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Old 23-05-2008, 21:33   #61
CONFITEOR
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ONORE A DUE EROI DELLA REPUBBLICA ITALIANA
Onore macabro, magari si onoravano più da viventi.
__________________
Il segreto dell'uomo politico è rendersi stupido come i suoi ascoltatori facendogli credere di essere intelligenti come lui.
CONFITEOR è offline   Rispondi citando il messaggio o parte di esso
Old 23-05-2008, 21:42   #62
dantes76
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Città: AnTuDo ---------- Messaggi Totali: 10196
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non e' cambiato niente
__________________
“ Fiat iustitia, et pereat mundus”-המעז מנצח -
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Old 23-05-2008, 21:50   #63
gretas
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Iscritto dal: Jan 2007
Messaggi: 41
Dalla sentenza-bis sulla strage di via D'Amelio : molte pagine su Berlusconi







FONTE:

http://www.societacivile.it/primopia...assazione.html







Poco prima della strage di Capaci, Ganci gli aveva
confidato (a Cancemi, ndr) che Riina si era incontrato
con persone importanti, scrive la sentenza. È bene
precisare che Cancemi non ha mai affermato che queste
persone fossero Dell'Utri e Berlusconi, e ha anzi
detto che nessuno gli aveva mai confermato
esplicitamente che questo incontro vi era stato, anche
se il Cancemi non ha nascosto di avere elaborato
quell'idea. Cancemi, quindi, avanzava solo sul piano
deduttivo un collegamento fra la consumazione delle
stragi e gli incontri con "persone importanti", di cui
aveva parlato in precedenza, finalizzati ai mutamenti
legislativi cui Riina aspirava. Cancemi istituiva un
collegamento di tipo logico tra i rapporti personali
che il Riina manteneva, le stragi e i mutamenti
legislativi per bloccare e screditare i pentiti. Per
Cancemi la motivazione principale della strage di via
D'Amelio era di ottenere una modifica immediata della
legislazione sui pentiti. Così Riina spiegava
l'urgenza di portare a termine l'uccisione del dr.
Borsellino. La strage era l'adempimento di un impegno,
di un obbligo che aveva contratto con chi gli aveva
promesso la modifica della legge.[b]

Prosegue la sentenza: L'accelerazione soggettivistica
che Riina ha dato agli avvenimenti nel corso del 1992,
il concentrarsi dell'interesse spasmodico alla
soppressione di Paolo Borsellino proprio quel 19
luglio del 1992, non si giustifica con il movente
della vendetta per il passato del magistrato. La
scelta dei tempi per assassinare il giudice mette in
luce la complessità della strategia, elaborata dopo la
sentenza del maxiprocesso e la conseguente svolta
epocale che essa rappresentava nei rapporti tra Stato,
politica e mafia. Mette in luce altresì l'esigenza per
Cosa nostra di compiere un'autentica rivoluzione in
tali rapporti, attraverso interventi radicali, per
rispondere alla condanna e alle sue implicazioni.
Nello stesso tempo i contraccolpi della prima strage e
il ruolo che Paolo Borsellino stava assumendo nelle
settimane successive alla strage di Capaci imponeva
l'esigenza della sua immediata soppressione e
l'assunzione consapevole dei costi che ci avrebbe
comportato per proseguire nella nuova strategia. Tutto
ci si riflette sul piano esecutivo con il succedersi
frenetico di riunioni e incontri, con la mobilitazione
dell'intero corpo dell'organizzazione e la necessità
per Riina non solo di ordinare la strage, ma anche di
spiegarne la necessità e i tempi. Da qui la riunione
nella villa di Calascibetta alla quale Riina partecipa
non tanto per sollecitare l'esecuzione e verificare lo
stato dell'organizzazione, ma per spiegare l'assoluta
necessità della perfetta riuscita per le sorti
dell'intera organizzazione.

