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Old 23-01-2010, 11:38   #1
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La crisi? In Italia la pagano i giovani

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La crisi? In Italia la pagano i giovani
Siamo in testa alla classifica Ocse: penalizzati i ragazzi. Il 60 per cento dei disoccupati ha meno di 34 anni

Forse perché è insicura della propria identità, l’Italia adora paragonarsi al resto del mondo. Gli italiani prendono sul serio e compulsano febbrilmente qualunque classifica internazionale li riguardi, quasi avessero bisogno di scoprire chi sono tramite il giudizio altrui. Si specchiano negli altri per capire se stessi. Poi magari si deprimono o invece, altre volte, concludono che in fondo, a guardar bene certi indicatori, «siamo quelli che stanno meglio». Eppure c’è una graduatoria nella quale questo Paese occupa un posto importante, senza che questo attragga granché l’attenzione nazionale: siamo l’economia avanzata nella quale la minoranza costituita dai giovani ha pagato il prezzo più alto alla recessione, e continua a farlo. Statisticamente, le generazioni nate fra il 1974 e il 1994 hanno assorbito l’intero costo della più grave crisi economica del dopoguerra.

Lo hanno fatto per tutti e in tutto, sia in termini di occupazione che nel livello delle retribuzioni. Lo hanno fatto a tal punto da aver assunto su di sé quasi tutti gli oneri di questi anni, risparmiandoli (almeno per ora, finché terrà la cassa integrazione) alla maggioranza di popolazione costituita dai padri e dai fratelli maggiori. Insomma quasi tutti i colpi li hanno incassati gli ultimi arrivati, la tipologia di residenti sul suolo nazionale demograficamente minoritaria. Nell’Ocse, il club delle trenta democrazie avanzate del pianeta, si tratta di un record che mette l’Italia al primo posto in questa graduatoria. Al secondo, un po’ distante, la Spagna. L’osservazione è di Stefano Scarpetta, capo della divisione Politiche e analisi del lavoro dell’Ocse di Parigi. Secondo le stime ufficiali, nota Scarpetta, in Italia nell’ultimo anno tutte le perdite nette di posti (il saldo fra assunzioni e licenziamenti) si concentrano nel bacino degli occupati atipici e temporanei; lì chi ha meno di 35 anni è in netta maggioranza: quasi il 60% della popolazione dei precari è nato dopo il ’74.

In Spagna, il valore comparabile segnala un’emorragia di lavoro concentrata all’85% in questa fascia di popolazione giovane, e lo squilibrio è considerato così serio da essere al centro di un dibattito sull’ingiustizia intergenerazionale. In Italia se ne parla meno. In parte, forse è perché la disoccupazione non è salita altrettanto in fretta. In Spagna è rapidamente raddoppiata ed è ormai vicina al 20% mentre, nel biennio della grande frenata, la crescita italiana del tasso dei senza- lavoro è stata di circa due punti (all’8,3%, senza contare i cassaintegrati): meno della media europea e meno degli Stati Uniti, che viaggiano intorno al 10%. Ma la peculiarità italiana è appunto nella distribuzione squilibrata dei sacrifici: la mette in luce, con elaborazioni sulla base degli ultimi dati Istat (sui primi tre trimestri dell’anno), uno studio della ricercatrice Valeria Benvenuti della Fondazione Leone Moressa di Mestre. Nel confronto fra il 2008 e il 2009 l’ecatombe del lavoro dei giovani emerge così come l’autentica cifra italiana nella crisi. Si scopre che nella fascia di popolazione di chi ha fra i 15 e i 24 anni, il numero degli occupati è sceso dell’11,6%; in quella fra i 25 e i 34 anni si è ridotto del 5,5%; invece fra gli adulti e gli anziani in età lavorativa cambia tutto. Qui le tracce della grande recessione (ancora) non sono evidenti: nella popolazione residente in Italia compresa fra 35 e i 64 anni, il tasso di occupazione è addirittura salito (dello 0,9%) fra il 2008 e il 2009, mentre intanto l’economia crollava quasi del 5%. Più avanti si va nell’età anagrafica, più sembra che i lavoratori dipendenti siano protetti dagli effetti avversi della congiuntura.

