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Old 23-02-2009, 17:23   #1
GianoM
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Nel carcere dei "sex offenders" - "Qui riusciamo a recuperarli"

MILANO - Nella subcultura carceraria sono "gli infami". Nel gergo tecnico di psicologi e operatori penitenziari sono i "sex offenders". Qualunque sia il modo di chiamarli, una cosa è certa: quando entrano in galera, le persone che si sono macchiate di un reato sessuale vengono spedite dritte nei reparti protetti, e lì confinate. Separate da tutti, isolate dal resto dei detenuti, esiliate in un girone a parte. Ovunque, tranne nel carcere di Bollate.

Si chiama "Progetto di trattamento e presa in carico di autori di reati sessuali in Unità di Trattamento Intensificato e sezione attenuata" ed è una sperimentazione avviata nell'istituto di reclusione milanese solo tre anni fa. L'unico caso in Italia in cui, dopo un anno di terapia in un'unità specializzata all'interno del carcere, i detenuti possono lasciarsi alle spalle il reparto protetto e vivere quotidianamente insieme agli altri detenuti di reati "comuni".

"I sex offenders seguono un trattamento avanzato - spiega la direttrice del carcere Lucia Castellano - un percorso studiato appositamente per chi ha commesso reati sessuali. Qui a Bollate in questo momento sono trenta persone, su un totale di 750 detenuti. E in questi tre anni posso dire che il progetto ha dato i suoi frutti. Su 80 soggetti, solo tre sono stati recidivi e uno di loro ha chiesto di tornare per continuare le terapie".

Considerato uno degli istituti penitenziari più all'avanguardia, il carcere di Bollate è nato nel 2000 con un obiettivo: offrire all'utenza detenuta quante più possibili opportunità lavorative, formative e socio - riabilitative. Un modo costruttivo per abbattere il rischio di recidiva e favorire il graduale, ma anche definitivo reinserimento del condannato nel contesto sociale. "Perché una cosa è certa - continua la direttrice - pensare al carcere come a un luogo in cui si prende la chiave e la si butta via, non ha alcun senso. Non serve a niente. Il modo migliore per evitare che questi gravissimi fatti si ripetano ancora è accompagnare la galera a dei percorsi sensati. Non farsi prendere dall'onda emotiva, studiare bene le misure da adottare per evitare la recidiva. Affrontare il problema con razionalità. E poi, infine, 'sperare' nel soggetto. Perché più di ogni altra cosa, la scelta del recupero dipende dalla persona".

È il "violentatore", cioè, che deve dire "sì, voglio guarire". E i mezzi per farlo, a Bollate, li ha. L'équipe che si occupa di seguire i sex offenders nel loro percorso fa parte del Centro Italiano per la Promozione della Mediazione (CIPM) di Milano. Un team composto da tre criminologi, sette psicologi, uno psichiatra, due educatori, un'arteterapeuta e uno psicomotricista. "La novità di Bollate sta nel fatto che è stata creata una vera e propria unità terapeutica a sé stante, interna al carcere, come se fosse una piccola comunità" chiarisce lo psicologo Luigi Colombo.

Ed è lì che, giorno dopo giorno, per un anno di fila, i colpevoli di reati sessuali devono affrontare il loro mostro interiore. "Il lavoro ha una cadenza giornaliera - continua Colombo - I colloqui sono individuali e di gruppo e tutto il progetto è incentrato sul riconoscimento del reato. Perché se c'è una cosa che il sex offender fa è proprio questa: negare, negare, negare. In carcere la negazione è usata per difendersi dagli altri. La cosa più facile e più frequente è cercare di dimostrare al compagno di cella ma anche allo stesso operatore che è tutta un'invenzione, che si è innocenti, che si è vittime di un tragico errore. Questo serve a mettersi al riparo dalle critiche e anche a difendersi da se stessi. Ed è lo stesso meccanismo che si mette in atto dentro la famiglia, con la propria moglie o con la propria compagna, quando ancora non si è finiti in galera. Distorsioni della realtà a cui, troppo spesso, si finisce per credere".

