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#1 |
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La situazione in Eritrea, Etiopia e Somalia
Golfo di Aden: più di 70 rifugiati annegano, oltre 200 i dispersi
Inviato da Ottavio Pirelli lunedì, 05 settembre 2005 16:48 Erano 369 i rifugiati radunatisi durante la scorsa settimana all'imbarco nelle vicinanze del porto di Bossaso, in Somalia. Solo una cinquantina di loro è riuscita a raggiungere le coste dello Yemen. Gli altri tutti dispersi, ad eccezione degli oltre settanta corpi senza vita già restituiti dalle onde. Su quattro barche, secondo quanto riferito dall'agenzia France Press, i disperati delle guerre e della povertà del Corno d'Africa, cercavano di attraversare, come sempre più sfollati fanno negli ultimi tempi, la striscia di mare che separa l'Africa dalla Penisola Arabica, con il sogno di poter proseguire in qualche modo per Europa. Un naufraggio doloso Sono partiti presumibilmente il trenta d'agosto dalle coste somale che si affacciano sul Mar Arabico. Al di là del Golfo di Aden c'è la speranza di poter cambiare vita, lontani dalle tensioni e dalle violenze dei loro paesi d'origine. Basta un altro po' di fortuna e di denaro per sperare di arrivare in Europa. Ma gli organizzatori di questi viaggi per disperati sono senza scrupoli, e venrdì scorso, dopo aver incassato il denaro, armi in pugno, -come raccontano alla BBC i sopravvissuti di due dei quattro battelli - i trafficanti hanno intimato a tutti di gettarsi in mare. La costa era ancora lontana parecchi chilometri, ma l'equipaggio, che temeva di essere intercettato dalle autorità yemenite, non ha esitato ad abbandonare in mare i propri passeggeri. Secondo le informazioni raccolte da IRIN, molti dei rifugiati non sapevano nuotare. Alcuni di loro sono stati salvati da pescatori locali che si travavano a navigare nella zona. Altri, meno fortunati, non ce l'hanno fatta. I loro corpi si stanno arenando in questi giorni sulle spiagge. Le cifre di questo naufragio doloso non sono ancora definitive. Fonti ufficiali dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), citate dalla Misna, parlano di 47 etiopi e 28 somali annegati, 50 sopravvissuti e oltre duecento dispersi. Le ricerche e i soccorsi proseguono, ma le speranze di trovare qualcuno ancora in vita sono ridotte al lumicino. Una tragedia umanitaria in corso Una nuova ondata di profughi sta tentando di raggiungere lo Yemen in questi mesi. Sempre secondo le Nazioni Unite, è dalla metà di agosto che i battelli dei trafficanti hanno ripreso a fare rotta per le coste della Penisola Arabica carichi di rifugiati. Almeno 2500 sono le vittime stimate per gli ultimi tre anni di traversate illegali, 650 solo per quello in corso, e tra gli annegati si contano anche donne e bambini. Altri sbarchi sono previsti per settembre. Proprio per questo motivo l'UNHCR continua ha lanciare appelli per sensibilizzare la comunità internazionale al problema. L'obiettivo è di porre rimedio da subito a quello che potrebbe essere solo l'inizio di una più grave tragedia umanitaria. Ottavio Pirelli (WarNews.it)
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#2 |
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E' il caso di non tacere questi fatti.
Sono scomodi, perchè chiamano in causa sempre le responsabilità dell'occidente rispetto alle povertà dimenticate.
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...Grazie caro Lolek! |
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#3 |
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responsabilità dell'occidente? abbiamo cercato di aiutarli, ci hanno preso a fucilate, e allora che rimangano la e non rompano, pochi mesi fa il cimitero italiano di mogadisho è stato devastato dai somali e noi che facciamo? gli inviamo aiuti!
