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Old 24-12-2009, 13:28   #1
luposelva
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Souvenirs made in China

L'altra settimana un amica di mia moglie è stata a New York ed ha portato un paio di souvenirs in regalo. Quando poi li ho spulciati mi accorgo della scritta made in China non è possibile ma non si poteva fare più attenzione e comprare qualcosa di veramente americano, praticamente mi ha portato delle cose che troverei anche in un negozio vicino a casa mia
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Old 24-12-2009, 13:36   #2
Zodd_Il_nosferatu
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Old 24-12-2009, 14:02   #3
icoborg
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L'altra settimana un amica di mia moglie è stata a New York ed ha portato un paio di souvenirs in regalo. Quando poi li ho spulciati mi accorgo della scritta made in China non è possibile ma non si poteva fare più attenzione e comprare qualcosa di veramente americano, praticamente mi ha portato delle cose che troverei anche in un negozio vicino a casa mia
il colesterolo?
ti sfido a trovare made in usa
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Old 24-12-2009, 14:07   #4
luposelva
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il colesterolo?
ti sfido a trovare made in usa
C'è c'è basta cercare e fare attenzione, magari si spende ma questa è straricca.
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Old 24-12-2009, 14:19   #5
matti157
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io ho una gondola veneziana presa a Venezia fatta in Cina
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Old 24-12-2009, 14:39   #6
sauro82
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io ho una gondola veneziana presa a Venezia fatta in Cina
La maggior parte dei souvenirs di Venezia sono fatti in Cina.
Anche a Murano in alcuni negozi trovi oggetti in vetro prodotti in Cina.

Ieri sera con alcuni amici mi sono fermato a bere qualcosa in un bar gestito da cinesi.
A tutti hanno regalato un angioletto di vetro (credo) con una luce blu all'interno.
Ovviamente sulla scatola non c'era il marchio CE, solo Made in China e basta.
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Il sangue è vita: donalo se puoi! www.avis.it
Trattative positive con: Obelix-it
"The only reason Jimi died was the god wanted him to play in heaven"
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Old 24-12-2009, 15:15   #7
CYRANO
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a me hanno pure regalato una riproduzione di un vaso ming made in china !
non c'e' piu' religione !


c'.a'.z'.a'.za
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FINCHE' C'E' BIRRA C'E' SPERANZA !!!
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Old 24-12-2009, 15:24   #8
luposelva
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a me hanno pure regalato una riproduzione di un vaso ming made in china !
non c'e' piu' religione !


c'.a'.z'.a'.za

Se mi avesse ragalato un mac book 13" mi andava bene anche se fatto in cina.
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Old 26-12-2009, 09:29   #9
fendermexico
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Se mi avesse ragalato un mac book 13" mi andava bene anche se fatto in cina.
infatti i macbook li fanno proprio in cina... e non scherzo.
Non so se tutti i modelli, ma alcuni sì.



Anche mia nonna è stata fatta in Cina
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Old 26-12-2009, 10:09   #10
balint
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infatti i macbook li fanno proprio in cina... e non scherzo.
Non so se tutti i modelli, ma alcuni sì.



Anche mia nonna è stata fatta in Cina
Anche gli iPod... c'è scritto "designed in California" e "Made in China"
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Old 26-12-2009, 10:42   #11
porradeiro
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è ovvio che sono fabbricati in Cina, costa di meno assemblare li, ma non è detto che chi assembla sia Cinese. Se gli ipod fossero assemblati in USA costerebbero di più e avrebbero la stessa qualità. Non converrebbe
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Old 26-12-2009, 10:44   #12
CYRANO
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e chi li assembla in cina ?
operai americani pagati 1 euro al giorno ?



c;a;.z;a;z;a
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Old 26-12-2009, 10:49   #13
Aku
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Poco male, ormai in USA non hanno quasi più industrie il 50% della loro produzione è in Cina. Almeno per quano riguarda alcuni settori. Quello militare per esempio non lo fanno in cina
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Old 26-12-2009, 11:24   #14
fendermexico
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e chi li assembla in cina ?
operai americani pagati 1 euro al giorno ?
le marmotte che incartano la cioccolata, che quando non incartano la cioccolata producono i notebook.
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Old 26-12-2009, 12:03   #15
porradeiro
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Gli stipendi degli operai non sono l'unica spesa di un'azienda, le tasse non le conta nessuno? Bisognerebbe informarsi un pò prima di sparare a zero. Ovvio che una sciarpa comprata da un cinese è quella che é, ma un ipod assemblato in Cina è fatto in una determinata maniera
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Old 26-12-2009, 12:05   #16
CYRANO
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guarda che sono assemblati sempre dai cinesi.
l'unica cosa che cambia , ma non sempre , tra un prodotto di marca prodotto in cina e un prodotto cinese economico e' , oltre alla qualita' dei materiali , un controllo di qualita' serio...
il costo della manodopera e' quello che pesa di piu' eh.... ma mica lo si scopre oggi.


