Lavoro e intelligenza artificiale, in Senato la proposta del 'contributo automazione' per una transizione più equa
Il Dott. Stefano Bacchiocchi ha presentato in Senato la proposta di un "contributo automazione", un meccanismo fiscale destinato alle grandi imprese che sostituiscono lavoro umano con robot o sistemi di intelligenza artificiale. Ce la siamo fatta spiegare per capirne i contenuti.
di Manolo De Agostini pubblicata il 27 Ottobre 2025, alle 13:41 nel canale WebRobot, algoritmi e intelligenza artificiale stanno rivoluzionando il mondo del lavoro con una rapidità mai vista prima. In Italia, dove il tessuto produttivo è ancora composto in larga parte da piccole e medie imprese, la questione non riguarda solo la produttività, ma anche la sostenibilità sociale di questa trasformazione.
Il mondo oggi sembra diviso tra gli "entusiasti" di questa corsa all'innovazione, convinti che aprirà un nuovo capitolo di prosperità per l'umanità, e chi invece guarda all'avvento dell'IA e dell'automazione avanzata - con robot umanoidi e non solo - come una possibile calamità sotto molteplici livelli, a partire dall'impatto sul mondo del lavoro.
In realtà, c'è chi sta nel mezzo: persone che vogliono l'innovazione, ma non voglio nemmeno il Far West. Uno sviluppo regolato, che eviti il più possibile "morti e feriti" durante la necessaria fase di evoluzione del fenomeno.

Ed è in questa categoria che si inserisce il Dott. Stefano Bacchiocchi, commercialista e professore all'Università degli Studi di Brescia, che il 25 settembre ha presentato in Senato - nell'ambito di una giornata dedicata al ricevimento di spunti da parte di commercialisti e professionisti del settore lavoro e previdenza - una sua proposta, ribattezza "contributo automazione", che vuole governare un fenomeno di una portata così grande da scuotere le fondamenta della società per come la conosciamo oggi.
La parola chiave è automazione: non IA, non robot o chissà quale altra parola, perché in un settore dove corre tutto alla velocità della luce, definizioni oggi valide domani potrebbero apparire già antiquate. Con il termine automazione, volutamente utilizzato in senso ampio, si vuole indicare una tecnologia di qualsiasi genere che sostituisce una persona umana sul posto di lavoro.
L'idea, spiega Bacchiocchi, è "una proposta in due momenti" che può apparire semplice nella logica ma ambiziosa negli effetti: introdurre un meccanismo fiscale che "colpisca le grandi imprese che sostituiscono il lavoro umano con l'automazione", destinando poi il gettito a "un fondo a tutela dei lavoratori che perdono il posto proprio a causa dell'adozione di robot o sistemi di intelligenza artificiale".
La proposta è stata consegnata ai senatori di diverse forze politiche. Si tratta di un'iniziativa che non rientra sotto il cappello di un partito o dell'altro, ma la tavola rotonda è stata organizzata dal senatore Francesco Silvestro di Forza Italia, e ha visto la partecipazione di rappresentanti bipartisan.
"Non è una tassa anti-tecnologia"
L'idea di introdurre un contributo sull'automazione può far storcere il naso a chi teme nuovi oneri fiscali per le imprese italiane, già pesantemente tassate. Bacchiocchi però chiarisce subito l'intento: "Io sono dottore commercialista e professore universitario di materie economiche (oltre che partita IVA io stesso!) so bene quanto le imprese siano gravate dalla pressione fiscale e, ogni giorno, mi trovo in prima linea per tutelarle e fare in modo che paghino solo ciò che è giusto e necessario. Non presenterei mai una proposta di riforma senza la certezza che essa non comporti un incremento della pressione fiscale".
"Inoltre, non sarà una tassa a fermare l'automazione, così come tutti i fenomeni rivoluzionari, perché di rivoluzione industriale si sta parlando. L'automazione c'è e viene scelta non perché più conveniente a livello di fiscale, ma perché ha altri pregi: non si ferma, non ha bisogno di turni, ferie, malattia e genera più redditività del lavoro umano".