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#4 | |
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Ciao ~ZeRO sTrEsS~ |
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#5 |
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Il governo provvisorio raduna migliaia di soldati: nuove tensioni tra Jowhar e Mogadiscio
Inviato da Ottavio Pirelli venerdì, 09 settembre 2005 20:14 Migliaia di uomini armati si sono radunati in questi giorni nei dintorni della sede provvisoria del governo, Jowhar. Sale la tensione a Mogadiscio, dove i signori della guerra accusano il Presidente Ahmed Yusuf Ahmed e il Primo Ministro Mohammed Ghedi di prepararsi ad attaccare la città. Più di 5000 combattenti, secondo le stime tratte da fonti diplomatiche dall'agenzia Reuters, si sono accampati nelle vicinanze della sede temporanea del governo. Un numero che l'esecutivo somalo cerca di ridimensionare: di 1500-2000 uomini parlano le dichiarazioni diffuse dalle autorità. Nessuna certezza neppure sulla provenienza delle nuove milizie. Voci riferiscono di forze giunte direttamente da Puntland, regione somala che da tempo rivendica la propria autonomia e patria politica dell'attuale Capo dello stato. Altre informazioni indicano la presenza massiccia di militari etiopi, giunti, secondo alcuni signori della guerra, a Jowhar per preparare la presa di Mogadiscio. La notizia della concentrazione di soldati appare comunque da più parti confermata, e questo non fa che arroventare ulteriormente il clima politico nel paese. Un'invasione pianificata? E' stato lo stesso Sharif Hassan Sheikh Aden, portavoce del parlamento somalo, ha sostenere in queste ore la tesi secondo la quale si starebbe preparando un assalto in piena regola a Mogadiscio. Versione, smentita tempestivamente da fonti interne all'esecutivo, che però non ha cessato di circolare, creando forti tensioni tra i signori della guerra che dalla caduta di Siad Barre, nel 1991, cavalcano l'onda dell'anarchia istituzionale all'interno dell'ex-colonia italiana. Per il Ministro dell'Informazione, le manovre di reclutamento in atto riguardano il normale processo di riorganizzazione delle forze armate. Le proteste dei signori della guerra, sempre secondo il membro dell'esecutivo, cercano di ostacolare la nascita di un esercito nazionale funzionante e temibile per ogni milizia irregolare. Le autorità negano, comunque, che i militari in questione possano essere stranieri, anche se la Reuters fa sapere di aver raccolto testimonianze di viaggiatori in transito nella zona che riferiscono di ever notato soldati etiopi dislocati in difesa delle strutture governative a Jowhar. Già mercoledì, l'Onu ha deciso di spostare in luoghi più sicuri i suoi 13 rappresentanti presenti nella capitale provvisoria. Un segnale abbastanza evidente dell'instabilità che vive in queste ore il paese. Le Nazioni Unite prendono sul serio la gravità della situazione: non nasconde preoccupazione per la crescente tensione in Somalia neppure Lonseny Fall, rappresentante Onu nel paese. Il suo invito alla calma, rivolto a tutte le fazioni interessate, di cui riferisce la Misna, lascia trapelare una forte apprensione per i possibili sviluppi della vicenda. Le dispute politiche e le minacce dei signori della guerra La questione su cui in questi mesi le forze politiche si sono divise riguarda la scelta della sede delle nuove istituzioni somale. Il portavoce del parlamento, Sharif Hassan Sheikh Aden, e alcuni ministri premono da tempo per riportare gli organi di governo nella capitale storica. Almeno un centinaio di parlamentari guidati da Aden si sono stabiliti proprio a Mogadiscio per ribadire con la forza dei fatti la propria convinzione. A questa possibilità si oppongono, però, gli altri membri del governo e del parlamento, oltre al Capo dello stato e al Primo Ministro. Bollata come troppo insicura per stabilirvi la centrale del nascente potere, a Mogadiscio è stata preferita una seconda opzione, quella di Jowhar, città a 90 km dalla vecchia capitale. Al dissidio, non ancora sopito, si aggiungono i continui proclami di guerra provenienti dei signori della guerra. Mohammed Olad Hassan, un corrispondente del network BBC, conferma lo stato di cresciente tensione in cui versa Mogadiscio. Gli stessi capi delle milizie avrebbero consigliato all'Onu di evacuare i suoi rappresentanti da Jowhar. Secondo la Misna, che cita media locali, Sheik Hassan Dahir Aweys, influente capo religioso e militare, si sarebbe detto pronto ad attaccare il governo nella sua sede provvisoria, dove si troverebbero, sempre per Aweys, anche truppe etiopi. La possibilità che militari stranieri siano dislocati nel paese non fa che esacerbare ulteriormente gli animi dei combattenti, i quali ora fanno anche sapere di essere pronti a rintuzzare quello che considerano un atto di guerra, che coinvolge, oltre tutto, un paese tradizionalmente ostile alla Somalia, l'Etiopia appunto, che invece è in stretti rapporti di alleanza con Yussuf. L'esperto dell'International Crisis Group Matt Bryden sostiene che lo stallo istituzionale in Somalia è dipeso in questo ultimo anno dalle scelte autoritarie di Yussuf, spesso pronto a prendere decisioni ben al di là dei poteri concessigli dalla costituzione. Per Bryden, le cui parole sono state diffuse oggi da Irinnews, i piani militari di Yussuf e della sua fazione vanno contro le richieste pressanti della comunità internazionale per la ripresa del dialogo. Un dialogo che a questo punto rischia di naufragare definitivamente, aprendo la strada a una nuova ondata di violenze. Ottavio Pirelli (WarNews.it) Per non aprire un secondo thread sulla Somalia ho modificato il titolo della discussione.
