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Old 28-04-2006, 19:42   #1
easyand
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Messaggi: 666
Iran, due parole sulla storia

Ero indeciso se aprire un altro topic sull' Iran, ma questo estratto mi ha convinto ad aprirlo, a voi le conclusioni sul regime iraniano, personalmente mi ha davvero allucinato la storia delle chiavette taiwanesi.


Durante la guerra fra Iran e Iraq, l’ayatollah
Khomeini importò 500 mila chiavette
di plastica da Taiwan. Questi gingilli
avrebbero dovuto fornire qualche ispirazione.
Dopo l’invasione dell’Iraq nel settembre
del 1980, era chiaro che le forze armate iraniane
non erano in grado di reggere il confronto
con i professionisti ben equipaggiati
dell’esercito di Saddam Hussein. Per far
fronte a questo svantaggio, Khomeini inviò
al fronte alcuni bambini iraniani, che in alcuni
casi non avevano nemmeno dodici anni.
Marciavano attraverso i campi minati in
direzione del nemico, aprendo un varco con
i loro corpi. Prima di ogni missione, a ciascun
bambino era consegnata una chiavetta
taiwanese da appendere al collo: sarebbe
servita a spalancargli le porte del paradiso.
A un certo punto, però, questa carneficina
terrena iniziò a suscitare preoccupazione.
“In passato – scriveva il quotidiano iraniano
semiufficiale Ettelaat mentre la guerra
imperversava – avevamo i bambini volontari
di 14, 15 e 16 anni. Andavano nei campi
minati. I loro occhi non vedevano. Le loro
orecchie non udivano. E poi, qualche minuto
dopo, si scorgevano dense nuvole di polvere.
Una volta che la polvere tornava a depositarsi,
di loro non rimaneva quasi traccia.
In qualche punto, dispersi sul terreno, giacevano
soltanto brandelli di carne carbonizzata
e pezzi di ossa”. Da quel momento in
poi, si decise di evitare simili scene: “Prima
di addentrarsi in un campo minato, i bambini
ora si avvolgono in coperte e rotolano sul
terreno: in questo modo le loro membra non
si disperdono dopo la deflagrazione delle
mine e si può dare loro sepoltura”. Questi
bambini che rotolavano verso la loro morte
facevano parte dei Basiji, un movimento di
massa creato da Khomeini nel 1979 e militarizzato
dopo lo scoppio della guerra al fine
di integrare le fila del suo esercito assediato.
I Basiji Mostazafan, o “mobilitazione degli
oppressi”, erano una milizia volontaria, i
cui membri erano ancora minorenni. Entusiasti
e numerosi (a migliaia) marciavano
verso la loro fine. “I giovani sminavano i
campi con i loro stessi corpi – raccontava nel
2002 un veterano della guerra fra Iran e Iraq
al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine
– Talvolta, sembrava quasi una corsa.
Anche senza aver ricevuto ordini dal comandante,
tutti volevano arrivare primi”.