Il lavoro principale degli psicologi, allora, è quello sulla negazione. E quando è finito, comincia la seconda parte: la vita fuori dal reparto protetto, in mezzo agli altri detenuti. "All'inizio, tre anni fa, non è stato facile - ricorda Lucia Castellano - gli 'altri' reagirono molto male, qualcuno decise di chiedere un trasferimento perché proprio non se la sentiva. Ma chi entra a Bollate oggi sa bene quello cui può andare incontro: se firma, accetta la possibilità di condividere la propria cella anche con un sex offender".

La maggior parte, stando ai numeri di Bollare, sono italiani che hanno commesso reati sessuali all'interno della famiglia. Padri su figlie, o patrigni su figli adottivi, spesso con la connivenza della madre. A volte amici dei genitori, ma comunque quasi sempre persone nel cerchio familiare. "Spesso si tratta di persone che hanno un comportamento esteriore molto contenuto, inibito, passivo - spiega Colombo - I reati di branco invece sono più limitati. Li commettono persone che hanno imparato un modello aggressivo di sessualità. Soggetti emarginati che utilizzano la violenza per rafforzare la propria identità virile. Lo fanno in gruppo perché, davanti agli altri, dimostrano a loro stessi di essere forti".

Per tutti loro stare in mezzo agli altri detenuti è un passo decisivo. "E' una specie di banco di prova per anticipare il proprio rientro nella società - continua lo psicologo - una società in cui, volenti o nolenti, saranno sottoposti a dure critiche".

Il CIPM segue in tutto circa 200 persone (una trentina dentro al carcere, gli altri in esecuzione penale esterna. Far emergere questi reati, in realtà, è davvero difficile. Le violenze sessuali sono quelle con il "numero oscuro" più alto di episodi non denunciati. "Ma una volta presi - ribadisce la direttrice - è necessario che vengano messi davanti quello che hanno fatto. Il carcere deve essere anche il momento della consapevolezza, il luogo in cui riflettere sulla propria personalità, per capire perché si ha avuto il bisogno di aggredire. Solo così, forse, una volta fuori il sex offender non ripeterà più quelle terribili violenze".

http://www.repubblica.it/2009/02/sez...e-carcere.html

Finalmente si da spazio alla psicologia.
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Old 23-02-2009, 17:36   #2
Fedozzo
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Per chi si macchia di questo tipo di reati non riesco a provare nessun trasporto, mi spiace.
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Old 23-02-2009, 18:11   #3
Kharonte85
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MILANO - Nella subcultura carceraria sono "gli infami". Nel gergo tecnico di psicologi e operatori penitenziari sono i "sex offenders". Qualunque sia il modo di chiamarli, una cosa è certa: quando entrano in galera, le persone che si sono macchiate di un reato sessuale vengono spedite dritte nei reparti protetti, e lì confinate. Separate da tutti, isolate dal resto dei detenuti, esiliate in un girone a parte. Ovunque, tranne nel carcere di Bollate.

Si chiama "Progetto di trattamento e presa in carico di autori di reati sessuali in Unità di Trattamento Intensificato e sezione attenuata" ed è una sperimentazione avviata nell'istituto di reclusione milanese solo tre anni fa. L'unico caso in Italia in cui, dopo un anno di terapia in un'unità specializzata all'interno del carcere, i detenuti possono lasciarsi alle spalle il reparto protetto e vivere quotidianamente insieme agli altri detenuti di reati "comuni".

"I sex offenders seguono un trattamento avanzato - spiega la direttrice del carcere Lucia Castellano - un percorso studiato appositamente per chi ha commesso reati sessuali. Qui a Bollate in questo momento sono trenta persone, su un totale di 750 detenuti. E in questi tre anni posso dire che il progetto ha dato i suoi frutti. Su 80 soggetti, solo tre sono stati recidivi e uno di loro ha chiesto di tornare per continuare le terapie".

