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Old 03-03-2015, 12:07   #2
ulukaii
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La Storia Vera dietro al gioco

Sebbene gli sviluppatori abbiano dichiarato:
Quote:
Kholat is not a documentary game. This is work of fiction based on a true event. Of course, it does not mean that we won’t see some real places, or some elements taken from the real world. The railway station, the ruins of the radar, the distinctive hunting cabins, Mansi tribe sculptures, characteristic rock formations, and finally a place where the Dyatlov’s tent was found – it is all in the game.
In realtà, soprattutto per chi conosce la vicenda, c'è ancora meno di questo. Personalmente trovo ispirati alla realtà solo la stazione ferroviaria da cui parte il gioco, alcuni estratti dei diari dei ragazzi e qualche elemento (edificio o paesaggistico) che rimanda a quanto visto in alcune foto originali. Per questo credo che sia molto più interessante conoscere, almeno a grandi linee, la storia vera, anche perché da noi (ma non solo) è poco nota, ho quindi deciso di scrivere due righe in questo post.

Holatchahl o Kholat Syakhyl, nella lingua dei Mansi, popolazione nativa della regione, non significa “Montagna della Morte” (come erroneamente si legge spesso in giro), ma “Montagna Morta” e deve questo nome perché i suoi pendii sono brulli, cosparsi solo da rocce e vegetazione bassa. Si tratta di un monte di circa 1097 m s.l.m. situato nella catena degli Urali settentrionali, in Russia. Il luogo è tristemente famoso per l'incidente al passo Dyatlov, da Igor Dyatlov, nome del capo spedizione di un gruppo di 9 esperti escursionisti morti lì nell'inverno 1959, in circostanze ancora oggi misteriose. L’inchiesta ufficiale dell’epoca concluse che la causa della loro morte era stata provocata da “una irresistibile forza sconosciuta”.

Questo ha dato ovviamente avvio, negli anni a seguire, a tutta una serie di congetture e possibili teorie per dare una completa ricostruzione degli eventi. Grazie ai diari e alle macchine fotografiche abbandonate dai ragazzi nella loro tenda, e ritrovati pressoché intatti dalle squadre di soccorso nelle settimane seguenti alla tragedia, è stato possibile ricostruire quasi tutto il loro itinerario, fino all'arrivo su quel pendio nel versante orientale del monte Kholat che non era la meta finale del loro viaggio. Lo volevano raggiungere il monte Otorten, 10 km più a nord.

Ciò che rimane senza spiegazione è l'evento chiave: cosa ha spinto 9 escursionisti esperti a lasciare la loro tenda, abbandonandovi dentro tutto il loro l'equipaggiamento e gran parte dell'abbigliamento (comprese calzature) per avventurarsi di notte, nella neve alta, a temperature intorno ai -20/30°?

La riposta più ovvia sarebbe una valanga, alcune ultime ricerche (2021, vedasi sotto), con telemetria dell'area, sembrano confermare questa possibilità. Il loro equipaggiamento venne ritrovato settimane dopo pressoché intatto nella tenda, ma la tenda era tagliata (dall'interno) e ribassata a causa dei depositi di neve che il forte vento (sempre presente nell'area) ha gradualmente spazzato nei giorni successivi fino al ritrovamento. L'ipotesi era stata presa in considerazione anche all'epoca, ma non con particolare peso, in quanto si pensava che la zona non fosse soggetta a valanghe e che il pendio non avesse sufficiente inclinazione (oggi si sa che le cose non stanno così, vi sono sia prove fotografiche di valanghe nell'area che fotogrammetria del terreno che mostra inclinazioni anche oltre i 27°).
Anche la Procura generale della Regione di Sverdlosk avvalla questa possibilità, dopo aver riaperto il caso, nel 2020 conferma che la causa dell'incidente è da ascriversi in uno smottamento precipitato sull'accampamento dei ragazzi.

Si sarebbe quindi trattato di un tragico incidente, come tanti di quelli che capitano in montagna, specie in condizioni estreme, e senza per questo mettere in dubbio il fattore dell'esperienza. Il termine "escursionista esperto" può sembrare una frase fatta, ma quei ragazzi possedevano tutti il II° grado di certificazione. All'epoca esistevano solo tre gradi di certificazione e con quest'escursione il gruppo sarebbe stato promosso al terzo e più elevato: Master of Sport. Questo stava a significare che sarebbero stati qualificati sia per l'insegnamento che come guide esperte nelle spedizioni.
Alexander Zolotaryov, 37 anni, il più anziano membro del gruppo, veterano di guerra e istruttore di sci (unico a non essere studente al UPI), si unisce alla spedizione proprio per ottenere questa certificazione, in modo da poter diventare guida di professione.
La certificazione di terzo grado, per l'epoca, significava aver preso parte a singole spedizioni di almeno 8-16 giorni (con almeno 6 notti passate in tenda) e percorrendo un totale di 300 km (almeno 1/3 dei quali in regioni ostili e disabitate).

Negli anni sulla vicenda si è detto e scritto molto, anzi, di tutto. Soprattutto in Russia, dove l'evento colpì moltissimo l'opinione pubblica ed ebbe una notevole risonanza. Nel resto del mondo l'incidente al Passo Dyaltov arrivò dopo, con la fine della guerra fredda, quando ormai molti dei fatti erano già stati fortemente compromessi o romanzati. Oltre a saggi e romanzi, sono anche stati girati dei film, compresi alcuni recenti documentari e, peggio, mockumentary. Se all'epoca le teorie complottistiche puntavano per la maggiore sullo spionaggio o incidenti missilistici, oggi virano fortemente verso gli UFO (e ultimamente pure sullo Yeti).

Insomma, difficile districarsi. Per chiunque voglia avvicinarsi a questa storia, personalmente consiglio:
- "Dead Mountain" di Donnie Eichar. L’autore, regista e documentarista cinematografico e televisivo, ha dedicato molto tempo alla vicenda, compiendo in prima persona parte dell’itinerario seguito dai ragazzi. Ritiene di aver trovato una possibile spiegazione negli infrasuoni generati da una tempesta perfetta che avrebbe portato gli escursionisti in uno stato di alterazione fino a condurli alla morte. Al di là di credere o meno alla sua ipotesi (personalmente la trovo abbastanza "arrampicata sugli specchi") il suo libro raccoglie e descrive gli eventi in modo molto accurato, basandosi sulle prove e sui fatti, rimanendo quindi sempre coi piedi per terra, senza lasciarsi prendere la mano, quindi rimane un buon punto di partenza per conoscere la storia (certamente molto più di altri testi eccessivamente conditi da teorie strampalate, sentito dire e complotteria varia assortita).
- "Mechanisms of slab avalanche release and impact in the Dyatlov Pass incident in 1959" di Johan Gaume e Alexander M. Puzrin. Articolo scientifico pubblicato su Nature nel 2021 che indica come l'incidente possa essere stato provocato da una valanga. Ne consiglio la lettura, in quanto è molto probabilmente la spiegazione più vicina a ciò che è realmente accaduto nel 1959.

Ovviamente vi sono una marea di libri, articoli, film, documentari (o presunti tali), senza contare pagine web e archivi. Limitandosi ai testi, la maggior parte, anche se pubblicati con un certo successo, sono per lo più (se non tutti) inediti in Italia, ma è comunque possibile acquistarli in inglese sul web (sia in forma cartacea che digitale).



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Ultima modifica di ulukaii : 10-04-2024 alle 17:00. Motivo: Aggiunto materiale
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