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Il fattore Mangano di Marco Travaglio (Una storia italiana)
L'altro ieri Silvio Berlusconi ha dato fondo alla sua sfrenata fantasia a proposito del presunto "stalliere" e vero mafioso Vittorio Mangano. Non ha potuto fare a meno di parlarne, perchè sta per arrivare la sentenza d'appello nel processo per mafia a carico di Marcello Dell'Utri, che infatti gli stava accanto con un'espressione facciale decisamente persuasiva.
Per chi volesse conoscere, in sintesi, la vera storia di Mangano, Dell'Utri e Berlusconi, dei quali parlò il giudice Paolo Borsellino in una celebre intervista mai andata in onda a due giornalisti francesi, due giorni prima della strage di Capaci, ecco un articolo che Peter Gomez e io abbiamo pubblicato sull'Espresso del 26 dicembre 2004. Cosa nostra affari loro Gli incontri con i boss. I patti segreti. Le minacce. I pagamenti. Gli appoggi elettorali. Gli atti del processo disegnano le relazioni pericolose di Marcello Dell'Utri. di Peter Gomez e Marco Travaglio Quando in tv gli hanno chiesto: «Dottor Dell'Utri, esiste la mafia?», lui ha detto: «Le risponderò con una frase di Luciano Liggio: se esiste l'antimafia esisterà anche la mafia». Era il 1999, alla conclusione del processo di Palermo e alla sua condanna a nove anni di reclusione per concorso esterno, mancavano ancora più di 200 udienze. Ma quella trasmissione, condotta da Michele Santoro, sarebbe stata l'unica interamente dedicata allo strano caso di un uomo a suo agio sia tra i libri antichi che tra capibastone e mammasantissima di ogni ordine e grado. Eppure davanti al tribunale che ha condannato l'ideatore di Forza Italia per essere stato il referente prima finanziario e poi politico di Cosa Nostra per anni, al contrario di quello che sostengono le difese, non si è discusso di pentiti, ma di fatti. Che emergono da intercettazioni, pedinamenti, filmati, documenti e testimonianze. Di rapporti con i boss ammessi persino dall'imputato. Ecco i principali. 5 marzo 1974 Marcello Dell'Utri si dimette dalla Sicilcassa per andare a lavorare a Milano da Silvio Berlusconi. Per lui si tratta di un ritorno. Negli anni '60 aveva già allenato una squadra di calcio sponsorizzata dal futuro Cavaliere. Adesso invece è il segretario particolare di Silvio. Cura la ristutturazione della villa di Arcore e fa assumere come fattore Vittorio Mangano. Come racconterà lui stesso, Mangano, che già conosceva, gli è stato consigliato da «l'amico di una vita» Gaetano Cinà: il proprietario di una lavanderia palermitana, imparentato attraverso la moglie con i boss Stefano Bontade e Mimmo Teresi. Secondo i pentiti, le intercettazioni ambientali e il tribunale che lo ha condannato a sette anni, Cinà fa parte della famiglia mafiosa di Malaspina. Mangano quando arriva a Milano è già stato tre volte in carcere. Nel 1967 era stato pure diffidato come «persona pericolosa», poi era finito sotto inchiesta per reati che vanno dalla ricettazione alla tentata estorsione e nel 1972 era stato fermato in auto con un mafioso trafficante di droga. Ad Arcore, Mangano porta a scuola i figli di Berlusconi e cura la sicurezza della villa, liberando ogni sera sei grossi mastini napoletani. Siamo negli anni dei sequestri di persona. I pentiti sostengono che la funzione di Mangano, mafioso della famiglia di Porta Nuova, era quella di garantire Berlusconi dai rapimenti. Lo stesso Berlusconi ammette di aver trasferito la famiglia in Spagna per qualche mese, in seguito a una serie di minacce e un attentato avvenuto nella villa milanese di