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Old 17-01-2006, 04:09   #1
Adric
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calcio: calci alla democrazia

Calcio: Calci alla democrazia

Per chi avesse dubbi che la “democrazia” in Italia è solo lo scenario finto nel quale prevale la legge del più forte, li invito a leggere i fatti che accadono in questi giorni che riguardano il calcio e il denaro dei diritti TV, quale metafora del funzionamento ordinario dei conflitti di interesse più generali e di tutto il sistema di potere. I fatti sono chiari e la posta in gioco anche: in estrema sintesi si tratta di spartire i soldi dei diritti televisivi dando di più ai più forti, ossia a Milan, Juve, Inter, che con questo denaro avrebbero la certezza assoluta di mantenere la loro superiorità, visto che non si tratta più di Sport, ma di un mercato dove vince chi ha più risorse finanziarie.

Questo immondo mercato, che non ha più nulla di sportivo, ha prodotto il risultato che negli ultimi 20 anni il 90% degli scudetti sono stati vinti dalle tre squadre del Nord di cui abbiamo detto, togliendo tutto il fascino al calcio, facendo decadere la nostra nazionale visto che gli italiani non giocano più, e ciò ci farebbe dubitare della salute mentale dei”tifosi” che ancora vanno allo stadio a tifare per una SPA che ormai può essere venduta in toto a chiunque, rappresenta non già i colori sociali, ma gli interessi e la visibilità del capitalista di turno, non rappresenta nemmeno più il risultato dei vivai e degli allenatori della propria città o regione.

L’osservazione di questo fenomeno ci consente di affermare, senza alcun dubbio, che il calcio è diventato come la politica: vince il più ricco e la tanto sbandierata “democrazia” e “libertà” non è altro che la dittatura degli interessi economici dei più forti, insomma è la “libertà” di lor signori.

Questa situazione ha prodotto una “cultura” diffusa e profonda della legge del più forte e più ricco, ha devastato ogni spirito sportivo, ha innestato frustrazione e violenza nei tanti esclusi dal giro che conta. Culturalmente ciò corrisponde a tutti i valori fondanti la nostra società attuale ed è enormemente funzionale a far accettare alla gente una vita sociale che è fatta proprio come il calcio: discriminazioni, prepotenze, strapotere dei ricchi, violenza.

Se esistesse una “buona politica”, né di destra né di sinistra, che sentisse il dovere di intervenire nel disciplinare un settore che fabbrica mentalità e comportamenti negativi ed antisociali dovrebbe stabilire queste norme:
- dichiarare che lo Sport non è un lavoro ma una attività sportiva e quindi non è governato dalle leggi del lavoro ma da quelle del diritto dello sport;
- che al campionato italiano non può essere iscritto alcun giocatore straniero;
- che i diritti Tv debbano essere divisi in parti uguali tra tutte le squadre che partecipano al campionato;
- che il mercato dei giocatori debba riguardare solo la regione in cui il giocatore è nato ed è stato avviato al calcio;
- che vengono impedite le trasferte con il loro carico di scontri, devastazioni, impiego di polizia, con il semplice meccanismo che il biglietto sia nominale e possa essere venduto solo ai residenti con la carta di identità;
- che le società sportive diventino delle “public company” in mano agli appassionati e ai tecnici con elezioni democratiche e partecipazione di tutti gli iscritti e sostenitori.

La cultura che potrebbe discendere dalla totalità di queste norme è facilmente intuibile:
- attaccamento ai colori sociali e ai propri giocatori come espressione del lavoro e dei vivai della propria società;
- partecipazione e responsabilità, compreso il servizio d’ordine allo stadio che dovrebbe sollevare la polizia da ogni impegno e premiare gli iscritti più adatti e responsabili;
- fine della pianificazione di violenza chiamata “trasferta”;

Ci vorrebbe solo la dignità e la lungimiranza di una “buona politica” che oggi non conta niente, ha abbandonato tutto nelle mani dei “nuovi barbari” del liberismo totale di cui vediamo il trionfo, per portare in Parlamento queste disposizioni, che tra l’altro NON COSTANO NULLA! Proprio come dovrebbero funzionare partiti politici e Chiesa cattolica: nessun aiuto statale, ma vivere del contributo dei propri aderenti. Sarebbe lecito prevedere che sia politica che religione verrebbero presi con maggior considerazione.

