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"L’ombra del potere" De Niro: con la Cia alle radici dell’inferno
L’attore al Festival di Berlino con “L’ombra del potere”, il suo secondo film da regista
FULVIA CAPRARA La vita di un uomo dentro la storia della Cia, un abbraccio mortale che provoca drammi, morte, deserto dell’anima. Ieri al FilmFest Robert De Niro ha presentato L’ombra del potere, seconda prova da regista a tredici anni da Bronx, applaudita dagli addetti ai lavori nonostante gli echi americani di critiche negative, a iniziare da quella di Variety. A differenza di The Good German, poco amato in Usa e accolto alla Berlinale con scarso entusiasmo, L’ombra del potere (in Italia dal 20 aprile distribuito da Medusa) sembra più adatto alla platea europea. Al centro della storia 167 minuti cupi, intensi, pieni di pathos. Si muove come una specie di automa il protagonista Edward Wilson (Matt Damon), studente modello dell’università di Yale che, dopo essere entrato nella società segreta «Skull and Bones» (nella realtà vi hanno preso parte, tra gli altri, George W. Bush, suo padre, suo nonno e anche John Kerry), si avvia verso una fulgida carriera di spia al servizio della patria, diventando uno dei fondatori della Cia. La vita privata, i rapporti con il figlio e con la moglie, interpretata da un’Angelina Jolie prima irrequieta e passionale, poi sempre più addolorata e sola, si sgretolano man mano che Wilson accetta le regole di una disciplina impossibile, dominata dal sospetto e dalla violenza. Sono gli anni paranoici della Guerra Fredda, del grande smacco della Cia nell’operazione della Baia dei Porci: «Il mio film - ha chiarito De Niro - non vuol essere una critica al potere, la mia prospettiva di americano che vive in America non è questa. Sono rimasto affascinato dalla sceneggiatura scritta da Eric Roth e volevo raccontare le cose così come si sono svolte». Il giudizio, insomma, resta allo spettatore e non può essere che uno, soprattutto quando De Niro racconta come Wilson, messo di fronte alla scelta tra patria e figlio, decida di agire per il bene della prima e per il male del secondo: «Sono sempre stato attratto dalle storie ambientate durante la Guerra Fredda, dalla Berlino di quegli anni, da James Bond e dai romanzi di Le Carré. In questo film ho voluto ricostruire l’inizio dell’attività della Cia, ma soprattutto l’esistenza quotidiana di chi decideva di appartenervi». Dopo l’11 settembre, ammette, «molte domande avrebbero dovuto essere poste alla Cia e invece non abbiamo avuto ancora risposte». De Niro non ama gli incontri con la stampa. Alla sala stracolma di giornalisti regala sorrisetti imbarazzati, come se stesse sulle spine e non vedesse l’ora di fuggire: «Mi piacerebbe andare avanti con questa storia, fare un secondo film e poi un terzo, fino ad arrivare ai giorni nostri». Qualcuno fa notare che nelle stanze senza sole dove si svolgono i colloqui tra i boss della Cia tira aria di mafia, un’atmosfera che il divo conosce bene: «E’ vero, si tratta in tutti e due i casi di associazioni segrete, con le loro regole ferree che coinvolgono anche i legami familiari». Qualcun altro gli chiede se, girando, abbia ripensato a C’era una volta in America, lui riflette un attimo e poi conclude: «Non rivedo quel film da tanto. Non so se nell’Ombra del potere ci sono cose che gli somigliano, dovrei riguardarlo per dirvelo». Il massimo della sintesi arriva dopo l’ultima domanda, quella in cui si fa notare all’autore che tutti e due i suoi film da regista parlano di rapporti complessi tra padri e figli: «Si? Non so, ho raccontato quello che c’era scritto nella sceneggiatura». http://www.lastampa.it/redazione/cms...7855girata.asp
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