via Rovani nel maggio del '75. Il boss Francesco Di Carlo, un padrino di casa nel bel mondo palermitano, dice di aver partecipato a un incontro tra Bontade, Teresi, Cinà, Dell'Utri e Berlusconi al termine del quale si parlò del ruolo di Mangano. Stando a un rapporto della Digos del 1984, Mangano restò ad Arcore due anni, durante i quali fu arrestato altre due volte per scontare condanne per truffa, porto di coltello e ricettazione. Da un foglio di dimissioni dal carcere risulta che Mangano, ancora il 6 dicembre 1975, eleggeva domicilio sempre ad Arcore, in via Villa San Martino 42. Ma nonostante gli arresti, nessuno lo licenziava. In un rapporto dei Carabinieri di Arcore del 30 dicembre 1974 si legge: «Dell'Utri (...) ha chiamato Mangano pur essendo perfettamente a conoscenza (...) del suo poco corretto passato». Mangano, interrogato in aula prima della morte, avvenuta nel 2000, dirà che spesso lui e la moglie cenavano con i Berlusconi. In quei mesi, secondo i pentiti, Berlusconi comincia a versare denaro a Cosa Nostra. Un ex socio di Dell'Utri, Filippo Alberto Rapisarda, sostiene che l'intervento di Marcello servì per ridurre le pretese della mafia. Dell'Utri ammetterà di averglielo detto, ma solo per vanteria. Non saprà spiegare però perché le minacce cessarono. 1976 Mangano lascia Arcore, ma continua a gravitare su Milano. Vive all'hotel Duca di York dal quale gestirà il traffico di droga per conto della mafia. Per questo verrà arrestato nel 1980 e poi condannato. 24 ottobre 1976 Il boss Antonino Calderone festeggia il compleanno al ristorante le Colline pistoiesi di Milano. Al suo tavolo ci sono Mangano, i boss Nino e Gaetano Grado e Dell'Utri. Lo ammetterà pure Dell'Utri, anche se dirà che Mangano non gli presentò i commensali. 1977, estate-autunno Dell'Utri pensa di prendere un anno sabbatico per studiare teologia. Berlusconi infatti non lo vuole promuovere: «Era perplesso sulle mie capacità manageriali». Così si dimette e va a lavorare da Rapisarda, un imprenditore buon conoscente dei vertici di Cosa Nostra dell'epoca e proprietario dell'Inim, in quegli anni considerato il secondo gruppo immobiliare Italiano. Già nel 1987 Rapisarda sosterrà di averlo assunto perché era sponsorizzato da Cinà «uno a cui non si poteva dire di no». Nello stesso interrogatorio Rapisarda accuserà Dell'Utri di aver poi riciclato soldi di Bontade e Teresi nella Fininvest. Nonostante le pesanti affermazioni non verrà denunciato per calunnia e invece, a partire da 1988, tornerà amico di Dell'Utri. Creerà con lui quattro società immobiliari e gli presterà 2 miliardi di lire. Dell'Utri nega la sponsorizzazione di Cinà, ma ammette di aver incontrato nel '77 Rapisarda assieme a Tanino. Un giornalista amico di Cinà testimonia però che la raccomandazione ci fu. 1978-79 Dell'Utri lavora all'Inim. Ma il gruppo va in bancarotta. Rapisarda fugge latitante in Venezuela, dove è ospite dei narcos mafiosi Caruana-Cuntrera. Poi vola a Parigi utilizzando un documento intestato ad Alberto Dell'Utri, il gemello di Marcello. Nel 1997-98 da intercettazioni telefoniche disposte contro ex dipendenti di Rapisarda emergerà come all'improvviso molti di loro, in prossimità della convocazione in Procura come testimoni, abbiano ottenuto abitazioni nella berlusconiana Milano 3 (in un caso) o contratti o promesse di contratti da Pagine Utili. Per i pm è un episodio di inquinamento probatorio. 