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#6 | |
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forse la differenza fondamentale sta nel fatto che in somalia non c'è niente che possa interessare le nostre aziende. |
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#7 |
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OT
Nessun TG l'ha riportato, ma pochi giorni fa una nave della marina militare in servizio antipirati al largo della Somalia ha salvato 39 profughi in mezzo al mare. |
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#8 |
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Eritrea: tensioni con Etiopia, con l'ONU e rifugiati all'estero
«Noi, deportati dalla Libia e ignorati dall'Ue»
da Il Manifesto del 9 ottobre 2005 12 ottobre 2005 Tra gli eritrei espulsi da Gheddafi che un anno fa dirottarono un aereo per non finire nelle carceri del dittatore Afewerki. E che da un anno bivaccano a Khartoum di fronte alla sede dell'Unhcr di Pietro Gigli KHARTOUM A Khartoum, non lontano dall'aeroporto e dal quartiere delle ambasciate, c'è l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr). Lì davanti uomini donne e bambini, circa una quindicina, aspettano che qualcosa succeda e che possa così finire l'incubo iniziato un anno fa. Sono gli eritrei che il 27 agosto 2004 si sono impadroniti dell'aereo diretto ad Asmara sul quale erano stati imbarcati, privati dei documenti e dei soldi, con la forza, a Kufra in Libia. Sopra il cielo di Khartoum hanno costretto il pilota ad atterrare. Non volevano assolutamente ritornare ad Asmara, dove li aspettava la prigione, la tortura e forse per alcuni la pena di morte. Sono uomini e donne scappati dall'Eritrea per non fare il servizio militare, considerati dalle autorità del loro paese a tutti gli effetti dei disertori. Scappano in tanti dall'Eritrea anche per sfuggire alle retate che li portano ai campi di lavoro forzato; se non fuggono, molti rimangono nascosti dentro le case, anche per anni, soprattutto le donne. Se si tenta di sottrarsi c'è anche la fucilazione. Con alcuni operatori umanitari li raggiungo nel posto dove bivaccano, a ridosso del muro di cinta del quartier generale dell'Unhcr. «Niente nomi, mi raccomando» Un fragile muro di teli stesi difende la loro quotidianità. Paura e diffidenza sono le prime reazioni alla nostra presenza. In modo confuso e pieno di reticenze iniziano però a raccontare la loro odissea. «Niente nomi- impauriti, si raccomandano in continuazione -. In quell'aereo eravamo in 75, uomini, donne di cui due incinte e sei bambini. 15 di noi sono stati arrestati pochi giorni dopo lo sbarco a Khartoum e condannati a 5 anni di prigione per aver dirottato l'aereo, uno è scomparso senza lasciare tracce. A settembre, dopo l'intervista con i funzionari dell'Unhcr, ci è stato riconosciuto lo status di rifugiati con la promessa di una soluzione durevole e definitiva in paesi terzi. Ma nulla di tutto ciò è avvenuto, ed oggi, ad un anno di distanza ci troviamo abbandonati con un futuro incerto e con l'incubo di essere rimandati in Eritrea. Infatti alla fine di maggio di quest'anno l'Unhcr ci ha detto che non si occuperà più di noi. Loro se ne lavano le mani e oggi è il governo del Sudan il solo responsabile delle nostre vite. Quello che vogliamo è poter vivere una vita sicura e normale». Si sentono degli ostaggi senza sbocco, senza mezzo di sussistenza, senza interlocutori. Non hanno diritto neppure alle cure mediche. Si soccorrono tra loro come possono anche le donne, anche i bambini. All'inizio non tutti si conoscevano; alcuni erano stati presi al mercato di Tripoli; altri erano stati «liberati» dopo mesi passati nei campi di accoglienza. Ora condividono lo stesso destino, accomunati da un unico desiderio, quello di approdare in Occidente. Mentre si preparano a passare l'ennesima notte presidiando il bivacco con le poche cose necessarie alla sopravvivenza, in un'altra parte della città, altri eritrei si preparano ad affrontare il viaggio verso Nord con il miraggio dell'Europa. Da Omdurman, di fronte a Khartum dove il Nilo Azzurro e il Nilo Bianco si incontrano, partono convogli di camion o di due o più Land Cruiser; i gruppi