il giudice doveva morire. Borsellino doveva morire. E
subito. A ogni costo: Non deve sorprendere in
quest'ottica che, come ha spiegato Cancemi, nei mesi
successivi anche dopo la stretta repressiva Riina
ostentasse ottimismo e chiedesse ai suoi pazienza e
che Provenzano dopo l'arresto del Riina avesse
ribadito che la linea di Riina dovesse essere
proseguita, quasi che fosse stato messo in conto un
periodo di indurimento dello Stato che doveva tuttavia
preludere nel tempo a un progressivo ammorbidimento
fino alla conclusione del desiderato accordo di più
ampio respiro, sulla base delle richieste più volte
avanzate (...). [b]Riina aveva messo in conto tutto,
anche il 41 bis, non aveva mai dimostrato sorpresa per
la reazione dello Stato dopo il 19 luglio, la sua era
una prospettiva di lungo periodo: "Alla lunga
vinceremo noi".

Prosegue la sentenza: L'omicidio del dr. Borsellino
(era, ndr) da portare a termine in fretta, con
"premura", perché era in corso la trattativa sui
benefici che Cosa nostra avrebbe ottenuto da quella
azione. Riina aveva soggiunto che bisognava mettere in
ginocchio le istituzioni e che dovevano dimostrare di
essere i più forti. (...). Ganci, quando la riunione
si era sciolta, nel commentare con Cancemi le parole
di Riina con la frase "questo ci vuole rovinare tutti"
soggiunse che il Riina "aveva una certezza" e che
stava trattando "una cosa enorme". Nel corso di
analoghe successive riunioni nel corso delle quali
Riina aveva assicurato tutti che le cose stavano
procedendo secondo i piani, fu affrontato l'argomento
del carcere duro che nel frattempo era stato
ripristinato per i mafiosi. Riina rispondeva che
quella situazione momentanea sarebbe stata superata
dagli impegni che lui aveva avuto dalle persone con le
quali aveva trattato e che tutto sarebbe stato
superato in futuro; che tutto veniva fatto per il bene
di Cosa nostra. Invitava a stare tranquilli e ad avere
pazienza.

Ma quali erano i motivi di tanta fretta? La
precipitazione e la concitazione con la quale si
addivenne alla esecuzione del piano contro Borsellino
è da ascrivere, invece, a tre eventi esterni che si
connettono tra loro e assumono senso alla luce delle
inquietanti dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia (...). La tradizionale attenzione di Cosa
nostra nel calibrare le proprie azioni in rapporto ai
possibili riflessi sulle decisioni di natura
politico-giudiziaria, avrebbe dovuto comportare
un'astensione da condotte idonee a far precipitare
quelle decisioni in un senso sfavorevole
all'organizzazione. Un'azione eclatante di Cosa
nostra, in pendenza di situazioni incerte che da
quell'azione avrebbero potuto essere pregiudicate (in
effetti la strage di via D'Amelio determin la
conversione del decreto legge sul carcere duro con
aggravamenti) si giustifica soltanto se, a fronte di
quel costo, si fossero prospettati benefici di ben più
ampia portata e sia pure a lungo termine (...). A
fronte dei malumori dei detenuti nel periodo
successivo alle stragi, Bernardo Brusca, compare di
Riina, soleva ricordare che certamente il suo compare
aveva dovuto con la strage accontentare "qualcuno a
cui non poteva dire di no" e quindi ribadiva il
concetto fondamentale che ci che poteva apparire un
"male" si sarebbe rivelato nel lungo periodo un bene
per Cosa nostra.