Paolo De Gregorio (criticamente.it)

(fonte: canisciolti.info)
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Old 17-01-2006, 09:13   #2
ALBIZZIE
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d'accordo con la prima parte riguardate la spartizioen dei diritti... ma le nuove regole auspicate le trovo semplicemente folli.

le frontiere chiuse, i giocatori regionali... le trasferte proibite (come poi?)...
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Old 17-01-2006, 10:09   #3
gargamella75
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L'Avatar di gargamella75
 
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Mah...a me pare semplice demagogia.

Oggi tutto è governato dal dio denaro, e pretendiamo che il calcio rimanga un'isola felice? Ovviamente si è conformato a questa regola, e dubito che si riesca a tornare indietro...
Parte di quelle ipotesi mi sembrano fantascienza, certo se ci fosse anche un solo piccolissimo passo indietro sarebbe già una gran cosa, ma non aspettiamoci che ritorni il calcio dei nostri nonni (e guardiamoci intorno, questo non è più il mondo dei nostri nonni...)
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Old 17-01-2006, 10:47   #4
badedas
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Originariamente inviato da Adric
negli ultimi 20 anni il 90% degli scudetti sono stati vinti dalle tre squadre del Nord
Solo negli ultimi vent'anni?

Quel signore considera per caso il Torino una squadra lucana?

E il Genoa?

E il Bologna?

E, perchè no, la Pro Vercelli?

Ho voluto puntualizzare solo questo particolare perchè rende ridicolo tutto il resto.
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Old 17-01-2006, 11:04   #5
17mika
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Originariamente inviato da badedas
Solo negli ultimi vent'anni?

Quel signore considera per caso il Torino una squadra lucana?

E il Genoa?

E il Bologna?

E, perchè no, la Pro Vercelli?

Ho voluto puntualizzare solo questo particolare perchè rende ridicolo tutto il resto.
Ma soprattutto la vendita singola dei diritti televisivi c'è dal 99.. e non è che negli anni prima gli scudetti li vincessero le "piccole".

Deto ciò, sono d'accordo che si deve giungere ad un compromeso.. se non altro istituire un sistema meritorio tipo Premier League o F1..
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Old 17-01-2006, 11:14   #6
ferste
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L'Avatar di ferste
 
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Originariamente inviato da badedas

Ho voluto puntualizzare solo questo particolare perchè rende ridicolo tutto il resto.
Giudizio migliore non si poteva esprimere.........
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Old 17-01-2006, 11:16   #7
Cippermerlo HJS
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Città: Castelfranco Veneto (TV)
Messaggi: 4207
mi sembra pura demagogia

in 102 anni di campionato, 28 li ha vinti la juve, 17 il milan, 13 l'inter... fa + della metà, non è il trend degli ultimi anni, è sempre stato così

se togliamo la preistoria e parliamo solo dei campionati a girone unico (dal 29/30) su 75 campionati siamo a 26 juve, 15 milan, 11 inter, totale 52, + dei 2/3
aggiungendo bologna (5) e torino (6), 63 campionati su 75 sono stati vinti da 5 squadre, gli altri 12 spartiti da 7 squadre....

ergo direi che non è esattamente un problema degli ultimi anni se vincono sempre le 3 grandi
i soldi hanno aumentato il divario rendendo quasi impossibili exploit (come il cagliari o il verona e cmq sono stati 2 casi in tutta la storia dei campionati a girone unico) o la formazione di squadre competitive che non siano le grandi solite (oltre a torino e bologna, che cmq hanno vissuto la loro era dorata in un altro calcio, pure samp, lazio, roma e fiore hanno costruito ottime squadre capaci di lasciare il segno + anni e di vincere anche in campo internazionale, napoli caso a parte visto che aveva un certo giocatorino che stravolge qualsiasi equilibrio) ma non è detto che una squadra con poche risorse non possa fare bene (chi ha detto Livorno?)