I Basiji e l’attacco con l’onda di bambini

Il sacrificio dei giovani del Basiji era orrendo.
Ma oggi non è motivo di onta per la
nazione, bensì di orgoglio. Dalla cessazione
delle ostilità contro l’Iraq nel 1988, i Basiji
sono diventati sempre più numerosi e influenti.
Sono stati utilizzati come squadra
del buoncostume per far rispettare la legge
religiosa, mentre le “unità speciali” del movimento
sono state impiegate come truppe
d’assalto contro le forze dell’opposizione.
Nel 1999 e 2003 i membri del Basiji furono
utilizzati per reprimere le proteste studentesche.
Lo scorso anno rappresentarono lo
zoccolo duro della base politica che portò alla
presidenza Mahmoud Ahmadinejad, un
uomo che, si dice, abbia fatto da istruttore ai
giovani Basiji durante il conflitto.
Ahmadinejad gongola della sua alleanza
con i Basiji. Appare in pubblico indossando
il foulard bianco e nero tipico del Basiji e,
nei suoi discorsi, esprime costanti apprezzamenti
nei confronti della “cultura Basiji”
e “del potere Basiji”, attraverso il quale “l’Iran
odierno fa sentire la sua presenza sulla
scena diplomatica internazionale”. L’ascesa
di Ahmadinejad con l’appoggio del Basiji significa
che la Rivoluzione iraniana, lanciata
quasi trent’anni fa, è entrata in una fase nuova
e inquietante. Una generazione di iraniani
più giovani, la cui visione del mondo fu
plasmata durante le atrocità del conflitto fra
Iran e Iraq, è giunta al potere, brandendo
un’impostazione ideologica della politica
più fervente rispetto a quella dei suoi predecessori.
I figli della Rivoluzione ne sono
oggi diventati i capi. Nel 1980, l’ayatollah
Khomeini definì l’invasione irachena dell’Iran
una “benedizione divina”, perché la
guerra gli offrì l’occasione perfetta per islamizzare
sia la società iraniana sia le istituzioni
dello stato. Mentre le truppe di Saddam
avanzavano verso l’Iran, la Guardia rivoluzionaria,
fanaticamente devota a Khomeini,
si muoveva rapidamente per mobilitare
e preparare le forze aeree e navali. Contemporaneamente,
il regime si affrettava a
trasformare i Basiji in una milizia popolare.
Se la Guardia rivoluzionaria era composta
da soldati adulti professionisti, i Basiji contavano
soprattutto su giovani fra i 12 e i 17
anni e uomini oltre i 45 anni (…). La principale
tattica di combattimento adottata dalla
milizia Basiji era l’attacco con l’onda umana:
bambini e adolescenti poco armati avanzavano
verso il nemico perfettamente allineati
lungo righe continue. Poco importava
se cadevano sotto il fuoco nemico o innescavano
le mine con il loro corpo: la cosa essenziale
era che i Basiji continuassero ad
avanzare, calpestando i brandelli mutilati e
lacerati dei compagni caduti, procedendo
inesorabilmente verso la propria morte, come
un’incessante onda umana. Una volta
aperto un varco verso le forze irachene, i comandanti
dell’esercito iraniano inviavano le
loro truppe più addestrate e preziose, quelle
della Guardia rivoluzionaria. Questa strategia
portò a innegabili successi (…).
Ma tre mesi al fronte erano lunghi. Nel
1982, durante la riconquista della città di
Khorramshahr, perirono 10 mila iraniani.
Nel febbraio del 1984, dopo “l’operazione
Kheiber”, furono abbandonati 20 mila cadaveri
sul campo di battaglia. La cosiddetta offensiva
di “Karbala Four” costò la vita a oltre
10 mila iraniani. In totale, si calcola che
100 mila persone, fra uomini e ragazzi, persero
la vita durante le operazioni Basiji. Ma
perché si offrivano volontari? La maggior
parte di essi era reclutata da esponenti della
Guardia rivoluzionaria, a capo dei Basiji.
Questi “educatori speciali” visitavano le
scuole e sceglievano personalmente i loro
martiri durante le esercitazioni paramilitari
obbligatorie per tutti i giovani iraniani. I
film propagandistici, come il film per la tv
del 1986 intitolato “Un contributo alla guerra”,
celebravano questa alleanza fra gli studenti
e il regime e ostracizzavano i genitori
che cercavano di salvare la vita dei propri figli.
Alcuni genitori, tuttavia, erano invogliati
con incentivi. L’arruolamento nei Basiji
rappresentava per i più poveri un’opportunità
di progresso sociale (…).