Infatti fra i vecchi boss detenuti, tutti vecchi
compagni d'arme di Riina (...) era, quindi, diffusa
l'opinione che nella strage di via D'Amelio vi fosse
stato un "suggeritore" esterno, al quale il Riina non
si era potuto sottrarre. Tale "suggeritore" andava
ricercato tra gli interessati all'indagine su mafia e
appalti nella quale il dr. Borsellino aveva
dichiarato, imprudentemente, di volersi impegnare a
fondo, nello stesso momento in cui Tangentopoli
cominciava a profilarsi all'orizzonte. In questo senso
tanto il Brusca che il Cal ritenevano che la
decisione di uccidere il dr. Borsellino, nel momento
meno opportuno, dovesse risalire proprio a Bernardo
Provenzano, dei due capi corleonesi certamente il più
sensibile all'argomento appalti pubblici.


I tre eventi esterni che spiegano la fretta di Cosa
nostra nell'eliminare a ogni costo Borsellino, per i
giudici di Caltanissetta sono:

1. L'intervista rilasciata nel 1991 da Borsellino al
giornalista francese Fabrizio Calvi, in cui racconta
la carriera criminale del Mangano, esponente della
famiglia mafiosa di Porta Nuova, estorsore e grande
trafficante di stupefacenti, ed espone quanto è a sua
conoscenza e quanto ritiene di rivelare sui rapporti
tra Mangano, Dell'Utri e Berlusconi. Nel corso
dell'intervista il dr. Borsellino, pur mantenendosi
cauto e prudente per non rivelare notizie coperte da
segreto o riservate, consultando alcuni appunti in suo
possesso, forniva indicazioni sulla conoscenza di
Mangano con il Dell'Utri e sulla possibilità che il
Mangano avesse operato, come testa di ponte della
mafia a Milano in quel medesimo ambiente (...).

Ma, se così è, non è detto che i contenuti di
quell'intervista non siano circolati tra i diversi
interessati, che qualcuno non ne abbia informato
Salvatore Riina e che questi ne abbia tratto
autonomamente le dovute conseguenze, visto che, come
abbiamo detto in precedenza, questa Corte ritiene,
come Brusca e non come Cancemi, che il Riina possa
aver tenuto presente nel decidere la strage gli
interessi di persone che intendeva "garantire per ora
e per il futuro", senza per questo eseguire un loro
ordine o prendere formali accordi o intese o dover
mantenere promesse. Alla fine di maggio del 1992, dopo
la strage di Capaci, Cosa nostra era in condizione di
sapere che Paolo Borsellino aveva rilasciato una
clamorosa intervista televisiva a dei giornalisti
stranieri, nella quale faceva clamorose rivelazioni su
possibili rapporti di Vittorio Mangano con Dell'Utri e
Berlusconi, rapporti che avrebbero potuto nuocere
fortemente sul piano dell'immagine, sul piano
giudiziario e sul piano politico a quelle forze
imprenditoriali e politiche alle quali fanno esplicito
riferimento le dichiarazioni di Angelo Siino, sulle
quali i capi di Cosa nostra decisamente puntavano per
ottenere quelle riforme amministrative e legislative
che conducessero in ultima istanza ad un
alleggerimento della pressione dello Stato sulla mafia
e alla revisione della condanna nel maxi processo.

Con quell'intervista Borsellino mostrava di conoscere
determinate vicende; mostrava soprattutto di non avere
alcuna ritrosia a parlare dei rapporti tra mafia e
grande imprenditoria del nord, a considerare normale
che le indagini dovessero volgere in quella direzione;
non manifestava alcuna sudditanza psicologica ma anzi
una chiara propensione ad agire con gli strumenti
dell'investigazione penale senza rispetto per alcun
santuario e senza timore del livello al quale
potessero attingere le sue indagini, confermando la
tesi degli intervistatori che la mafia era non solo
crimine organizzato ma anche connessione e
collegamenti con ambienti insospettabili dell'economia
e della finanza. Riina aveva tutte le ragioni di
essere preoccupato per quell'intervento che poteva
rovesciare i suoi progetti di lungo periodo, ai quali
stava lavorando dal momento in cui aveva chiesto a
Mangano di mettersi da parte perché intendeva gestire
personalmente i rapporti con il gruppo milanese. È
questo il primo argomento che spiega la fretta,
l'urgenza e l'apparente intempestività della strage.
Agire prima che in base agli enunciati e ai propositi
impliciti di quell'intervista potesse prodursi un
qualche irreversibile intervento di tipo giudiziario.


