibile sindrome dell’incomunicabilità, tanto è vero che per cogliere i significati di Cronaca di un amore e Le amiche (ritratti amari della buona borghesia, cinica e infelice) non occorre l’interprete in psicologia applicata. Poi, chissà come, Antonioni, uno che insisteva col travaglio interiore anche a parto cinematografico avvenuto, deve aver compiuto il percorso inverso dell’altro nostro grande Michelangelo. Se questi, davanti al Mosè appena uscito dal suo scalpello, esclamò: «Perché non parli?», Michelangelo II davanti al cospetto di personaggi eccessivamente ciarlieri giurò: «D’ora in poi tra una frase e l’altra infilerò dieci minuti di silenzio». Detto fatto. Chi ha visto, per intero, e non è impresa da poco, il famosissimo trittico dell’alienazione (dello spettatore), ovvero L’avventura, La notte, L’eclisse, può confermarlo. Lo scampolo di dialogo che segue è inventato dal vostro immaginifico cronista, ma è più che plausibile. Il tormentato Gabriele Ferzetti domanda a Monica Vitti: «Che ore sono?», lei si gira dall’altra parte, mentre l’inquadratura si sofferma sui volti pensosi di altri personaggi, poi con aria afflitta gli risponde: «Quando me l’hai chiesto erano le sette, adesso saranno le otto meno cinque». Mica facile riuscire a reggere il filo del discorso in queste condizioni, così, proprio nell’Avventura, della coprotagonista, Lea Massari, si perdono all’improvviso le tracce. Salvo ritrovarla, finalmente di buon umore, in un altro film. Non di Antonioni. Zabriskie Point, Professione: reporter, Identificazione di una donna, ecco altre pietre miliari della noia antonioniana, con la fattiva collaborazione di Tonino Guerra: tre estenuanti circumnavigazioni del Maestro attorno all’infelicità umana, che spesso si annida in platea. Uno dei titoli più noti del Maestro è Blow-up, da sempre ricamato di stellette della critica colta: un film che parte come un giallo, poi, l’autore, temendo forse di essere confuso con un cinematografaro da due penny come Hitchcock, s’addentra, inesorabile, nella selva oscura del «chi vuol capire capisca». E in effetti è uno spasso unico leggere le interpretazioni degli esperti. Quasi come la strepitosa battuta di Monica Vitti nel mitico Deserto rosso: «Mi fanno male i capelli». Vuoi vedere che Antonioni, in fondo, era meglio di Totò? Massimo Bertarelli (Il Giornale) --------------------------- Oltre alla mancanza di rispetto verso Bergman, non può passare insosservata quella verso Manuel De Oliveira, quasi un augurio di morte o un invito ad andare in pensione. Quote:
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