L’attesa del dodicesimo imam

I Basiji marciavano impavidi e senza proferire
lamento verso la loro fine. Vale la pena
menzionare i curiosi slogan che cantavano
quando entravano nel campo di battaglia:
“Contro gli Yazid della nostra epoca”; “La
carovana di Hussein avanza”; “Ci attende
una nuova Karbala”. Yazid, Hussein, Karbala
sono riferimenti al mito della fondazione
dell’islam sciita. Verso la fine del VII secolo,
l’islam era diviso fra i seguaci del califfo
Yazid, i predecessori dell’islam sunnita, e i
fondatori dell’islam sciita, secondo i quali
l’imam Hussein, nipote del profeta Maometto,
avrebbe dovuto governare il popolo musulmano.
Nel 680, Hussein capeggiò un’insurrezione
contro il califfo “illegittimo”, ma
fu tradito. Nella piana di Karbala, il decimo
giorno del mese di Muharram, le forze di Yazid
attaccarono Hussein e i suoi seguaci, uccidendoli.
Il corpo di Hussein recava 33 ferite
di lancia e 34 colpi di spada. Fu decapitato
e il suo corpo fu calpestato dai cavalli.
Sin da allora, il martirio di Hussein costituisce
il nucleo della teologia sciita e la festa di
Ashura, che celebra la sua morte, è il giorno
più santo del calendario sciita. In quell’occasione,
gli uomini si flagellano con catene
per avvicinarsi alle sofferenze di Hussein.
Nel corso della storia, questo rituale raggiunse
punte di violenza inaudita (…).
Oggi in Iran eccessi sanguinolenti sono
proibiti, ma durante la guerra contro l’Iraq
Khomeini si appropriò dell’essenza del rituale
e ne fece un atto simbolico, conferendogli
valenza politica. Rindirizzò il fervore,
allora tutto diretto verso l’interno, verso il
nemico esterno. Trasformò i piagnistei passivi
in proteste attive. Fece della battaglia di
Karbala il prototipo della lotta contro la tirannide.
Infatti questa tecnica era stata usata
durante le proteste politiche nel 1978,
quando molti dimostranti iraniani sfilarono
indossando lenzuoli funebri, con l’intento di
creare un legame tra la battaglia del 680 e la
lotta in corso contro lo Scià. Nella guerra all’Iraq,
si è data ancora maggiore importanza
alle allusioni a Karbala. Da una parte, Yazid,
il delinquente rappresentato in quell’occasione
da Saddam Hussein, dall’altra il
nipote del Profeta, Hussein, le cui sofferenze
potevano finalmente essere vendicate dagli
sciiti. La forza di questa storia fu rafforzata
da una svolta teologica. Secondo Khomeini,
la vita non ha valore e la morte è l’inizio
della vera esistenza. “Il mondo naturale
– spiegò nell’ottobre del 1980 – è l’elemento
più basso, la feccia della creazione”.
E’ l’aldilà ad essere decisivo, “il mondo divino,
che è eterno”. Ed è a questo mondo che
possono accedere i martiri. La loro morte
non è morte, ma semplicemente una transizione
da questo mondo al mondo dell’aldilà,
dove vivranno nello splendore eterno. Questa
impostazione ebbe effetti fatali sui Basiji:
che sopravvivessero o meno era irrilevante.
Nemmeno l’utilità tattica del loro sacrificio
era importante. Le vittorie militari
erano secondarie, come spiegò Khomeini
nel settembre 1980. Ogni Basiji deve “comprendere
che è un ‘guerriero di Dio’, per cui
la gratificazione e il senso di realizzazione
non vengono tanto dal risultato dello scontro,
quanto dal fatto di parteciparvi” (…).
La figura misteriosa in grado di scatenare
tante emozioni è quella dell’“imam nascosto”,
un personaggio mitico che ancora oggi
influenza i pensieri e le azioni di Ahmadinejad.
Gli sciiti chiamano imam tutti i discendenti
maschi di Maometto e attribuiscono
loro una natura semidivina. Hussein, ucciso
a Karbala da Yazid, fu il terzo imam. Suo
figlio e suo nipote il quarto e il quinto. Alla
fine della discendenza, c’è il “dodicesimo
imam”, di nome Maometto. Alcuni lo chiamano
Mahdi (“colui che è guidato da Dio”)
mentre per altri è l’imam Zaman (da sahib-e
zaman, “il guardiano del tempo”). Nato nell’anno
869, fu l’unico figlio dell’undicesimo
imam. Nell’874 scomparve senza lasciare
traccia, ponendo termine alla discendenza di
Maometto. Secondo la mitologia, il dodicesimo
imam sopravvisse. Gli sciiti credono che
si sia ritirato dal mondo all’età di cinque anni,
e che presto o tardi emergerà dal suo “nascondiglio”
per liberare il mondo dal male
(…). Secondo la tradizione sciita, un governo
islamico legittimo potrà esistere solo dopo
che il dodicesimo imam sarà riapparso: fino
a quel momento gli sciiti devono limitarsi ad
attendere, mantenere la pace con il governo
illegittimo e ricordare il nipote del Profeta,
Hussein. Khomeini però non aveva alcuna
intenzione di aspettare. Diede al mito un
senso nuovo. Il dodicesimo imam apparirà
soltanto quando i fedeli avranno sconfitto il
male. Per accelerare il ritorno del Mahdi, i
musulmani dovevano scuotersi di dosso il loro
torpore e combattere. Questo attivismo
aveva più elementi comuni con le idee rivoluzionarie
dei Fratelli musulmani in Egitto
che con le tradizioni sciite (…).


