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27-11-2008, 23:19 | #61 | |
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cosa accadrà in futuro, sia nei mercati finanziari che nell'economia reale è difficile a prevedersi, poiche in situazione di crisi tutto dipende da quello che i governi e le bc decideranno di fare, per dire se domani la cina decide di immettere in circolazione 500 miliardi di euro le previsioni di oggi sono carta straccia.... per ora c'è stata immissione di liquidità con conseguente taglio dei tassi... questo dovrebbe portare inflazione nel prossimo periodo... se poi la bce vorrà rispettare il suo mandato anche in questa situazione una volta che la situazione si sarà ristabilizzata riprenderà il controllo dell'inflazione e per pareggiare l'alta inflazione che ci sarà a breve dovrebbe dare una stretta monetaria, ma qua si va gia a previsioni un po troppo distanti (cioè diversi anni in avanti)...
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28-11-2008, 14:05 | #62 |
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intendi i suoi interessi privati? beh allora il mandato lo "rispetta" da sempre
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28-11-2008, 14:05 | #63 |
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Quale prezzo per salvare UBS?
Alfonso Tuor Oggi (ieri ndr) a Lucerna si consuma un altro atto del dramma di UBS, che si protrae ormai da circa un anno. Gli azionisti della maggiore banca svizzera si riuniscono per la quarta volta in questo 2008 per approvare il prestito convertibile di 6 miliardi di franchi della Confederazione e per discutere (ma non votare) il nuovo sistema di remunerazione dei manager. Come noto, i soldi della Confederazione verranno usati per costituire un «veicolo speciale di investimento» (in realtà un «fondo spazzatura») che riceverà dalla Banca Nazionale un prestito di 54 miliardi di dollari (circa 65 miliardi di franchi) al costo del tasso Libor più 250 punti base per acquistare i titoli tossici di UBS. L’approvazione odierna degli azionisti è scontata, anche perché non vi sono alternative. Più vivace sarà invece la discussione sulla remunerazione dei manager e sul modo in cui il Consiglio di Amministrazione e il top management stanno gestendo questa grave crisi. Prima di entrare nel merito di queste questioni, occorre fare una premessa. Le vicende degli ultimi mesi hanno messo in luce che vi sono due UBS. La prima è quella che opera in Svizzera, il cui nucleo centrale è composto dalle attività commerciali (crediti alle imprese), di retail banking (rapporti con la piccola clientela) e dal settore della gestione patrimoniale. Queste attività non hanno alcuna responsabilità per le attuali difficoltà dell’istituto. Anzi, continuano a macinare utili. Addirittura, in base alle nostre informazioni, il 2008 si concluderà con utili da primato per il settore commerciale. È pure evidente che quest’anno è stato «orribile» per la stragrande maggioranza dei dipendenti di UBS, impegnati a difendere l’istituto di fronte alle domande di una clientela sempre più preoccupata. Il lavoro di queste persone, che sicuramente meritano un plauso per la loro dedizione all’azienda, viene continuamente compromesso dalle colossali perdite dei loro colleghi dell’investment banking, che operano prevalentemente a New York e a Londra, con la benedizione del top management e del Consiglio di Amministrazione. Quindi, quando si scrive di UBS, ci si riferisce a questi ultimi e non ai primi, che fanno parte della schiera delle vittime (tra cui figurano anche molti clienti) delle gesta dei dirigenti. Fatta questa premessa, bisogna sottolineare che i primi ad avere sfiducia nel futuro della banca sono proprio i dirigenti attuali e passati di UBS, come Stephan Haeringer, Lawrence Weinbach, John Fraser e Raoul Weil, che non hanno sottoscritto l’ultimo aumento di capitale, o come il membro della direzione dell’istituto, Martin Hoekstra, che ha ceduto due settimane or sono 45.000 azioni di UBS o ancora il nuovo membro del CdA Marc Frey, che ha venduto tutte le azioni UBS in suo possesso (e poi ieri si è scusato sostenendo che è stato un errore). Ma c’è di più. La stessa credibilità