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Old 06-02-2009, 11:05   #1
c.m.g
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[NEWS] DDL intercettazioni, il sonno della ragione digitale

venerdì 06 febbraio 2009

Nuovi media vs. media tradizionali (pagina 1 di 3)

Roma - La rete è animata da dinamiche differenti da quelle che sorreggono i media tradizionali. Ma nel DDL che dovrebbe disciplinare le intercettazioni è contenuta una disposizione che impone a blogger e gestori di siti web di comportarsi come direttori di testate giornalistiche, di pubblicare rettifiche qualora incappino in errori o diano voce a parole lesive dell'altrui reputazione. La rete più matura di quanto si creda: non c'è bisogno di regolamentare per legge quello che online già avviene spontaneamente, e con più puntualità rispetto ai media tradizionali. Soprattutto quando nel contempo il governo punta a tracciare un netto distinguo tra professionisti dell'informazione e chi opera per passione. Ma c'è dell'altro: le rigide disposizioni con cui il DDL guarda alla privacy faranno stagnare le indagini. Ad approfondire con Punto Informatico è Giuseppe Corasaniti, cittadino della rete e magistrato, presidente dal 2005 al 2007 del Comitato consultivo permanente per il diritto d'autore presso il Ministero dei beni e le attività culturali, l'unico autore in Italia ad aver approfondito l'istituto della rettifica, con una monografia e con una voce sulla Enciclopedia Giuridica Treccani.

PI: Come si è applicata finora la disciplina della rettifica in rete?
GC: L'applicazione della rettifica "formale" cioè in base alla legge sulla stampa del 1948 è stata pressoché nulla, comprensibilmente, come vedremo, non sono mancati invece richiami al codice dei dati personali con ricorsi al Garante in base all'art. 7 comma 3 del codice dei dati personali nel caso di dati inesatti, infatti l'interessato ha sempre diritto di ottenere l'aggiornamento, la rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l'integrazione dei dati. Peraltro anche nel codice deontologico in materia di trattamenti dei dati personali per i giornalisti si prevede uno spontaneo dovere (appunto del giornalista cioè di chi tratta professionalmente informazioni): "Il giornalista corregge senza ritardo errori e inesattezze, anche in conformità al dovere di rettifica nei casi e nei modi stabiliti dalla legge". Bisogna osservare che perfino il Garante della Privacy nell'applicazione della norma è stato molto cauto e si è limitato ad interventi nel caso di diffusione di dati personali inesatti o trattati senza consenso (come numeri di telefono o indirizzi email pubblicati sui siti web). Più decisa, come ricordiamo, è stata l'applicazione del codice nel caso di trattamenti riservati da parte dei giornalisti (appunto hanno fatto scuola proprio i provvedimenti del Garante in materia di pubblicazione di testi di intercettazioni, ma sul punto non sono nemmeno mancate critiche da parte della dottrina, che ha intravisto una potenziale violazione dell'art. 21 della Costituzione per cui la stampa, e cioè l'informazione, non può essere oggetto di autorizzazioni o censure.

PI: Poniamo l'esempio di un quotidiano che operi sia su carta sia in rete: che differenze ci sono nell'assoluzione dell'obbligo?
GC: È ovvio che il problema è quello della data di pubblicazione, ma è un problema apparente perché nella rettifica quello che conta è il periodo che intercorre tra la richiesta dell'interessato. In base allo "storico" articolo 8 della legge del 1948 sulla stampa, modificata nel 1981 "il direttore o, comunque, il responsabile" della pubblicazione è espressamente tenuto a fare inserire gratuitamente nel quotidiano o nel periodico o nell'agenzia di stampa dichiarazioni o rettifiche di soggetti "di cui siano state pubblicate immagini od ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o contrari a verità, purché le dichiarazioni o le rettifiche non abbiano contenuto suscettibile di incriminazione penale". La norma prevede che, per i quotidiani, le dichiarazioni o le rettifiche siano pubblicate non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia cui si riferiscono. Invece, per i periodici, non oltre il secondo numero successivo alla settimana in cui è pervenuta la richiesta, nella stessa pagina che ha riportato la notizia cui si riferisce. Non solo, ma la norma è anche molto precisa sul piano grafico "editoriale", infatti rettifiche o dichiarazioni devono sempre fare riferimento allo scritto che le ha determinate e soprattutto devono essere pubblicate nella loro interezza, purché contenute entro il limite di trenta righe, con le medesime caratteristiche tipografiche, per la parte che si riferisce direttamente alle affermazioni contestate. Ovvio che in rete cambia tutto proprio sul piano della periodicità, ma proprio in rete si potrebbe, se proprio si vuole fare uso della rettifica, stabilire un termine decorrente dalla ricezione di una email, anziché di una lettera raccomandata. In ogni caso la violazione dell'obbligo è sanzionata con una sanzione amministrativa pecuniaria (anche se non è infrequente la richiesta di provvedimenti d'urgenza da parte dell'interessato in sede civile per ottenere la pubblicazione della smentita): da ormai un decennio è la vera sanzione, oltre al risarcimento del danno, che poi comunque bisogna provare in concreto.

