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Old 07-11-2005, 17:51   #1
Ewigen
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TURCHIA: Democrazia e minoranze i pedaggi per l'Europa

TURCHIA

Democrazia e minoranze i pedaggi per l'Europa

Abolita la pena di morte, riformato il codice penale, consentita la lingua curda nelle scuole, abrogate le Corti per la sicurezza dello StatoSono molte le ferite ancora aperte: il genocidio armeno, la questione curda, la condizione giuridica delle Chiese cristiane

Dal Nostro Inviato A Istanbul Luigi Geninazzi

Le copertine delle riviste internazionali fanno a gara con i dépliant turistici nel presentarla come «la città europea più alla moda». Vivace, frenetica, cosmopolita, la metropoli sul Bosforo incanta con la magia delle due sponde, punto d'incontro fra due continenti dove storia e geografia si confondono. Ed anche i poveracci che arrivano dall'Anatolia per infilarsi in quella distesa di baracche e cemento che ha trasformato l'antica Costantinopoli in una mostruosa megalopoli di 12 milioni d'abitanti, trovano un cartello che sembra una promessa: «Benvenuti in Europa!». Una promessa già divenuta realtà per gli imprenditori occidentali che calano in massa, in prima fila gli italiani (tra due settimane arriveranno ad Istanbul in centinaia, al seguito del presidente Ciampi). La Turchia è uscita dalla crisi economica e dall'inflazione a due cifre, ha un tasso di crescita pari alla Cina ed è il ponte naturale per i mercati dell'Asia centrale e del Medio Oriente. Ed una volta che sarà entrata nella Ue, il cui negoziato d'adesione è cominciato ufficialmente il 3 ottobre, sono tutti convinti che pioverà manna dal cielo sotto forma d'investimenti, sussidi e posti di lavoro.
A raffreddare le speranze ci ha pensato Camiel Eurlings, l'euro-parlamentare autore del rapporto 2004 sullo stato delle riforme democratiche in Turchia. «Purtroppo ci sono stati ben pochi progressi rispetto all'anno scorso» ha dichiarato qui ad Istanbul, anticipando i contenuti del prossimo rapporto della Commissione Europea che verrà fatto conoscere a Bruxelles il 9 novembre. In particolare Eurlings ha osservato che non è ancora pienamente garantita la libertà delle minoranze religiose ed ha sollecitato il governo turco a riaprire la scuola teologica ortodossa ed a concedere la personalità giuridica alle Chiese cristiane. Sono le stesse richieste avanzate dal Patriarca Bartolomeo I che vede l'ingresso della Turchia in Europa come un'occasione unica per ottenere quel che gli è sempre stato negato .
Il primo ministro Erdogan, leader dell'Akp, il partito islamico moderato della Giustizia e dello Sviluppo che ha preso il potere nel 2002, appare esitante. «Se concediamo la personalità giuridica alle Chiese cristiane dobbiamo riconoscerla anche ai gruppi fondamentalisti» dice il suo braccio destro, Saban Disli. L'Akp ama definirsi come un partito demo-musulmano ma si muove con grande prudenza quando è in ballo il regime laico imposto da Ataturk nel 1923. Per strappare il placet europeo ha realizzato una serie di riforme che possono venir giudicate come il bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Yalcin Dogan, editorialista del quotidiano Hurriyet, lo vede riempito fin quasi all'orlo. «È stata abolita la pena di morte, abrogate le Corti per la sicurezza dello Stato, permessa nelle scuole la lingua della minoranza curda, riformato il codice penale - elenca puntigliosamente - Certo, ci sono ancora tante resistenze ma il cammino è tracciato e non si tornerà indietro».
Resta però in vigore l'articolo 301 del codice penale che punisce fino a tre anni di carcere chi «reca offesa all'identità nazionale turca». E per la magistratura basta sollevare la questione del genocidio armeno compiuto dall'esercito ottomano nel 1915 per essere incriminati. «In Turchia sono stati uccisi 30 mila curdi e un milione di armeni». Per questa dichiarazione, rilasciata nel corso di un'intervista ad un giornale svizzero, lo scrittore Orhan Pamuk verrà processato il 6 dicembre, col rischio di una condanna aggravata in quanto il reato è stato compiuto all'estero. Pamuk ha già messo comunque le mani avanti, precisando di non aver mai usato il termine genocidio. Chi invece lo pronuncia apertamente è Murat Belge, docente all'università Bilgi (La Sapienza) dove un mese fa, per la prima volta nella storia della Turchia, si è tenuto un convegno sul genocidio armeno. Nonostante le proteste degli ultranazionalisti ed i veti dei tribunali, l'incontro ha avuto luogo. «Abbiamo rotto un tabù, la discussione è partita e nessuno potrà più fermarla», racconta soddisfatto il professor Belge che in occasione del novantesimo anniversario del genocidio armeno è stato uno dei pochi turchi a recarsi ad Erevan per presenziare alle celebrazioni. «Tutto cambia, anche la mia patria», dice con aria ispirata mentre sorseggia il tipico caffè turco in un bar di piazza Taksim. Non potreste cambiare senza entrare in Europa? «In teoria sì, ma di fatto ci mancherebbe la spinta propulsiva».
La pensa così anche Hrant Dink, il giornalista di origine armena che dirige la rivista Agos a proprio rischio e pericolo. La sede si trova in una via del centro ma all'ingresso non vi è nessuna indicazione. Troppo rischioso esporre l'etichetta di una rivista in lingua armena, già varie volte ci sono state irruzioni di squadracce dei «Lupi grigi». Dink ha passato sei anni nelle carceri turche e ha subito una serie infinita di condanne (l'ultima, con la condizionale, a sei mesi di reclusione, sempre per il famigerato articolo 301). «Lo so che per voi l'Europa è una vecchia signora un po' sciupata, ma per noi è una bella ragazza di cui siamo perdutamente innamorati» è la sua dichiarazione d'amore. Mi spiega che la Turchia ha una tradizione autoritaria che ha inciso profondamente nella formazione dell'identità nazionale. Lui crede nel dialogo e nel lento apprendimento delle lezioni della storia. «Ma abbiamo bisogno di una maestra, abbiamo bisogno dell'Europa: se non c'è uno stimolo esterno la Turchia non imboccherà la strada delle riforme democratiche». Hrant Dink non perde occasione per allacciare rapporti con le istituzioni europee, si è incontrato pochi giorni fa con il vicepresidente dell'Europarlamento Mario Mauro che gli ha garantito il costante monitoraggio sullo stato d'avanzamento delle riforme democratiche in Turchia. Dink dovrà affrontare tra poco un nuovo processo per aver criticato come discriminatorio l'inno nazionale turco dove si parla di «eroica razza» e il giura mento che gli studenti devono prestare ogni mattina a scuola «Felice è colui che si dice turco». Sarà ancor più felice se riuscirà ad entrare nell'Unione Europea? (Avvenire)
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