del presidente Peter Kurer è fortemente incrinata. Le sue ricorrenti dichiarazioni, secondo le quali i problemi di UBS sono stati risolti, vengono costantemente smentite dai fatti. Ieri la direzione di UBS ha addirittura smentito il direttore della Commissione federale delle banche, che domenica scorsa aveva affermato che non si può escludere la necessità di un nuovo intervento della Confederazione per salvare l’istituto. E qui si giunge al nocciolo della questione: la mancanza di trasparenza sul reale stato di salute della banca. Non è ammissibile che Confederazione e Banca Nazionale investano complessivamente più di 70 miliardi di franchi «al buio». La stessa UBS non concederebbe mai un prestito ad un’impresa senza analizzarne attentamente il bilancio. Ciò deve preoccupare i cittadini, poiché sulla parte sana di UBS è stato costruito un enorme Hedge Fund, che ha usato e usa i mezzi propri per investire in prodotti a rischio, con una leva 50, che vuol dire che per ogni franco di capitale ve ne sono 50 presi a prestito da terzi. Una «macchina» di questo genere potrebbe mettere in ginocchio l’intero Paese. Quindi, l’equazione che viene proposta oggi, «salviamo UBS, per salvare la piazza finanziaria svizzera e per difendere l’immagine dell’intero Paese» può essere cambiata in «se è chiaro chi difende UBS, non è invece chiaro chi difende gli interessi della Svizzera e dei suoi cittadini». Non si possono quindi eludere alcune domande. Quante risorse pubbliche saranno ancora necessarie per salvare UBS? La Svizzera, ossia la Confederazione insieme con la nostra banca centrale, dispone di mezzi sufficienti per salvare UBS ed eventuali altri istituti in crisi? Rimarrebbero ancora mezzi finanziari per rilanciare l’economia elvetica, che l’anno prossimo comincerà a risentire della crisi internazionale? Infine, chi e come pagherà il costo di questi salvataggi? Queste domande non sono eludibili, ancor più oggi, poiché anche negli Stati Uniti ci si comincia a chiedere se è possibile salvare l’intero sistema bancario, ponendosi una semplice ed efficace domanda in riferimento al salvataggio di Citigroup, il cui costo supera i 300 miliardi di dollari, e al piano di 800 miliardi anunciato martedì dalla banca centrale americana: «Se oggi è chiaro che la Federal Reserve e il Tesoro stanno sostenendo il sistema finanziario, chi sostiene gli Stati Uniti?»
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28-11-2008, 14:17 | #64 | |
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se sei uno di quei fanatici che crede nel signoraggio e nella cospirazione delle bc non ho voglia di starmi a ripetere, cerca il mio post in cui spiego che sono tutte cretinate!!
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28-11-2008, 14:24 | #65 | |
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un ente privato che fa interessi pubblici...mah...quale sarebbe questo post?
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28-11-2008, 14:49 | #66 |
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scusa per il fanatico, cmq ti ho chiesto se lo sei non ho detto che lo sei ... ora ti cerco dove spiegavo perche secondo la letteratura economica che va per la maggiore è meglio che sia un ente privato e le persone elette agiscano a titolo personale
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29-11-2008, 09:40 | #67 |
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02-12-2008, 20:24 | #68 | |
Bannato
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Quote:
Tu vo fà l'ammerikano Spiegami una cosa: L'indice che hai postato è deflazionato o no? Come mai in certi anni si può notare un P/E negativo? Non per essere pignolo, ma il tuo grafico in ogni caso riguarda l'andamento del mercato azionario S&P e non quello del nostro Paese (che è come paragonare una Ferrari ad una Bianchina ). Ti ricordi il "black monday" del 87? Dal 19 ottobre di quell'anno a fine mese i mercati azionari di Hong Kong scesero del 45%, L'Italia del 41%, Francia e Spagna non me lo ricordo, ma mi ricordo che negli stati Uniti il calo fu di "soli" 23 punti percentuali. A me sembra alquanto fuori luogo considerando inoltre che, fino a pochi anni fa, era irrisorio il numero