14 febbraio 1980 In un'indagine di droga viene intercettata una conversazione tra Mangano e Dell'Utri. Mangano dice di avere «un affare» da proporre. Dell'Utri: «Questi sono bei discorsi». Poi Mangano parla di un secondo affare «per il suo cavallo». Ma Dell'Utri spiega di non avere soldi e al suggerimento di chiederli «al suo principale, Silvio», risponde: «Iddu non sura» (lui non sgancia). Infine si accordano per vedersi «al solito, in via Moneta». 19 aprile1980 Si sposa a Londra Jimmy Fauci, un pregiudicato che gestisce il narcotraffico dei Caruana. Alle nozze partecipano Di Carlo e Teresi, Cinà e Dell'Utri. È lui stesso a confermarlo sostenendo però di esserci stato portato per caso da Cinà. 1983 Secondo i pentiti, l'onorata società torna a perseguitare il Cavaliere con richieste di denaro sempre più pesanti del clan Pullarà. Berlusconi, reduce da una serie di affari immobiliari in Sardegna con il faccendiere legato alla mafia Flavio Carboni, richiama Dell'Utri alla Fininvest e, nonostante il disastro del gruppo Inim, lo promuove numero uno di Publitalia. Per i pm, non ha scelta: Dell'Utri, tramite Cinà, sigla una nuova tregua con Cosa Nostra. 1986 Stando ai pentiti, Toto Riina diventato capo dei capi dopo aver fatto fuori Bontade e i suoi uomini, scopre i rapporti dei Pullarà con Dell'Utri: indispettito per non essere stato informato, li mette da parte e affida a Cinà la gestione esclusiva di quel canale. Il suo obiettivo dicharato è agganciare Bettino Craxi e dare una lezione alla Dc, non più affidabile. Nell'87 in Sicilia si verificherà un travaso di voti. 28 novembre 1986 Scoppia un'altra bomba in via Rovani. Berlusconi chiama Dell'Utri (intercettato): «È stato Mangano... una cosa > rozzissima, ma fatta con molto rispetto, quasi con affetto...». Poi dice che gli dispiacerebbe «se i carabinieri, da questa roba qui, fanno una limitazione della libertà personale a lui (Mangano)». Due giorni dopo Dell'Utri riceve la visita di Cinà e, con Tanino al fianco, chiama Silvio per rassicurarlo: «Tanino mi ha detto che (Mangano) assolutamente è proprio da escludere. Poi ti parlerò di persona». Per i pentiti l'attentato faceva parte della strategia di riavvicinamento di Riina. Altre intercettazioni rivelano che Cinà da quel giorno è spesso a Milano e che per il Natale regala una cassata di 12 chili a Berlusconi. I buoni rapporti Fininvest-mafia sono poi confermati, per i pm, da un'agenda, sequestrata alla famiglia mafiosa di San Lorenzo, in cui i boss tenevano i conti. Accanto alla voce Canale 5 compare una cifra e la dicitura «regalo». La mafia però non si accontenta. Punta a Craxi, non ai soldi. 17 febbraio 1988 Berlusconi chiama l'immobiliarista Renato Della Valle (intercettato): «Devo mandare via i miei figli perché mi hanno fatto delle estorsioni in maniera brutta. Una cosa che mi è capitata altre volte, dieci anni fa (...) siccome mi han detto che, se entro una certa data, sei giorni, non faccio una roba, mi consegnano la testa di mio figlio ed espongono il corpo in piazza del Duomo, allora ho deciso: li mando in America». Che cosa doveva fare Berlusconi? Perché non denunciò l'accaduto? Impossibile saperlo: il premier in tribunale si avvarrà della facoltà di non rispondere. 1990, gennaio-febbraio Il gruppo torna nel mirino. A Catania avvengono una serie di attentati contro la Standa (Fininvest) e Rinascente (Fiat). La Fiat ammetterà di aver pagato per farli cessare. La Fininvest invece nega e non si costituirà parte civile al processo. Per i pm, il vero obiettivo è sempre avvicinare Craxi. Vari pentiti e un teste dicono che Dell'Utri incontrò i boss Salvatore Tuccio e Nitto Santapaola per accordarsi. E a partire da quel periodo Dell'Utri risulta volare spessissimo a Catania. 