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Old 28-12-2009, 16:03   #1
nesema
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I livelli della crisi - confronto economia paesi europei

http://www.chicago-blog.it/2009/12/2...i-della-crisi/

http://www.bancaditalia.it/pubblicaz...ecofin_2/QF_58

http://www.bancaditalia.it/pubblicaz..._58/QEF_58.pdf

I livelli della crisi
Mario Seminerio
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Nei giorni scorsi è stato pubblicato un Occasional Paper della Banca d’Italia, intitolato “La crisi internazionale e il sistema produttivo italiano: un’analisi su dati a livello di impresa“, di Matteo Bugamelli, Riccardo Cristadoro e Giordano Zevi. Il lavoro esamina le conseguenze per il sistema produttivo italiano della crisi economica e finanziaria internazionale iniziata nel 2007 con un approccio contemporaneamente macro e micro, utilizzando cioè sia dati aggregati di contabilità nazionale che informazioni a livello d’impresa desunte dall’indagine sulle imprese industriali e di servizi (Invind) condotta annualmente dalla Banca d’Italia. Tra le risultanze della ricerca, ne spicca soprattutto una: i livelli della produzione industriale italiana sono tornati indietro, a causa della crisi, di quasi 100 trimestri.

Come scrivono gli autori del paper,

Rispetto ai massimi toccati all’inizio del 2008, nel secondo trimestre dell’anno in corso l’indice della produzione ha segnato una diminuzione cumulata prossima al 25 per cento, con il risultato che, nella scorsa primavera, il volume delle merci prodotte si era riportato al livello della metà degli anni Ottanta. Nella media dell’area e nei suoi principali paesi, il calo, pur assai pronunciato, è stato inferiore.
Misurato in termini di trimestri persi, cioè di quanto indietro nel tempo sono tornati i livelli della produzione, la maggiore gravità della situazione italiana risulta evidente: i 12 e 13 trimestri di Francia e Germania si confrontano con i quasi 100 dell’Italia

Nello specifico, e rimandando il lettore alle tavole 1 e 2 del paper, il livello di produzione industriale italiana è tornato al secondo trimestre 1986, quello tedesco al quarto trimestre 1999, quello francese al primo trimestre 1994. Come si nota, quello italiano è un autentico crack, che conferma (se mai ce ne fosse stato bisogno) che affermare che il nostro paese ha navigato in questa crisi meglio dei nostri concorrenti è una fallacia assoluta. Dal lato più generale del Pil, l’Italia in questa crisi è tornata indietro di 34 trimestri, contro i 13 e 12 rispettivamente di Germania e Francia. Naturalmente la notizia è rimasta sepolta nella cronaca natalizia, e forse è meglio così, visto quanto è inquietante.

Uno degli errori più comuni commessi dalla stampa e dai commentatori politici è quello di considerare solo le variazioni di una grandezza, non i suoi livelli. In tal modo l’analisi finisce col perdere profondità prospettica. Sono ancora e sempre troppo pochi quelli che riescono a realizzare che, quando una grandezza perde il 50 per cento, necessiterà di una ripresa del 100 per cento solo per tornare al livello di partenza. Non sorridete, in questo paese abbiamo un disperato bisogno di partire dalle nozioni di base. Per una migliore comprensione della differenza esistente tra livelli e variazioni è utile leggere gli esempi fatti da Menzie Chinn e Paul Krugman.

E soprattutto è utile smettere di dire che l’Italia ne uscirà meglio di altri.
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essere pessimisti/catastrofisti è negativo.... ma "propagandare" che tutto vada bene è ILLUDERE.....
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Old 28-12-2009, 18:39   #2
easyand
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che quello italiano sia un capitalismo "straccione" lo si dice da anni, nel nostro paese le famiglie sono poco indebitate, al contrario le imprese lo sono pesantemente, e quando le banche hanno stretto la cinghia il risultato è questo.
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Old 28-12-2009, 18:49   #3
MadJackal
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Che analisi anti-italiana.
Siamo messi meglio di tutti, siamo quelli usciti meglio dalla crisi!
Che hanno questi Komunisti da lamentare?
__________________
командир роты - Quando la CAUSA chiama, l'esercito del male risponde!
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Old 28-12-2009, 21:59   #4
sid_yanar
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Messaggi: 58
interessante, analisi probabilmente realistica, le sensazioni che si assaporano in giro del resto sono quelle purtroppo di un paese in agonia.
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Old 28-12-2009, 23:05   #5
superanima
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E soprattutto è utile smettere di dire che l’Italia ne uscirà meglio di altri.
così come smettere di dire che l'Italia ne uscirà peggio. Ma come è possibile negarvi la gioia di aprire 5 thread al giorno per ribadirlo.
__________________
«Uomini belli fecero belle statue e la città aveva belle statue in parte grazie ai bei cittadini» (Lessing)
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Old 28-12-2009, 23:31   #6
easyand
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L'Avatar di easyand
 