sono chiusi, chi gestisce e organizza le spedizioni è conosciuto solo da pochi fidati. Le macchine sono stipate all'inverosimile, guidate da autisti libici che conoscono bene le piste del deserto. Il prezzo del passaggio è di 300 dollari a testa, a cui si aggiungono altri 100 dollari da pagare ai poliziotti all'entrata in Libia oltre ai vari pedaggi ad ogni posto di blocco nel tratto sudanese. In più, secondo le più recenti disposizioni libiche, ognuno deve possedere una somma pari a 300 euro. La meta è l'oasi di Kufra, che nel migliore dei casi viene raggiunta dopo 5 giorni di viaggio. Poi si prosegue per Bengasi e per Tripoli e infine il porto di Zuwarah. Da qui dopo un tempo incalcolabile si affronta l'ultima parte del viaggio: la rischiosissima traversata del Mediterraneo fino alle coste italiane. I soldi che servono (solo la traversate in mare sfiora i 1500 dollari a persona) vengono nascosti nei posti più impensati, ma il rischio di essere derubati in ogni momento del viaggio rimane molto alto cosicché spesso qualcuno nella città di partenza si incarica di «passare» il denaro a un agente in Libia. Gli oppositori eritrei di Khartoum Il trasferimento di denaro tra il Sudan e la Libia è oggi illegale; l'operazione deve essere perciò concordata in anticipo, fissando il breve lasso di tempo in cui si deve effettuare così da evitare di essere scoperti. Quanto alla parte precedente del tragitto, gli etiopi e gli eritrei arrivano in Sudan lungo la rotta più sicura, passano da Gondar: evitano Kassala, che sarebbe molto più accessibile, perché il confine tra Sudan e Eritrea è attualmente chiuso e tra i due paesi soffiano venti di guerra. Per la maggior parte sono cristiani che non hanno mai visto di buon occhio la secessione dell'Eritrea dall'Etiopia. Vengono accolti in Sudan da eritrei islamici che si oppongono al regime di Isaias Afewerki e che per prima cosa consegnano ai nuovi arrivati una tessera di iscrizione al loro partito con l'obiettivo di ingrossarne le fila almeno sulla carta. Una storia a parte dovrebbe essere scritta per le donne che le famiglie cercano con tutti i mezzi di mettere in salvo da una vita di continue violenze tra reiterati stati d'emergenza e appelli alla mobilitazione. Quando arrivano in Sudan devono al più presto trovare e pagare una «protezione» maschile per poter chiedere e ottenere un visto o proseguire da clandestine il viaggio. Si celebrano perciò molti matrimoni tra eritree e sudanesi. Questi emigranti possono considerarsi fortunati a differenza di quelli eritrei che risalgono invece verso Port Sudan lungo la costa o di quelli che non hanno i mezzi per continuare il viaggio e devono sostare a Khartoum, un vero e proprio crocevia per coloro che in momenti diversi sono scappati da Chad, Uganda ed Etiopia, o peggio ancora come il gruppo accampato davanti all'Unhcr che rischia di essere scambiato, qualora i rapporti tra Sudan ed Eritrea migliorassero, con i ribelli del Beja congress che operano al confine con l'Eritrea nella zona di Kassala rivendicando una maggiore autonomia dal governo di Khartoum.
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#9 |
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Ma la UE che c'entra?
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#10 | |
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#11 |
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Le forze Onu messe alle corde dal governo eritreo
Inviato da Ottavio Pirelli venerdì, 21 ottobre 2005 12:17 Continua a rimanere palpabile la tensione lungo il confine tra Eritrea ed Etiopia. Dopo le restrizioni ai voli degli elicotteri Onu, il governo eritreo ha imposto ulteriori limitazioni ai movimenti dei soldati del contingente di pace. Le restrizioni per la missione Onu Niente elicotteri in volo nella Zona di Sicurezza Temporanea dal primo ottobre. Già questo primo provvedimento del governo di Asmara aveva reso più difficili le operazioni della missione delle Nazioni Unite in Eritrea e Etiopia (UNMEE). Secondo quanto riferito negli ultimi giorni dalla portavoce Gail Bindley alla IRIN, il divieto di volo ha determinato la chiusura di due dei quaranta avamposti lungo la frontiera, proprio