1991 Mangano esce di prigione. Vuole riprendere in esclusiva il legame con Dell'Utri. Ma Riina invia il boss Totò Cancemi a dirgli di farsi da parte. Dice Cancemi: «Dell'Utri inviava 200 milioni all'anno a Cinà, che tramite (i boss) Di Napoli e Ganci li dava a Riina, che li smistava alle famiglie». 1992, gennaio-febbraio Vincenzo Garraffa, senatore Pri e presidente della Pallacanestro Trapani, riceve la visita del capomafia Vincenzo Virga. «Mi manda Marcello», spiega Virga venuto a reclamare 700 milioni per conto di Dell'Utri. Nel maggio 2004 il fatto è stato accertato dal Tribunale di Milano. Dell'Utri e Virga sono stati condannati a due anni per tentata estorsione. 1992, maggio-giugno L'ex dc Ezio Cartotto (sentito come teste) è ingaggiato in segreto da Dell'Utri per studiare un'iniziativa politica in previsione del crollo dei partiti amici a causa di Tangentopoli. 15 gennaio 1993 Arresto di Riina. La mafia, coi vecchi referenti politici alle corde (compreso l'agognato Craxi), pensa di fondare il partito Sicilia Libera, con i cui esponenti (risulta da agende e tabulati telefonici) Dell'Utri è in contatto. 1993, estate Bernardo Provenzano, secondo il boss Nino Giuffrè, abbondona l'idea di Sicilia Libera e stringe un patto elettorale con Dell'Utri: fine delle stragi in cambio dell'alleggerimento delle indagini, del 41 bis, e di una nuova legge sui pentiti. 12 luglio 1993 Berlusconi, racconta l'ex condirettore de "il Giornale" Federico Orlando, faxa un decalogo con la "linea" da seguire. Uno dei punti forti è l'attacco ai pentiti e al reato di associazione mafiosa. 1993, novembre Mentre Berlusconi crea Forza Italia, Dell'Utri vede Mangano a Milano (risulta dalle agende del senatore). Con l'arresto di Riina l'ostracismo nei suoi confronti è caduto. Mangano anzi è stato promosso capofamiglia di Porta Nuova. Verrà presto riarrestato e condannato all'ergastolo per omicidio e mafia. 31 dicembre 1998 Dell'Utri viene filmato dalla Dia mentre incontra un collaboratore di giustizia messinese, Pino Chiofalo, organizzatore di un complotto per screditare i pentiti che accusano il senatore e i boss. Nel film lo si vede mentre gli consegna dei regali. Chiofalo, arrestato, confessa: «Dell'Utri promise di farmi ricco». 1999 Dell'Utri si candida alle europee. Una microspia capta la voce di uno stretto collaboratore di Provenzano, Carmelo Amato, mentre raccomanda più volte ai picciotti di votarlo. Per esempio il 22 maggio: «Ora a questo si deve portare in Europa: Dell'Utri. Sì, qua già si stanno preparando i cristiani (i mafiosi, ndr)». Anche Cinà, chiamato "zio Tano", viene intercettato. E addirittura ammette di essere un uomo d'onore: «Carmelo, vedi che io sono combinato (mafioso ndr) come te», dice. 13 maggio 2001 Dell'Utri viene rieletto. Nelle intercettazioni in casa del boss Giuseppe Guttadauro si sente il capomafia dire: «Con Dell'Utri bisogna parlare», anche se «alle elezioni del '99 ha preso degli impegni, e poi non s'è fatto più vedere». Poi Guttadauro aggiunge che Dell'Utri si era accordato di persona con Gioacchino Capizzi, l'anziano capomandamento della Guadagna, lo stesso clan di cui facevano un tempo parte Bontade, Teresi e i fratelli Pullarà. Per Dell'Utri è il passato che ritorna. Anzi che non se ne è mai andato. |
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#2 |
Senior Member
Iscritto dal: Jul 2000
Città: La città più brutta della Toscana: Prato
Messaggi: 6711
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e che problema c'è? al loro posto chi non avrebbe sfruttato quelle conoscenze?