"Questa proposta mira a raccogliere quella capacità contributiva che attualmente non è tassata alla pari del lavoro umano. Oggi il lavoro umano è tassato e contribuisce alla previdenza, il lavoro fatto da robot e intelligenza artificiale no".
In buona sostanza, il sistema fiscale non è pronto a questa nuova capacità contributiva. Ed è qui che Bacchiocchi vede un serio elemento di criticità. La proposta prevede esenzioni per micro e piccole imprese, cioè il 90% del tessuto italiano, e mira a colpire solo le grandi imprese che sostituiscono lavoro umano con automazione massiccia. È un modo per riequilibrare la questione fiscale e previdenziale. "La persona umana genera fiscalità e contributi previdenziali, un robot attualmente no, e non è giusto. Il tentativo è ristabilire un po' di equità".
Il gettito stimato a regime è di circa 8 miliardi di euro annui, con aliquote progressive legate al grado di sostituzione del lavoro umano. Ci sono esenzioni specifiche per microimprese, studi professionali, settori come la sanità. Bacchiocchi parla di un "palliativo" che servirà a evitare che si creino tensioni sociali nella transizione, ad aiutare ad esempio chi perde il lavoro e deve pagare un mutuo, oppure chi è vicino alla pensione ma viene lasciato a casa perché meno efficiente di un robot.
Governare la rivoluzione, non bloccarla
Bacchiocchi, pur dicendosi entusiasta della tecnologia sotto ogni sfumatura, sottolinea che il vero rischio è una trasformazione incontrollata del mercato del lavoro.
"Non sono spaventato dalla tecnologia, la coltivo. Ma mi spaventa una tecnologia non governata. Le rivoluzioni industriali generano benessere se vengono gestite: questa rischia di creare tensioni sociali se lasciata a sé stessa".

Bacchiocchi ritiene che nel mondo occidentale non saremmo in grado di gestire tensioni sociali come quelle viste nelle precedenti rivoluzioni industriali. "Se vogliamo mantenere il nostro tenore di vita, e lo stesso grado di servizi, qualcosa bisogna inventarsi. La tecnologia c'è, ed è un dato di fatto. L'altro dato di fatto è che il nostro sistema non è pronto a gestire ciò che sta arrivando e ce ne stiamo accorgendo. […] Le pensioni sono sempre più basse, si va in pensione sempre dopo, i lavori sono sempre più precari e lavori considerati immutabili - come l'avvocato, il giornalista, l'attore, il musicista - sono messi a rischio o sostituiti dall'AI. Questa cosa crea e creerà tensioni sociali".
Non tutti, infatti, potranno reinventarsi come programmatori o sviluppatori di AI. "Il contributo automazione vuole essere uno strumento di equilibrio, non un blocco al progresso".
Un fondo, non un reddito universale
Un tema connesso è quello del reddito universale, spesso evocato da alcune forze politiche - e non solo - come possibile risposta alle trasformazioni del lavoro.
Bacchiocchi però mantiene un approccio pragmatico e si tiene fuori da considerazioni su un tema molto politico: "La mia proposta è più concreta: tassare la ricchezza prodotta dall'automazione che sostituisce lavoro umano, non la tecnologia in sé. E usare quelle risorse per aiutare chi ne viene escluso".

Insomma, se un imprenditore comprerà un esoscheletro, un automezzo, un PC o qualcosa che aiuta il lavoratore a svolgere la sua mansione non sarà soggetto al "contributo automazione". Chi invece deciderà di rimpiazzare un lavoratore per far spazio a una qualsiasi forma automazione, contribuirà al fondo.
Un dibattito da aprire, non da rimandare
La proposta avanzata in Senato troverà una sua strada? Difficile dirlo. Come spesso accade in Italia, il punto cruciale sarà la volontà politica. "Non abbiamo esempi di velocità politica fuori dalle emergenze", osserva Bacchiocchi, "ma mi auguro un dibattito serio e tecnico. Il rischio, se non si agisce, è di trovarsi con un sistema fiscale e previdenziale non più sostenibile".
L'interesse, almeno per ora, sembra esserci. La proposta ha ricevuto riscontri positivi da colleghi e parlamentari. Anche alcuni imprenditori, inizialmente preoccupati, avrebbero espresso apertura una volta chiarito il senso della misura.
"Non voglio frenare l'innovazione", conclude Bacchiocchi, "voglio solo che nessuno resti indietro. L'automazione può creare benessere, ma deve essere accompagnata da un sistema che tuteli chi oggi contribuisce con il proprio lavoro".