degli investitori italiani che "operavano" assiduamente ed in modo continuativo in quel mercato Non che oggi siano moltissimi... e comunque sono pochi i nostri connazionali che si rivolgono agli Etf dedicati al mercato americano rispetto a quelli che puntano su poche o singole azioni. Per ciò, mi sembra più corretto prendere in considerazione l'andamento della Borsa italiana per non fare paragoni azzardati. Mi ripeto: Tu faresti o consiglieresti un "investimento" a lungo scadenza in azioni che per loro natura sono considerate un investimento ad alto rischio?! Perchè non è meglio mettere dei paletti invece di lasiare tutto in balia del tempo? O pensi che, per esempio, chi ha Tiscali in portafoglio a 900-1000 euro per azione, aspettando 30 anni ci guadagni oppure ritorni alla pari?! |
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02-12-2008, 20:27 | #69 |
Bannato
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Aggiungo una conisderazione:
dalle azioni ci si dovrebbe attendere un rendimento positivo tale che l’investitore sia "compensato" del rischio che si assume. In percentuale, il "risk premium" si può quantificare al di sopra del 3% di differenziale. Ed il mercato azionario italiano, storicamente non ha mantenuto questo livello neanche verso chi ha investito anche i dividendi... |
02-12-2008, 20:42 | #70 | |
Bannato
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Quote:
Per le previsioni inerenti al 2009, ho aperto un thread specifico. Sarebbe gradita, sempre che tu abbia tempo e voglia, una tua previsione dettagliata a riguardo. |
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13-12-2008, 11:42 | #71 |
Bannato
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La crisi non frena le carte di credito
October, 21st La crisi economica non frena l’interesse degli italiani verso le carte di credito. Secondo gli ultimi dati pubblicati da Cartasi - che detiene il 31% del mercato nazionale - nei mesi di luglio e agosto, la spesa attraverso la moneta di plastica è cresciuta del 4,5% rispetto alla media degli ultimi dodici mesi. Dalla rilevazioni, emerge anche una mappatura delle mete privilegiate fuori dai confini italiani: si scopre così che la Gran Bretagna è il paese preferito dai vacanzieri italiani, ma gli Stati Uniti hanno il primato della crescita, grazie soprattutto al cambio favorevole con il dollaro. Intanto, dagli Stati Uniti arriva un nuovo allarme: dopo l’immobiliare e il finanziario, la prossima bolla a scoppiare potrebbe essere quella delle carte di credito. I principali emitenti sono, infatti, allarmati dalla crescita consistente di insolvenze negli ultimi mesi. Uno scenario che non dovrebbe riguardare il nostro paese: a dispetto di una crescita boom negli ultimi anni, l’utilizzo delle carte di credito in Italia resta, infatti, ai liveli più bassi del Vecchio Continente. http://www.insoldoni.it/2008/10/la-c...te-di-credito/ |
17-12-2008, 10:04 | #72 |
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LA CRISI PEGGIORA, NON SI RIESCE A TURARE LE FALLE
di *Alfonso Tuor Nonostante i capitali e le garanzie statali, le banche stringono l’accesso al credito di imprese e famiglie. La crisi, all’inizio limitata al mercato interbancario, si è estesa al monetario, ai finanziamenti a breve e anche al mercato dei capitali. *Alfonso Tuor e' il direttore del Corriere del Ticino. Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell' autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente. (WSI) – Siamo prossimi ad una nuova fase di dirompente attività della crisi finanziaria. L’avvio di questa nuova eruzione vulcanica è dato dall’inimmaginabile rapidità e profondità della contrazione dell’economia mondiale, che ha investito in pieno anche Paesi ad alta crescita, come India e Cina, e dalla crisi del mercato dei capitali. Quest’ultima verrà ulteriormente acuita dalla decisione del Senato americano di negare gli aiuti alle tre case automobilistiche di Detroit, che però verranno temporaneamente salvate grazie all’intervento del Tesoro. L’accelerazione dei tempi della crisi induce a ritenere che non saranno più rinviabili scelte dolorose che intaccheranno la vita di tutti noi. La nuova miscela esplosiva