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Quando Prodi tremò: “Salvatemi da Di Pietro”
Nel luglio del '93, il melomane Filippo Mancuso stava uscendo da casa per acquistare un manuale sul clavicembalo ben temprato, quando suonò il telefono. Era Romano Prodi da Parigi che singhiozzava nella cornetta e quasi non riusciva a parlare. «Sembrava Anna Magnani nella Voce umana di Cocteau», ricorda Mancuso. «Devo parlarle con urgenza. È successa una cosa gravissima», riuscì a articolare Romano che da un mese e mezzo presiedeva per la seconda volta l’Iri. Stabilirono di vedersi l’indomani all’Istituto.
Prima di capire cosa sia successo, spieghiamo che c’entra Mancuso con Prodi. Raggiunti i più alti gradi della magistratura e da poco in pensione, l’allora settantunenne Mancuso era membro del Comitato di consulenza giuridica dell’Iri. Aveva avuto l’incarico da Franco Nobili che nel frattempo era stato ammanettato dal pool di Milano e languiva in carcere da due mesi. Subentrato a Nobili, Prodi aveva confermato la nomina di Mancuso che il giorno dopo si presentò puntualissimo nella sede di Via Veneto. Ecco, per bocca dell’ex Guardasigilli del governo Dini (1995), il racconto dell’incontro. «Prodi era prostrato. Appena mi vede, mi si abbandona addosso e implora: “Eccellenza, mi salvi”. Aveva un affanno doloroso sul volto e non riusciva a parlare. Io non capivo. Alla fine si dà un contegno e dice: “Sono stato interrogato pochi giorni fa, il 4 luglio, da un giudice feroce, certo Di Pietro, che mi ha trattato come il peggiore criminale. Minacciava di non farmi tornare a casa. Si alzava e andava alla porta urlando intimidazioni contro di me, perché i giornalisti che aspettavano fuori sentissero. Quell’ossesso lo faceva per sputtanarmi”. Lasciai che si sfogasse, poi chiesi: “Ma che voleva da lei questo Di Pietro?”. Prodi rispose: “Gli avevo detto che il primo periodo all’Iri era stato il mio Vietnam. Questa frase è stata interpretata da quell’orrore di magistrato come l’ammissione di pressioni per favori illeciti ai partiti. Si è messo a urlare forte: 'È vero o no, che il segretario della Dc decideva lui chi doveva sedere su quella poltrona?' e poi, urlando di più: 'Ma i soldi alla Dc chi glieli dava?'. Per ore ha continuato a scagliarsi contro di me, finché ha detto: 'Adesso esce coi suoi piedi, ma entro una settimana mi deve portare un memoriale spiegandomi quella frase, altrimenti lei a casa non ci torna'. Cosa posso fare, Eccellenza? Replicai: “Lei cosa vuole esattamente da me?”. Prodi rispose: “Il mio legale, prof. De Luca, ha scritto questa memoria. Vorrei che la leggesse”. Ho detto: “Non sono in grado di rivedere un professionista come Giuseppe De Luca. È un difensore eccellente e io, che sono un giudice, non so vedere le cose in chiave difensiva”. Così risposi alle sue lacrimevoli insistenze. Ma Prodi continuava: “La guardi... veda... giusto una scorsa...”. Voleva un parere, in realtà pensava che potessi fare pressioni sui magistrati. È una mia interpretazione. Io però non abboccai e dissi: “Lei mi dice che ha a che fare con un pm di questo tipo. Stia attento a non fare nomi di persone che potrebbero essere ingiustamente coinvolte creando nuovi dolori”. Qui, Prodi esce al naturale e sbotta: “Io me ne fotto. Io devo salvare a ogni costo me stesso e non devo preoccuparmi di altro”. Mi alzai dicendo: “Professore, lei ha sbagliato a consultare me anche perché non sono in sintonia con questo modo di vedere. Lei mi dà l’impressione di quei personaggi che nei film Western fuggono a cavallo, sparando sui bambini”. Su questo, me ne sono andato e mai più ci siamo visti. Poi, lui disse che io ero pagato “principescamente” per l’incarico all’Iri. Non è vero, ma se lo fosse stato, niente di male. Dicendolo però, Prodi ha mostrato quello che è: un misero. Un misero naturale». Questa l’eloquente testimonianza sul carattere di Romano nei momenti difficili. Facendo poi l’esatto contrario del consiglio ricevuto, Prodi presentò ai pm Totò Di Pietro e Paolo Ielo un dossier folto di nomi. Cinquantatré pagine sul suo settennato all’Iri, in cui si assolveva da