Da guerrieri a chimici

E’ stata questa la cultura che ha alimentato
la visione del mondo di Mahmoud Ahmadinejad.
Nato vicino a Teheran nel 1956,
figlio di un fabbro, Ahmadinejad ha studiato
ingegneria civile; nella guerra contro l’Iraq
si è arruolato nelle Guardie rivoluzionarie.
La sua biografia rimane incompleta.
Ha avuto un ruolo nell’assalto all’ambasciata
statunitense nel 1979, come sostengono alcuni?
Che cosa ha fatto durante la guerra?
Sono domande senza risposte definitive (…).
Dopo essere diventato sindaco di Teheran
nell’aprile del 2003, Ahmadinejad ha sfruttato
la sua posizione per costruire una rete
di fondamentalisti islamici noti con il nome
di “Promotori di un Iran islamico” (…).
A novembre, il nuovo presidente iraniano
ha aperto l’annuale “Settimana dei Basiji”
nella quale si commemorano i martiri della
guerra Iran-Iraq. Secondo quanto riportato
da Kayan, pubblicazione fedele a Khamenei,
circa nove milioni di Basiji (il 12 per
cento della popolazione) hanno manifestato
in favore del programma antiliberale di Ahmadinejad.
L’articolo raccontava che i dimostranti
avevano “formato una catena
umana lunga 8,7 km. Nella sola Teheran, circa
1.250.000 persone sono scese in strada”.
Quasi nemmeno notata dai media occidentali,
questa mobilitazione dimostra la determinazione
con cui Ahmadinejad cerca di
imporre la sua “seconda rivoluzione” e di
spegnere le ultime scintille di libertà in tutto
l’Iran. Alla fine del luglio 2005, il movimento
Basiji ha annunciato un piano per
portare il numero dei suoi membri da dieci
a quindici milioni entro il 2010 (…). Che cosa
questo significa è apparso chiaro a febbraio,
quando i Basiji hanno attaccato il leader
del sindacato degli autisti di mezzi pubblici,
Massoud Osanlou. L’hanno tenuto prigioniero
nel suo appartamento, e per convincerlo
a tenere la bocca chiusa gli hanno
mozzato la punta della lingua. Nessun Basiji
rischia di essere processato da un tribunale
della legge per simili attacchi terroristici.
La fiducia del movimento nel valore del
autosacrificio violento rimane quella di
sempre. Non esiste in Iran alcuna “commissione
di indagine” per indagare sul suicidio
collettivo pianificato dallo stato e durato dal
1980 al 1988. Al contrario, a ogni iraniano
viene insegnato fin dall’infanzia il valore e
la virtù del martirio. Ovviamente, molti iraniani
non accettano le dottrine dei Basiji.
Ciononostante, tutti conoscono il nome di
Hossein Fahmideh, tredici anni, che, durante
la guerra contro l’Iraq si è fatto esplodere
in aria davanti a un carro armato iracheno.
La sua immagine segue gli iraniani per tutto
il giorno: sui francobolli come sulle banconote.
Se guardi in controluce una banconota
da 500 rial vedi il suo viso. La stampa
descrive il suicidio di Fahmideh come un
modello di profonda fede. La sua storia è diventata
un film e anche un episodio televisivo
nella serie “Bambini del Paradiso”. Come
simbolo della loro disponibilità a morire
per la rivoluzione, i Basiji, in occasione di
cerimonie pubbliche, indossano sopra le loro
uniformi con veli funebri bianchi (…).
Nel contesto del programma nucleare
iraniano, l’ossessione per il martirio diventa
una miccia accesa. Al momento, i Basiji
non sono mandati nel deserto ma nei
laboratori. Gli studenti sono incoraggiati a
iscriversi in scuole dove si studiano materie
tecniche e scientifiche. Secondo un
portavoce delle Guardie rivoluzionarie, lo
scopo è quello di usare il “fattore tecnico”
per aumentare la “sicurezza nazionale”.
Nel dicembre 2001, l’ex presidente iraniano
Hashemi Rafsanjani aveva spiegato che
“l’uso anche di una sola bomba atomica
contro Israele distruggerebbe completamente
il paese”, mentre, se Israele usasse
le proprie atomiche, “riuscirebbe soltanto
a ferire il mondo islamico. Non è una cosa
irragionevole concepire una simile eventualità”
(…). Ahmadinejad, per contro, è
predisposto al pensiero apocalittico. In
una delle prime interviste tv dopo essere
stato eletto presidente, si è mostrato entusiasta:
“Esiste un’arte più bella, divina,
eterna dell’arte del martirio?”. Nel settembre
2005, concluse il suo primo discorso
all’Onu implorando Dio per il ritorno
del dodicesimo imam. Finanzia un istituto
di ricerca a Teheran il cui unico scopo è
studiare e, se possibile, accelerare, la venuta
dell’imam. A una conferenza di teologia
nel novembre 2005, ha sottolineato: “Il
compito più importante della nostra Rivoluzione
è preparare la via del ritorno del
dodicesimo imam”. Una politica perseguita
in alleanza con una forza sovrannaturale
è imprevedibile. Perché un presidente
iraniano dovrebbe impegnarsi in una politica
pragmatica quando la sua presupposizione
è che, tra tre o quattro anni, comparirà
il salvatore? Per questo Ahmadinejad
ha perseguito una politica del confronto
con evidente piacere. La storia dei Basiji
prova che dobbiamo aspettarci mostruosità
dall’attuale regime iraniano (…). I Basiji
che una volta si aggiravano nel deserto
armato soltanto di un bastone da passeggio
oggi lavorano come chimici in stabilimenti
per l’arricchimento dell’uranio.