perchè raggiungibili solo per via aerea. A questo primo e grave handicap per le forze di peacekeeping si è aggiunta da qualche giorno una nuova limitazione, questa volta relativa ai movimenti delle pattuglie durante la notte. Secondo le nuove regole dettate dalle autorità eritree, i veicoli dell'UNMEE non potranno muoversi in perlustrazione dopo le 6 di pomeriggio. Il doppio divieto rappresenta un duro colpo per la libertà di movimento dei soldati Onu e per l'efficacia della loro azione volta mantenere l'ordine lungo il confine. Ad essere minacciata è anche l'attività di sminamento della zona, disseminata di migliaia di ordigni antiuomo e in attesa di essere completamente bonificata. Le tensioni tra Governo eritreo e Onu Sono cresciute in questi mesi le tensioni tra Nazioni Unite ad Eritrea. Quest'ultima recentemente ha minacciato di riprendere le armi contro la confinante Etiopia, se l'Onu non riuscirà a breve a trovare una via d'uscita all'annosa controversia territoriale che ha già in passato scatenato un sanguinoso conflitto. Il livello dello scontro è arrivato ad un punto tale che, secondo le notizie diffuse dal network BBC, lo stesso Segretario Generale Kofi Annan si è visto costretto a annunciare decisioni gravi ed estreme da parte dell'organizzazione internazionale a causa della riottosità del governo eritreo. L'eventualità di un ritiro dei propri contingenti sarebbe una mossa dagli esiti incerti, visto anche il livello di tensione ancora palpabile tra i due stati africani. I continui incidenti Già dal mese di luglio Rajender Singh, il comandante delle forze Onu nella zona, aveva lanciato l'allarme circa i tanti piccoli episodi di violenza nella zona di sicurezza. Le dichiarazioni di Singh riguardavano principalmente il comportamento delle due parti in causa, alle quali è stata indirizzata nel contempo la richiesta di un maggiore sforzo per aumentare il livello di collaborazione. Appello che a tutt'oggi rimene pressoché disatteso. Ottavio Pirelli (www.warnews.it)
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#12 |
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Etiopia, scontri manifestanti-polizia:3 morti a Addis Abeba
1 novembre 2005 10.52
AFRICA ETIOPIA, SCONTRI MANIFESTANTI-POLIZIA:3 MORTI AA ADDIS ABEBA Tre persone sono morte uccise a colpi d'arma da fuoco e dieci sono rimasti feriti in scontri tra manifestanti e polizia nel quartiere Mercato della capitale etiopica Addis Abeba. Lo si è appreso da fonti sanitarie.(Avvenire)
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#13 |
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1 novembre 2005 14.45
AFRICA ETIOPIA: SCONTRI AD ADDIS ABEBA,5 I MORTI E 13 I FERITI Si è aggravato ulteriormente, fino a raggiungere il numero di cinque morti e tredici feriti, il bilancio degli scontri tra dimostranti e agenti in assetto anti-sommossa che per il secondo giorno di fila hanno accompagnato le manifestazioni di protesta indette dalla Cud, la Coalizione per l'Unità e la Democrazia che costituisce la principale forza d'opposizione dell'Etiopia, contro l'esito delle elezioni dello scorso maggio, che sarebbe stato manipolato dal governo e dal partito di cui è espressione, il Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiopico o Eprdf. Il nuovo computo è stato fornito da fonti ospedaliere, secondo cui le vittime sono state provocate dai proeittili esplosi contro la folla dai circa 250 poliziotti, armati fino ai denti, dispiegati dal regime per tenere a bada gli oppositori.
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#14 |
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2 novembre 2005 15.36
ADDIS ABEBA ETIOPIA: BILANCIO VITTIME SCONTRI SALE A 31 MORTI Sono almeno 31 i morti e circa 200 i feriti negli scontri che da due giorni oppongono nella capitale etiopica Addis Abeba gruppi di manifestanti e polizia. Solo oggi sono morte 23 persone. Il nuovo bilancio di vittime è stato fornito da fonti ospedaliere nei cinque maggiori nosocomi della città. Per il ministro dell'Informazione, Berhan Hailu, "ora la situazione è sotto controllo ad Addis Abeba. Vi sono stati problemi in città stamattina, ma ora la situazione è sotto controllo".