di questa crisi è data dalla combinazione di una rapida e forte contrazione delle vendite delle imprese industriali e dei ricavi delle società attive nel settore dei servizi, da una parte, e dell’insostenibile aumento del costo del credito o in alcuni casi della completa chiusura dell’accesso al credito di molte società. Questa miscela, che è una peculiarità dello scoppio di qualsiasi bolla del credito, fa sì che imprese ritenute fino a poco tempo fa sane e quindi immuni da eccessivi pericoli vengano risucchiate nel vortice della crisi. Un esempio serve a chiarire questo processo: la tedesca Daimler, che risente del crollo delle vendite di automobili, ha potuto raccogliere lo scorso primo dicembre 1 miliardo di euro per tre anni solo emettendo obbligazioni con rendimenti di 600 punti base superiori al tasso Libor, ossia ha dovuto pagare 20 volte quello che pagava nel 2005. Questa esplosione dei costi di finanziamento non riguarda solo le case automobilistiche ed è dovuta non solo alla crescente avversione al rischio degli investitori, ma anche alle garanzie statali offerte dagli Stati europei sulle obbligazioni emesse dalle banche. Questa grave distorsione dei meccanismi di funzionamento del mercato dei capitali ha conseguenze gravissime: sul mercato dei capitali le banche, anche sull’orlo della bancarotta, hanno costi di rifinanziamento inferiori alle imprese industriali. Un esempio può essere utile per chiarire questo punto: giovedì 4 dicembre il colosso bancario americano Citigroup, recentemente salvato da Washington e che usufruisce della garanzia statale, ha potuto raccogliere 3,75 miliardi di dollari per tre anni grazie all’emissione di obbligazioni valutate dalle società di rating con la tripla A (che sta ad indicare titoli emessi da società giudicate a minore rischio di fallimento) offrendo un rendimento inferiore al 3%. Gli interventi statali delle ultime settimane determinano un duplice paradosso: gli aiuti alle banche non solo non hanno riaperto l’accesso delle imprese al credito e hanno contribuito a rendere più elevato il costo del finanziamento delle società industriali sul mercato dei capitali, ma stanno anche cominciando ad erodere la credibilità degli stessi titoli con cui gli Stati si finanziano. Questo fenomeno si manifesta finora soprattutto in modo indiretto attraverso il tasso di cambio, che colpisce in particolare i Paesi indebitati con l’estero. L’esempio sotto gli occhi di tutti è la caduta del tasso di cambio della lira sterlina, che è dovuto alla crescente sfiducia sul fatto che lo Stato britannico sia in grado di attirare i capitali esteri necessari per finanziare un deficit pubblico esploso a causa degli enormi costi del salvataggio del sistema bancario inglese, del pacchetto di misure di rilancio dell’economia e della contrazione delle entrate fiscali. In Europa i primi segnali di sfiducia nei titoli di Stato si manifestano anche in modo diretto attraverso l’aumento del differenziale dei rendimenti tra le obbligazioni dello Stato tedesco e quelle di Paesi come Grecia, Portogallo ed Italia. E proprio il timore di una crisi di fiducia nei confronti dei titoli di Stato dei Paesi con debiti pubblici considerevoli ha giustamente spinto il governo tedesco a contrastare le proposte di grandi pacchetti di rilancio economico perorate da Francia e Gran Bretagna. Tutto ciò fa prevedere che le scelte dolorose non siano più rinviabili. I governi saranno presto costretti a prendere atto che è fallito il tentativo di salvare il sistema bancario. Gli interventi non sono riusciti a ricreare un clima di fiducia (le stesse banche continuano a non prestarsi i soldi tra loro), i buchi nascosti nelle pieghe dei bilanci delle grandi banche continuano ad allargarsi e sono destinati ad aumentare ancor più a causa della crescita delle insolvenze dovuta alla recessione. Inoltre, nonostante i capitali e le garanzie statali, le banche stanno stringendo l’accesso al credito da parte di imprese e famiglie, e la crisi, che all’inizio era limitata al mercato interbancario, si è estesa investendo il mercato monetario, i finanziamenti a breve delle imprese e ora anche il mercato dei capitali. Si deve purtroppo constatare il