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Messaggi: 666
ormai pare che l'economia la facciano i partiti, se senti a destra è tutto un bijoux, se senti a sinistra è la fine del mondo (e colpa del governo in carica)...e la gente via che li segue come pecoroni.
Farsi un opinione propria basata su fatti, numeri, analisi no eh
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Old 29-12-2009, 01:35   #7
claudioborghi
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Neanche da dire che il povero studio parlava di tutt'altro e i professionisti del piagnisteo hanno tirato fuori l'unico dato che veniva bene allo scopo.
Comunque vale la pena ricordare che 1) l'analisi e' stata fatta durante il secondo trimestre del 2009, vale a dire nel momento peggiore della crisi, nella seconda parte dell'anno i dati sono sensibilmente migliorati.
2) La produzione industriale rappresenta solo una parte dell'economia e nel nostro caso un peso preponderante su quel dato lo ha la fiat, settore iperciclico che contrae e riparte molto velocemente. A marzo se non ricordo male per esempio la fiat produceva a -50%
3) L'analisi (dato che si occupa di altro) non mette in relazione la pi con disoccupazione, deficit e debt rate of change: in parole povere uno stato puo' scegliere di puntellare pil e produzione pagando con i soldi pubblici, ma lo paga con deficit e debito. Se prendi in considerazione solo la pi e' come confrontare la velocita' di due macchine senza considerare se una delle due per accelerare non stia per caso cadendo a pezzi.
4) L'industria italiana e' strutturalmente basata su settori "flessibili" e come contrae velocemente altrettanto velocemente puo' ripartire.
5) I valori di disoccupazione, deficit, proporzione di aumento del debito e prospettive di ripresa (superindice) per l'italia sono fra i migliori d'europa (e del mondo), cosa riconosciuta ormai da tutti.
6) Il danno strutturale della crisi ha riguardato il settore finanziario ma il nostro paese ne e' rimasto pressoche' indenne (e i miliardi di buco nelle banche non entrano nella pi).
7) Le imprese italiane continuano a ristrutturarsi più' velocemente di molte altre e lo studio sulla competitivita' presentato oggi dalla fondazione edison (secondi dietro alla germania) lo dimostra.

Mi rendo conto che le aspettative dei tifosi del tanto peggio tanto meglio erano altre, ma l'Italia e' un paese fantastico come capacita' di adattamento e deve essere considerato come strutturalmente "difensivo" e overperformante in periodi recessivi.
claudioborghi è offline   Rispondi citando il messaggio o parte di esso
Old 29-12-2009, 10:25   #8
scorpionkkk
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Mi rendo conto che le aspettative dei tifosi del tanto peggio tanto meglio erano altre, ma l'Italia e' un paese fantastico come capacita' di adattamento e deve essere considerato come strutturalmente "difensivo" e overperformante in periodi recessivi.
Non vedo la bontà della questione. Dobbiamo aspettare le grandi crisi economiche per essere "overperformanti" (rispetto agli altri poi, non in assoluto).

Qui di tifosi del tanto peggio, tanto meglio ce ne sono pochi. C'è solo gente che ha capito che la proverbiale "capacità di adattamento" dell'industria italiana non è null'altro che la proverbiale inettitudine ad assumere una posizione industriale all'interno di un piano industriale, navigando alla giornata.
Ovvio che in momenti di competitività si rimane al palo (cioè il 90% del tempo) e si gioisce in tempi di crisi quando gli altri scendono e noi, nel nostro limbo economico, rimaniamo attaccati al palo ( o al tram).
Tesi tra l'altro caldeggiata dalla tanto supercitata "fondazione edison" che inserisce l'onestà imprenditoriale italiana a latere rispetto alla bolla speculativa mondiale che le ha permesso di fare soldi nel 2006-2007 solo grazi alle speculazioni finanziarie contratte dagli altri che hanno trainato anche gli onesti (ma incapaci) imprenditori nostrani. Tesi finale: riforme strutturali, ovvero, burocrazia togliti dalle scatole.

E' ora di farla finita. L'unico modo per affrontare i problemi è ammetterli altro che "l'Italia è uscita bene dalla crisi". Anche lo stato formato da una zattera nell'oceano è uscito indenne dalla crisi.

PS: fondazione edison: sto ancora ridendo, la raccolta degli articoli di marco Fortis trasformati in studio con un sentore riassunto dal titolo dell'ultimo articolo : "una ripresa fragile e la dura realtà".