2. La trattativa in corso tra Cosa nostra e uomini
dello Stato: Per Brusca, Borsellino muore il 19
luglio 1992 per la trattativa che era stata avviata
fra i boss corleonesi e pezzi delle istituzioni. Il
magistrato era venuto a conoscenza della trattativa e
si era rifiutato di assecondarla e di starsene zitto.
Nel giro di pochi giorni dall'avvio della trattativa
Borsellino viene massacrato.

3. L'annuncio pubblico, fatto circolare dopo la morte
di Falcone, che Borsellino sarebbe diventato
procuratore nazionale antimafia.

L'ombra dei servizi segreti. C'è, dunque, una
trattativa in corso tra pezzi dello Stato e Cosa
nostra, sullo sfondo delle stragi del 1992-93. Ma c'è
anche l'ombra dei servizi segreti. Secondo un
consulente tecnico molto valorizzato nella sentenza,
il mago delle analisi dei traffici telefonici
Gioacchino Genchi, personaggi misteriosi (ma non
mafiosi) hanno tenuto sotto controllo i telefoni di
Borsellino e forse hanno controllato dall'alto - dal
monte Pellegrino - la zona della strage.

Sul monte Pellegrino sorge il Castello Utveggio,
bizzarra costruzione in cui ha sede il Cerisde, un
misterioso centro studi che, secondo Genchi, copriva
un centro del Sisde, il servizio segreto civile in
quegli anni controllato a Palermo da Bruno Contrada.
L'analisi dei tabulati delle telefonate di un
indagato, Gaetano Scotto, ha evidenziato una chiamata,
avvenuta qualche mese prima della strage, tra Scotto e
l'utenza del Castello Utveggio. Sul luogo della
strage, poi, scompare misteriosamente l'agenda di
Borsellino, da cui il magistrato non si separava mai.
Un'utenza telefonica clonata, in possesso di boss
mafiosi, chiama uno dei villini che si trovano lungo
il tragitto che l'auto di Borsellino ha percorso la
domenica della strage, ma anche alcune utenze del
Sisde. Pochi secondi dopo l'esplosione, dalla sede del
Sisde (sempre vuota la domenica, tranne quella
domenica) parte una telefonata che raggiunge il
cellulare di Contrada. Ma mentre erano in corso queste
delicatissime indagini, aveva spiegato Genchi in aula,
la pista dei possibili aiuti esterni viene bruciata
dall'intempestivo fermo di Pietro Scotto e lo stesso
Genchi è costretto a farsi da parte.

In conclusione, la sentenza afferma che non vi è
ragione di ricorrere a mandanti occulti o a un terzo
livello per ammettere che nei grandi delitti di mafia
esistono complicità e connivenze che il sistema non
riesce a individuare e a portare alla luce. I
giudici, richiamando il contributo portato nel
processo da Genchi, sottolineano i condizionamenti e
i veri e propri divieti opposti a quanti all'interno
degli apparati pubblici agivano con l'esclusivo
intento di ricerca della verità, e nel caso di specie
all'indagine su tracce e dati che riconducevano a un
sostegno logistico ed informativo al commando mafioso
di non identificati soggetti appartenenti ad apparati
pubblici.

