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Old 05-12-2007, 13:44   #61
Dayadvham
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Conosco l'ambiente universitario direttamente e indirettamente fondamentalmente da quando sono nato.
Gli universitari si dividono in tre categorie: quelli che non hanno voglia di fare niente (la maggioranza), quelli che non sono in grado di fare niente (la maggioranza del restante) e i martiri che lavorano nonostante tutto (una sparuta minoranza).
Perchè, come dicevo, in un ambiente che premia e incentiva chi non produce, una persona che lavora è spesso esclusa e ghettizzata, per cui alla fine ci si arrende, com'è normale che sia.
Il mio giudizio è dato con MOLTA cognizione di causa, fidati.
Non volevo mettere in dubbio le tue affermazioni, ma le generalizzazioni che fai...
La situazione che dipingi tu è veramente triste e non dubito che sia così da
molte parti in Italia (per curiosità di che Università sei?).
Però non è così ovunque, ad esempio la mia esperienza è ben diversa.
Giusto per chiarire: non conosco il mondo universitario fin da quando sono nato, ma sto finendo un dottorato in ing dell'inf. al Politecnico di Milano.

Ti assicuro che qui da noi le cose funzionano in maniera ben diversa e se avessimo qualche soldo in più non sarebbe male e, soprattutto, non sarebbero soldi buttati.

Il punto del mio discorso è che troppo spesso viene spalata merda sul mondo della ricerca universitaria senza mai di valorizzare le cose buone che ci sono.
Se si vuole che la ricerca in italia raggiunga livelli di ecellenza bisogna mettersi nell'ottica di:
1. premiare chi produce e penalizzare chi non lo fa
2. investire più soldi
3. cercare di coinvolgere anche il privato nella ricerca

Io non credo che il punto 2 possa essere saltato... come ho detto prima i soldi non vanno investiti a piogga, ma comunque servono... la strategia del "vi diamo ancora meno soldi così eliminate gli sprechi" mi sembra che non stia funzionando granchè.

Oltretutto, credo che ti sfugga anche una cosa: la maggior parte dei soldi che arrivano dallo Stato alle università sono per la didattica e non per la ricerca.
Il personale strutturato (cioè assunto a tempo indeterminato) di un dipartimento è pagato principalmente per l'attività didattica che svolge.
Per darti un'idea, un docente nel mio dipartimento ricevo 800 euro l'anno come fondi di ricerca, fondi che servono a pagare computer, viaggi per conferenze, licenze software, etc...
Per darti un'idea ancora migliore delle forze in campo: un docente dell'EPFL e all'ETH (i due politecnici svizzeri di ecellenza) riceve ogni anno dallo Stato 650K euro come fondi di ricerca... quasi 1000 volte quello che arriva qui...

Stando così le cose, cosa vogliamo pretendere?

Ultima modifica di Dayadvham : 05-12-2007 alle 13:48.
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Old 05-12-2007, 14:23   #62
gpc
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Non volevo mettere in dubbio le tue affermazioni, ma le generalizzazioni che fai...
La situazione che dipingi tu è veramente triste e non dubito che sia così da
molte parti in Italia (per curiosità di che Università sei?).
Però non è così ovunque, ad esempio la mia esperienza è ben diversa.
Giusto per chiarire: non conosco il mondo universitario fin da quando sono nato, ma sto finendo un dottorato in ing dell'inf. al Politecnico di Milano.

Ti assicuro che qui da noi le cose funzionano in maniera ben diversa e se avessimo qualche soldo in più non sarebbe male e, soprattutto, non sarebbero soldi buttati.

Il punto del mio discorso è che troppo spesso viene spalata merda sul mondo della ricerca universitaria senza mai di valorizzare le cose buone che ci sono.
Se si vuole che la ricerca in italia raggiunga livelli di ecellenza bisogna mettersi nell'ottica di:
1. premiare chi produce e penalizzare chi non lo fa
2. investire più soldi
3. cercare di coinvolgere anche il privato nella ricerca

Io non credo che il punto 2 possa essere saltato... come ho detto prima i soldi non vanno investiti a piogga, ma comunque servono... la strategia del "vi diamo ancora meno soldi così eliminate gli sprechi" mi sembra che non stia funzionando granchè.

