L'India vuole mettere al bando le criptovalute per emetterne una ufficiale

L'India vuole mettere al bando le criptovalute per emetterne una ufficiale

Il parlamento indiano valuterà la possibilità di vietare le criptovalute "private" e costruire al contempo un quadro normativo per l'emissione di una valuta digitale ufficiale

di pubblicata il , alle 11:41 nel canale Web
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L'India sta valutando l'introduzione di una legge che vieti criptovalute "private" e che fornisca un quadro normativo per la creazione di una valuta digitale ufficiale nel corso dell'attuale sessione di bilancio del parlamento. Nell'agenda pubblicata sul sito web della camera bassa si legge che l'intenzione è quella di "vietare tutte le criptovalute private in India" ma che sono previste "alcune eccezioni per promuovere la tecnologica blockchain delle criptovalute e dei suoi usi". Il lavoro normativo cercherà inoltre di realizzare un "quadro di facilitazione per la creazione della valuta digitale ufficiale" che sarà emessa dalla banca centrale nazionale, la Reserve Bank of India.

Durante il 2018 un comitato del governo indiano aveva emesso il parere di divieto di tutte le criptovalute private, proponendo una pena fino a 10 anni di reclusione per i trasgressori. Il comitato suggerì allora al governo di esplorare una versione digitale della valuta fiat e dei modi per renderla realtà.

Allora la Reserve Bank of India ritenne la proposta interessante, definendola come operazione necessaria per una maggior apertura del sistema finanziario del paese. La banca centrale indiana dispose inoltre che le criptovalute non possono essere trattate come valute poiché non esistono in forma fisica e non sono state emesse dal governo. La posizione della RBI allora gettò nel panico diverse startup che operavano nell'ambito della tecnologia blockchain, così come piccole società locali che mettevano a disposizione servizi di cambio e pagamento in criptovalute: queste realtà da allora hanno chiuso i battenti o si sono riqualificate per operare in mercati differenti.

La posizione fu però contestata da diversi servizi di cambio e trader, portando il caso fino alla Corte Suprema che lo scorso anno si è pronunciata a loro favore. Si è trattata di una sentenza ritenuta "storica" ma che tuttavia non ha avuto alcun impatto concreto sulle disposizioni precedenti.

Sumit Gupta, cofondatore e amministratore delegato del servizio di cambio indiano CoinDCX, ha commentato: "Dal momento che il governo sta valutando la possibilità di introdurre il disegno di legge durante questa sessione del Parlamento, siamo certi che il governo ascolterà tutte le parti interessate prima di prendere qualsiasi decisione. Stiamo già parlando con altre realtà per avviare un dialogo più profondo con il governo, mostrando quali possibilità vi siano per creare un sano ecosistema tutti insieme".

Resta da capire cosa la politica indiana intenda precisamente con i termini "criptovalute private": la blockchain di Bitcoin o Ethereum, tanto per fare un esempio, è pubblica e cioè chiunque vi può partecipare che sia solo per effettuare transazioni o per agire da validatore e cioè prendere parte attiva all'esecuzione del protocollo di consenso. In una blockchain privata, invece, la partecipazione è subordinata all'ammissione degli amministratori. Possiamo tuttavia supporre, anche alla luce della volontà di realizzare di fatto una criptovaluta di stato, che il parlamento indiano abbia in qualche modo semplificato il concetto considerando come "criptovalute private" quelle non di emissione statale.

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