PI: È a conoscenza di casi in cui blogger o gestori di siti che non operino in maniera professionale con l'informazione si siano trovati costretti a pubblicare delle rettifiche? Come hanno agito?
GC: Normalmente, per ottenere la pubblicazione di dichiarazioni o la cancellazione di espressioni sconvenienti o direttamente offensive, è sempre bastato il richiamo alla legge sui dati personali e alla diffamazione, e le rettifiche in fondo avvengono spontaneamente (e senza bisogno di alcuna legge) molto più sul web che non nella stampa e nella televisione, che puramente e semplicemente - invece - ignorano l'obbligo di rettifica. In fondo è paradossale: il web viene punito con una applicazione "creativa" proprio quando quasi tutti con una semplice mail rimuovono spontaneamente i contenuti diffamatori, mentre i giornalisti che alla rettifica sarebbero tenuti normalmente, se proprio costretti pubblicano le rettifiche nelle lettere al direttore e magari fanno un bel commentino satirico per dimostrare che alla fine avevano ragione aggiungendo al danno anche la beffa. Il risultato? Pochi chiedono il risarcimento del danno morale, che pure servirebbe nei casi più gravi, e preferiscono la querela per diffamazione. E così gli uffici giudiziari sono intasati.
Ed attenzione alle semplificazioni. Internet non è "eguale" alla stampa. Vorrei ricordare una importantissima sentenza della Corte di Cassazione (Cass. Sez. 5 penale Sentenza 25 luglio 2008 n. 31392) che ha affermato senza mezzi termini come "La diffamazione tramite Internet costituisce certamente un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi del comma III dell'art. 595 cp, in quanto commessa con altro (rispetto alla stampa) mezzo di pubblicità". In realtà peraltro, poiché è certamente possibile, attraverso i normali strumenti di dotazione di un qualsiasi personal computer, procedere alla stampa della "pagina web", il giornale telematico sembrerebbe quasi costituire un tertium genus tra la stampa e, appunto, gli altri mezzi di pubblicità. Cosa certa è, comunque, che, essendo ormai Internet un (potente) mezzo di diffusione di notizie, immagini e idee (almeno quanto la stampa, la radio e la televisione), anche - evidentemente - attraverso di esso si estrinseca quel diritto di esprimere le proprie opinioni, diritto che costituisce uno dei cardini di una democrazia matura e che, per tale ragione, figura in posizione centrale nella vigente Carta costituzionale. I diritti di cronaca e di critica, in altre parole, discendono direttamente - e senza bisogno di mediazione alcuna - dall'art 21 Cost. e non sono riservati solo ai giornalisti o a chi fa informazione professionalmente, ma fanno riferimento all'individuo uti civis. Chiunque, pertanto, e con qualsiasi mezzo (anche tramite Internet), può riferire fatti e manifestare opinioni e chiunque - nei limiti dell'esercizio di tale diritto (limiti, da anni, messi a punto dalla giurisprudenza) - può "produrre" critica e cronaca.



Gaia Bottà



Fonte: Punto Informatico
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