Non è dunque un caso se in Italia la maggioranza della popolazione disoccupata è costituita dalla minoranza (demografica) di popolazione giovane. Sull’esercito di 1,87 milioni di senza-lavoro italiani, oltre un milione di persone hanno meno di 34 anni; solo 840 mila ne hanno di più. Quasi il 60% dei disoccupati sono persone giovani. Si tratta di un dato che a suo modo riassume usi e costumi di una società, perché questi numeri sono il contrario esatto di ciò che ci si aspetterebbe dalla demografia. Gli adulti e gli anziani della fascia 35-64 anni sono molto più numerosi, 25,5 milioni. Il popolo dei nati fra il ’74 e il ’94 è invece di appena 14 milioni, eppure fornisce comunque il grosso dei disoccupati. Questa tendenza, presente da tempo, nella recessione non ha fatto che radicarsi. La disoccupazione nella fascia 15-24 anni nel 2009 è salita del 4,2%; quella nella fascia 25-34 dell’ 1,3%; e quella nella fascia 35-64 invece di appena 0,9%. Un motivo immediato di questa distorsione a danno dei giovani è semplice e ben noto: sono loro (con gli immigrati e i poco qualificati) a costituire il nerbo dell’esercito degli atipici, temporanei e insomma dei precari facili da licenziare alle prime difficoltà.

Gli adulti sono invece più spesso inquadrati con contratti a tempo indeterminato, molto costosi da rescindere. È un mercato del lavoro spezzato in due e i dati dell’Istat-Fondazione Leone Moressa ne confermano le caratteristiche: quasi uno ogni quattro lavoratori dipendenti sotto i 35 anni ha un contratto temporaneo, mentre sopra i 35 anni lo ha solo il 7,7% degli assunti. Il risultato? Nel 2009 il numero dei dipendenti precari è crollato (meno 10,5% per gli under-35, meno 5,8% per gli over-35) e anche quello dei dipendenti permanenti è diminuito, ma in questo caso è successo solo per i giovani. Per gli over-35, paradossalmente, il numero dei lavoratori con un contratto permanente è invece addirittura cresciuto malgrado la crisi (più 2,4%). È proprio la strana storia dei dipendenti permanenti — crollati fra i giovani, cresciuti fra gli adulti e anziani— a segnalare che forse il precariato non spiega tutto del trattamento punitivo riservato in Italia ai giovani. Espressa in molti meccanismi, sembra pesare anche la preferenza generale di una società anziana per i suoi membri anziani.

L’Italia concorre infatti anche per un altro primato internazionale: è abitata da persone molto più in là con gli anni che altrove. Secondo l’annuario della Cia, l’età mediana nel Paese è la terza più alta al mondo (43,3 anni) subito dietro il Giappone e la Germania. Le fette di popolazione nelle fasce 35-44, 45-54 e 55-64 anni sono tutte molto più numerose di quella della fascia 15-24 e, ancora di più, della fascia 5-14. Gran parte della popolazione è in età piuttosto matura. Forse è dunque normale che attraverso il welfare, i partiti, i sindacati o nelle imprese, emergano scelte collettive che favoriscono le maggioranze relative anziane (più organizzate, per il fatto stesso dei loro privilegi) a scapito delle minoranze giovani e disorganizzate. La stessa tendenza si nota del resto anche nell’andamento delle retribuzioni: quelle dei giovani e precari non solo sono più basse, crescono anche molto più lentamente. Così la forbice retributiva si allarga: fra il 2006 e il 2008, la differenza nella retribuzione media giornaliera fra un contratto permanente e uno a tempo determinato è salita da 18,17 a 21,38 euro: la crisi anche qui ha ampliato gli squilibri ai danni delle ultime generazioni.

La busta-paga dei lavoratori dipendenti permanenti è cresciuta del 7,22%, mentre quella dei dipendenti a tempo determinato solo del 4,04%. Su questi valori, elaborati in base ai dati Inps, può incidere certo il fatto che molti atipici sono impegnati in mestieri semplicemente pagati peggio. E conta senz’altro la posizione di debolezza del precario nel negoziare il proprio compenso. L’impressione generale è però quella di un’Italia bizzarramente «democratica» nel modo di reagire alla grande crisi: ha deciso quasi tutto la maggioranza anziana, e lo ha fatto a proprio favore. Che poi davvero le convenga soffocare le speranze di quelli venuti dopo, la loro crescita professionale e capacità produttiva, le nuove nascite e il futuro di tutti—in una spirale di sempre maggiore invecchiamento «democratico » — è ovviamente un’altra storia.