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#3 |
Senior Member
Iscritto dal: Mar 2004
Città: palermo
Messaggi: 717
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http://www.repubblica.it/online/cron...tto/patto.html
Sotto il profilo giudiziario l'interrogatorio non offre spunti Ma politicamente la ricostruzione - se autentica - è micidiale Giuffrè, gli obiettivi della confessione di GIUSEPPE D'AVANZO ANTONINO Giuffrè, il mafioso che è stato definito (a torto o a ragione) il braccio destro di Bernardo Provenzano, ricostruisce con toni gelidi la storia di "un patto" tra la nascente Forza Italia e la Cosa Nostra dei Corleonesi. Si è sempre pensato che quel rapporto, già nelle "carte" del processo Dell'Utri, fosse stato condotto da mediatori discreti. Giuffrè liquida questa convinzione e svela di peggio: quel rapporto tra la Mafia e Berlusconi era diretto. Dice Giuffrè: "Chiesi a Carlo Greco se, di queste persone che hanno "i contatti", ci si potesse fidare; insomma, se erano persone serie". "Carlo Greco mi rispose che non c'erano problemi perché erano persone che fanno quello che noi ci diciamo". I nomi: i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano della "famiglia" di Brancaccio, il loro "prestanome", Gianni Jenna. I procuratori chiedono: "I Graviano e Jenna avrebbero fatto da tramite con altre persone?". Giuffrè li interrompe e chiarisce: "Con Berlusconi, direttamente". "Direttamente?", chiedono increduli i pubblici ministeri. "Direttamente", ripete il mafioso. Siamo tra settembre e ottobre del 1993. È dalla primavera che dentro Cosa Nostra è diffusa la convinzione di dover cercare nuovi e affidabili referenti politici. Niente a che fare con i "soliti noti" della Prima Repubblica, quelli che alla fine hanno avuto paura e hanno voltato le spalle alla Mafia. Ci vogliono "uomini nuovi" in un nuovo partito. Quel matto di Leoluca Bagarella pensa di fare da solo. Progetta, e per qualche tempo realizza, l'idea di fondare un partito. Lo chiama "Sicilia Libera", è il formato fotocopia, al Sud, della Lega Nord. L'idea non sta in piedi. Troppi uomini d'onore si muovono dietro quella sigla. Prima di nascere come partito, "Sicilia libera" è già inchiesta giudiziaria. Bernardo Provenzano non è un fesso. Non crede in quell'iniziativa e appare a Giuffrè sereno e molto informato di quel che si muove in un'altra parte d'Italia. Il Capo dei Capi, ora che Riina è in galera, può contare su tre promettenti canali, a credere in Giuffrè. Il primo scorre da Agrigento e Sciacca verso Milano e si muove da Giovanni Brusca e Salvatore Di Ganci fino a un avvocato già noto alle cronache, Massimo Maria Berruti (già ufficiale della Guardia di Finanza, collaboratore di Berlusconi, ora onorevole di Forza Italia). Il secondo canale arriva fino a Marcello Dell'Utri attraverso Vittorio Mangano, "stalliere" di Arcore. Il terzo è in appalto ai "palermitani" di Brancaccio, i fratelli Graviano, appunto. Tutte le strade, dice sorprendentemente Giuffrè, giungono a Silvio Berlusconi, "una persona abbastanza capace di poter portare avanti, diciamo, un pochino le sorti dell'Italia". Lungo questi canali "diretti", Provenzano propone a Milano quelle che chiama "le domande" di Cosa Nostra. Spiega Giuffrè: "Interessava il discorso dei carcerati, il 41bis... Abbiamo il problema della revisione dei processi, abbiamo il problema dei pentiti, abbiamo il problema dei sequestri dei beni e sono i discorsi più importanti. Ne resta ancora uno, un certo alleggerimento della magistratura nei confronti degli imputati, nelle condanne diciamo, questa impunità di cui avevamo in precedenza parlato: associazione mafiosa sì, ma niente ergastoli". Nella direzione opposta, da Milano a Palermo, arrivano presto le "risposte" e sono buone, sono così positive da creare "euforia" e "ottimismo" tra gli "uomini d'onore". Provenzano conferma