tutto incolpando invece Craxi, Gianni De Michelis, Giuliano Amato, il pm Infelisi (che lo aveva indagato per Nomisma) e perfino Berlusconi, reo di avere ostacolato la svendita della Sme all’Ing. De Benedetti. Una spiata in piena regola, accolta con voluttà dai due pm, ma che, di per sé, non sarebbe bastata a tirarlo fuori. A salvare Romano, fu infatti il Quirinale di Oscar Luigi Scalfaro. Poteva metterci una pietra sopra. Invece, ha voluto strafare e si è attaccato a Di Pietro come un siamese a suo fratello. Premetto, e confesso, che ho addolcito i giudizi di Prodi su Di Pietro nel dialogo con Mancuso. Le parole autentiche davano meglio l'idea dello stile giudiziario del pm, ma le ho cambiate per non dargli altre occasioni di arricchirsi con le querele. Tutto perciò fa pensare che Romano avesse in origine un autentico disprezzo per Di Pietro, misto a paura. Ma questa ha prevalso. Così, per tenerselo buono anche dopo l’abbandono della toga, l’ha preso prima nel suo governo del ’96 come ministro dei Lavori pubblici, poi come stretto alleato. Da anni, in tv, compaiono in coppia come pappagalletti. Le formazioni tipo sono, Totò alla destra di Romano, Totò alle spalle di Romano, Totò che annuisce a Romano che parla, Romano che guarda Totò per vedere se annuisce. L’insana simmachia tra carcerato e carceriere e il delatorio dossier di 53 pagine folto di nomi, hanno procurato a Romano nomea di codardo. Giorni fa, il suo ex preside di Scienze Politiche, Nicola Matteucci, ha scritto: «La cosa divertente è che il nostro Prodi, che certo un prode non è, gli ha offerto (a Di Pietro, ndr) per le prossime elezioni un posto sicuro... Una totale mancanza di dignità, dove la paura di ieri si mescola alla viltà di oggi». Per otto lunghi anni, Romano ha guidato l’Iri che con l’Eni è stato il tangentificio d’Italia. Le ha viste tutte, fatte altrettante, ma si erge moralista. Insincero anche nel dossier per i magistrati. Finge di aprirsi, invece tace ciò che vuole tacere. I fondi neri dell’Iri nascono prima di Prodi, ma è lui a coprirli. Sono serviti a finanziare partiti, sovvenzionare giornali, costruire chiese, compiacendo questo o quel cardinale, favorire l’Opus Dei. Lo scandalo scoppia sotto la presidenza Prodi. Il maggiore imputato è Ettore Bernabei, uomo di rispetto della Dc, amico di Amintore Fanfani, sospetto Grande Elargitore. Per evitare la gattabuia, l’astuto fanfaniano si fa operare di un calcolo. Il pm Gherardo Colombo, che ha spiccato il mandato, aspetta impaziente la convalescenza per eseguirlo. Ma il chirurgo ha provvidenzialmente dimenticato una garza nella pancia del paziente che torna sotto i ferri. Colombo, depresso per l’interminabile malattia, ritira il provvedimento. Il malato guarisce all’istante e Prodi il giorno stesso, 27 giugno 1985, lo promuove presidente dell’Italstat. Poi dichiara: «Tutti i fondi neri sono rientrati nei bilanci dell’Iri: il danno economico non c’è stato». Non è così, ma sarebbe lungo spiegare il trucco. All’indignato Franco Bassanini, un ex dc, passato ai socialisti, poi ai comunisti, che gli chiede chiarimenti, Romano risponde, leale e coraggioso: «Se tocco Bernabei rischio di saltare io». Oltre al favore fatto a Fanfani, via Bernabei, il dossier di Romano ne tace un altro, fatto a Andreotti. Nell’89, agli sgoccioli della prima presidenza, Prodi vende a prezzo stracciato il Banco di Santo Spirito alla Cassa di Risparmio di Roma. Una decisione imperiale, senza gara al migliore offerente e neanche uno straccio di perizia, denunciò scandalizzato Pietro Armani vicepresidente dell’Iri. Ma era quanto desiderava il Divo Giulio, d’accordo con l’amico Cesare Geronzi che, direttore generale della Cassa, diventa, con l’acquisizione, anche amministratore delegato del Santo Spirito. Quando poi le due banche, completando il piano segreto, finiscono nel Banco di Roma, oggi Capitalia, Geronzi presiede l’uno e l’altra. Andreotti è appagato e Romano rinsalda un antico rapporto di cui domani vedremo l’origine. Per molte di queste decisioni politicamente addomesticate e tecnicamente aberranti, come Santo Spirito, Sme, ecc., Prodi