Oltretutto, credo che ti sfugga anche una cosa: la maggior parte dei soldi che arrivano dallo Stato alle università sono per la didattica e non per la ricerca.
Il personale strutturato (cioè assunto a tempo indeterminato) di un dipartimento è pagato principalmente per l'attività didattica che svolge.
Per darti un'idea, un docente nel mio dipartimento ricevo 800 euro l'anno come fondi di ricerca, fondi che servono a pagare computer, viaggi per conferenze, licenze software, etc...
Per darti un'idea ancora migliore delle forze in campo: un docente dell'EPFL e all'ETH (i due politecnici svizzeri di ecellenza) riceve ogni anno dallo Stato 650K euro come fondi di ricerca... quasi 1000 volte quello che arriva qui...

Stando così le cose, cosa vogliamo pretendere?
Io conosco direttamente Ferrara e Bologna, indirettamente una delle università di Roma.
I politecnici comunque non funzionano esattamente come le università, su questo sono d'accordo.
Ti posso dire, senza entrare troppo nei particolari per ovvi motivi, che in un laboratorio dove ho lavorato si parlavano di fondi di 300k€, per produrre... niente. Sono qualcosa come quattro anni che lavorano senza avere nulla in mano, e chi ha qualcosa in mano viene buttato fuori, fondamentalmente.
Come mi è stato confermato anche da gente che è dentro l'università da quarant'anni, ad oggi un universitario non può produrre, altrimenti mette in cattiva luce tutti gli altri.
La persona con cui lavoro ora non vuole che si sappia nulla in giro del lavoro che stiamo facendo perchè altrimenti sarebbe ostacolato in tutti i modi. Ho visto io personalmente gente che iniziava ad andare in panico mentre portavamo dentro materiale, sinonimo di "lavoro in corso".
Allora, in questo ambiente, anche chi vuole lavorare poi finisce per non farlo prima o poi.
Vedi, tu stai finendo un dottorato, io ho lavorato con un assegno di ricerca e ti posso dire una cosa: la maggior parte di quelli che hanno queste forme di sfruttamento lavorano anche per gli altri per due motivi:
a) sono dentro da poco e hanno ancora l'entusiasmo delle persone giovani
b) sono sfruttati a livelli da pre-rivoluzione industriale
Quando uno ottiene un posto fisso, la musica cambia notevolmente
- è uno statale e si sa come funzionano i posti statali in Italia
- generalmente si è fatto prendere dal clima universitario
- non ha più la minaccia di finire a casa
- normalmente si è rotto le scatole di lottare contro i mulini a vento
- deve fare conto non più con l'andare a casa senza rinnovo ma con le logiche di potere interne all'università
per cui si ritorna al discorso di partenza.
Quello che voglio dire io, e che ti hanno confermato anche altre persone, è che ora come ora più soldi significa solo più sprechi e zero prodotto in più.
Ora, se tu mi dici che per te le cose sono diverse io non sono nessuno per metterlo in dubbio o per dare giudizi, per cui mi fido di quello che dici. Però le possibilità che mi vengono in mente sono due, mandando a quel paese il "politicamente corretto": la prima è che tu viva una eccezione al sistema universitario italiano dovuta al fatto che stai in un politecnico, per cui tanto di cappello ma ritieniti fortunato; la seconda è che tu sia perfettamente adattato al sistema universitario, così come ho visto tanta gente, per cui di queste cose non se ne rendono conto.
Ho conosciuto un dottorando che mi ha detto che è giustissimo che lui prenda 800€ al mese, che tanto basta fare qualche rinuncia, vivere in una stanza invece che in un appartamento, che è giusto così. Dopo questo, mi aspetto di tutto...
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Old 05-12-2007, 16:45   #63
bjt2
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Io ho la fortuna di essere dentro il CNR e a stretto contatto con la ricerca universitaria. In effetti i fondi statali sono pochissimi, ma il CNR, a differenza dell'università, ha i progetti finanziati da privati... Il PC da cui vi scrivo, il mio assegno di ricerca e motle apparecchiature sono state comprate con soldi di PRIVATI. Il pubblico copre solo i costi di gestione (cancelleria, corrente, ecc) e gli amministrativi... Persino il costo dei ricercatori a tempo indeterminato deve essere caricato (parzialmente, ma spesso totalmente) su qualche progetto privato... Non ci possiamo lamentare noi: lavorando nel campo dell'imaging medico e avendo molte pubblicazioni alle spalle (nonchè fornendo un servizio quasi unico a livello mondiale) i "clienti" non mancano. Questa è vera meritocrazia: gli istituti che non producono, semplicemente non attirano fondi di privati. E qui tutto è per regolare concorso (con analisi titoli e colloquio) e meritocrazia.
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Old 05-12-2007, 21:11   #64
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Old 05-12-2007, 21:13   #65
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Per favore, non buttiamola in politica.
Il discorso "Universita' e Ricerca" in Italia e' ben al di la' delle scaramucce fra coalizioni per la lotta al cadreghino, si tratta di un problema serio.
E' colpa dei ricercatori italiani che non bloccano il traffico a Roma come i tassisti se gli investimenti per la s&d sono perennemente bassi .
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Old 06-12-2007, 07:07   #66
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E' colpa dei ricercatori italiani che non bloccano il traffico a Roma come i tassisti se gli investimenti per la s&d sono perennemente bassi .
E in più anche se scioperassimo, nel breve termine non se ne accorgerebbe nessuno...
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Old 06-12-2007, 08:36   #67
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Ho conosciuto un dottorando che mi ha detto che è giustissimo che lui prenda 800€ al mese, che tanto basta fare qualche rinuncia, vivere in una stanza invece che in un appartamento, che è giusto così. Dopo questo, mi aspetto di tutto...
Dottorando kamikaze