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#15 |
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3 novembre 2005 18.10
AFRICA ETIOPIA: ANCORA SCONTRI AD ADDIS ABEBA, 3 MORTI Non si placano le violenze ad Addis Abeba, capitale etiope teatro negli ultimi giorni di scontri tra le forze dell'ordine e i manifestanti che protestano per gli esiti elettorali del maggio scorso. Altre tre persone sono rimaste uccise nelle violenze di oggi e una quarta, come confermato da fonti ospedaliere, è rimasta ferita. La città è presidiata dalla polizia che, in assetto da guerriglia urbana, fronteggia le proteste, fomentate, secondo il governo, dal blocco Coalizione per l'Unità e la Democrazia. I deputati dell'opposizione si rifiutano infatti di tornare in Parlamento e accusao il governo di brogli alle elezioni del 15 maggio scorso, vinte dal partito del premier Meles Zenawi. Per gli osservatori internazionali, tra cui una delegazione dell'Unione europea, il voto è regolare. Dall'inizio delle proteste, scoppiate a giugno, sono stati uccisi oltre 60 manifestanti
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GLI SCONTRI
Ancora tafferugli ad Addis Abeba. Il bilancio complessivo registra già una quarantina di vittime. Imprigionati alcuni componenti dell’opposizione che avevano accusato il governo. Il segretario dell’Onu Annan, che ha inviato un suo funzionario nel Paese, esorta Etiopia ed Eritrea a sospendere gli spostamenti di truppe Etiopia nel caos: torna lo spettro della guerra civile Di Paolo M.Alfieri Continua ad essere tesissima la situazione ad Addis Abeba, sconvolta ormai da tre giorni di scontri violenti tra le forze dell'ordine e i sostenitori dei partiti d'opposizione. Ieri mattina oltre diecimila persone si sono riunite nello stadio della capitale etiope per le celebrazioni della fine del Ramadan. L'esercito ha presidiato la struttura con una presenza massiccia, nel timore che alla fine della cerimonia scoppiassero nuovi tumulti. Secondo alcune testimonianze, alcuni colpi di arma da fuoco sono stati esplosi nei pressi della sede dell'ambasciata olandese. In un'altra zona della città le proteste hanno preso la forma di una fitta sassaiola contro la polizia. Il bilancio della giornata fa registrare almeno tre vittime, che vanno ad aggiungersi ai 35 morti e oltre 200 feriti dei giorni precedenti (anche se il governo ha diffuso cifre più contenute). La sensazione che si ricava dalle testimonianze che riescono a filtrare è quella di un Paese in bilico, sull'orlo di una drammatica guerra civile. Osservatori locali riferiscono di continue operazioni di arresti di massa. Il maggior partito dell'opposizione, la Coalizione di unità democratica (Cud), accusa il premier Melles Zenawi di aver chiuso i negoziati che avrebbero potuto portare a un governo di unità nazionale. Da qui le rinnovate e vibrate proteste contro i risultati delle elezioni dello scorso maggio, e l'arresto di tutti e 15 i membri del Comitato centrale del Cud. Già alla vigilia delle elezioni l'opposizione aveva denunciato casi di imprigionamenti e torture, oltre ad una presunta compravendita dei voti attuata dal governo nelle zone rurali, dove, in un contesto in cui la denutrizione uccide 300mila bambini l'anno, più che le divergenze politiche a vincere è il nodo della fame. Melles, giunto al terzo mandato, non ha esitato a bollare il Cud come "forza contraria alla pace" e ha annunciato l'apertura di una serie di procedimenti legali contro i vertici dell'opposizione, che ha nella capita le Addis Abeba una delle sue roccaforti storiche. Di recente lo stesso Melles si era spinto a paragonare le tattiche dei suoi avversari a quelle usate per fomentare il genocidio ruandese. Eppure numerosi rapporti di Ong e associazioni indipendenti da tempo sottolineano gli eccessi antiliberali dell'uomo forte di Addis Abeba. «Gli etiopi stanno chiedendo a gran voce una democrazia reale - scriveva qualche tempo fa sull'Addis Tribune l'opinionista Getachew Melke - Nessuna società egualitaria può accettare un primo ministro che governi a vita, pena l'instaurazione di una tirannia». All'attuale instabile contesto interno, si aggiungono inoltre le tensioni provocate dallo spostamento di truppe verso i confini con l'Eritrea, mossa che ha causato un'analoga reazione da parte del governo di Asmara. Il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, ha esortato ieri i due Paesi a sospendere l'avanzata verso la Zona di sicurezza temporanea istituita nel giugno del 2000 con l'accordo che ha messo fine ad un conflitto costato la vita a decine di migliaia di persone. Il comandante delle forze Onu presenti nella Zona, Rajender Singh, ha sottolineato che «se la comunità internazionale non interviene c'è la possibilità che la situazione precipiti». Il presidente eritreo, Isaias Afewerki, ha accusato la settimana scorsa l'Onu di non essere riuscita a far rispettare all'Etiopia l'ordine di lasciare la città di confine di Badme, assegnata all'Eritrea da una commissione internazionale. Asmara ha inoltre deciso di non concedere più il proprio spazio aereo agli elicotteri delle Nazioni Unite, limitando così di fatto le possibilità di monitoraggio nella regione. Per tentare di disinnescare la crisi, il Consiglio di Sicurezza ha deciso di inviare uno dei suoi membri, l'ambasciatore del Giappone Kenzo Oshima, in missione informativa in Eritrea.
