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Old 17-10-2005, 02:38   #1
Adric
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opere d'arte contemporanea a rischio

Sabato 15 Ottobre 2005

Più sei moderno, più sei a rischio

di SILVIA PEGORARO
LA celebrazione della “Prima Giornata dell’Arte Contemporanea” ci porta a riflettere su una questione che spesso passa in secondo piano, di fronte al moltiplicarsi e all’accumularsi di mostre ed eventi. Entro pochi decenni, probabilmente un’altissima percentuale di opere d’arte contemporanea sarà perduta. Si ha spesso l’impressione che l’opera d’arte contemporanea, in quanto “nuova”, debba essere “sicura”, debba presentare meno problemi di conservazione e restauro rispetto a quella antica, quindi “vecchia”. In realtà, i materiali delle opere d’arte del XX secolo sono “nuovi”, ma non sono affatto sicuri, perché non sono stabili, e ciò proprio a causa della loro modernità: il processo di invecchiamento non è ancora terminato, e spesso non si conosce il comportamento nel tempo di alcuni materiali scoperti in epoche recenti o recentissime. Si tratta di materiali perlopiù estranei alla tradizione artistica occidentale, non sufficientemente sperimentati e collaudati, alterabili e deperibili, soggetti a reazioni chimiche difficilmente controllabili: carte industriali, colori acrilici, colle e resine, varietà di plastiche, materiali naturali igroscopici, fragili e friabili. Si potrebbe osservare che questo non è un problema legato esclusivamente alla nostra epoca: ad esempio, l’introduzione dei pigmenti oleosi in epoca rinascimentale, prima nella pittura fiamminga, poi in quella italiana, creò gravi problemi di conservazione. Leonardo trattava la pittura a olio in modo sperimentale. Eppure, nel contemporaneo, la varietà di materiali usati e, nello stesso tempo, le poetiche incentrate sull’idea dell’“effimero” e della preminenza del pensiero dell’artista sul “corpo” dell’opera, hanno determinato una situazione ben più difficile e complessa.
La grande rivoluzione tecnologica nell’arte si verificò con le avanguardie del primo Novecento. Spetta ai futuristi italiani il merito di avere per primi teorizzato la necessità di questo cambiamento tecnologico. Fra loro, il più interessato alla sperimentazione di nuovi materiali è Enrico Prampolini, primo ad usare, per “dipingere”, particolari impasti “polimaterici” di sabbie e polveri: un vero precursore della “pittura materica” degli anni Cinquanta (le opere del suo più illustre esponente in Italia, Alberto Burri - in particolare i “Cretti”, in caolino e vinavil - sono esposte a un fortissimo rischio di degrado). Una seconda cesura si deve individuare subito dopo la seconda guerra mondiale, con l'introduzione di materiali industriali modernissimi: vari tipi di plastica, colori acrilici e vinilici. Il terzo momento di rottura, negli anni Sessanta, ancora una volta di natura sia estetica che materiale, ha portato rivolgimenti così radicali da porre in dubbio l’identità stessa dell’arte: molte opere sono il prodotto di poetiche in cui è esplicitamente enunciato il carattere effimero e transitorio dell’“oggetto” d’arte, che perciò è pensato come rapidamente transeunte, e quindi volontariamente realizzato con materiali deperibili (si pensi alla “Eat Art”, realizzata con zucchero e altri materiali commestibili).
Sarà dunque lecito intervenire per la conservazione di un’opera d’arte programmata dal suo autore per scomparire? Questo problema, pur essendo estremamente attuale, non ha trovato, nonché soluzioni, neppure un’adeguata attenzione. Oggi, poi, non esiste più una tecnica “ortodossa”, canonizzata in qualche modo o dalla tradizione di bottega o dalla norma dell’Accademia. Ogni artista del XX secolo ha una sua tecnica personale, il più delle volte non trasmissibile. In molti casi la tecnica si identifica addirittura con l’artista (il dripping per Pollock; i tagli e i buchi per Fontana; i monocromi per Klein, ecc.). Oltretutto, l’industria ha in genere cercato di proteggersi dall’imitazione dei concorrenti non fornendo informazioni complete sui suoi articoli: da ciò deriva la mancanza di notizie scientificamente certe su molti materiali. Dunque, in epoca contemporanea, anche l’artista tecnicamente più preparato non ha alcun reale controllo sui materiali che usa. Altrettanto complessi sono i problemi delle opere contemporanee realizzate con tecniche neo-antiche: si pensi agli pseudo-affreschi di Sironi o alle tempere di De Chirico. Le opere moderne e contemporanee eseguite nel modo più tradizionale su tela o tavola possono essere fragili e difficili da conservare come quelle tecnicamente innovative. A questo proposito si potrebbe citare il caso - particolarmente tragico - dell’opera di Mark Rothko. Alla grande mostra del Guggenheim Museum di New York nel 1978 erano presenti molte opere assai rovinate: alcune superfici erano letteralmente butterate e vaste aree cromatiche erano scolorite o avevano cambiato del tutto colore, a causa delle reazioni di pigmenti chimici usati dall'artista. Lo studio approfondito della tecnica e dei tipi di pigmento adottati da Rothko - condotto a partire dal 1987 soprattutto da Carol Mancusi-Ungaro, conservatrice della Cappella Rothko a Houston - ha permesso in molti casi di migliorare sensibilmente lo stato dei dipinti.
E’ certo comunque che le questioni a cui si è accennato coinvolgono non solo la coscienza e la professionalità del restauratore, ma anche l’ambito critico-storico. Le nuove tecniche e i materiali “insoliti”, insieme a un’estetica rivolta all’espressione artistica concreta, ma solo temporanea, o che considera l’invecchiamento e il degrado come positivi segni caratteristici, fanno dell’arte contemporanea un’affascinante questione anche per il ricercatore, il critico, il teorico, lo storico dell’arte.
(Il Messaggero)
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