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Old 06-12-2007, 09:10   #68
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E in più anche se scioperassimo, nel breve termine non se ne accorgerebbe nessuno...
Infatti ci vorrebbe uno sciopero di tutto il precariato sfruttato, ma non all'italiana bensì alla francese, ad oltranza. Oppure come stanno facendo gli sceneggiatori delle serie tv americane: finchè non c'è una proposta accettabile, gli schiavi si ribellano.
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Old 06-12-2007, 09:29   #69
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ma potrete vendere le nuove banane made in China
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Old 06-12-2007, 14:55   #70
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Della chimica che tenta di darsi un tono inserendosi nei contesti di una scienza seria : la fisica
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Chimici di tutto il mondo! Riprendiamoci la teoria dei sistemi a molti corpi!

P.S.: A parte tutto la chimica teorica e la fisica hanno molti punti di contatto pur mantenendo degli approcci (molecolare vs particellare) completamente diversi e pur occupandosi di diversi ambiti... In fondo il punto di partenza della chimica teorica e' poi sempre la meccanica quantistica...
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Il mio "TESSORO": SuperMicro 733TQ, SuperMicro X8DAI I5520, 2x Xeon Quad E5620 Westmere, 12x Kingston 4GB DDR3 1333MHz, 4x WD 1Tb 32MB 7.2krpm
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P.S.: A parte tutto la chimica teorica e la fisica hanno molti punti di contatto pur mantenendo degli approcci (molecolare vs particellare) completamente diversi e pur occupandosi di diversi ambiti... In fondo il punto di partenza della chimica teorica e' poi sempre la meccanica quantistica...

Guarda, parlando con dei chimici mi sono convinto che la chimica teorica e la fisica hanno ben più di qualche punto in comune: sono proprio la stessa cosa guardata da due differenti prospettive.
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I cattivi a volte si riposano, gli imbecilli mai
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Old 06-12-2007, 17:24   #72
Lucrezio
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Guarda, parlando con dei chimici mi sono convinto che la chimica teorica e la fisica hanno ben più di qualche punto in comune: sono proprio la stessa cosa guardata da due differenti prospettive.
Beh, anche con diversi interessi!
Secondo me e' abbastanza fondamentale come distinzione...
...ma stiamo portando il thread OT (E io non posso, senno' mi caziano, giustamente! )
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Old 26-12-2007, 23:47   #73
ania
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http://espresso.repubblica.it/dettag...18267&ref=hpsp
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Più che scienziati fannulloni
Fanno pochi lavori di valore. Sono spesso inoperosi. Se non assenti.
Demotivati. E anche malpagati. Viaggio tra i ricercatori delle università italiane