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RIVOLTA POPOLARE A MOGADISCIO, MORTI E FERITI
SOMALIA 5/11/2005 9.24
RIVOLTA POPOLARE A MOGADISCIO, MORTI E FERITI Almeno 4 persone sono morte e 12 sono rimaste ferite in violenti combattimenti svoltisi ieri dalle 20:00 locali a mezzanotte circa nella zona ‘chilometro 4’ non lontano dal centro di Mogadiscio, capitale della Somalia. Lo riferiscono alla MISNA fonti del governo di transizione somalo contattate a Jowhar (una novantina di chilometri a nord di Mogadiscio), le quali hanno precisato che si è trattata di un’insurrezione popolare contro una corte islamica facente parte della cosiddetta ‘Corte Nazionale’, movimento che utilizzando la propaganda del radicalismo islamico sta cercando di prendere il potere nella capitale a discapito degli storici ‘signori della guerra’, da 14 anni padroni del territorio. A guidare l’assalto contro il tribunale sono stati, sempre secondo le nostre fonti, gli addetti degli studi cinematografici Al-Fiqi, principale centro di doppiaggio di film indiani in lingua somala del paese, devastato nei giorni scorsi proprio da uomini armati al soldo dell’Unione delle corti islamiche di Mogadiscio che denunciavano l’immoralità delle pellicole. La protesta si è poi estesa coinvolgendo gli abitanti del posto e alcuni miliziani dell’area. Dopo gli intensi scontri di ieri, tutti i componenti della corte islamica sono stati costretti alla fuga. Osservatori rilevano che si è trattato del primo episodio di rivolta popolare contro questi tribunali da quando hanno fatto la loro comparsa sul territorio.[misna]
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ETIOPIA 4/11/2005 22.45
ADDIS ABEBA: VITTIME ANCHE NEGLI SCONTRI FUORI DALLA CAPITALE Sarebbe di almeno sei vittime e 11 feriti – ma alcuni già parlano di 10 morti - un primo bilancio degli scontri avvenuti oggi in diverse città dell’Etiopia, dopo che la protesta si è allargata dalla capitale Addis Abeba, mentre il primo ministro Meles Zenawi alla televisione di Stato ha detto che la situazione è sotto controllo, ma che il principale partito di opposizione “è responsabile della violenze”. Già nel pomeriggio la MISNA aveva riferito di “alcune vittime” a Bahar Dar, circa 400 chilometri a nord-ovest della capitale, sulle rive del lago Tana, a causa della repressione delle forze dell’ordine contro studenti che chiedevano il rilascio degli esponenti dell’opposizione arrestati in questi giorni. Agenzie di stampa internazionali hanno diffuso in serata un bilancio di 4 morti e una dozzina di feriti, mentre una fonte diplomatica avrebbe denunciato 8 vittime; incidenti e disordini sono stati segnalati – e ammessi anche dal governo in un comunicato – in numerosi centri abitati del Paese: Jimma, Dire Dawa, Dessé (forse 2 le vittime), Awasa, Arba Minch, da dove per ora non sono ancora arrivate notizie di vittime. A quattro giorni dalle manifestazioni organizzate dalla Coalizione per l’unità e la democrazia (Cud, i cui dirigenti sono stati in gran parte arrestati) – degenerate poi in una protesta di massa per le strade, con lanci di pietre e incendi di autobus pubblici - è ancora impossibile un bilancio complessivo della repressione attuata in quattro dalle forze di sicurezza: secondo le agenzie internazionali i morti sarebbero a questo punto 46, mentre la MISNA ha avuto notizie che in uno solo dei cinque ospedali di Addis Abeba vi sarebbero 60 cadaveri. Intanto il Fronte etiope democratico unito (Uedf), uno degli schieramenti di opposizione, ha invitato tutti alla calma, affermando che con il caos di questi giorni non è possibile trovare una soluzione politica alla crisi, scoppiata dopo le contestate elezioni legislative di maggio, vinte dal partito di Zenawi.