C'.a'.z'.a'.za
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Old 26-12-2009, 12:50   #17
tehblizz
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Messaggi: 239
Quote:
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Poco male, ormai in USA non hanno quasi più industrie il 50% della loro produzione è in Cina. Almeno per quano riguarda alcuni settori. Quello militare per esempio non lo fanno in cina
dèh perchè qui in Italia è diverso
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Old 26-12-2009, 13:45   #18
M4rk191
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MacBook 6,1|2,26 Ghz C2D|2GB 1067 Mhz DDR3|GeForce 9400M|Mac OSX 10.6.2
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Old 26-12-2009, 13:59   #19
Johnn
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Messaggi: 1136
http://www.repubblica.it/2009/08/sez...ca-natale.html

Quote:
In Cina la fabbrica di Babbo Natale
E' il mercato più grande del mondo

Migliaia di operai lavorano a pieno ritmo in 100 mila industrie
e a vendere ci pensano 200 mila commercianti in 62 mila stand
dal nostro inviato GIAMPAOLO VISETTI

In Cina la fabbrica di Babbo Natale E' il mercato più grande del mondo
YIWU (Cina) - Sulle mappe cinesi, o nelle guide, non è segnata. Yiwu però non è solo la città più ricca della Cina. Per gli economisti della Banca Mondiale è ormai la più importante del pianeta. Fino a vent'anni fa era un villaggio tra le risaie e i campi di grano, nel delta dal fiume Yangzi: centomila contadini poveri dello Zhejiang, seminati a sud del lago Tai, che Marco Polo ha descritto come "il paradiso". Una sola gloria: qui è nato l'uomo che ha tradotto il Manifesto in mandarino. Oggi conta oltre due milioni di abitanti, immigrati da tutta la nazione e da cento Paesi.

Trentacinquemila stranieri lavorano in tremila imprese internazionali. Ha un aeroporto di cristallo, quattromila hotel, seicento grattacieli, centodieci banche. Tutto nuovo. Ancora una sola, ma aggiornata, gloria: è il mercato più grande della terra. Per ordine delle autorità di Pechino, era partito con qualche bancarella.

Negli ultimi otto anni, dopo che lo Stato ha investito dieci miliardi di euro, sono stati costruiti quattro milioni di metri quadrati di esposizione permanente al coperto. Entro due anni la superficie supererà i cinque milioni. Yiwu non è così rimasto il più impressionante esperimento di produzione e di commercio di massa della storia. È il luogo in cui oggi si fabbrica e si vende il novanta per cento dei beni a basso costo acquistabili nei negozi di tutto il mondo. Ed è, per questo, l'unico dove la crisi non è arrivata.

Ha un giro d'affari ufficiale da quaranta miliardi di euro all'anno, con una crescita costante del quindici per cento. Il segreto dell'"International Trade Mart" è semplice: produrre e vendere al prezzo più basso, in ogni giorno dell'anno e nello stesso posto, tutto. Non è nemmeno più una città degli affari. È un laboratorio perfetto, programmato per trasformare qualsiasi materia prima in denaro. Si fonda sul "consumo globale".

Gli ex contadini di Mao Zedong, riciclati in scienziati di Robert Lucas senza nostalgie, lo considerano "il motore perpetuo del futuro". Per alimentarlo impiega sessantaduemila stand all'ingrosso, duecentomila commercianti e centomila industrie. Offre un milione e settecentomila prodotti diversi a duecentomila clienti al giorno provenienti da tutto il pianeta.