a Giuffrè la buona novella: "Amu a vutare Forza Italia". Naturalmente, chiarisce il Capo dei Capi, ci sono garanzie da offrire al potere politico. Niente più stragi, ammazzamenti, clamore. Le cose devono filare lisce come olio. Mai più a braccetto con i candidati alle elezioni. Quelli devono essere lasciati in pace, guidati nell'ombra e a distanza, per non "sporcarli", per non metterli "sotto scacco" della magistratura. Così, conclude Giuffrè, "ci siamo ufficialmente imbarcati sulla barca di Forza Italia". Provenzano raffredda l'entusiasmo dei suoi. Dice loro che "bisogna avere pazienza", che i "problemi di Cosa Nostra sono macigni più che problemi" e per rimuoverli ci vorranno "dieci anni". Se Giuffrè non conta frottole, a ottobre del 2002 è cominciato l'ultimo anno del "patto". Se Giuffrè non conta frottole, si comprende perché in questi ultimi mesi i Capi di Cosa Nostra sono in fibrillazione. Bagarella conciona dalla cella che "non sono stati mantenuti i patti". I Graviano, giusto loro, fanno sapere dal carcere di Novara che gli avvocati di Palermo assisi ora agli scranni del Parlamento battono la fiacca e, dopo tante chiacchiere, non concludono alcun fatto. Se si fanno i conti, Cosa Nostra non ha ottenuto nulla. Non la revisione dei processi, non il dissequestro dei beni, appena appena un'altra legge per i pentiti che non può compensare la volontà di trasformare in legge (già approvata al Senato) il carcere duro (41 bis). Viene dunque da chiedersi se il "pentimento" di Antonio Giuffrè non faccia parte di questa strategia che consiglia a Cosa Nostra di esigere il rispetto del "patto" firmato nove anni fa. Proviamo a sondare questa ipotesi. Da un punto di vista politico la ricostruzione di Antonio Giuffrè è micidiale, se autentica. Tutti gli sparsi tasselli di questi anni vanno al posto giusto. Svelano, confermando con l'autorevolezza di un collaboratore di Provenzano, un intreccio che già si poteva intuire. Era un mistero quella Mafia quieta che, con lo "stato maggiore" in galera, se ne stava zitta e buona. Qualcosa doveva aspettare e infatti, spiega Giuffrè, qualcosa sta aspettando. Attende con fastidio. In carcere borbottano che "Iddu pensa solu a iddu" (lo scrivono i servizi segreti) quando in rapida sequenza i mafiosi vedono approvare dal Parlamento leggi di interesse berlusconiano (falso in bilancio, rogatorie, legittimo sospetto), ma Provenzano l'aveva detto: "Bisognerà avere pazienza". Il racconto politico di Giuffrè interpella direttamente Berlusconi. Lo interpella dinanzi all'opinione pubblica e, davanti a quel giudizio, non è permesso "avvalersi della facoltà di non rispondere". Altro esito ha il discorso giudiziario. Nelle ottanta pagine dell'interrogatorio dell'otto novembre, Giuffrè non offre alcun appiglio investigativo. Se si escludono i nomi dei canali siciliano-milanesi, non c'è un luogo, una data, una circostanza, una fonte neutra da vagliare o interpellare. Nessuna maniglia per aprire la porta a solidi riscontri. Se la sostanza giudiziaria è tutta qui, non si riesce a capire come i procuratori di Palermo potranno mettere insieme un atto di accusa. L'asimmetria tra la gravità delle accuse politiche e la fragilità del loro fondamento istruttorio (per quel che se ne sa, oggi) riporta a galla un interrogativo che, fin dal primo giorno, accompagna la defezione di Antonino Giuffrè: e se il mafioso fosse stato spedito "oltre le linee" per completare il piano di ristrutturazione della Nuova Cosa Nostra? Seguiamo il filo di una possibile risposta. Antonio Giuffrè si consegna senza un'apparente, personale necessità in una caserma dei carabinieri. Con i pubblici ministeri, è un fiume in piena, ascoltato con interesse (mai mafioso del suo prestigio ha "cantato" la storia recente della mafia). Mentre il Parlamento sta per approvare definitivamente il carcere duro per i mafiosi chiudendo