di Daniela Minerva e Valentina Murelli

Il suo fascino ce l'ha, messo proprio dentro le mura della più grande università europea; a due passi da quel pregiato istituto di Fisica dove aleggia ancora lo spirito della mitica scuola romana (gli eredi di via Panisperna, per intenderci). Ma provate a entrarci dentro la sede di Antropologia del Dipartimento di Biologia animale e dell'uomo dell'Università di Roma La Sapienza: tre piani di cemento dove regna sovrano il silenzio. Provate ad aprire le porte, chiuse, per lo più, ma tutte con il nome di chi dovrebbe abitarle, corrispondente a uno stipendio erogato dal ministero dell'Università e della ricerca (Miur). Insomma: non c'è niente di più lontano da questo edificio semivuoto, un po' ammuffito e con i corridoi sporchi, dall'idea che abbiamo della scienza. Tanto che il professore ordinario di Morfologia umana è laureata in lettere, e ha vinto il concorso con una sola pubblicazione all'attivo, su una rivista minore e per giunta ancora in stampa al momento del concorso.

Intendiamoci, nessuno vuole dare la croce in testa a questo professore di Morfologia, di certo una degnissima persona che di certo nei prossimi anni pubblicherà tantissimo, né a questa deserta sede di Antropologia. Luoghi come questo ce ne sono centinaia nei campus italiani o nella miriade di istituti del Cnr sparsi nella Penisola.

Guardando in faccia uno a uno gli scienziati italiani scopriamo centinaia di ricercatori che ricercano davvero assai poco. Più burocrati che geniacci, vecchi e scarsamente retribuiti, se confrontati alle medie europee (vedi il link al grafico), poco produttivi e selezionati spesso sulla base di baronie più che di merito. Vivacchiano senza mezzi, ma anche senza idee, dando sempre la colpa ai pochi soldi e al 'sistema dei baroni'. Lamentandosi molto. E forse a ragione, perché è vero che i finanziamenti non ci sono ed è vero che il sistema di cooptazione della comunità scientifica è una palude in cui il merito sembra raramente essere il criterio dirimente nella scelta di chi deve andare a occupare un posto in ateneo. Ma una domanda sorge legittima: quanti dei pochi soldi destinati alla scienza nel nostro Paese vanno a pagare stipendi e benefit che con la scienza non c'entrano nulla? E quante sono le Aree di ricerca del Cnr da cui arrivano ben pochi contributi alla modernizzazione del Paese?


A Napoli, nella nuova sede del Cnr, poca la gente in giro. In compenso ci sono, come ormai in quasi tutti i presidi del principale ente di ricerca italiano, una serie di servizi dedicati alla pubblicizzazione: un Servizio di promozione della ricerca e sviluppo, ma al telefono non risponde nessuno, e uno di attività divulgative che ha prodotto una serie di video naturalistici locali con un paio di sconfinamenti, uno in Calabria e uno alle Isole Svalbard. Se questo è il trend non stupisce che soltanto il 6 per cento dei brevetti registrati dal Cnr trovi uno sbocco industriale e diventi licenza a fronte dell'89 di quelli registrati dal Mit, il Massachusetts institute of Technology, come ha raccontato l'economista bocconiano Stefano Breschi.

Ma che il Cnr sia nei guai lo riconoscono gli stessi dirigenti del primo ente di ricerca italiano. Altre, invece, sono le pretese dell'accademia che difficilmente accetta di essere esaminata. Eppure se il Cnr piange, l'università non ride. E persino in un luogo di eccellenza come Pavia, al dipartimento di Biologia animale, ha occupato un posto assai ambito una signora che negli ultimi 17 anni ha prodotto solo cinque lavori di ricerca di nullo impatto scientifico. Per avere un'idea del tipo di lavoro che, anche, si fa in quell'istituto: c'è persino qualcuno che dichiara di occuparsi di "misurare l'area del piede dei gasteropodi (le lumache), dopo averne acquisito l'immagine con uno scanner e attraverso un programma informatico fatto fare su misura". Magari a noi profani sembra una questione di lana caprina, ed è invece un dettaglio fondamentale. Ma se così fosse le temibili banche dati internazionali lo registrerebbero.