Federico Fubini
23 gennaio 2010


http://www.corriere.it/economia/10_g...4f02aabe.shtml
Posto questo articolo perchè è molto esplicativo anche in numeri di quello che passiamo oggi e purtroppo dentro questa analisi ci casco in pieno anch'io.

Ultima modifica di anonimizzato : 23-01-2010 alle 11:56.
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Old 23-01-2010, 13:25   #2
Fides Brasier
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Più avanti si va nell’età anagrafica, più sembra che i lavoratori dipendenti siano protetti dagli effetti avversi della congiuntura.
tranquillo, ancora per poco.
quel fenomeno e' dovuto ai contratti a tempo indeterminato di cui godono sprattutto le persone meno giovani, che fa da contraltare al precariato selvaggio diffuso presso i piu' giovani.
sacconi ha gia' parlato della necessita' di "riformare" lo statuto dei lavoratori, aspetta che ci si arrivi e ne vedremo delle belle per tutti, giovani e meno giovani
__________________
E' il tuo sguardo che mi fa capire cosa mi puoi fare E le tue labbra accese e accattivanti mi fanno barcollare e l'adrenalina sale! Vorrei un altro pianeta disperso per noi due è solo un modo per dirti cosa ti farei!! E' il tuo odore che mi fa impazzire ho questa strana voglia di renderti il mio cibo Ma non temere sono solo un tipo strano che vuole la tua carne in preda all'essere animale Vorrei un altro pianeta disperso per noi due e come un tuono nel cielo sparire come Dei..
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Old 23-01-2010, 14:02   #3
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tranquillo, ancora per poco.
quel fenomeno e' dovuto ai contratti a tempo indeterminato di cui godono sprattutto le persone meno giovani, che fa da contraltare al precariato selvaggio diffuso presso i piu' giovani.
sacconi ha gia' parlato della necessita' di "riformare" lo statuto dei lavoratori, aspetta che ci si arrivi e ne vedremo delle belle per tutti, giovani e meno giovani
A beh non è che ci sia da rallegrarsi.

Si sono costruiti il loro futuro (questo presente) sul lavoro dei loro (noi) figli.

Poi parlano di bamboccioni e fannulloni.

L'unica consolazione è che prima o poi moriranno anche loro.
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Old 23-01-2010, 14:04   #4
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Quando poi ci sarà il completamento del ricambio generazionale voglio proprio vederlo un intero paese "a progetto" o a "PIVA", li si che ci sarà da divertirsi.

Aumenteranno ancor di più le diseguaglianze sociali e l'arrivismo.
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Old 23-01-2010, 15:39   #5
MadJackal
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Quando poi ci sarà il completamento del ricambio generazionale voglio proprio vederlo un intero paese "a progetto" o a "PIVA", li si che ci sarà da divertirsi.

Aumenteranno ancor di più le diseguaglianze sociali e l'arrivismo.
Eh, ma se sei contro a queste porcate ti accusano di sostenere una "causa", scrivendolo in rosso ed in maiuscolo e magari in grassetto.
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Old 23-01-2010, 16:22   #6
fabio80
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tranquillo, ancora per poco.
quel fenomeno e' dovuto ai contratti a tempo indeterminato di cui godono sprattutto le persone meno giovani, che fa da contraltare al precariato selvaggio diffuso presso i piu' giovani.
sacconi ha gia' parlato della necessita' di "riformare" lo statuto dei lavoratori, aspetta che ci si arrivi e ne vedremo delle belle per tutti, giovani e meno giovani
ma che cazzo volgiono ancora, pure lo statuto dei lavoratori adesso?
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Old 23-01-2010, 16:41   #7
sempreio
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Quando poi ci sarà il completamento del ricambio generazionale voglio proprio vederlo un intero paese "a progetto" o a "PIVA", li si che ci sarà da divertirsi.