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#19 |
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ETIOPIA 4/11/2005 20.47
ADDIS ABEBA: BILANCIO SI AGGRAVA, FORSE UN CENTINAIO LE VITTIME Almeno 60 cadaveri delle vittime degli scontri di questi giorni ad Addis Abeba tra manifestanti e forze di sicurezza si troverebbero nell’ospedale ‘Menelik’, uno dei cinque nosocomi della capitale: la MISNA lo ha appreso da fonti sanitarie in loco; il bilancio finora accertato da fonti indipendenti era di 42 morti e oltre 200 feriti, mentre le autorità ne ammesso 31 vittime, tra cui 7 appartenenti alle forze dell’ordine. Queste cifre, se confermate, porterebbero il bilancio complessivo di oltre un centinaio di morti, tra cui molte donne e ragazzi uccisi soprattutto dai reparti speciali delle forze armate. Secondo testimoni, in alcuni casi ai famigliari delle vittime sarebbe stato chiesto il pagamento di una somma tra 1.000 e 2.000 birr (100 – 200 euro) per la restituzione della salma, una cifra inaccessibile per molti. Stando alle informazioni raccolte dalla MISNA, sembra che ad alcuni sia stato chiesto di sottoscrivere una dichiarazione in cui si afferma che la morte del congiunto è avvenuta in scontri provocati dall’opposizione. Più grave anche il bilancio degli incidenti avvenuti ieri nel carcere di Kaliti, alla periferia di Addis Abeba, dove gli agenti hanno aperto il fuoco per fermare quello che hanno definito come un tentativo di evasione: i morti non sarebbero 7 i morti – come dichiarato dalla Polizia federale – ma almeno 17; tra loro non è escluso che vi siano anche alcuni detenuti politici. Prosegue anche oggi, intanto, il black-out informativo totale sui mezzi di comunicazione statali: alcuni residenti di Addis Abeba contattati stasera per telefono hanno detto alla MISNA i telegiornali non hanno fatto alcun riferimento ai disordini, che oggi si sono estesi anche a numerose città del Paese. Ulteriori conferme arrivano sull’arresto di alcuni giornalisti della stampa indipendente, che da due giorni ha sospeso le pubblicazioni; stessa sorte per numerosi attivisti dei diritti umani, arrestati come gran parte dei dirigenti dell’opposizione della Coalizione per l’unità e la democrazia (Cud), che il governo del controverso primo ministro Meles Zenawi considera istigatrice e responsabile delle violenze. Gli scontri interni si sommano alla crescente tensione con l’Eritrea: fonti della MISNA riferiscono di recenti spostamenti di truppe e mezzi militari nella regione settentrionale del Tigray – da dove viene l’ex-capo guerrigliero Zenawi – in direzione della frontiera con l’Eritrea; il segretario dell’Onu Kofi Annan e il presidente della Commissione dell’Unione Africana Alpha Oumar Konaré hanno avvertito dei rischi di una possibile ripresa delle ostilità, che secondo alcuni osservatori potrebbe essere utile ai “regimi” di Addis Abeba e Asmara per coprire i dissensi politici interni e le violente repressioni applicate in entrambi i Paesi.
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#20 |
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Etiopia-Eritrea:Unione Africana,"Evitare ulteriori tensioni"
AFRICA 5/11/2005 1.30
ETIOPIA-ERITREA: UNIONE AFRICANA, "EVITARE ULTERIORI TENSIONI" L’Unione Africana (Ua) ha esortato Etiopia ed Eritrea a “contenere” i movimenti delle loro truppe lungo i circa 1.000 chilometri di frontiera per scongiurare il rischio di un nuovo conflitto tra i due Paesi. In un comunicato ufficiale diffuso da Addis Abeba, che ricalca le preoccupazioni espresse in precedenza dalla Missione Onu in Etiopia ed Eritrea (Unmee), l’Ua ha chiesto alle parti di “evitare qualsiasi azione che possa aggravare la situazione” e sfociare “in un confronto militare con implicazioni di vasta portata per i due Paesi e per l’intera regione”. Etiopia ed Eritrea sono state sollecitate anche a collaborare con la forza di pace Onu e consentire ai ‘caschi blu’ di monitorare la zona-cuscinetto (Tsz) che le separa. Secondo l’Unmee la situazione alla frontiera “è passata da ‘stabile’ a ‘tesa’ e potenzialmente volatile” e “un qualsiasi incidente potrebbe degenerare in qualcosa di peggiore”; da parte eritrea, inoltre, il divieto di usare gli elicotteri imposto da Asmara all’Onu lo scorso 5 ottobre ha sensibilmente ridotto le capacità operative dei ‘caschi blu’ nella Ztl e nella stessa area sarebbero state segnalate incursioni di uomini armati, sedicenti ‘miliziani’, che si sarebbero rifiutati di esibire documenti di identità. Polemiche sono sorte anche all’interno della stessa Unmee. “Il Consiglio di sicurezza deve decidere: è utile continuare a spendere 200 milioni di dollari per mantenere una missione che non può fare il suo lavoro?” ha detto il responsabile politico dei ‘caschi blu’ ad Asmara, Joseph Legwaila. Secondo alcuni osservatori, le mai sopite tensioni tra Etiopia ed Eritrea, protagoniste dal 1998 al 2000 di una guerra che provocò tra i 70.000 e gli 80.000 morti, sarebbero alimentate dalla frustrazione di Asmara per il fatto che l’intesa raggiunta cinque anni fa sulla delimitazione delle frontiere non abbia ancora portato alla demarcazione effettiva del confine, anche perché rifiutata dall’Etiopia.
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