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4 Commenti
Gli autori dei commenti, e non la redazione, sono responsabili dei contenuti da loro inseriti - infoTra l'altro ci sono lavori che davvero non vorrei fare nemmeno sotto tortura, e ben vengano l'automazione, la robotica, l'IA ecc.
Chiaro, ci sono anche i casi nei quali qualche multinazionale decide che al posto di un operatore è sufficiente un chatbot o una macro in qualche programma, ma pensare di colpire in maniera indiscriminata mi pare sbagliato.
Dagli anni '90 a oggi, invece di proteggere e far crescere la propria capacità produttiva, tecnologica e informatica, ha scelto la strada dell'indifferenza e della burocrazia.
Abbiamo lasciato morire o venduto intere realtà che potevano diventare pilastri strategici del continente: aziende che avrebbero potuto guidare l'evoluzione elettronica e informatica.
Molte sono fallite, soffocate da incompetenza politica, mancanza di visione, tassazione miope e gestione economica inefficiente.
Altre sono state acquistate da giganti americani o asiatici, senza che la politica facesse nulla per impedirlo o sostenere un'alternativa europea.
E con loro se ne sono andate le competenze, i brevetti, e i cervelli migliori.
Nel frattempo, le due superpotenze del pianeta, Stati Uniti e Cina, hanno fatto esattamente l'opposto.
Hanno protetto, finanziato e accompagnato le proprie industrie tecnologiche.
Hanno costruito colossi, non per caso, ma per strategia.
Mentre l'Europa chiudeva fabbriche, loro aprivano centri di ricerca.
Mentre qui si discuteva di vincoli e parametri, loro creavano ecosistemi di innovazione.
Oggi i dati parlano da soli: la produzione industriale europea è in costante calo, la quota mondiale dell'elettronica è destinata a scendere ancora, e la maggior parte delle startup nate in Europa finisce per spostarsi altrove dopo pochi anni, spesso dopo aver usufruito di fondi europei.
È un continente che ha perso fiducia nella propria capacità di creare futuro.
Con l'arrivo delle intelligenze artificiali, il rischio si moltiplica.
L'Europa non ha più il tessuto industriale, né la velocità tecnologica per reggere l'impatto di questa rivoluzione.
Le IA non risolveranno il problema: lo amplificheranno.
Dove manca la visione e la produzione, la tecnologia non libera: sostituisce.
E lo farà senza offrire sbocchi a chi resta fuori.
Tassare le aziende non servirà a nulla: le spingerà soltanto ad andarsene, come già accade, verso paesi che investono invece di punire.
In più, le grandi compagnie hanno già i mezzi per eludere gran parte di queste imposte.
La risposta non è la tassazione, ma la protezione: servono leggi anti-licenziamento che impediscano di sostituire in massa lavoratori umani con sistemi automatizzati.
Le imprese devono essere obbligate ad affiancare l'uomo alla macchina, non a rimpiazzarlo.
E serve un cambio di rotta radicale: meno nostalgia per ciò che era, più coraggio nel costruire ciò che può essere.
Bisogna ricreare una produzione europea, una filiera tecnologica autonoma, capace di competere, non solo di sopravvivere.
Tagliare i ponti vecchi, quelli che ci legano a modelli morti, e aprirne di nuovi, verso un'Europa che smetta di comprare il futuro dagli altri, e torni finalmente a inventarlo.
Persino Trump, per quanto discutibile sotto molti aspetti, ha compreso una verità essenziale: ha iniziato a riportare parte della produzione industriale in patria.
Non per sua illuminazione, ma perché spinto dagli stessi centri di potere che oggi stanno evolvendo l'intelligenza artificiale.
E qui sta il punto: l'Europa, così com'è oggi, non è pronta.
Quando l'IA, anche solo nella sua forma linguistica, le LLM, già pienamente operative sul piano economico, sostituirà il 40% dei lavoratori, il continente subirà un contraccolpo enorme.
Meno occupazione significherà meno entrate fiscali, meno domanda interna e una cascata di fallimenti.
Le aziende che resteranno operative, grazie al risparmio ottenuto sostituendo manodopera con algoritmi, potranno abbassare i prezzi fino a schiacciare la concorrenza locale, aprendo la strada a nuove acquisizioni straniere.
Molti ancora non lo vedono, o preferiscono non vederlo.
Ma la direzione è chiara: l'Europa è diventata dipendente, debole, subordinata.
Schiva del cambiamento e prigioniera dei propri compromessi.
E se non cambierà radicalmente, se non tornerà a investire in sé stessa, rischia due strade soltanto:
o lo smantellamento dell'Unione, con danni economici e sociali incalcolabili,
oppure la sottomissione definitiva a potenze esterne.
E quando accadrà, non sarà una sorpresa. Sarà solo la logica conseguenza di ciò che abbiamo ignorato troppo a lungo.
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