tutto il resto è fuffa imho.... non si risolve il problema della violenza lasciando i tifosi a casa, nè il problema dei vivai impedendo agli stranieri di giocare in italia (anacronistico, poi non siamo nell'europa?) per non parlare dell'idea dei giocatori in regione... e gli italiani nati all'estero (non i naturalizzati....) che fanno? un team a parte?

sui diritti TV vabbè è stato uno schifo quello successo in parlamento, si deve arrivare alla soluzione comune...... è che chiunque guarda solo al proprio orto in italia
sull'idea di applicare il modello spagnolo (società in mano ai tifosi) potrebbe essere carino ma
1) vai a spiegare tu ai tifosi che devono pagare i debiti che un AD ha fatto per far vincere la squadra come volevano gli stessi tifosi
2) come si fa a stabilire chi è appassionato e tecnico e può quindi far parte del pacchetto di controllo di una società?
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Old 20-01-2006, 15:02   #8
Adric
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Quando il calcio è marketing, sprofonda

STADI SEMIVUOTI, LA PAY-TV NON DECOLLA, BILANCI ROSSI
Quando il calcio è marketing, sprofonda

di Orlando Sacchelli

Che il calcio italiano sia in crisi ci vuole poco a capirlo. Il problema è che questo discorso viene fatto da anni e le cose, anziché migliorare, peggiorano sempre più. Sembra quasi che non ci sia la volontà di porre rimedio a una situazione che, per certi versi, ha del paradossale.
Il mondo del pallone, infatti, non si regge sulle proprie gambe: lo si evince a chiare lettere da un’inchiesta pubblicata ieri su Il Sole 24Ore sulla base di dati elaborati dalla Lega calcio. Nel girone di andata la serie A ha fatto registrare una media di 21.892 spettatori a partita (abbonati compresi). Continuando con questo ritmo a fine stagione si dovrebbe chiudere con un deficit negativo pari a 1,2 milioni di spettatori. Il Belpaese è fanalino di coda rispetto agli altri paesi europei: in Germania si ha una media di 37 mila spettatori a gara, mentre in Inghilterra si viaggia intorno ai 33.900 e in Spagna siamo a quota 27.800.
A incidere su questi dati - negativi comunque li si guardi - sono il prezzo dei biglietti, lo scarso comfort degli stadi e, inutile nasconderlo, il calcio in tv. È comodissimo potersi gustare le partite seduti sulla poltrona di casa, evitando il traffico, i problemi di parcheggio il freddo (o il caldo, a seconda delle stagioni) e gli stupidi che si lasciano andare alla violenza. Se poi a questi fattori aggiungiamo, quest’anno, il piccolo dettaglio che, a metà del campionato, i giochi per lo scudetto sembrano quasi fatti (salvo clamorosi sbandamenti della Juventus), alla crisi del “pallone nostrano” sembra non esservi rimedio. A conferma del fatto che i campionati “uccisi” con troppo anticipo dalle grandi siano poco attraenti per il pubblico, c’è il record storico fatto registrare nella stagione 1984-85, l’anno in cui ad aggiudicarsi il tricolore fu l’Hellas Verona di Osvaldo Bagnoli; al secondo posto si piazzò il Torino mentre sul terzo gradino del podio finì l’Inter, con Milan e Juventus rispettivamente al quinto e sesto posto. Quel campionato di 21 anni fa catturò... ...negli stadi più di 38 mila spettatori a partita. Ma la televisione, a onor del vero, non aveva ancora fatto il proprio ingresso in pianta stabile sui campi di calcio. Il football in tv si limitava allora al Novantesimo minuto dell’indimenticato Paolo Valenti, a Dribbling e alla Domenica sportiva. Nel tardo pomeriggio, per chi aveva pazienza, c’era la possibilità di vedersi mezza partita registrata di serie A. Nient’altro.
