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Old 27-06-2004, 19:03   #1
majin mixxi
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l'Italia e il crack economico di Euro 2004

Antonio Casonato e Giovanni Francavilla per Economy


Orecchie basse e coda tra le zampe. Anche il cane Ettore, il testimonial della Tim, il muso più invadente in questo breve scorcio di Europei di calcio, c’è rimasto male. I sogni di gloria agonistica e le proiezioni vincenti degli uomini di marketing si sono infranti a un minuto dal novantesimo.

Sconfitti. Fuori dal grande circo mediatico-sportivo continentale. Insieme con la Nazionale di Giovanni Trapattoni. Ormai ex ct. Il tifo, la passione per il pallone e l’attaccamento alla maglia questa volta non c’entrano. Sono solo affari. Milioni di euro andati in fumo. Qualche addetto ai lavori azzarda anche una stima (molto complicata) e il conto si ferma oltre i 120 milioni. E così l’eliminazione dei ragazzi del Trap dalla competizione pallonara assume i contorni di un crac economico in piena regola. Pagato dagli sponsor e dalle aziende che hanno legato il loro nome all’immagine (e quindi ai mancati successi) della Nazionale.


I ricercatori di Eta Meta research si sono subito affrettati a fare quattro conti e sono arrivati alla conclusione che il danno economico potenziale per gli sponsor dopo l’eliminazione degli azzurri equivale al 65-70% degli investimenti effettuati: 100-120 milioni appunto. Nella voragine sono finiti i mancati introiti legati alle vendite e alla pubblicità, la minor copertura mediatica e le ombre che calano sulla notorietà del brand. Oltre a tutto l’indotto pubblico e privato che gravita intorno al pallone.

Alla Rai spot per oltre 50 milioni.
I danni più ragguardevoli per le aziende sponsorizzatrici sono legati soprattutto agli spazi pubblicitari acquistati durante le partite e dunque all’audience. Se l’immagine degli uomini di Trapattoni crolla, come per esempio è successo per lo sputo di Francesco Totti al danese Poulsen (si dice costato 35 milioni di euro di danni per Nike e Pepsi Cola), anche gli spettatori calano in maniera vistosa e gli investimenti in tivù vanno in fumo.


Il calcolo delle perdite virtuali è semplice: si paragonano gli ascolti della partita dell’undici azzurro (oltre 14 milioni per Italia-Danimarca, risultato eccezionale considerando l’ora di messa in onda: le 18) con gli altri incontri (tra i 7 e gli 8 milioni, come per Croazia-Inghilterra) e si ottiene un primo dato di riferimento. La perdita immediata di spettatori sfiora il 50%, cioè gli spot vengono seguiti dalla metà dei teleutenti.

Acquistando gli spazi prima dell’inizio del torneo, gli sponsor hanno comprato a prezzi elevati, scommettendo sui buoni risultati della Nazionale. E qualcuno ha fatto pure buoni affari. Alla Sipra, la concessionaria che gestisce gli spazi pubblicitari in Rai, si fregano ancora le mani. Hanno fatto il pieno.

I 24.300 secondi di interruzioni pubblicitarie che accompagnano tutte le partite dell’Europeo, sino alla finalissima di Lisbona, sono andati esauriti in pochissimo tempo e i tre moduli predisposti su prezzi tabellari compresi tra i 335 mila euro e 1,24 milioni di euro hanno assicurato introiti superiori ai 50 milioni di euro. Se poi arriva l’eliminazione, il castello di carta crolla sulle aziende.

E i danni sono ancora più vistosi: difficilmente si potranno registrare i picchi di oltre 19,5 milioni di telespettatori, registrati dall’Auditel durante il match contro la Bulgaria. Certo, i passaggi pubblicitari già prenotati e pagati saranno recuperati dopo la sbornia triste di Euro 2004. Ma difficilmente si potranno mettere insieme quasi 20 milioni di potenziali consumatori tutti in una volta. Con ulteriori ripercussioni. Infatti, per ottenere gli stessi risultati di immagine e raggiungere gli stessi obiettivi di vendita, le aziende sono poi costrette a effettuare nuovi investimenti, spesso costosi perché non programmati in tempo.

Per gli azzurri 20 milioni ogni anno.
Eppure quando le cose marciano per il verso giusto la Nazionale è una macchina da soldi. E gli sponsor lo sanno bene. La Federcalcio nel 2002 ha deciso di legarsi a dieci aziende, con contratti quadriennali. Tim versa 16 milioni di euro. Uliveto, Le Marmotte, Pasta Antonio Amato, Salumi Beretta, Birra Peroni, Dbtel, Fujifilm, Nutella Ferrero e Valleverde 3 milioni ciascuno, cioè tutte insieme circa 27 milioni. E siamo a 43.

Il partner tecnico invece, la Puma, contribuisce con la robusta cifra di 38,8 milioni e fornisce anche le divise ufficiali, con un altro brand sempre di proprietà. Il valore degli accordi è quindi di poco inferiore agli 82 milioni di euro a quadriennio, con un’incidenza annuale di oltre 20 milioni. Naturalmente il rimpatrio forzato della comitiva azzurra pesa in misura differente sulle società che hanno scommesso sul Trap.