Perché la scienza è trasparente. E poggia su un principio cristallino: se una persona lavora bene, i risultati del suo lavoro devono essere pubblicati su riviste scientifiche, meglio lavora e più alto è il livello della pubblicazione (se arriva a 'Science', 'Nature', 'Cell' è più che bravo). Ma non è tutto: non serve a nessuno che un ricercatore lavori su dettagli insignificanti, e il suo vero valore non si basa sul numero delle pubblicazioni, ma su quante volte gli altri le citano, ovvero usano i suoi risultati per scoprire altre cose, e andare avanti. Dunque per sapere se uno scienziato è un fannullone o un farfallone basta contare le sue pubblicazioni e le sue citazioni. E le comunicazioni a congresso non sono considerate rilevanti. I software che fanno questo mestiere sono diversi: noi abbiamo usato Publish or Perish (chiamato così perché, effettivamente, nei paesi anglosassoni, uno scienziato che non pubblica va a casa), che ritrova tutte le pubblicazioni e le citazioni di un ricercatore dalla banca dati di Google Scholar (tra le più permissive). E abbiamo scoperto che di stipendi discutibili il Miur ne eroga un bel po'.

Naturalmente non basta campionare a caso laboratori e dipartimenti. E allora siamo andati a vedere qual è l'impatto scientifico delle università italiane e del Cnr. Quest'ultimo sta ben al di sotto dei suo enti cugini: il Cnrs francese e il Csic spagnolo. Ma, nonostante lo sfascio conclamato in cui versa, è, come mostra il grafico intitolato 'Cenerentole d'Europa', ben al di sopra della media delle università italiane. Che sembrano oggi spesso luoghi del sapere dove di sapere ne gira ben poco. Lo mostrano bene i grafici intitolati 'Università sotto esame' che documentano la produzione scientifica degli atenei italiani misurata col rapporto tra le citazioni ottenute sulla stampa scientifica internazionale e i fondi ricevuti. La mediocrità è la regola. E a svettare sono in poche. Il che non significa che non ci siano picchi di buona scienza. Tutt'altro: a sentire gli addetti ai lavori (vedi la scheda 'Quattro ricette d'autore') ilmondo scientifico italiano è fatto di pochi eccellenti gruppi sparsi qua e là, e di una massa ameboica di persone che non fa o non è in grado di fare buona scienza.

Perché, se è vero che l'università deve anche fare didattica, è anche vero che gli standard europei, nel fare diagrammi su costi e rendimenti degli universitari, stimano che il rapporto tra attività di docenza e di ricerca debba essere del 50 a 50. Dunque, non è possibile bluffare: chi fa scienza è facilmente riconoscibile dai suoi pari. Anche se raramente questo si riflette nel processo di selezione. Così, racconta uno dei migliori matematici del mondo, Franco Brezzi: "Ci sono interi dipartimenti che pullulano di incompetenti". E così, uno dei più brillanti storici della medicina europei, Bernardino Fantini, oggi professore all'università di Ginevra, ha sostenuto un concorso per una cattedra di Storia della medicina all'Università di Padova. Aveva al suo attivo decine di pubblicazioni, la direzione di un istituto in Svizzera e la presidenza dell'Associazione europea di storia della medicina, ma ha perso. Battuto da una signora che tra il tra il 1990 e il 2007 non ha pubblicato nulla che l'Isi, la più celebre tra le banche dati scientifiche, abbia ritenuto degno di annotare.

Chi pensi che la storia della medicina risenta delle cattive abitudini baronali dei letterati, ancorché afferisca alle facoltà scientifiche, può spostare l'orizzonte verso Sud. Dove c'è ancora l'eco della bocciatura di un cervellone emigrato, Giulio Francesco Draetta, che ha fatto il ricercatore agli Nih di Bethesda e il direttore di ricerca all'European Molecular Biology Laboratory di Heidelberg, ma non è riuscito nemmeno a vincere il concorso di professore associato di Biologia molecolare all'Università di Napoli: a nulla sono valse le sue 750 pubblicazioni contro le 27 di chi ha vinto. Così oggi lui fa il vicepresidente della multinazionale farmaceutica Merck e il consigliere scientifico dell'Istituto di oncologia molecolare voluto da Veronesi a Milano.