per sempre in una cella la vecchia guardia (Riina, Bagarella, i Graviano, Aglieri, Madonia, Santapaola), egli si incarica di concludere due operazioni. La prima, lanciare segnali di minaccioso ricatto a Silvio Berlusconi e all'intero ceto che in Sicilia e a Roma ha stretto il "patto di scambio politico". Secondo obiettivo: liquidare l'intera rete di mediatori, collusi, conniventi, avvocati dal gioco doppio, banchieri e imprenditori "in odor di mafia", prestanomi e colletti bianchi mascariati dalle inchieste. Via tutti, che ormai sono dei pesi morti, inutili alla bisogna di ricreare l'invasiva, consueta rete di potere. Gli "uomini nuovi", come li chiama Giuffrè, sono già al lavoro e nessuno conosce i loro nomi e la loro attività. Quale che siano l'attendibilità del racconto e la volontà del narratore, converrà attendere ancora per valutare se la moneta di Giuffrè è contraffatta. (4 dicembre 2002) ********************************************************** Chiaramente non costituisce nè prova nè certezza, ma tra tutte le chiacchiere che dobbiamo sorbirci, questa merita di essere diffusa.
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"grazie a dio sono ateo" (L. Bunuel) - il sonno della ragione genera mostri Ciao Zero ![]() Ultima modifica di joesun : 19-11-2007 alle 18:47. |
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#4 |
Bannato
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Città: LA CITTA' PLURI-CAMPIONE D'ITALIA!
Messaggi: 5903
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http://www.fisicamente.net/archiviazione_berlusconi.pdf
Terreno pericoloso questo...tante cose sn ovvie e sotto intese,anche di una pesantezza disaramente..il problema è saperle,non tanto dimostrarle..Cmq mi sembra che l'argomento sia troppo vasto. Di cosa vogliamo parlare in particolare?? Mangano ad Arcore? Riina che sostituisce Mangano con Cinà ? Provenzano che dice che cosa nostra è stata "presa per la manina" (dichiarazioni di cancem) nel compiere le stragi? Oppure di Rapisardi-Ciancimino-Dell'utri e dellAlamia ? Se poi vogliamo andare sul pensate possiamo non citare i rapporti tra i graviano-madonia e il senatore dell'utri?? O forse il tentativo di falsi pentiti ordita da Dell'utri ? |
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#5 |
Senior Member
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Città: AnTuDo ---------- Messaggi Totali: 10196
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Generalemnte, in tutti i paesi cosidetti avanzati.. la legge cura le anomalie..
in italia.. le anomalie curano la legge...
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“ Fiat iustitia, et pereat mundus”-המעז מנצח - ![]() |
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#6 |
Junior Member
Iscritto dal: Sep 2006
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ma qualcuno sà quando inizia sto benedetto processo di Appello a Dell'Utri?
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#7 | |
Bannato
Iscritto dal: Sep 2002
Città: LA CITTA' PLURI-CAMPIONE D'ITALIA!
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Una notizia a riguardo ik dibattimento in corso ![]() http://newscontrol.repubblica.it/ite...r-summit-mafia Marcello Dell’Utri potrebbe essere andato a Como, a bordo di un elicottero “prestatogli” da Silvio Berlusconi, a incontrare un capomafia. ![]() |
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#8 |
Senior Member
Iscritto dal: Jun 2004
Messaggi: 383
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Comincio a nutrire qualche flebile sospetto sulla integrità del cavaliere
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#9 |
Senior Member
Iscritto dal: Sep 2005
Città: 127.0.0.1
Messaggi: 3321
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L'altro giorno ho scoperto che se metto una pentola d'acqua sopra il fuoco, essa si scalda.