Il colosso Tim abbozza il colpo e rinnova la fiducia. Fonti interne assicurano che l’eliminazione non incide in misura rilevante sui costi e sulle strategie dell’azienda. Del resto, l’a.d. Marco De Benedetti solo nel 2004 ha speso circa 180 milioni di euro in marketing e pubblicità. L’amaro in bocca resta però per i fornitori e gli sponsor minori.

Dalla Brianza è già partito l’ordine di smobilitare Casa Azzurri, il quartier generale della spedizione italiana in terra lusitana. Il gruppo Beretta lascerà solo un addetto part-time a tagliare salami e mortadella per i superstiti di Euro 2004. Il responsabile della comunicazione Giancarlo Crippa non ha ancora calcolato il danno legato alla brutta figura degli azzurri, «ma ci attendiamo ripercussioni negative nel breve e medio periodo, soprattutto in termini di visibilità».

E nella melassa di Casa Azzurri sono rimasti invischiati anche i numerosi enti pubblici coinvolti: Comune di Roma Turismo e Sport, Regione Veneto, Regione Abruzzo, Apt Umbria, Regione Puglia, Regione Basilicata hanno sborsato 150 mila euro ciascuno per portare il loro gonfalone e le loro cartelle promozionali a Lisbona. Praticamente soldi buttati.


Turismo e viaggi contano le perdite.
Ancora più pesante il danno subito da un altro fornitore: Le Marmotte, il tour operator che ha gestito viaggi e biglietteria per conto della Federcalcio, con un investimento quadriennale di 3 milioni di euro. «Finora siamo riusciti a vendere poco più di 5 mila biglietti d’ingresso allo stadio, spostando 7-800 persone attraverso i viaggi incentive, mentre appena 500 tifosi hanno acquistato il pacchetto volo più biglietto» ha detto a Economy il direttore marketing Silvano Mezzenzana.

«Purtroppo per noi, il bello cominciava solo ora, perché i margini di guadagno legati a questo tipo di attività arrivano solo dopo i quarti di finale. Tirate le somme, possiamo stimare che almeno 500 mila euro non entreranno nelle nostre casse». Quello di Le Marmotte è un caso eclatante, ma tutti gli operatori e le linee aeree italiane che speravano in un boom estivo del turismo in Portogallo dovranno rivedere i conti.



Magliette: meno 5%.
Altra voce che dovrà registrare un passivo è quella del merchandising. A parte i gadget che rimarranno imballati nei magazzini, il grosso dei mancati introiti verrà dalla vendita delle magliette della Nazionale. Quanto? Il partner tecnico Puma, un investimento di 9,7 milioni di euro all’anno per un quadriennio, non ha ancora abbozzato stime.

Allora facciamo un passo indietro. Ai mondiali nippo-coreani lo sponsor tecnico era Kappa, marchio di Basicnet: «Nel 2002 la nostra Kombat, primo prodotto esclusivo confezionato per una Nazionale, fu venduta in un centinaio di migliaia di capi» spiega Maurizio Vitale, responsabile marketing di Basicnet. «Dopo l’uscita dal torneo stimammo un mancato ricavo del 5%».

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QUANDO LA SCAPPATELLA FRUTTA UN PATRIMONIO
Daniele Cencioni per Economy

Gli infortuni agli Europei di Francesco Totti; le accuse di stupro a Kobe Bryant; le cronache rosa su David Beckham; la personalità noiosa di Pete Sampras. Sono solo alcuni degli imprevisti occorsi a grandi aziende, pronte ad affidare il loro budget di comunicazione agli idoli dello sport. Un rischio spesso calcolato, pur di accaparrarsi i testimonial, veri e propri divi che muovono le passioni dei loro potenziali clienti.

Ma lo sport è bello quanto vario, perché varie sono le forme d’investimento che possono essere scelte a seconda delle strategie di marketing aziendale. Si può puntare su un testimonial o su un evento di breve periodo capace di dare ritorni quasi immediati. C’è invece chi preferisce rischiare meno puntando su team ed eventi stagionali a rendimento più a lungo termine.

Ferrero Italia è fornitore ufficiale della Nazionale azzurra, sponsor ufficiale della Federazione Pallavolo e delle atlete del team nazionale di sci alpino. «Preferiamo non fare scelte di campo» dice Giorgio Merlassino, direttore marketing di Ferrero, «così puntiamo sui team nazionali e sugli eventi; l’unica esperienza di squadra non nazionale è stata con la Kinder Bologna nel basket e, grazie ai numerosi successi, siamo stati soddisfatti».


Bryant, 20 milioni di dollari in fumo.
Ma non sempre tutto va per il verso giusto. Nell’agosto 2003 la filiale Usa della stessa azienda di Alba annunciò la rescissione anticipata del contratto con il campione di basket Kobe Bryant, accordo stimato in 500 mila dollari l’anno, in seguito alle accuse di stupro di una diciannovenne. «Tuttavia, resta da valutare se ci fu veramente un effetto negativo» dice oggi Merlassino.