"Ma quale ricerca? Non se ne fa più da tempo", sbuffa Francesco Quaranta, ingegnere navale alla Federico II di Napoli che invece pubblica parecchio. Ma nel giudicare, forse, pensa a un recente concorso di professore ordinario di Manovrabilità delle navi alla Facoltà di Scienze e Tecnologie dell'Università Parthenope di Napoli: chi ha vinto ha contribuito alla scienza con nove articoli tra il 1990 e il 2003, poi più nulla, salvo qualche presentazione ai congressi. Che alla Parthenope la scienza non sia una priorità sembra di capirlo anche dalla classifica che stiliamo nel grafico di pagina 83. Eppure in questa università i ricercatori sono 200 e i fondi arrivano copiosi: sempre il grafico di pagina 82 mostra che uno scienziato della Parthenope, uno che scrive nove articoli in 17 anni, ad esempio, costa più di ogni altro scienziato italiano.

Parthenope, come molte università nate di recente, magari per una ragion politica, non sembra avere una vocazione scientifica. Come non ce l'hanno al Polo scientifico di via Vivaldi a Caserta, uno dei campus della Sun (Seconda università di Napoli), o alla Mediterranea di Reggio Calabria, all'Università di Macerata, tanto per prendere quelle sedi che secondo il nostro lavoro di valutazione stanno vicine allo zero. Ma non è solo in queste università poco orientate scientificamente (che però ricevono per intero i Fondi di finanziamento ordinario del Miur), che non tutti i ricercatori ricercano.

Il sottosegretario Luciano Modica, il nume dell'università, a un incontro con i ricercatori italiani nel Regno Unito nel gennaio di quest'anno ha raccontato che l'Università di Pisa ha fatto il rating professionale dei suoi scienziati e scoperto che 200 su 1.800 non avevano pubblicato nulla. Modica era contento, gli pareva un buon standard, e certo lo è su scala nazionale. Ma se andiamo a vedere bene: nel nostro diagramma Pisa si colloca entro le prime 20 università, e circa il 10 per cento degli scienziati non pubblica. Non perdiamoci nei calcoli, ma possiamo legittimamente chiederci: quanti sono i ricercatori che ricercano sui 60 mila scienziati italiani? Pochissimi.

Non stupisce, allora, che l'Italia sia la Cenerentola europea. Nella classifica delle 500 migliori università del mondo stilata dalla Shanghai Jiao Tong University, l'Italia compare solo in 102-esima posizione, con il parimerito di Milano (Statale), Pisa e Roma La Sapienza. E va anche peggio nella classifica sulle eccellenze scientifiche redatta dal 'Times': questa volta la prima italiana è l'Università di Bologna, in posizione 173, seguita dalla Sapienza di Roma. I criteri utilizzati per stilare le due classifiche sono diversi, ma il succo rimane uguale: mentre l'Europa, nel suo complesso, regge bene il confronto mondiale, l'Italia appare malconcia, con nessuna università tra le prime cento del mondo. E il Consiglio nazionale delle ricerche, con i suoi circa 7 mila scienziati attivi, non va meglio.

Di solito, arrivati a questo punto del discorso si dà la colpa alla scarsità di fondi. Vero: investiamo in ricerca l'1,10 per cento del Pil contro una media europea dell'1,78 (ma gli Usa investono il 2,67 per cento). Anche per questo abbiamo, in confronto, pochissimi ricercatori: solo 2,9 per mille unità di forza lavoro, contro i 9,7 degli Usa, gli 8 della Germania. Ma anche in questa girandola di numeri conviene andare a vederci chiaro. Lo ha fatto, in uno studio famoso pubblicato nel 2004 su 'Nature', David King, già consigliere scientifico di Tony Blair. King riconosce all'Italia il settimo posto in una classifica mondiale della produzione scientifica complessiva. Se però mettiamo questi risultati in relazione agli investimenti fatti, la musica cambia e passiamo in picchiata dalle prime alle ultimissime posizioni della classifica. Perché, a ben guardare, rispetto al numero di ricercatori, i nostri investimenti non sono pochi. Sebbene la nostra comunità di ricercatori sia più piccola di quella di altri paesi, per singolo ricercatore non spendiamo meno degli altri: in Europa, Giappone e Usa un ricercatore costa in media 180 mila euro all'anno, da noi poco più di 204 mila euro. E questo sposta decisamente l'attenzione dalla scarsità dei finanziamenti, che pur c'è, alla scarsa produttività dei ricercatori.