l’ha fatta franca. Per una però, è finito in Tribunale. Nel ’96, già capo del Governo, la Procura di Roma lo rinviò a giudizio per la vendita della Cirio-Bertolli-De Rica. Un affare sballato della seconda presidenza Iri. La pm, Giuseppina Geremia, lo accusa di abuso di ufficio per avere «intenzionalmente avvantaggiato» l’acquirente, la Fsvi dell’imprenditore Lamiranda, «pur sapendo che non aveva i mezzi». La storia si tinge subito di giallo. La Geremia riceve minacce e telefonate anonime. Un’aura mafiosa plana sull’indagine al premier: chi tocca i fili muore. Ma la pm va avanti. Cautelativamente, il Parlamento, dominato dalla sinistra, fa una legge ad personam sull’abuso d'ufficio alleggerendo a ogni buon conto la posizione di Romano. Il gip Landi assolve Prodi applicando la nuova norma e con una gimcana che impedirà alla Geremia, intenzionatissima a farlo, di impugnare il proscioglimento. La sentenza doveva essere depositata il 23 gennaio ’98. Lo è invece il 9 febbraio, due giorni dopo il trasferimento della Geremia a Cagliari. Partita lei, nessuno impugna e la cosa muore lì. Ancora una volta, Romano è miracolato. L’antica riserva della Repubblica, ora politico professionale, può proseguire impunita la strada intrapresa.
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Telefonata intercorsa tra
Antonio Di Pietro e Carlo De Benedetti ore 10:31 del 19 novembre 1995 (dagli atti del Tribunale di Brescia): Di Pietro: ‘Pronto?’ De Benedetti: ‘Dottor Di Pietro?’. D.P.: ‘ Sì...’. D.B. : ‘Non...l’ho svegliata?’. D.P. : ‘No...assolutamente, come va innanzitutto?’. D.B. : ‘Sono Carlo De Benedetti, bene’. D.P. : ‘Sì...l’avevo riconosciuta benissimo, come va...che piacere sentirla’. D.B.: ‘Bene, bene... anch’io’. D.P.: ‘Noi, a questo punto, ho capito che abbiamo tanti amici comuni’. D.B. : ‘Eh, ne abbiamo tanti ... sicuro’. D.P.: ‘Tanti amici comuni, con cui lavoriamo insieme’. D.B. : ‘Bene... e Prodi è uno di questi... no?’. D.P. : ‘Prodi è uno di questi, sì, in questo momento, pensi, sono davanti al computer’. D.B. : ‘Sì’. D.P. : ‘Eh, sto scrivendo un’affettuosa lettera di... e... attenzione verso Prodi, che credo farò con Scalfari pubblicamente, perché lui più volte mi sta tirando in ballo in questi giorni e voglio raccomandargli discrezione e serenità, ma lo faccio in modo molto cordiale’. D.B.: ‘Sì, ma quando...ehm... il suo progetto va avanti?’. D.P. : ‘Il nostro progetto... il nostro, eh sì, il mio progetto va avanti, sta, stiamo lavorando... ma quando avremo modo di parlarne, poi gliene preferisco parlargliene a voce’. D.B. : ‘Con grande piacere’. D.P. : ‘Sì’. D.B.: ‘Quando lei vuole, io, ho piacere anch’io...’. D.P. : ‘Sì’. D.B. : ‘Di... qualche, anche perché secondo me ci vuole un’accelerazione dei tempi’. D.P.: ‘Credo che ci sia un’accelerazione in tanti sensi, devo dire che anche noi stiamo facendo parecchio, anche poi...grazie ad amici comuni, insomma ecco...’. D.B. : ‘Uhm...uhm... senta una cosa, poi ne parliamo perché mi interessa anche sapere la sua idea... su questa pseudo o finta entrata di Romiti’. D.P. : ‘Eh... non lo so se poi è pseudo o se è finta (sic!)...credo che sia una variabile...anch’io ci sto riflettendo...Eh...eh...eh... per certi versi interessante, per certi versi uhm.. come si può dire...uhm’. D.B.: ‘Conturbante’. D.P. : ‘Conturbante... conturbante, perché credo di capire dove vuole andare a virare’. D.B. : ‘Mah...le dirò... io penso che tutto qu... io mi sono convinto di quello che una volta anche lei mi ha detto, e cioè che bisogna evitare il partito-azienda, ora questo...’. D.P. : ‘Eh... sì’. D.B. : ‘Quello di Berlusconi è una cosa del tutto anomala, però... in fondo, io trovo che tutte le invasioni di campo...’. D.P. : ‘ Mah... quello... che partito azienda è azienda potere, quindi...’. D.B. : ‘Quindi è una cosa diversa infatti’. D.P.: ‘Ancora un po’ più...più’. D.B. :’Al peggio, in quanto...’. D.P. :’ Que...qui siamo...’. D.B.: ‘Senta, quando lei ha un momento mi telefoni che ci vediamo settima... settimana prossima senz’altro me ne farò carico’. D.P.: ‘Grazie dottore’. D.B.:’ Grazie a lei, arrivederci’.