Aumenteranno ancor di più le diseguaglianze sociali e l'arrivismo.
tutti quei lavoraqtori sono destinati a crepare di fame, io non credo neanche che se ne rendano conto che sono solo schiavi
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Old 23-01-2010, 17:09   #8
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tutti quei lavoraqtori sono destinati a crepare di fame, io non credo neanche che se ne rendano conto che sono solo schiavi
Fidati che il sottoscritto se ne rende ben conto purtroppo.
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Old 23-01-2010, 17:22   #9
akfhalfhadsòkadjasdasd
 
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facciamo tutti gli imprenditori.. le "agevolazioni" stanno tutte da quella parte



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Old 23-01-2010, 17:23   #10
mixkey
 
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Ultima modifica di mixkey : 23-01-2010 alle 17:37.
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Old 23-01-2010, 17:30   #11
Scalor
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tutti quei lavoraqtori sono destinati a crepare di fame, io non credo neanche che se ne rendano conto che sono solo schiavi
esatto !
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facciamo tutti gli imprenditori.. le "agevolazioni" stanno tutte da quella parte



il problema è che i prodotti qualcuno dovrà pure acquistarli....altrimenti finisce pure l'imprenditore !

io penso che ci sia una disaffezione dei giovani, moltissiminon si recano neppure a votare, nonostante protestino per il futuro ! e mi pare che sia una discrepanza di comportamento ! già siamo un paese governato da vecchie cariatidi , parassiti della politica, ecc ma se nemmeno i giovani scelgono.... non ne usciamo da questa situazione...
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Old 23-01-2010, 17:33   #12
MesserWolf
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ma non è un problema essere precario da giovane onestamente, non pretendo che da neolaureato uno trova il posto fisso subito ... manco lo vorrei forse a dirla tutta (almeno fino ai 30-33 anni dico).

Il problema è quando non trovi lavoro in toto, o trovi solo stage non pagati o quasi . Il problema è finire a fare gli schiavi quando nel resto d'europa la situazione cambia dal giorno alla notte.

Il problema sono gli stipendi da fame.... a milano con 900-1000-1100 non vivi ma sopravvivi e basta.

Il problema adesso è anche solo trovarlo lavoro, perchè prima di assumere le imprese ora ci pensano non 1 ma 10 volte.
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Ultima modifica di MesserWolf : 23-01-2010 alle 17:37.
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Old 23-01-2010, 17:33   #13
MesserWolf
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beh in italia manca lo spirito imprenditoriale .... non sarebbe un cattivo suggerimento il tuo , il problema è che è una strada difficile.
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Old 23-01-2010, 18:22   #14
Fides Brasier
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ma che cazzo volgiono ancora, pure lo statuto dei lavoratori adesso?
con tutto il rispetto, ma cosa cazzo credevi? e' da dieci anni che vanno in questa direzione, mica lo scopriamo oggi.
o meglio: se qualcuno lo scopre oggi e' solo perche' prima dormiva.

http://www.rassegna.it/articoli/2009...uto-lavoratori

Quote:
Sacconi: in primavera delega per nuovo Statuto lavoratori
'Nell'agenda del governo c'e' l'idea di completare le riforme del lavoro con l'intuizione di Marco Biagi di redigere un moderno statuto dei lavori che costituisce la sede opportuna anche per razionalizzare il nostro sistema di ammortizzatori sociali'. E’ quanto afferma il ministro del Welfare Maurizio Sacconi. Il responsabile del dicastero del lavoro ha chiarito che questo impegno sarà realizzato 'dopo le elezioni regionali quando ragionevolmente il nostro Paese, se sapra' trovare la via anche della stabilizzazione democratica, avra' tre anni senza interruzioni elettorali'.

Secondo Sacconi, in questo periodo, un disegno di legge delega 'potra' condurre a uno statuto dei lavori confidando che in questo tempo siano superate almeno le condizioni di emergenza nelle quali oggi utilizziamo gli ammortizzatori non solo in deroga di cio' che ora abbiamo ma anche in deroga di quello che un domani potremo avere, cioe' - ha aggiunto il ministro - con modalita' tipiche di una fase di emergenza'. 'Oggi da un lato - ha continuato - sperimentiamo un'estensione degli ammortizzatori che un domani dovremo condurre a regime dall'altro lo facciamo pero' con modalita' che domani potremo accettare: gli ammortizzatori sociali dovranno essere cioe' su base assicurativa mentre in questa fase interveniamo a prescindere dai versamenti assicurativi'.
21/12/2009 16:04
http://www.agoravox.it/attualita/pol...avoratori-allo