Considerato uno degli istituti penitenziari più all'avanguardia, il carcere di Bollate è nato nel 2000 con un obiettivo: offrire all'utenza detenuta quante più possibili opportunità lavorative, formative e socio - riabilitative. Un modo costruttivo per abbattere il rischio di recidiva e favorire il graduale, ma anche definitivo reinserimento del condannato nel contesto sociale. "Perché una cosa è certa - continua la direttrice - pensare al carcere come a un luogo in cui si prende la chiave e la si butta via, non ha alcun senso. Non serve a niente. Il modo migliore per evitare che questi gravissimi fatti si ripetano ancora è accompagnare la galera a dei percorsi sensati. Non farsi prendere dall'onda emotiva, studiare bene le misure da adottare per evitare la recidiva. Affrontare il problema con razionalità. E poi, infine, 'sperare' nel soggetto. Perché più di ogni altra cosa, la scelta del recupero dipende dalla persona".

È il "violentatore", cioè, che deve dire "sì, voglio guarire". E i mezzi per farlo, a Bollate, li ha. L'équipe che si occupa di seguire i sex offenders nel loro percorso fa parte del Centro Italiano per la Promozione della Mediazione (CIPM) di Milano. Un team composto da tre criminologi, sette psicologi, uno psichiatra, due educatori, un'arteterapeuta e uno psicomotricista. "La novità di Bollate sta nel fatto che è stata creata una vera e propria unità terapeutica a sé stante, interna al carcere, come se fosse una piccola comunità" chiarisce lo psicologo Luigi Colombo.

Ed è lì che, giorno dopo giorno, per un anno di fila, i colpevoli di reati sessuali devono affrontare il loro mostro interiore. "Il lavoro ha una cadenza giornaliera - continua Colombo - I colloqui sono individuali e di gruppo e tutto il progetto è incentrato sul riconoscimento del reato. Perché se c'è una cosa che il sex offender fa è proprio questa: negare, negare, negare. In carcere la negazione è usata per difendersi dagli altri. La cosa più facile e più frequente è cercare di dimostrare al compagno di cella ma anche allo stesso operatore che è tutta un'invenzione, che si è innocenti, che si è vittime di un tragico errore. Questo serve a mettersi al riparo dalle critiche e anche a difendersi da se stessi. Ed è lo stesso meccanismo che si mette in atto dentro la famiglia, con la propria moglie o con la propria compagna, quando ancora non si è finiti in galera. Distorsioni della realtà a cui, troppo spesso, si finisce per credere".

Il lavoro principale degli psicologi, allora, è quello sulla negazione. E quando è finito, comincia la seconda parte: la vita fuori dal reparto protetto, in mezzo agli altri detenuti. "All'inizio, tre anni fa, non è stato facile - ricorda Lucia Castellano - gli 'altri' reagirono molto male, qualcuno decise di chiedere un trasferimento perché proprio non se la sentiva. Ma chi entra a Bollate oggi sa bene quello cui può andare incontro: se firma, accetta la possibilità di condividere la propria cella anche con un sex offender".

La maggior parte, stando ai numeri di Bollare, sono italiani che hanno commesso reati sessuali all'interno della famiglia. Padri su figlie, o patrigni su figli adottivi, spesso con la connivenza della madre. A volte amici dei genitori, ma comunque quasi sempre persone nel cerchio familiare. "Spesso si tratta di persone che hanno un comportamento esteriore molto contenuto, inibito, passivo - spiega Colombo - I reati di branco invece sono più limitati. Li commettono persone che hanno imparato un modello aggressivo di sessualità. Soggetti emarginati che utilizzano la violenza per rafforzare la propria identità virile. Lo fanno in gruppo perché, davanti agli altri, dimostrano a loro stessi di essere forti".