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sulla fiducia, dopo aver letto le prime due righe: Il rotolo?
per quanto riguarda il tempismo... beh, qualcosa di ancora + vecchio non si trovava che hai dovuto tirare fuori quel reperto archeologico?
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Iscritto dal: Jun 2004
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donald 'gnaaa fa
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pagato?
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Senior Member
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comunque fa piacere che tirino fuori il loro presunto "dossier" così verranno abbondantemente smerdati da Di Pietro come al solito
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#7 |
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Iscritto dal: May 2000
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![]() ![]() C;,a;,z;,a
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FINCHE' C'E' BIRRA C'E' SPERANZA !!!
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Iscritto dal: Dec 2007
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ma quella è un'intercettazione!!! donald, sei ufficialmente una metastasi della democrazia
cmq amesso che di pietro abbia salvato prodi.. 1) scagiona b.? non vedo il nesso! vedrei solo 2 indagati 2) in italia non si trova un'altra anima pia che lo indaga.. manco uno straccio di toga nera.. |
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#9 |
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Iscritto dal: Jun 2004
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fonte giovane italia
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#10 | |
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Iscritto dal: Feb 2004
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1) Infatti non è questo il nesso, è la gestione del potere in quel periodo 2) Vero. Chissà...
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#11 |
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Senior Member
Iscritto dal: Feb 2004
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Già ti sei scordato? Ieri ero passato da casa tua apposta per questo. Hai staccato un assegno...
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#12 | |
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Iscritto dal: Dec 2007
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ti rispondo al punto 2 (che cmq richiama il punto 1) pensa che ai quei tempi le toghe più in vista erano due: falcone e borsellino. Uno era toga nera dichiarata, l'altra è molto probabile che lo sia stata. Eppure pensavano alle cose serie, ai mafiosi, anzi ti dirò di più su youtube gira un video dove borsellino accenna qualcosa di b. Questo per farti capire quanto sia insulso e semplicistico etichettare il colore delle toghe in base a cosa sta bene e cosa no. ps. rimani (scherzosamente eh) una "metastasi della democrazia" in quanto basi i tuoi spunti su telefonate
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#13 |
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Iscritto dal: May 2004
Messaggi: 1456
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Ma come, le intercettazioni non sono Fatti?
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#14 |
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Senior Member
Iscritto dal: Aug 2005
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Ma come, gli elettori di cdx non vogliono proteggere la propria privacy ? Perchè allora riportare intercettazioni, impegnatevi ad abolirle, dimostrate che non servono a nulla.
ps. Paperino non può essere di destra
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Quel vizio che ti ucciderà non sarà fumare o bere, ma il qualcosa che ti porti dentro, cioè vivere - Twitter
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#16 | |
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Iscritto dal: Aug 2005
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Non mi viene in mente altro quando vedo Il Giornale che sparla dei suoi avversari. Avete visto l'ennesimo articolo di Facci su Di Pietro ? Puntuale, uscito stamane.
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#17 |
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Iscritto dal: Aug 2001
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ognuno giudichi con la propria testa, io ho solo fornito la fonte e qualche dettaglio sull'autore
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#18 | |
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e cosa ci sarebbe di penalmente rilevante?
Io non vedo corruzione di senatori, raccomandazioni di gnocche che poi paghiamo con i NOSTRI soldi e cose del genere. Però stranamente Ilvio vuole a tutti i costi scappare dal processo, mentre Di Pietro l'ha affrontato A TESTA ALTA e ne è uscito lindo e pulito come una rosa. Ecco come sono andati i Fatti: Quote:
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#19 |
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i comunisti sono sempre innocenti..
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#20 | |
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Senior Member
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Quote:
bastava guardare chi l'ha postato E, per dargli il beneficio del dubbio ho letto le prime due righe... ma l'ho azzeccato subito
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