Matthias Küntzel
© The New Republic
(traduzione di Mariolina Mapelli,
Aldo Piccato, Elia Rigolio
easyand è offline   Rispondi citando il messaggio o parte di esso
Old 28-04-2006, 20:14   #2
Scoperchiatore
Senior Member
 
L'Avatar di Scoperchiatore
 
Iscritto dal: Sep 2001
Città: Roma
Messaggi: 1944
Che dire, sono cose pesanti, non tanto per la crudeltà insita nel mandare i bambini al fronte "inermi", ma perchè la generazione di questi bambini contenti di morire per il paradiso, è cresciuta, e sta ora al potere.

Ogni religione, se rivoltata e studiata fino all'essenza, mira al nichilismo ed al martirio. Anche a me, a catechismo, hanno sempre messo davanti la figura di Santa Chiara (mi pare, posso sbagliarmi) che è stata violentata ed uccisa in tenera età, ma ha perdonato il suo aggressore.

E questa filosofia della "vita che non è vita", è comune a tante religioni, a partire dall'Egitto per arrivare alle sette sataniche attuali.

Insomma, la storia Iraniana che hai riportato condensa in 30 anni le cose peggiori fatte da noi, nel mondo, negli ultimi 1000 anni. Alla fine dice che dovremo aspettarci "mostruosità", io credo che dovremo aspettarci un martirio, ma non ho idea di che proporzione.

Io credo che dopo aver letto queste righe, si possa fare solo una cosa: ringraziare per ogni momento di vita in più, perchè il futuro rischia di non esserci.
__________________
"Oggi è una di quelle giornate in cui il sole sorge veramente per umiliarti" Chuck Palahniuk

Io c'ero
Scoperchiatore è offline   Rispondi citando il messaggio o parte di esso
Old 28-04-2006, 20:19   #3
LittleLux
Senior Member
 
L'Avatar di LittleLux
 
Iscritto dal: Dec 2001
Messaggi: 1009
Storie arcinote, purtroppo.
LittleLux è offline   Rispondi citando il messaggio o parte di esso
 Rispondi


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