Quote:
Dallo Statuto dei Lavoratori allo Statuto dei Lavori: la ricetta di Sacconi
di Marina Bernabei
sabato 9 maggio 2009
Non è bastato fare del precariato il nuovo volto del mondo del lavoro. Non è stato sufficiente introdurre, in nome della flessibilità, tipologie contrattuali sempre meno garantiste per i lavoratori e sempre più convenienti per i profitti delle aziende. Vi è un nodo che è rimasto ancora irrisolto e su cui non si può fare a meno di ritornare sistematicamente: lo Statuto dei Lavoratori. L’obiettivo ambizioso è quello di "abbattere" quest’ultimo baluardo per la difesa e la salvaguardia all’interno delle aziende dei diritti dei lavoratori italiani, o meglio della parte più fortunata e quasi sempre meno giovane. Ma come? Questa volta l’iniziativa è stata presa dal Ministro del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Maurizio Sacconi.

Il documento “La vita buona della società attiva”, approvato dal Consiglio dei Ministri il 6 maggio scorso e presentato da Sacconi a Palazzo Chigi, costituisce una sorta di manifesto per il futuro, la base per la costruzione di un nuovo modello sociale italiano.

Il Libro Bianco aspira ad intervenire con un intento riformatore sui diversi aspetti costitutivi dell’esperienza elementare dell’uomo: la salute, il lavoro, gli affetti e il riposo. "Ovviamente" il tutto non è possibile senza una ridefinizione delle relazioni tra impresa e lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro. Dallo Statuto dei Lavoratori allo Statuto dei Lavori, sulle orme di Marco Biagi.

L’impianto teorico è sempre lo stesso: il progressivo passaggio da diritti e tutele sanciti dalla legge per tutti i lavoratori ad una negoziazione delle garanzie sulla base dei rapporti di forza presenti all’interno delle singole imprese. La legislazione in materia di lavoro viene definita nel documento come “una regolazione di dettaglio che intralcia, in un formalismo giuridico fine a se stesso e fonte di uno smisurato contenzioso, la libertà di azione degli operatori economici senza portare alcun contributo alla tutela dei lavoratori”.

Le norme del rapporto contrattuale vengono sempre più rimandate ad un livello territoriale e produttivo, determinando un progressivo allentamento di quella certezza di diritti e tutele di cui solo la legge può farsi garante nella sua inderogabilità e universalità. Nel Libro Bianco si afferma a tal proposito: “sono oramai maturi i tempi per assetti regolatori e statuti normativi specifici per tipologia di settore produttivo, ma anche territorialmente diversificati, fermo restando uno standard protettivo minimo ed omogeneo sull’intero territorio nazionale”.

La crisi non consente, come chiarisce il Ministro, di intervenire al momento “sulle pensioni, sugli ammortizzatori e sull’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori” ma "ovviamente" è solo una questione di tempo.

La volontà di tentare un’ennesima volta di rimettere mano all’articolo 18 è evidente, alla luce dell’affermazione di una visione del rapporto di lavoro in cui “il superamento delle molte criticità nel mercato del lavoro non può più essere affidato ad una concezione formalistica e burocratica dei rapporti di lavoro che alimenta un imponente contenzioso ed un sistema antagonista e conflittuale di relazioni industriali”.

In altri termini le controversie non si risolvono più ricorrendo alla legge e alla magistratura, ma si ricompongono all’interno dei luoghi di lavoro, o meglio secondo logiche del mercato e in base ai rapporti di forza che si vanno di volta configurando, ma che sono evidentemente sbilanciati verso i datori di lavoro.

Questo ridisegno dello Statuto dei Lavoratori è "ovviamente" un modo per costruire maggiori tutele: “le stesse proposte di incidere finalmente sul regime del recesso dal rapporto di lavoro potranno realizzare un maggiore consenso collocandosi in un moderno sistema di tutele attive”. Sic!

"Ovviamente" il tutto in nome del popolo sovrano. Sacconi, infatti ha affermato che il suo Libro Bianco è “nazional-popolare. Si fonda su valori che appartengono al senso comune del popolo". E "se la borghesia autoreferenziale lo criticherà, non ce ne frega niente. Se invece lo facesse il popolo, ci dispiacerebbe”. Ai posteri l’ardua sentenza.
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fabio80
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