Ultima modifica di scorpionkkk : 29-12-2009 alle 10:28.
scorpionkkk è offline   Rispondi citando il messaggio o parte di esso
Old 29-12-2009, 14:41   #9
nesema
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così come smettere di dire che l'Italia ne uscirà peggio. Ma come è possibile negarvi la gioia di aprire 5 thread al giorno per ribadirlo.
se hai notato.... la MIA ultima frase è:
essere pessimisti/catastrofisti è negativo.... ma "propagandare" che tutto vada bene è ILLUDERE.....
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Old 06-01-2010, 17:11   #10
nesema
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http://www.chicago-blog.it/2009/12/3...usione-ottica/

L’illusione ottica
Carlo Stagnaro
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L’Italia paese sano? Non scherziamo: a volte, leggere male i dati può causare gravi fraintendimenti. Sul sito del Wall Street Journal è disponibile una bella e documentata mappa interattiva sui paesi dell’eurozona, nella quale il nostro paese è classificato come “a medio rischio”, mentre figurano “ad alto rischio” nazioni spesso indicate come modelli – quali la Spagna e l’Irlanda. Dove sta il trucco?

Il trucco, semplicemente, non c’è. Tutto dipende da che tipo di coordinate si adottano. Se si sceglie un sistema di coordinate relativo – come ha fatto il Wsj sulla scorta della Commissione europea – allora è vero: il nostro paese se la cava abbastanza bene. Ciò vale se ci si concentra sul cambiamento che i principali indicatori macroeconomici e di finanza pubblica hanno avuto dall’inizio della crisi a oggi. Come scrive il Wsj,

l’elevato debito pubblico esistente, al 105 per cento del Pil, ha impedito al governo di imbarcarsi in qualsiasi stimolo fiscale significativo durante la recessione.

Abbiamo, cioè, fatto di necessità virtù. Questo non ci ha impedito, a causa delle enormi rigidità della nostra spesa pubblica, di avviarci su un sentiero preoccupante di aumento delle dimensioni relative del debito rispetto al Pil, che veleggiano verso il 120 per cento (contro una media dell’eurozona pre-crisi attorno al 60 per cento, come da vincoli del Patto di stabilità, e tende al 90 per cento). La crescita del prodotto interno lordo, che nel 2009 ha performato peggio della media dell’eurozona, nel prossimo paio d’anni sarà modesta e pari o inferiore a quella dell’area dell’euro, secondo le previsioni. Abbiamo avuto risultati migliori rispetto a due soli indicatori: la disoccupazione e il deficit pubblico. Sulla prima, non è chiaro quanto abbia influito l’ampia estensione dell’economia sommersa (che pure non è necessariamente sempre e solo un male). Quanto al deficit, ci troviamo – rispetto al resto d’Europa – in una situazione ambigua: la crescita del deficit italiano è stata più moderata, ma partiva da un livello pre-crisi più preoccupante. Si può quindi dire che gran parte del nostro deficit sia strutturale, mentre gran parte del deficit altrui sia congiunturale. Se saranno adottate politiche di rientro dagli stimoli efficaci, il deficit degli altri si ridurrà rapidamente ai livelli pre-crisi: il nostro, resterà pressappoco dov’è.

Per capire la differenza, guardiamo a Madrid. Sicuramente la crisi ha avuto un impatto devastante: il rapporto debito/Pil quasi raddoppia (ma resta sotto l’80 per cento), mentre il deficit arriva, nel 2009, a un tremendo 10 per cento del Pil. La disoccupazione tende verso la quota stellare del 20 per cento, mentre la crescita del Pil – che nel 2009 è sceso meno di quello italiano – ricupererà molto lentamente. Questo non fa della Spagna un paese peggiore dell’Italia. Il governo di Zapatero si è impegnato a riportare il deficit entro la soglia del 3 per cento del Pil da qui al 2013. Non sappiamo se ci riuscirà. Se lo farà, è probabile che la Spagna torni, in un periodo di tempo relativamente breve, a brillare come caso-scuola in Europa. Altrimenti, potrebbe avviarsi su un sentiero italiano, di deficit incontenibile, debito crescente e, come risultato, alta tassazione e bassa crescita. E’ però importante sottolineare che l’Italia non sta meglio della Spagna, semplicemente perché l’Italia è uno dei possibili futuri – ma non l’unico – per gli spagnoli. Se riusciranno a rimediare agli errori compiuti negli ultimi due anni, si salveranno, mentre noi continueremo a barcamenarci.

E’ vero, dunque, che nel frangente della crisi l’Italia se l’è cavata: nel senso che ha perso meno, avendo meno da perdere. Si è impoverita meno, essendo più povera. In termini relativi, possiamo compiacerci di essere molto fighi. In termini assoluti, restiamo il malato d’Europa.
nesema è offline   Rispondi citando il messaggio o parte di esso
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