I giudici così concludono: Questo processo concerne
esclusivamente gli esecutori materiali, coloro che
hanno attivamente lavorato per schiacciare il bottone
del telecomando. Ma questo stesso processo è
impregnato di riferimenti, allusioni, elementi
concreti che rimandano altrove, ad altri centri di
interessi, a coloro che in linguaggio non giuridico si
chiamano i "mandanti occulti", categoria rilevante non
solo sotto il profilo giuridico, ma anche sotto quello
politico e morale. E quindi qui finisce il processo
agli esecutori della strage di via D'Amelio, ma non
certamente la storia di questa strage annunciata che
deve essere ancora in parte scritta.
gretas è offline   Rispondi citando il messaggio o parte di esso
Old 23-05-2008, 21:58   #64
gretas
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Alcune dichiarazioni dei pentiti sulla nascita di Forza Italia






T R I B U N A L E D I C A L T A N I S S E T T A
UFFICIO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI

DECRETO DI ARCHIVIAZIONE
(artt.409 e 411 c.p.p.)

Il Giudice, dott. Giovanbattista Tona, nel
procedimento nei confronti di:

. BERLUSCONI Silvio, nato a Milano il 29 settembre
1936;
. DELL'UTRI Marcello, nato a Palermo l'1 settembre
1941;

in relazione al reato di cui agli artt.110-422 c.p., 7
d.l. 13 maggio 1991, n.152 (conv. in l. n.203/91)
(c.d. aggravante della finalità mafiosa), 1 d.l. 15
dicembre 1979 n.625 (conv. in l.n.15/80) (c.d.
aggravante della finalità di terrorismo).













http://www.*beep*.org/mafia/documenti_sen.htm

http://www.archivio900.it/it/downloa....aspx?id--=-135








Le dichiarazioni di Salvatore Cancemi


P.M.: E queste richieste in quelloccasione disse a chi
dovevano essere rivolte?
Cancemi: Lui più volte ha detto che aveva queste
persone nelle mani, quindi Berlusconi e DellUtri,
quindi queste cose lui le doveva girare a queste
persone. Per me era una cosa
P.M.: Sì, ma nel corso di questa, in questa riunione
riprese il discorso di, chiarendo
Cancemi: () sì, lui in questa, in questa riunione dice
che ci doveva fare avere queste cose a queste persone,
Berlusconi e DellUtri, i nomi che ha fatto erano
questi qua. Anche dopo diciamo lui parlava sempre di
queste persone, anche dopo questincontro mi ricordo
che, altre, un paio di volte ha parlato sempre di
queste persone.





Le dichiarazioni di Giovanni Brusca



I rapporti tra Brusca e Mangano erano particolarmente
qualificati; si erano conosciuti in carcere tra il
1986 e il 1987 e poi Brusca e un suo parente avevano
fatto in modo di fargli assegnare la reggenza della
famiglia di Porta Nuova, dopo che Cancemi si era
consegnato ai Carabinieri.
Brusca gli chiese allora se poteva attivarsi per
ripristinare questi contatti e Mangano si rese
disponibile. Fece diversi viaggi a Milano per portare
a termine il compito affidatogli da Brusca e che
consisteva nellavanzare a Berlusconi le richieste che
stavano a cuore allassociazione cosa nostra, come ad
esempio labrogazione del regime detentivo speciale per
i mafiosi e lammissione di costoro ai benefici della
legge Gozzini.
Mangano si servì di un altro intermediario, che diceva
a Brusca chiamarsi Roberto e che faceva limprenditore
allinterno della Fininvestaveva lappalto delle pulizie
allinterno della Fininvest; nessun altra informazione
su questa persona ha saputo fornire il collaborante,
tuttavia ha escluso che Mangano gli abbia detto di
avere contattato DellUtri.




Le dichiarazioni di Salvatore Cucuzza




Secondo Cucuzza, Vittorio Mangano riuscì a tenere
stretti a sé Brusca e Bagarella proprio in virtù di
questi rapporti con DellUtri e non assunse mai alcuna
iniziativa senza tenerli informati. Ha raccontato di
avere appreso da Mangano che egli aveva lavorato
presso la tenuta di Arcore di Silvio Berlusconi e che
lì aveva addirittura organizzato un sequestro di
persona ai danni del padre dellimprenditore; questo
sequestro poi non riuscì, in quanto allultimo momento
si cambi obiettivo ma senza successo.