È solo con l’avvento di Telepiù, nell’autunno del 1992, che le partite “criptate” a pagamento fecero l’ingresso, per la prima volta, nelle case degli italiani, cambiando radicalmente il modo di vivere e godere il calcio.
Con l’irrompere del pallone in tv, in tutte le salse, il fenomeno però si è decisamente inflazionato. Le rosee previsioni fatte a suo tempo da Sky non si sono avverate e lo stesso può dirsi per il digitale terrestre. Non c’è stata la corsa ad accaparrarsi parabole prima e decoder digitali terrestri. La diffusione di abbonamenti a Sky e di tessere ricaricabili per la tv digitale ovviamente è cresciuta, ma non come Murdoch e Pierislvio Berlusconi avrebbero sperato. Forse è esagerato parlare di “pallone sgonfio”, ma l’eccessiva esposizione mediatica può aver contribuito a determinare una crisi di rigetto da parte del pubblico.
Comunque sia, gran parte dei bilanci delle squadre di calcio di serie A si regge sui ricavi derivanti dai diritti tv, che incidono per circa il 60% sul totale delle entrate. La Juventus campione d’Italia l’anno scorso ha raggranellato, tra abbonamenti e biglietti, qualcosa come 22,7 milioni di euro, un sesto circa dei soldi ottenuti (124,3 milioni) dalle televisioni, compresi i diritti per la Champions League, meno della metà rispetto ai 57,5 milioni ottenuti dagli sponsor. Un bilancio, quello bianconero, che si è chiuso con quasi 230 milioni di euro di fatturato (quasi 460 miliardi di lire). I conti del Milan non si discostano di molto: dei 237,6 milioni di ricavi fatturati, solo il 15% viene dagli spettatori.
Intanto, dopo le polemiche divampate per il voto contrario di Forza Italia alla vendita collettiva dei diritti tv (per tutelare le società minori e garantire loro maggiori introiti), il ministro delle comunicazioni Mario Landolfi ha auspicato che «il mercato dei diritti televisivi non venga più disciplinato legislativamente ma attraverso una regolamentazione coerente con i principi della libera contrattazione e dell’antitrust». Tradotto dal politichese, si dia più spazio al libero mercato e al mondo del calcio di fare il proprio business, senza posizioni dominanti ma anche senza eccessivi vittimismi da parte delle piccole squadre. Da che mondo è mondo, infatti, ci saranno sempre i grandi club in grado di smuovere soldi a palate, e piccole società votate solo, commercialmente parlando, al ruolo di comprimarie. Pensare di trattare tutti allo stesso modo sarebbe illogico, oltre che controproducente.
Forse però non sarebbe male iniziare a fare rispettare le regole - che esistono eccome - per tutte le squadre: questo sia per evitare disparità di trattamenti, con società sbattute nei dilettanti ed altre salvate nel limbo della serie B o C (com’è avvenuto più volte in passato), ed altre, infine, tenute per miracolo in serie A nonostante i conti non in regola, accampando motivazioni sociali oltre che di ordine pubblico. Un Paese serio non dovrebbe permettere prese in giro così macroscopiche. Non vi dovrebbero essere decreti “spalmadebiti” e mezzucci trovati alla bell’e meglio per rendere bianco ciò che è nero. Rendere più “tollerabili” gli ingaggi dei calciatori ovviamente contribuirebbe, e non poco, a mettere in salvo il pallone nostrano. Lo si potrebbe fare non con divieti demagogici (ognuno può spendere i soldi come meglio crede) ma puntando, ad esempio, sul tetto salariale, il “salary cap” che negli Usa ha salvato più di una volta lo sport professionistico. Ma se si pensa a nuove regole da introdurre non si può fare a meno di osservare che, intanto, si dovrebbe cominciare a rispettare quelle che già ci sono.

[Data pubblicazione: 20/01/2006]
(La Padania)
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