Intendiamoci, non sempre la scarsa produttività è indice di cattiva volontà: la scienza è un'impresa molto complessa e per riuscire occorrono fondi, capacità e anche un po' di fortuna. Può succedere di non riuscire a ottenere risultati: il fatto è che, in queste condizioni, sarebbe meglio cercare un'altra strada. "Ecco perché non sono affatto d'accordo quando sento parlare di stabilizzazione dei precari", afferma il biochimico Ernesto Carafoli, uno degli scienziati italiani più citati al mondo: "Su cento persone che iniziano, solo dieci hanno i numeri per andare avanti, e solo questi devono fare i ricercatori. In Usa, in Svizzera, in Francia, il lavoro di chi fa ricerca viene valutato periodicamente per stabilire se è il caso di riconfermare la posizione o meno".

Come dire, la scienza è un'attività estremamente dinamica e competitiva. È un affascinante campo di battaglia dove si viaggia alla velocità della luce. Chi sta al passo gioca, chi traccheggia è fuori in men che non si dica. E l'Italia, salvo alcuni gruppi di eccellenti, sembra ormai fuori dai giochi.

ha collaborato Mario Fabbroni
(24 dicembre 2007)

Ultima modifica di ania : 27-12-2007 alle 01:26.
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Old 27-12-2007, 01:28   #74
lowenz
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Così AHIME' vincono i reparti di R&D delle aziende.....e normali laureati assunti fanno ciao ciao ai dottorandi per compentenza, dinamismo e pure fantasia.

Oltre che per stipendio ovviamente.

Roba da far accapponare la pelle per quelli - come me - che sono cresciuti credendo nell'università come luogo di eccellenza.

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Old 27-12-2007, 02:46   #75
Lorekon
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articolo ECCELLENTE!!

ma dove l'hai pescato?

ricalca al 100 % il mio pensiero.
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Old 27-12-2007, 08:41   #76
ania
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articolo ECCELLENTE!!
ma dove l'hai pescato ?
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Ania
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Old 27-12-2007, 09:45   #77
bjt2
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Non pensavo che gli altri istituti del CNR fossero messi così male... Quello dove lavoro (a proposito: ho vinto un concorso per ricercatore a tempo determinato... ) non è messo male come produttività. Produciamo parecchi lavori e i fondi ci arrivano da finanziamenti di ditte private per servizi che eroghiamo. Lavoriamo molto sull'analisi di immagini mediche nel campo delle malattie cerebrali sopratutto (Alzehimer, Parkinson, Sclerosi Multipla). Tutti con finanziamenti di case farmaceutiche... Io vorrei sapere chi prende i finanziamenti per quelle malattie... Noi abbiamo messo su un software per verificare con precisione l'efficacia di un dato farmaco su queste malattie. Alcune case farmaceutiche ci pagano per fare queste misure. Abbiamo risonanze magnetiche, PET, TAC ecc. E io in particolare mi occupo dello sviluppo del software (che procede comunque e migliora di anno in anno) e pubblichiamo sia articoli sui trial clinici che facciamo, sia su i vari miglioramenti del software... Vorrei sapere quali sono quegli istituti che non producono... Poi ovviamente ci sono ricercatori che lavorano in altri campi, ad esempio cardiologia: la mia collega fa continuamente trial clinici su scintigrafie miocardiche e correlazione tra diabete, ipertensione e eventi cardiaci (infarto ecc...)... Produciamo abbastanza anche nel campo della radioterapia (tumori) e della radioterapia metabolica (cura di tumori tramite isotopi radioattivi, per lo più alla tiroide)...
__________________
0 A.D. React OS
La vita è troppo bella per rovinarsela per i piccoli problemi quotidiani...
IL MIO PROFILO SOUNDCLOUD! IL MIO CANALE YOUTUBE! IL MIO PLUGIN VST PROGRAMMABILE!

Ultima modifica di bjt2 : 27-12-2007 alle 09:48.
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