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#10 | |
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GIUSTIZIALISTA ! FORCAIOLO ! ![]()
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#12 |
Senior Member
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secondo me ne esce sicuramente meglio di quello che ci si potrebbe aspettare.
parlo del berlusca. alla fine si è rivolto alle istituzioni "alternative" nella latitanza di quelle ordinarie. ecco, magari fa la figura del cacasotto. |
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#13 | |
Bannato
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PS: Jakari leggiti tutta la storia di berlusca-dell'utri-mangano-cinà-riina-provenzano e poi mi dirai chi ha usato chi o magari quanto fossero tutti e 6 d'accordo tra di loro.... d'altronde si sa,mr b e dell'utri ernao nelle mani di cosa nostra... |
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#14 |
Junior Member
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Berlusconi era in reatà lo stalliere di Mangano.
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Io dormo con gli occhi aperti perchè scrivo il vero e chi lo fa troppo spesso va a dormire con i vermi. |
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#15 |
Senior Member
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Messaggi: 1009
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l'hai detto...a Riina si attribuisce (era il '94) questa frase "a quello lo tengo per le palle", riferito al berlusca...vera o meno che sia, io sono convintissimo che il Berlusca sia solo un burattino, non certo il puparo...del resto basta guardare alle sue vicende per rendersene conto.
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#16 | |
Bannato
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Il fatto di essere stato sempre circondato da uno come dell'utri,amico intimo di Mangano,Cinà,Graviano,Stefano Bontade e si dice abbia conosciuto anche riina provenzano e inzerillo;non ha fatto altro che facilitare un processo malavitoso legato intersecamente alla mafai. Cosa nostra cerca sempre referenti politici ma cerca anche imprendiktori capaci di riciclare somme di denaro esorbitanti. Ricordiamoci poi che l'antennista galliani,quando piazza le reti in sicilia x mediaset,pagava i boss locali somme ingenti. Berlusconi nel corso degli anni è passato da una situazione di grave crisi delle sue aziende a guadagni esorbitanti.Il processo di crescita è da attribuirsi a due fattori: pubblitalia e i fondi ricevuti. I secondi sn di provenienza sconosciuta,così come i fondi costituenti (leggetevi la perizi di GIUFFRIDA a proposito ) dell'azienda mediaset. Dato i rapporti di dell'utri,parole di pentiti,filmato,intercettazioni telefoniche ed ambientali,è risaputo che berlusconi subì minacce da parte della mafia.Ne parlò con confalonieri in una telefonata e mandò i figli in spagna. Il fatto di avere mangano in casa era una lama a doppio taglio.Poteva permettersi molto grazie a quell'aggancio,ma era stretto per le palle.Stretto per le palle,per mezzo di uno dei suoi migliori amici:dell'utri. Le bombe alla stande di Catania sn altri episodi tesi ad alimentare la tensione intorno a berlusconi. Addirittura furono usate due bombe a scopo di danneggio,sulle propietà di berlusconi,corrispondenti all'intervallo di tempo in cui magano non era stato in carcere per mafia. La discesa in campo di Forza italia coincise con alcuni eventi paradossali. Come disse Cartotto (Un ex dirigente mediaset facente parte dei 5-6 boss dei boss assieme a Confalonieri Doris Dell'utri e Previti ) vi erano persone a favore ed altre meno all'idea di vedere FI come braccia politico di Mediaset. Costanzo era contrario ed in coincidenza del suo no,subì un attentaot per mano di cosa nostra.L'altro contrario era Confalonieri ma ovviamente dopo poco cedette alle pressioni di Berlusconi. Come ha detto un altro utente,riina disse proprio questo: "quello (riferendosi a Mr.B) lo abbiamo per le palle,è in mano nostra".Dichiarazione di Salvatore Cancemini,pentito che parlò di mafia politica a tutit i livelli,ritenuto assolutamente credibile e fedele alla realtà dei fatti. In ogni caso,FI era nata per un patto malsano ed una convergenza di interessi pesantissimi,berlusca era gia indagato a milano e stava per essere inonandato anche lui da mani pulite.La Mafia approfittò come al solito,lesta e silenziosa,dell'occasione e si ritrovò in mano la carta giusta al momento giusto,dopo tutto non tanto casualmente. |
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