fallimento delle misure finora adottate ed evitare che si distrugga la vera ricchezza di tutti i Paesi, ossia il loro tessuto industriale. Gli Stati Uniti, che continuano ad essere l’epicentro della crisi, hanno implicitamente già riconosciuto il fallimento delle azioni finora intraprese e hanno deciso di correre il rischio del crollo del dollaro e dell’iperinflazione, stampando in grande quantità dollari per cercare di turare le falle che continuano ad aprirsi. Questa scelta appare logica e forse anche attraente per un Paese fortemente indebitato, che teme la deflazione come un disastro dal quale non riuscirebbe più a risollevarsi. L’inflazione invece ha il potere di ridurre lo stock del debito di famiglie, imprese, Stato e Paese e quindi anche di risanare il sistema bancario statunitense. Il sogno dei banchieri americani è proprio un grande incendio inflazionistico che bruci la carta straccia prodotta negli ultimi anni. Il sentiero imboccato dagli Stati Uniti, che oggi sembra in discesa, diventerà però una salita particolarmente ripida non appena asiatici ed arabi si dimostreranno riluttanti a finanziare le enormi spese americane. Il segnale d’allarme verrà quindi dato dal calo del dollaro. I Paesi europei, invece, che possono vantare conti con l’estero equilibrati e buoni tassi di risparmio delle famiglie, non dovrebbero seguire la politica americana, ma quella indicata dal governo tedesco. Berlino dice sostanzialmente che la crisi sarà lunga e non bisogna bruciare subito tutte le cartucce, anche perché non è certo che i piani di rilancio producano risultati significativi. Inoltre, sempre secondo il governo tedesco, bisogna difendere la credibilità dei titoli con cui gli Stati si finanziano, evitando di trasformare questa crisi in una devastante crisi monetaria. Questa prudenza appare condivisibile anche perché nessuno sa se c’è e quale sia la ricetta per uscire dal disastro provocato dall’oligarchia finanziaria di Wall Street e da coloro che in tutto il mondo ne hanno imitato le gesta.
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17-12-2008, 14:08 | #73 |
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FED: CONTINUA A FARE GLI STESSI ERRORI DI SEMPRE
di WSI Siamo nell'attuale drammatica situazione dell'economia, con tassi addirittura negativi rispetto all'inflazione, proprio per l'eccesso di creazione di credito causata in passato dalla Federal Reserve, e la loro soluzione e' ancora piu' credito? Inutile che la borsa festeggi con grandi rialzi la decisione della Fed. Non ha alcun senso. L'amara realta' invece, e' che la situazione economica americana e mondiale e' grave, anzi gravissima. Siamo tutti nei guai piu' neri. E il trasformare gli Stati Uniti in Giappone, non aiuta affatto. Lo straordinario passo della Federal Reserve, che ieri ha abbassato i tassi Usa a breve ad un record minimo storico assoluto, praticamente a ZERO, non ha precedenti. Non si era mai visto nulla del genere, ne' in questa generazione ne' in altre, nemmeno durante la fase di ricostruzione seguita alle devastazioni della Seconda Guerra Mondiale. E nemmeno ai tempi della Grande Depressione. Di fatto, l'attuale scenario puo' essere simbolizzato figurativamente in un detto popolare americano: "Quando tutto quel che hai e' un martello, ogni cosa somiglia a un chiodo". Il che tradotto significa: siamo nei guai, con tassi addirittura negativi rispetto all'inflazione, proprio per l'eccesso di creazione di credito causata - dal 2001 in poi - dalla Federal Reserve di Alan Greenspan, e la soluzione della Federal Reserve di Ben Bernanke e'... "ancora piu' credito"? Aiuto! Cos'altro ci puo' aspettare adesso? Intanto i problemi sistemici sul mercato monetario, come dice Goldman Sachs, si intensificheranno invece di diminuire. Ad un tasso dello 0%, sara' dura per i fondi monetari sia coprire i costi, sia dare un qualsiasi rendimento "positivo" agli investitori. Il che equivale a incoraggiare la fuga da questi fondi. Altro che "elicottero Bernanke" dell'iconografia finanziaria popolare. Inoltre, se avete conservato ancora un minimo di buon senso, c'e' da aver paura, basta guardare il grafico qui sopra.
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