Per tutti loro stare in mezzo agli altri detenuti è un passo decisivo. "E' una specie di banco di prova per anticipare il proprio rientro nella società - continua lo psicologo - una società in cui, volenti o nolenti, saranno sottoposti a dure critiche".

Il CIPM segue in tutto circa 200 persone (una trentina dentro al carcere, gli altri in esecuzione penale esterna. Far emergere questi reati, in realtà, è davvero difficile. Le violenze sessuali sono quelle con il "numero oscuro" più alto di episodi non denunciati. "Ma una volta presi - ribadisce la direttrice - è necessario che vengano messi davanti quello che hanno fatto. Il carcere deve essere anche il momento della consapevolezza, il luogo in cui riflettere sulla propria personalità, per capire perché si ha avuto il bisogno di aggredire. Solo così, forse, una volta fuori il sex offender non ripeterà più quelle terribili violenze".

http://www.repubblica.it/2009/02/sez...e-carcere.html

Finalmente si da spazio alla psicologia.
Era ora...si cominciasse un po' a sensibilizzare l'opinione pubblica su questi temi invece di diffondere un allarme sicurezza che alimenta solo odio

E' esattamente così che bisognerebbe affrontare il tema in TUTTE le realtà carcerarie.

PS: Ho avuto occasione di parlare personalmente con Luigi Colombo e mi è sembrata una persona eccezionale.
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Old 23-02-2009, 18:13   #4
sander4
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Che scontino la pena in modo duro ovviamente, ma se questi programmi consentono di avere un tasso bassissimo o quasi nullo di recidivi, BEN VENGANO, eseguiti ovviamente dentro il carcere. Anche perchè ci guadagna la società civile se questa gente, che prima o poi esce, non ripete il reato.
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Old 23-02-2009, 18:19   #5
Rand
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E' lo stesso carcere di cui si parlava nell'ultima puntata di Report?

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Originariamente inviato da Fedozzo Guarda i messaggi
Per chi si macchia di questo tipo di reati non riesco a provare nessun trasporto, mi spiace.
Non è questione di trasporto o compassione:

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"I sex offenders seguono un trattamento avanzato - spiega la direttrice del carcere Lucia Castellano - un percorso studiato appositamente per chi ha commesso reati sessuali. Qui a Bollate in questo momento sono trenta persone, su un totale di 750 detenuti. E in questi tre anni posso dire che il progetto ha dato i suoi frutti. Su 80 soggetti, solo tre sono stati recidivi e uno di loro ha chiesto di tornare per continuare le terapie".
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Old 23-02-2009, 18:33   #6
StateCity
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mi sa' che per finire i miei studi di ingegneria, con vitto e alloggio a carico dello stato,
assistenza pissicologica, e percorso di recupero, devo fare una stragge..
oppure altri crimini ?
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Old 23-02-2009, 18:46   #7
GianoM
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Quote:
Originariamente inviato da StateCity Guarda i messaggi
mi sa' che per finire i miei studi di ingegneria, con vitto e alloggio a carico dello stato,
assistenza pissicologica, e percorso di recupero, devo fare una stragge..
oppure altri crimini ?

Non cominciamo dai. Se vuoi delinquere, fallo.
Quote:
Originariamente inviato da Fedozzo Guarda i messaggi
Per chi si macchia di questo tipo di reati non riesco a provare nessun trasporto, mi spiace.
Non dispiacerti. Fortunatamente non è questa la direzione nella quale si sta lavorando.
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Old 23-02-2009, 19:17   #8
Dream_River
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Città: Romagna ma col cuore in Toscana, e spero nel prossimo futuro in Spagna
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Sicuramente erano tutti Komunisti infiltrati nel carcere