Consegna seicentomila container di merce all'anno in oltre duecento nazioni e regioni diverse. Il cuore della macchina è il gigantesco mercato. Ogni venditore ha quattordici metri quadrati di negozio, concessi dal funzionario locale del partito comunista. Affitto statale da cinquantamila euro all'anno: più di uno showroom in centro a Londra. Quattordici metri quadrati, qui, rendono però come venti grandi negozi nelle più ricche metropoli di Usa e Giappone. Attorno a queste preziose "vetrine globali" si distendono i capannoni. Qualche milione di operai, lavorando a ciclo continuo a non più di un'ora dal luogo della vendita, producono all'istante ciò che il grossista chiede.

Oltre gli stabilimenti, sconfinati dormitori, tutti uguali, anonimi e distinti da numeri. A chiudere il cerchio, i terminal per le spedizioni: più in là, binari, autostrade, canali che conducono al Mar Giallo. Qualsiasi articolo interessi, previo anticipo del trenta per cento in contanti, viene consegnato ovunque e in qualunque quantità entro due settimane, senza costi aggiuntivi. Si può vagare per settimane lungo chilometri di corridoi dove è esposto tutto ciò che l'umanità ritiene di poter scambiare e gli umani sono indotti, prima o poi, a desiderare. La sensazione più violenta, assieme alla vista dei beni materiali che assedieranno le nostre vite e riempiranno le nostre case nei prossimi anni, è però un'altra. Risulta evidente il compiuto trasferimento da Occidente a Oriente del baricentro economico del mondo, l'impossibilità di resistere delle strutture commerciali europee, e dei vecchi distretti industriali, concepiti nel secolo concluso.

Perché l'onda commerciale che si alza da Yiwu, e da Canton per i beni di qualità, travolge anche le imprese occidentali più avanzate. Hu Yan Hu, amministratore della città-simbolo del capitalismo interpretato secondo la "via cinese al socialismo", lo spiega così: "Tenere sempre gli occhi su ciò che succederà dopo, essere sempre pronti a fare un'altra cosa, approfittare sempre delle crisi: e fare sempre tutto per primi". I commercianti della "China Commodity City", in questo, sono i migliori al mondo e si vede. In ogni stand ci sono cinque venditori. Uno tratta con i clienti di passaggio. Uno smista gli ordini che arrivano al computer. Uno investe immediatamente i soldi incassati nella Borsa di Shanghai, o di Hong Kong. Uno gira il mercato e le industrie della zona per studiare prodotti e prezzi dei concorrenti. Uno, a turno, mangia o dorme tra la merce.

Gridano e contano muretti di banconote. Allevano bambini nati e cresciuti tra gli scatoloni. Succhiano zuppa disidrata mentre pescano biglietti da visita che tracimano dai secchi, di colore diverso in base ai tempi di solvibilità del cliente. Trasformano gli ordini in sconto, in base alla quantità, con disorientante rapidità. Sorridono sempre e assicurano che "le cose non sono mai andate così bene". Di ogni prodotto sanno citare, a memoria, il prezzo spuntabile in ogni nazione del pianeta e il margine medio di guadagno potenziale per il dettagliante. Non hanno frequentato università. Si limitano ad applicare poche regole, esibendo il piacere di eseguire un gioco semplice, ma a regola d'arte: "Costare di meno - dice Jin Fang, venditore di certe nuove treccine elettriche colorate da sera - e offrire di più. Avere ciò che nessun altro ha e fare in modo che tutti ne abbiamo bisogno". Altrove suonerebbe come una formuletta scontata. A Yiwu, "per contribuire al successo della Cina", l'hanno trasformata nel miracolo economico del nuovo millennio.