Questi finanziamenti di Berlusconi prima a Bontate,
poi a Teresi, infine a Pullarà, Cucuzza li ha
contestualizzati a cavallo tra la fine degli anni 80 e
i primi anni 90.
Quando il 30/1/1994, Cucuzza venne scarcerato, torn a
parlare con Mangano dei suoi rapporti con DellUtri;
Mangano gli disse di essere ancora in stretto contatto
con lui e che grazie a lui poteva influenzare qualche
cosa, di interesse naturalmente di cosa nostra (verb.
P.M. Firenze 7/5/1997).
Brusca e Bagarella, per fargli comprendere la
necessità di mantenere il ruolo di Mangano, spiegarono
a Cucuzza che, attraverso DellUtri, Mangano aveva
fatto conoscere in anticipo delle possibilità di
ottenere una disciplina favorevole a cosa nostra in
relazione al noto decreto Biondi, poi ritirato in
seguito a delle polemiche politiche. Mangano inoltre
faceva sapere loro quali erano le indicazioni che
provenivano da DellUtri e quali le iniziative che egli
avrebbe avviato in loro favore.
Per Mangano veniva tenuto in affitto un ufficio a
Como, allinterno del quale egli diceva anche di
incontrare DellUtri che lo raggiungeva in elicottero.





Le dichiarazioni di Tullio Cannella



Bagarella ha riferito Cannella era già perfettamente a
conoscenza che era in cantiere la discesa in campo di
Silvio Berlusconi a capo di un nuovo movimento
politico che ci avrebbe assicurato, in virtù di
impegni preesistenti, di risolvere le questioni che
più stavano a cuore a cosa nostra e cioè: pentiti,
carcere duro e reato di associazione mafiosa.
Chiarisco che queste erano, per così dire, le priorità
che laccordo con Berlusconi ci avrebbe consentito a
breve termine di affrontare e risolvere. ...

Cannella ha insistito sugli impegni preesistenti di
Berlusconi con uomini di cosa nostra, sottolineando
che laccordo era stato coltivato dai fratelli Graviano
per conto di tutta quanta lorganizzazione negli anni
1991-1992. Di questo venne a conoscenza grazie alle
confidenze di Bagarella.





Le dichiarazioni di Maurizio Avola




Lo scopo era quello di frenare le iniziative
giudiziarie e legislative che avevano fortemente
intaccato il potere di cosa nostra e che erano state
scandite dallesito del maxiprocesso, dalla disciplina
a favore delle collaborazioni con la giustizia e poi
dal regime penitenziario instaurato dal noto art.41bis
O.P.
Avola ha affermato di aver appreso da DAgata che per
sostenere il nuovo partito era necessario portare
avanti un attacco violento allo Stato e questo attacco
era stato delegato a cosa nostra già allinizio del
1992, prima delle stragi di Capaci e di Via DAmelio.
Nulla seppe su quale fosse tale partito nuovo; nel
1994, mentre era detenuto, apprese dalla moglie che
gli esponenti di cosa nostra avevano ordinato agli
affiliati di votare Forza Italia
gretas è offline   Rispondi citando il messaggio o parte di esso
Old 23-05-2008, 22:55   #65
niko974
Senior Member
 
Iscritto dal: Jan 2004
Messaggi: 1772
Quote:
Originariamente inviato da Ser21 Guarda i messaggi



"L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altirmenti non è più coraggio ma incoscienza."



"Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere."








"Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola."



Mi chiedo se il sacrificio di questa persona,vedendo in che situazione ci troviamo oggi giorno,sia stata vana.
Si poteva fare di più,si deve fare di più,anche nel ricordo di che ha posto la lotta alla mafia davanti a tutto,persino alla sua vita.

Ciao Giovanni.
ma tanto l'eroe era l'ex stalliere mafioso del ns primo ministro
niko974 è offline   Rispondi citando il messaggio o parte di esso
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