Scherzi a parte sono molto contento che vengano applicate serie politiche di recupero dei carcerati, e ciò dovrebbe avvenire in ogni carcere
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Chiesa Valdese - Remember, my child: Without innocence the cross is only iron, - Grazie Daniele di regalarmi ogni giorno il tuo amore! - Per l'Alternativa - Chi ci pensa nel miele, annega - La Filosofia è come la Russia, piena di paludi e spesso invasa dai tedeschi. (Roger Nimier)
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Old 23-02-2009, 19:32   #9
paulus69
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MILANO - Nella subcultura carceraria sono "gli infami". Nel gergo tecnico di psicologi e operatori penitenziari sono i "sex offenders". Qualunque sia il modo di chiamarli, una cosa è certa: quando entrano in galera, le persone che si sono macchiate di un reato sessuale vengono spedite dritte nei reparti protetti, e lì confinate. Separate da tutti, isolate dal resto dei detenuti, esiliate in un girone a parte. Ovunque, tranne nel carcere di Bollate.

Si chiama "Progetto di trattamento e presa in carico di autori di reati sessuali in Unità di Trattamento Intensificato e sezione attenuata" ed è una sperimentazione avviata nell'istituto di reclusione milanese solo tre anni fa. L'unico caso in Italia in cui, dopo un anno di terapia in un'unità specializzata all'interno del carcere, i detenuti possono lasciarsi alle spalle il reparto protetto e vivere quotidianamente insieme agli altri detenuti di reati "comuni".

"I sex offenders seguono un trattamento avanzato - spiega la direttrice del carcere Lucia Castellano - un percorso studiato appositamente per chi ha commesso reati sessuali. Qui a Bollate in questo momento sono trenta persone, su un totale di 750 detenuti. E in questi tre anni posso dire che il progetto ha dato i suoi frutti. Su 80 soggetti, solo tre sono stati recidivi e uno di loro ha chiesto di tornare per continuare le terapie".

Considerato uno degli istituti penitenziari più all'avanguardia, il carcere di Bollate è nato nel 2000 con un obiettivo: offrire all'utenza detenuta quante più possibili opportunità lavorative, formative e socio - riabilitative. Un modo costruttivo per abbattere il rischio di recidiva e favorire il graduale, ma anche definitivo reinserimento del condannato nel contesto sociale. "Perché una cosa è certa - continua la direttrice - pensare al carcere come a un luogo in cui si prende la chiave e la si butta via, non ha alcun senso. Non serve a niente. Il modo migliore per evitare che questi gravissimi fatti si ripetano ancora è accompagnare la galera a dei percorsi sensati. Non farsi prendere dall'onda emotiva, studiare bene le misure da adottare per evitare la recidiva. Affrontare il problema con razionalità. E poi, infine, 'sperare' nel soggetto. Perché più di ogni altra cosa, la scelta del recupero dipende dalla persona".

È il "violentatore", cioè, che deve dire "sì, voglio guarire". E i mezzi per farlo, a Bollate, li ha. L'équipe che si occupa di seguire i sex offenders nel loro percorso fa parte del Centro Italiano per la Promozione della Mediazione (CIPM) di Milano. Un team composto da tre criminologi, sette psicologi, uno psichiatra, due educatori, un'arteterapeuta e uno psicomotricista. "La novità di Bollate sta nel fatto che è stata creata una vera e propria unità terapeutica a sé stante, interna al carcere, come se fosse una piccola comunità" chiarisce lo psicologo Luigi Colombo.

Ed è lì che, giorno dopo giorno, per un anno di fila, i colpevoli di reati sessuali devono affrontare il loro mostro interiore. "Il lavoro ha una cadenza giornaliera - continua Colombo - I colloqui sono individuali e di gruppo e tutto il progetto è incentrato sul riconoscimento del reato. Perché se c'è una cosa che il sex offender fa è proprio questa: negare, negare, negare. In carcere la negazione è usata per difendersi dagli altri. La cosa più facile e più frequente è cercare di dimostrare al compagno di cella ma anche allo stesso operatore che è tutta un'invenzione, che si è innocenti, che si è vittime di un tragico errore. Questo serve a mettersi al riparo dalle critiche e anche a difendersi da se stessi. Ed è lo stesso meccanismo che si mette in atto dentro la famiglia, con la propria moglie o con la propria compagna, quando ancora non si è finiti in galera. Distorsioni della realtà a cui, troppo spesso, si finisce per credere".