Una città per le pentole, una per le parrucche, una per le bilance, una per le conchiglie, una per i palloni, una per i cellulari, una per le matite, una per le cravatte, una per i trapani, una per le collane, una per i coltelli, una per i tavoli, una per il piercing, una per le borsette, una per le opere d'arte, una per i mobili antichi di ogni epoca e così via per 34217 classi di prodotti, dalla vite in titanio per microscopi alla gabbia-stereo per merli indiani. C'è il quartiere che pensa ai matrimoni, quello che vive per i funerali, per i battesimi, per i compleanni, per la laurea, per San Valentino, per Halloween, per Pasqua, o per Capodanno. Il più sconfinato è ovviamente il padiglione di Natale. Da qui sta uscendo il 92% dei regali che il mondo si scambierà in dicembre, il 94% di ciò che viene appeso per addobbare un abete e l'86% delle decorazioni per case, uffici e negozi. Babbo Natale, dalla Lapponia, si è trasferito sotto Shanghai. "E' semplice - dice Jamal Flaieh, esportatore giordano - tu giri e devi poter trovare tutto ciò che nella vita da qualche parte hai visto, o non hai mai nemmeno immaginato, scoprendo che costa quasi nulla". La concentrata declinazione materiale della vita sulla terra, dal materassino da Caraibi alla tenda da Himalaya, riserva infatti all'etichetta il colpo di scena finale. Finezze orientali: il valore delle cose è tra 50 e 200 volte, per alcuni beni anche 1000 volte, più basso di quello che ci viene proposto quando decidiamo di fare un acquisto. "Tre anni fa - dice Liu Zhuo Ying, direttrice della compagnia statale che gestisce la città-mercato - abbiamo visto un problema: il mondo non ha più abbastanza soldi per pagare la vita che tutti pretendono di fare. La soluzione non è rinunciare a qualcosa, ma poterla avere per meno e volerla piuttosto comprare, in tempi diversi, più volte.
Abbiamo sottratto la cifra mancante alla spesa globale e abbassato il prezzo di ogni cosa del doppio della percentuale. Gli ordini non si sono limitati a ripartire: si sono moltiplicati per quattro".

Yiwu ha così ridefinito la sfida cinese a non restare solo la fabbrica del pianeta, ma a diventare anche il suo unico negozio: consumi da ricchi a prezzi da poveri. Spiegare come, porterebbe lontano. Ma è una metamorfosi invisibile, che sta ridisegnando la geografia della ricchezza. "America ed Europa - dice il sindaco Lu Xuhang - comprano meno. Sono state rimpiazzate da Cina, India e Medio Oriente. Prodotti diversi: ma il saldo, per noi, è in attivo. Una sola preoccupazione: Vietnam e Cambogia, se non spicchiamo un altro balzo, potrebbero costare ancora meno di noi".

Li Jundao, venditore di scheletri fosforescenti, semplifica: "Spedivo tutto in due porti di California e Olanda, in inglese. Ora mando verso trentaquattro destinazioni, con etichette in sedici lingue". I primi due clienti, in città, oggi sono Sudafrica e Brasile. Per Città del Capo sta partendo tuttò ciò che vedremo ai Mondiali di calcio dell'anno prossimo. Da Rio de Janeiro è già arrivata la delegazione che deve trasformare in un affare le Olimpiadi del 2016. Per questo, negli hotel esauriti per l'Expo d'Autunno, si aggirano industriali cinesi, mercanti turchi ed egiziani, stilisti indiani, banchieri di Singapore e pubblicitari giapponesi. Hanno letto l'anima dei nostri sogni standardizzati e plasmano il nuovo profilo del "mondo low cost", contando al centesimo la migrante capacità globale del consumo. Basta una frase urlata da una branda tra gli zainetti Disney, "questo non va più", e per un glorioso protagonista dell'apocalittico show dello scambio, è una sentenza di morte.

Attorno a tale inafferrabile ma decisiva entità superiore, che a Yiwu chiamano "la corrente perpetua", in quest'angolo di Cina che salva e terrorizza, crescono parchi, campi da Golf, ville di lusso. Era un esperimento economico comunista, è diventato il più invidiato modello di vita capitalista: ciò che vedremo dopo esserci accorti che il mondo è già oltre il superato "made in China". Nel padiglione degli ombrelli, che occupa la superficie di quattro stadi, due imprenditori sedicenni di Guangzhou stanno lanciando quelli riciclabili. Appena smette di piovere, si buttano via: sette centesimi l'uno.

"Sei europeo - si stupiscono - e vuoi restare ricco? Difficile. Ti restano due affari: bellezza-immagine e vita quotidiana. Apparenza e necessità: non vi resta altro. Ma metti a uno ciò che mettevi a cento e vedi di venderne mille". Ecco perché Yiwu non è sulle mappe: non serve, ci si arriva.
Penso non ci sia molto da aggiungere.
Johnn è offline   Rispondi citando il messaggio o parte di esso
Old 26-12-2009, 18:02   #20
Gennarino
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Io da Washington D.C. (USA) ho spedito cartoline MADE IN ITALY !!!! EVVVAI !!! (Arriva la scansione nel thread delle cose LOL)
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Se godeste questo alberino, vi assicurate abboni alla mia alimentazione RSS! GODA!
Quando fai le cose per bene, nessuno sospettera' mai che tu abbia fatto realmente qualcosa.
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