In quel caso Bryant, accreditato di una serie di accordi da 20 milioni di dollari l’anno, fu abbandonato anche da McDonald’s. Il colosso statunitense non rinnovò l’accordo triennale: le accuse al campione dei Los Angeles Lakers si diffusero quando la catena di fast food stava lanciando una nuova campagna che coinvolgeva le donne e in particolare le mamme. Non contava se Bryant fosse colpevole o innocente ma solo il giudizio che i clienti McDonald’s si sarebbero creati nella loro testa. La stessa Nike, dopo aver firmato un contratto da 45 milioni di dollari in 5 anni, congelò la produzione delle nuove scarpe della linea Bryant. La Coca-Cola con il marchio Sprite cambiò uomo immagine passando a Lebron James.



Beckham, il re Mida degli sponsor.
Difficile capire quanto un investitore possa effettivamente perdere in termini economici per le bizze del suo testimonial. Gli esperti di marketing inglesi si sono recentemente interrogati su quanto possano aver leso all’immagine di David Beckham le voci sulla presunta relazione extraconiugale con la sua assistente personale, Rebecca Loos.

Ma i brand legati al capitano della Nazionale inglese non hanno avuto in realtà grosse perdite. Al contrario, dimostrano di credere ancora nella gallina dalle uova d’oro, valutata recentemente 370 milioni di dollari. Per esempio, è di poche settimane fa la firma su un contratto da 55 milioni di euro con Gillette.

I denari della multinazionale americana si aggiungono ai 2 milioni all’anno versati a Beckham da Adidas; 1,4 milioni da Pepsi; 1,4 milioni da Vodafone; 0,7 milioni da British Petroleum in Estremo Oriente; 1,4 milioni da Mark & Spencer (abbigliamento); 0,5 milioni dalla Rage (software per videogame); 2 milioni, incassati insieme con la moglie Victoria Adams, dalla Tbc Cosmetics in Giappone.

A volte il testimonial può anche non rivelarsi idoneo alle strategie aziendali. Nel gennaio 2002 il tennista Pete Sampras, vincitore di 13 titoli del Grande Slam, fu scaricato da Nike, dopo otto anni, per la sua (noiosa) sobrietà, poco affine alle scelte giovanilistiche della multinazionale dell’Oregon.



Al suo posto si decise di puntare su André Agassi, un veicolo più accattivante per un target dinamico. In Italia fece scalpore la scelta strategica di Rancilio, produttore di macchine da caffè con l’80% di fatturato all’estero e sponsor di Christian Ghedina. «Dal 1965 al 1986 siamo stati sponsor del Giro d’Italia perché volevamo essere vicini ai nostri clienti principali, i baristi» dice Roberto Rancilio. «Così seguivamo la carovana rosa facendo provare il prodotto.

Oggi il settore è mutato. E un po’ anche il ciclismo. Chi fa acquistare le macchine da caffè ai baristi sono principalmente gli intermediari, i venditori di caffè. Per questo motivo abbiamo puntato su un evento internazionale come la Coppa del mondo di sci alpino, più vicina al nostro mercato». Così nel 2003 e nel 2004 l’azienda milanese ha investito 100 mila euro a stagione sul discesista azzurro.




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Kotoshi mo yoroshiku onegai-itashimasu
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Old 27-06-2004, 19:06   #2
Nospheratu
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posso dire 'minchia'?
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Old 27-06-2004, 19:09   #3
Raven
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... non ho letto tutto il post... ma sicuramente non berrò mai più Uliveto!...


Che fine ha fatto l'uccellino?!

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Ultima modifica di Raven : 27-06-2004 alle 19:14.
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Old 27-06-2004, 19:10   #4
quickenzo
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...dipende dal ciclo lunare...
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Old 27-06-2004, 19:17   #5
Hideryl
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Originariamente inviato da Raven
... non ho letto tutto il post... ma sicuramente non berrò mai più Uliveto!...
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Old 27-06-2004, 19:22   #6
Raven
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Originariamente inviato da Hideryl
http://www4.ncsu.edu/~gsparson/useless.gif

noooo.... mi freghi le gif?! (che tra l'altro non era riferita a te...)

Comunque, tanto per chiarire, la Uliveto è (era?! ) uno dei principali sponsor della Nazionale... la cosa positiva dell'eliminazione della squadra è che hanno tolto tutti gli spot!
In effetti non sarebbe bello adesso sentire Delpiero che dice: "Tutti noi della Nazionale beviamo seeeeempre Uliveto!!!".... e si vede!
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Old 27-06-2004, 19:43   #7
Hideryl
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Originariamente inviato da Raven
noooo.... mi freghi le gif?! (che tra l'altro non era riferita a te...)
Lo so che non era riferito a me ma era per scherzare, volevo vedere come reagivi
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