Il lavoro principale degli psicologi, allora, è quello sulla negazione. E quando è finito, comincia la seconda parte: la vita fuori dal reparto protetto, in mezzo agli altri detenuti. "All'inizio, tre anni fa, non è stato facile - ricorda Lucia Castellano - gli 'altri' reagirono molto male, qualcuno decise di chiedere un trasferimento perché proprio non se la sentiva. Ma chi entra a Bollate oggi sa bene quello cui può andare incontro: se firma, accetta la possibilità di condividere la propria cella anche con un sex offender".

La maggior parte, stando ai numeri di Bollare, sono italiani che hanno commesso reati sessuali all'interno della famiglia. Padri su figlie, o patrigni su figli adottivi, spesso con la connivenza della madre. A volte amici dei genitori, ma comunque quasi sempre persone nel cerchio familiare. "Spesso si tratta di persone che hanno un comportamento esteriore molto contenuto, inibito, passivo - spiega Colombo - I reati di branco invece sono più limitati. Li commettono persone che hanno imparato un modello aggressivo di sessualità. Soggetti emarginati che utilizzano la violenza per rafforzare la propria identità virile. Lo fanno in gruppo perché, davanti agli altri, dimostrano a loro stessi di essere forti".

Per tutti loro stare in mezzo agli altri detenuti è un passo decisivo. "E' una specie di banco di prova per anticipare il proprio rientro nella società - continua lo psicologo - una società in cui, volenti o nolenti, saranno sottoposti a dure critiche".

Il CIPM segue in tutto circa 200 persone (una trentina dentro al carcere, gli altri in esecuzione penale esterna. Far emergere questi reati, in realtà, è davvero difficile. Le violenze sessuali sono quelle con il "numero oscuro" più alto di episodi non denunciati. "Ma una volta presi - ribadisce la direttrice - è necessario che vengano messi davanti quello che hanno fatto. Il carcere deve essere anche il momento della consapevolezza, il luogo in cui riflettere sulla propria personalità, per capire perché si ha avuto il bisogno di aggredire. Solo così, forse, una volta fuori il sex offender non ripeterà più quelle terribili violenze".

http://www.repubblica.it/2009/02/sez...e-carcere.html

Finalmente si da spazio alla psicologia.

al solito:
alle vittime di reati sessuali che a vita dovranno conviverci.....'na mazza.
ai loro carnefici....corsi di recupero e sostegno psicologico.
complimenti.
il carcere non deve essere educativo...(che ad educare è compito principe della società)ma punitivo.
__________________
"ne bis in idem";il ricordare il mio vissuto non mi affrancherà dal commettere sbagli....ma certamente mi impedirà di commetterne gli stessi....
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Old 23-02-2009, 19:35   #10
Dream_River
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al solito:
alle vittime di reati sessuali che a vita dovranno conviverci.....'na mazza.
ai loro carnefici....corsi di recupero e sostegno psicologico.
complimenti.
il carcere non deve essere educativo...(che ad educare è compito principe della società)ma punitivo.
Guarda, non ci provo neanche a discutere sulla tua concezione di carcere

