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La sanità secondo Umberto Veronesi
Medici full-time e meno ospedali
così si può superare l'emergenza di UMBERTO VERONESI SPORCIZIA e rischio infezioni in corsia, edifici fatiscenti, inadempienze del personale medico sono parole che scandalizzano la gente, richiamano l'attenzione dei politici, ma soprattutto terrorizzano i malati, che si chiedono che cosa pensare di ciò che per loro è veramente fondamentale: l'efficacia della cura. Va detto subito che, in generale, il nostro sistema sanitario è, fino ad oggi, fra i più apprezzati dall'Organizzazione mondiale della sanità e i nostri medici sono molto considerati a livello internazionale. Va anche sottolineato, però, che l'ospedale è effettivamente il nostro punto debole, un'area che non si è evoluta di pari passo con la scienza. Gli ospedali italiani hanno una media di 60-70 anni: quasi il 60% di essi è stato costruito tra la fine dell'800 e il 1940. Se, come credo, il modello ospedaliero è lo specchio della sanità di un Paese, è necessario allora rinnovare con urgenza tutto il sistema e non limitarsi a risanare alcune situazioni. È tempo che l'ospedale italiano si trasformi e il cambiamento deve essere radicale: strutturale e culturale. Per cominciare bisogna ridurre il numero degli ospedali. Da un'indagine che effettuai nel 2000 come ministro della Sanità è emerso che in Italia ci sono 1400 ospedali: almeno 400 andrebbero chiusi. Si è calcolato che in un Paese moderno siano sufficienti 2-4 posti letto ogni mille abitanti. In Italia negli anni Novanta ce n'erano mediamente, tra pubblico e privato, quasi il doppio. È necessario abbandonare la logica dei posti-letto come indice di qualità: la struttura ospedaliera ideale è quella che non supera i 500 posti letto, mentre nel nostro Paese ci sono 140 ospedali che hanno più di 700 letti. La medicina è cambiata: oggi un letto ruota in un anno da 100 a 150 malati, mentre 10 anni fa, con degenze media di oltre 10 giorni, ne ruotava al massimo 50. L'ospedale è diventato, con il progresso tecnologico e scientifico, un luogo di terapia e non più di diagnosi, e tantomeno di convalescenza e riabilitazione: il paziente deve restare in ospedale solo per i pochi giorni necessari ai trattamenti. Questa trasformazione deve riflettersi anche nell'organizzazione. Riducendo il tempo di degenza ospedaliero, effettuando analisi e esami prima del ricovero e accelerando le dimissioni. Certo, questo presuppone due elementi: che ogni ospedale abbia accanto una struttura residenziale dove il malato, anche accompagnato dai famigliari, possa trascorrere il periodo di convalescenza e che esista sul territorio una rete di centri diagnostici. Questo è, del resto, il trend che vediamo nei paesi più avanzati: una rete limitata di ospedali, ognuno con massimo 500 posti letto, ad altissima tecnologia, altissima specializzazione e rapidissimo ricambio, e una estesa rete diagnostica il più possibile capillare sul territorio. All'interno dell'ospedale il medico deve lavorare a tempo pieno. Non è concepibile che un chirurgo guardi l'orologio perché deve scappare in casa di cura e abbia pazienti di serie A in clinica privata e di serie B in ospedale. Viceversa, poiché il malato ha il diritto di conoscere e scegliere chi lo cura, l'ospedale deve attrezzarsi perché il medico svolga al proprio interno la libera professione. Così come non è più concepibile che il medico non concentri tutta la sua attività clinica e di ricerca in un unico ospedale. Il luogo di lavoro, soprattutto sanitario, deve essere un luogo di sviluppo di cultura, di ricerca scientifica e di aggiornamento professionale. Un sogno rispetto alle immagini del degrado in questi giorni su tutti i giornali? No, un progetto molto concreto invece. Lo ha disegnato Renzo Piano cinque anni fa, pensando, insieme a me, alla nuova generazione di ospedali italiani. Esiste un dettagliato progetto architettonico e organizzativo, ed anche un decalogo dell'ospedale modello che ha come primo punto l'uomo. L'ospedale di domani deve ruotare intorno alle esigenze del malato e non a quelle dei medici. Solo chi ha provato a essere ammalato davvero può capire perché è vitale che si vada oltre l'allarme e che si continui a migliorare. E chi ha passato tutta la vita a fianco degli ammalati sa che non si può aspettare il prossimo scandalo in ospedale. Ecco perché spero che il governo affronti davvero questa emergenza, ma che non si fermi al Policlinico di Roma. (8 gennaio 2007) fonte pienamente d'accordo, anche se non si farà mai. sarebbe una cosa troppo poco "italica"... |
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Senior Member
Iscritto dal: Jan 2005
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E' dai tempi della Bindi ministro che si sentono questi discorsi. Molto belli, come discorsi. E i soldi chi ce li mette? Chi si mette di traverso contro la lobby che determina questo medicocentrismo della sanità italiana con tutto quello che comporta?
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Tanto poco un uomo si interessa dell'altro, che persino il cristianesimo raccomanda di fare il bene per amore di Dio. (Cesare Pavese) "Sono un liberale di destra, come potrei votare uno come Berlusconi?" Marcello Dell'Utri, fondatore del partito Forza Italia, è stato condannato per mafia. |
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Senior Member
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