Ma dire "al solito" è oggettivamente una cazzata, visto che nella realtà carceraria italiana questa è tutt'altro che la norma
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Old 23-02-2009, 19:37   #11
StateCity
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Non cominciamo dai. Se vuoi delinquere, fallo.
apologia apologica
istigazione
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Old 23-02-2009, 19:38   #12
Freeskis
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al solito:
alle vittime di reati sessuali che a vita dovranno conviverci.....'na mazza.
ai loro carnefici....corsi di recupero e sostegno psicologico.
complimenti.
il carcere non deve essere educativo...(che ad educare è compito principe della società)ma punitivo.
hai pensato che il fatto che l'assistenza ai detenuti faccia "notizia" è perché è scontato che le vittime abbiano già assistenza psicologica ?
così per caso eh
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Old 23-02-2009, 19:41   #13
StateCity
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hai pensato che il fatto che l'assistenza ai detenuti faccia "notizia" è perché è scontato che le vittime abbiano già assistenza psicologica ?
così per caso eh
amico freeskies ma le vittime chissenefrega
mica sono da recuperare..
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Old 23-02-2009, 19:42   #14
Willy McBride
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al solito:
alle vittime di reati sessuali che a vita dovranno conviverci.....'na mazza.
ai loro carnefici....corsi di recupero e sostegno psicologico.
complimenti.
il carcere non deve essere educativo...(che ad educare è compito principe della società)ma punitivo.
Bella idea. Facciamo come in America, dove entrano in carcere per aver rubato un sacchetto di caramelle ed escono stupratori seriali?

Quella gente prima o poi esce dal carcere, qualunque cosa eviti che la prima notte fuori violentino qualcuno è la benvenuta.
__________________
So high, so low,
so many things to know.
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Old 23-02-2009, 19:44   #15
paulus69
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hai pensato che il fatto che l'assistenza ai detenuti faccia "notizia" è perché è scontato che le vittime abbiano già assistenza psicologica ?
così per caso eh
vallo a raccontare ai genitori di quelle ragazze(una recentissimamente) che si sono suicidate per ciò che han subito.
così per caso....nè.
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Old 23-02-2009, 19:44   #16
Freeskis
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amico freeskies ma le vittime chissenefrega
mica sono da recuperare..
sei simpatico come un comico del bagaglino
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Old 23-02-2009, 19:46   #17
paulus69
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Bella idea. Facciamo come in America, dove entrano in carcere per aver rubato un sacchetto di caramelle ed escono stupratori seriali?

Quella gente prima o poi esce dal carcere, qualunque cosa eviti che la prima notte fuori violentino qualcuno è la benvenuta.
bella cazzata.
il carcere dev'essere così duro che ne sarai terrorizzato dal rifinirci dentro.
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Old 23-02-2009, 19:48   #18
Willy McBride
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bella cazzata.
il carcere dev'essere così duro che ne sarai terrorizzato dal rifinirci dentro.
Ah, certo, come la pena di morte... va che per fortuna nessuno ti ascolta e di certe cose si occupano i professionisti.
__________________
So high, so low,
so many things to know.
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Old 23-02-2009, 19:48   #19
Ileana
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Per certa gente non dovrebbe esserci recupero psicologico semplicemente perchè il naso fuori dal carcere non dovrebbero più metterlo.

Per tutti gli altri è più che doveroso.
__________________
Mi chiedete perchè non posso prendere sul serio questa Europa? Perchè il grado di sviluppo e maturità dei cocomeri va determinato in modo congruo e l'indice rifrattometrico della polpa, misurato al centro della polpa, nella sezione massima normale dell'asse deve essere uguale o superiore all'8° brix.
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Old 23-02-2009, 19:52   #20
Gos
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bella cazzata.
il carcere dev'essere così duro che ne sarai terrorizzato dal rifinirci dentro.
nulla di più sbagliato per due motivi:
1) tanto più tratti con violenza una persona tanto più quella stessa persona, una volta fuori, si comporterà violentemente con gli altri.
2)se uno è veramente terrorizato all'idea di finire nuovamente in carcere farà qualsiasi cosa pur di restare in libertà

cmq mi fa piacere che finalmente si stia facendo qualcosa di concreto in chiave special-preventiva.....la stragrande maggioranza delle soluzioni escogitate per evitare un ritorno alla delinquenza sono fallite perchè mai realmente attuate

Ultima modifica di Gos : 23-02-2009 alle 19:54.
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